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La Buona Novella di Satana

 di Marco G. Corsini

2. Il poema dell'uomo-dio

Novembre 2005. Tutti i diritti riservati.

 

I vangeli non sono un'opera storica bensì sostengono di raccogliere le opere e il messaggio di Gesù figlio di dio. Con tutto ciò è lecito affermare che in nessun'altra opera, per quanto di fantasia, nemmeno nell'Iliade e Odissea di Omero, si assiste ad una confusione di fatti e di nomi quanto nei quattro vangeli canonici. I risultati del loro studio, che qui soprattutto espongo, mi sono costati uno sforzo che mi ha richiamato alla memoria solo lo sforzo inutile che facevo da ragazzo quando ricostruivo, o tentavo di ricostruire, le genealogie degli eroi omerici. I vangeli sono stati scritti tutti in greco fin dall'inizio come i poemi di Omero, il più grande pubblicitario di tutti i tempi. Il movimento zelota è originario della Galilea e i principali discepoli di Gesù dalla ridicola e inconfondibile pronuncia galilea venivano da Betsaida ed erano di lingua e cultura greca (Simone Pietro, Andrea e Filippo di Betsaida sul lago di Tiberiade, primi apostoli, portano nomi greci; quando i cristiani scrissero i sinottici manipolarono il vangelo di Giovanni distinguendo due Betania, aggiungendone una presso Gerusalemme, ma è più logico, come si intuisce dal vangelo di Giovanni, che Gesù conoscesse fin dall'inizio, a Betania sul lago di Tiberiade, gli altri suoi complici truffaldini, quel lazzarone di Lazzaro e le sorelle di questo, la sfaticata Marta e quella pubblica peccatrice indemoniata di Maria Magdalena – non a caso da identificare con la peccatrice figlia di Simone Pietro, anche citato, che unge Gesù in Galilea di Lc VII, 36ss – sua degna fidanzata, e infatti 1° costoro erano figli di Pietro e 2° Magdalena era così nominata perché veniva da Magdala presso il lago di Tiberiade, dove appunto Gesù l'aveva conosciuta per la prima volta) non solo perché questa era espressione della parte orientale dell'impero romano, ma anche perché il regno settentrionale di Israele dopo l'esilio era stato ripopolato con popolazioni pagane non ebree (2 Re, 17, 23-41) e Matteo (4, 12-15) parla di Galilea dei Gentili, richiamando un'analoga espressione di Isaia. Gli evangelisti conoscono il greco come lingua madre e dunque non ne deriva necessariamente che siano persone colte. Tuttavia è evidente che il greco è veicolo della civiltà greca, e la civiltà greca non è la cultura dei boscimani. Quanto ad Omero credo non si trovi in tutta la letteratura greca un autore ugualmente noto a tutti, perfino agli incolti di lingua greca o non greca, dato che fu il maestro di tutti e che le sue favole, proprio perché favole, circolavano anche al di fuori della lettura diretta e dunque anche a beneficio degli analfabeti. Trimalchione del Satyricon, il liberto siriano quasi analfabeta che aveva una biblioteca ricca di libri in latino, greco e aramaico, ne sapeva qualcosa. Parlando dei cristiani e degli ebrei Celso afferma: « La loro dottrina è, all’origine, barbara. In effetti i barbari sono abili a scoprire dottrine, ma per quanto riguarda la loro valutazione, il consolidamento e l’esercizio, in vista del conseguimento della virtù, di quanto i barbari hanno scoperto, i Greci sono certo più capaci. » (Contro i Cristiani, 1,2) In altre parole, messe in bocca ai Greci, le menzogne giudeo-cristiane si vendono meglio. I cristiani e i pagani non ci hanno lasciato nessuna informazione storica apprezzabile su Gesù figlio di dio vissuto nel primo trentennio del I sec. d. C. Cosicché ancora oggi i cristiani sono a disagio perché non riescono con tutta la buona volontà a raccogliere uno straccio di prova storica di colui da cui dicono di trarre il nome. Il motivo è che i protagonisti della vera storia, quelli che si dicevano, o meglio avrebbero potuto dirsi seguaci di Gesù l'Egiziano, si rintracciano sulle dita di una mano nei vangeli e si tratta sostanzialmente di Simone Pietro e Giovanni evangelista, che insieme a Giacomo il Maggiore prima e Giacomo fratello di Gesù dopo, costituirono la triade privilegiata degli apostoli, dei superapostoli, come li definisce Paolo.

E' curioso che i vangeli mirano a farci vedere Gesù preso per matto da Maria pseudovergine e dai suoi fratelli (« Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: “E’ fuori di sé.”» Mc 3,20; « Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui » Gv 7,5), quando invece, stando sempre ai vangeli, la sua è una religione di famiglia in quanto Giovanni il Battista (figlio di Zaccaria sacerdote ed Elisabetta parente di Maria vergine e discendente di Aronne, Lc, 1,5) è suo cugino (e gli affida i suoi discepoli Andrea, fratello di Pietro, e Filippo), mentre Giacomo il Minore e Giuda/Taddeo sono suoi fratelli. Si attribuiscono a Gesù delle sorelle e quattro fratelli: Giacomo, Giuseppe, Giuda (ovviamente Taddeo) e Simone in Mc 6,3 e Mt 13,55, ma il passo di Giovanni 19,25 parallelo a Mc 15,40 e Mt 27,56, dice: « Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre Maria di Cleofa e Maria di Magdala. » Questa è la traduzione esatta del testo greco e latino (vedi Novum Testamentum graece et latine, Romae, sumptibus pontificii instituti biblici, 1992), non quella dell'edizione ufficiale della CEI che mostra di non conoscere il greco (i nomi delle donne sono separati da kaì, "e", non da e, cioè "la": la madre di Gesù kaì la sorella di sua madre Maria la (sott. figlia) di Cleopa kaì Maria la Magdalena) e moltiplica le donne facendole diventare quattro. A questa Maria di Cleofa nei passi citati vengono attribuiti solo due figli, Giacomo il Minore e Giosè/Giuseppe, figli d'Alfeo (si noti che nella lista degli apostoli solo Giacomo il Minore è esplicitamente detto figlio d'Alfeo e non anche Giuda/Taddeo). E' dunque inevitabile che gli altri figli, Giuda/Taddeo, Simone/Simeone e Gesù dovrebbero essere di Maria vergine sua sorella e avuti da Alfeo che però non poteva riconoscerli perché il fatto avrebbe costituito bigamia e incesto. Ricordo che si è fratelli solo per parte di padre o di madre, o per adozione. Il fatto che Simone/Simeone sia detto di Cleopa implica il non avvenuto riconoscimento da parte del padre e l'assunzione del patronimico del nonno materno. Ciò collima con la tradizione di una Maria promessa sposa di Giuseppe e poi scoperta ad attendere il figlio di un altro (sia pure dio in persona) e dunque, vangeli a parte, non più sposata. Giuseppe come padre di Gesù è un'invenzione e vi ritornerò più avanti. Ma si sarà capito che due sorelle di nome Maria ed entrambe figlie di Cleopa sono impossibili a meno che non siano figlie di una madre diversa, ma in tal caso le si sarebbe distinte dal nome della madre diversa (certo non si potrebbero distinguere col nome dello stesso padre) e pare un espediente quello di differenziarne una solo per essere " vergine " quando al contrario avrebbe avuto almeno tre figli. Ma una conferma dell'unicità della madre per addirittura i cinque fratelli (e le sorelle) è data da quei passi in cui è scritto che « sua madre (Maria) ed i suoi fratelli » (Lc 8,10; Mc 3, 31; Mt 12, 46) lo vanno a cercare. Se i fratelli erano i figli di differenti sorelle andava specificato, mentre non c'era bisogno di specificare se erano figli di padri diversi. Detto in altre parole, in nessun passo dei vangeli c'è modo di intendere che i fratelli di Gesù siano figli di una donna diversa dalla medesima Maria vergine. Se ne dovrà concludere solo e rigorosamente che la sola e unica Maria figlia di Cleofa o Cleopa ebbe due figli legittimi da Alfeo, Giacomo il Minore ritenuto primo vescovo di Gerusalemme e Giosè/Giuseppe, e poi altri tre figli illegittimi da padre differente e non riconosciuti da Alfeo cui dunque fu attribuito il patronimico del nonno materno. Ma poiché Giacomo il Minore è una truffa cristiana per trasformare in vescovo quello che fu un sommo sacerdote del tempio (Gionata o Anano) avverso ai messianisti-cristiani, ne deriva il sospetto che anche Giosè/Giuseppe sia un'impostura, legata al fatto del depistaggio costituito da una seconda Maria detta Cleopa moglie di Alfeo con cui si tenta di deviare l'attenzione dalla Maria detta vergine madre di Gesù e dagli altri tre figli maschi della medesima. Dunque probabilmente Maria, cosiddetta vergine, di Cleopa, l'unica Maria di cui discutiamo, ebbe solo i tre figli illegittimi, da una o più persone che non potevano riconoscerli. Del resto, a rigor di logica, e sempre attenendoci rigorosamente ai vangeli, Maria avrebbe avuto prima il figlio illegittimo Gesù, e solo poi gli altri figli, illegittimi anch'essi. Esiste una traccia che consente forse di scoprire il vero padre di Gesù. Celso, nel Contro i cristiani, scrive rivolgendosi direttamente a Gesù: « Tua madre, dunque, fu scacciata dal falegname, che l'aveva chiesta in moglie, perché convinta di adulterio e fu resa incinta da un soldato di nome Pantera. » (I,32) Concorde la tradizione rabbinica. Gli apologisti cristiani sostenevano però, e a mio parere mettendoci sulla giusta linea interpretativa, che Ben Pandera era nonno di Gesù o antenato comune di Giuseppe e di Maria. In greco suocero e suocera si dicono pentherós e pentherá. Se Gesù fosse stato chiamato il figlio del suocero (cioè del padre di Alfeo e Giuseppe) di Maria di Cleopa e poi questo nome greco fosse stato inteso dagli ebrei come nome proprio, avremmo avuto col tempo il passaggio da ben Penthera a ben Panthera che sarebbe stato preso dagli apologisti cristiani esattamente come nome del nonno (paterno) di Gesù. Poiché il nonno paterno non lo riconobbe (Gesù primogenito) perché Maria era sposa di Giuseppe o di Alfeo, automaticamente Gesù prese il patronimico del nonno materno. E' evidente l'impegno profuso dai cristiani sia allora sia oggi nel manipolare la storia vera al fine di confondere le idee e suggerire l'esistenza di due o più Marie al fine illusorio di scaricare sulle altre lo scomodo fardello dei "fratelli e sorelle" di Gesù. Il fatto che costui fosse un uomo come tutti gli altri non costituiva all'inizio un problema per i cristiani/messianisti perché egli era considerato semplicemente un messia, un unto re, umano e basta, inviato da dio a reggere Giuda. Col tempo, però si andò formando l'idea che il concreto Gesù l'Egiziano fosse di natura divina, ed era scomodo che avesse fratelli e sorelle. Meglio figlio unico. (Lo stesso ragionamento si intravvede nell'Odissea dietro a Odisseo che fra l'altro impersona la divinità di Apollo e di Quirino il "Signore"/Romolo, nonno di Tullo Ostilio terzo re di Roma, e se in un primo momento ha sorelle e fratelli, poi la sua diventa una dinastia di figli maschi unici) Ma era troppo tardi, perché i vangeli avevano recepito già la situazione reale o più prossima alla realtà di questo Gesù di Cleopa e risultò impossibile riscrivere daccapo i vangeli da questo punto di vista, e nemmeno riuscì perfettamente l'armonizzazione togliendo o alterando le incongruenze più palesi. Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Quanto al presunto Giuseppe, i furbi greci autori dei vangeli non fecero altro che raccogliere per strada l'equivoco che il messia dei Samaritani (come i Samaritani stessi) doveva essere un "Bnei Ioseph", un " Figlio di Giuseppe ", ma si intendeva Giuseppe (capostipite delle dodici tribù) figlio di Giacobbe, nome che significativamente Matteo attribuisce al padre del padre putativo di Gesù (1,16). Contrariamente a quanto strombazzato contro i Samaritani dal Gesù dei vangeli e dai suoi apostoli, la sua evangelizzazione e quella dei primi apostoli appare con evidenza partire proprio dalla Samaria (Gesù partendo dalla Galilea in direzione di Giuda evangelizza proprio la Samaria dove non viene solo contestato ma anche accettato, come dalla samaritana al pozzo di Giuseppe: « Molti Samaritani di quella città cedettero in lui per le parole della donna che dichiarava: “Mi ha detto tutto quello che ha fatto”. E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro… » Gv 4,39ss, e gli apostoli dispersi nel 58 d. C. evangelizzano guarda caso per prima proprio la Samaria; Pietro, Giovanni e Filippo, i primi apostoli del lago di Tiberiade o di Genezaret, detto anche  Mare di Galilea sono anche i primi apostoli della Samaria, Atti, 8, 4ss.14.25), dove era popolare il movimento dei Nazorei che intendevano restaurare il regno settentrionale di Israele e rivendicavano la loro derivazione dalle tribù di Efraim e Manasse, discese da Giuseppe. Matteo, che vanta una profezia giudea a conforto del fatto che Gesù sarebbe stato chiamato Nazoreo da un presunto villaggio di nome Nazaret (2, 23), allora inesistente, non ne dà le coordinate (al contrario di altre "profezie" che non ci hanno a che vedere lo stesso) perché tale profezia non esiste e del resto lui scrive proprio Nazoreo, che palesemente non ha nulla a che fare con Nazaret. Si tratta di una palese impostura. Viceversa nel vangelo di Luca, che pure fa risalire la genealogia di Gesù ad Adamo ed è dunque paolino, c'è l'interesse a far vedere Gesù in relazione con la casa regnante di Davide (ma non dimostra la discendenza da Davide di Maria bensì di Giuseppe che era solo padre putativo). Ricordo che stiamo analizzando i vangeli dal loro interno ricercandone un filo logico. Vi sono indizi secondo cui mentre rimane che il movimento ribelle a Roma partiva dalla Galilea (e così Giovanni e Simone zeloti), Gesù l'Egiziano proveniva proprio dalla Samaria.

Quanto ho scoperto permette di ricostruire che i primi vescovi di Gerusalemme ritenevano o meglio facevano credere di discendere del tutto naturalmente dai sommi sacerdoti ebrei del tempio e dunque ritenevano vescovi e non sommi sacerdoti quali invece erano Gionata, che identificavano con Giacomo d'Alfeo fratello di Gesù e il suo successore Simone/Simeone di Cleopa, sempre fratello di Gesù. E' del tutto logico che colui che voleva farsi re dei Giudei e di Gerusalemme e che per questo fine aveva giocato il tutto per tutto finendo sulla croce, doveva poi trarre i frutti del suo sacrificio e vedere due suoi fratelli vescovi di Gerusalemme, come dire, sommi sacerdoti, in un certo qual senso dei re, tutto quel che si poteva ottenere nella regalità tenuto conto che al di sopra di questa c'era pur sempre l'imperatore di Roma. Certamente non si può parlare di una continuità ebraico-cristiana a Gerusalemme rasa al suolo da Tito nel 70 d. C. Erano solo i vescovi cristiani, molto tempo dopo questa data, a cercare di far proseliti fra i giudei mostrandosi, ciò che non poteva essere assolutamente vero, come gemmazione del tempio di Gerusalemme. I cristiani erano i discendenti degli zeloti assassini dei sommi sacerdoti e principali responsabili dell'incendio e della distruzione non solo del tempio ma di tutto Israele. Verso il 150-200 d. C. la comunità cristiana di Gerusalemme pretendeva discendere dai sommi sacerdoti del tempio attraverso la famiglia di Cleopa, la famiglia della madre di Gesù (giustamente, in quanto sarebbe stato assurdo vantare una discendenza da parte di un padre che non l'aveva riconosciuto, così come sarebbe stato assurdo vantarla da parte di un padre putativo come il presunto Giuseppe), i cui fratelli Giacomo e Simeone sono considerati appunto vescovi di Gerusalemme, e del resto sarebbe stato sciocco che, dopo aver creato con tanto sacrificio la sua chiesa, Gesù ne restasse tutto sommato fuori. Un omaggio alla famiglia di Cleopa e soprattutto a Simeone di Cleopa vescovo di Gerusalemme è in Luca (e perciò questo vangelo sarà del 150-200 d. C. ca., ovvero di un tempo in cui la chiesa di Gerusalemme funziona e celebra le sue origini) laddove Gesù appare per primo a due discepoli di Emmaus, uno dei quali di nome (di cognome) Cleopa: « Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo... » (24, 13-16) Riconosciutolo ritornano per riferire l'apparizione agli undici e agli altri che questa volta credendo - mentre non avevano creduto alle donne - dicevano: « Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone » (24, 34) Dunque Gesù vien fatto apparire proprio a Simone/Simeone di Cleopa vescovo di Gerusalemme e fratello di Gesù. Costoro erano della comunità di Emmaus o andavano a Emmaus, colonia di 800 veterani della Guerra giudaica fondata da Vespasiano sulla via per Ioppe a 11 chilometri da Gerusalemme. E' evidente che anche Emmaus, centro cristiano prossimo a Gerusalemme viene così omaggiato per qualche suo evidente merito, ad esempio quello dei suoi legionari che primi portarono la religione cristiana sulla punta delle loro spade. Non c'è dubbio alcuno che il vangelo di Luca fu adottato anche dalla comunità di Gerusalemme.

Giacomo fratello di Gesù e primo vescovo di Gerusalemme non è dunque un terzo Giacomo come si legge nel vocabolario de La prima Bibbia Ed. San Paolo, 1998, ma deve essere identificato con l'apostolo Giacomo il Minore figlio d'Alfeo e Maria cosiddetta vergine figlia di Cleopa. Simeone di Cleopa, succedutogli a distanza di tempo come vescovo di Gerusalemme e crocifisso nel 106/107, era invece figlio di Maria vergine e un altro uomo che non l'ha riconosciuto e così Gesù deve aver preso come Simone/Simeone il patronimico del nonno materno, Cleopa. Esistono dunque solo due Giacomo, il Maggiore, fratello di Giovanni evangelista, e il Minore, figlio d'Alfeo – fratello per parte di Maria di Gesù – detto il Giusto, pseudovescovo di Gerusalemme. Del primo, se è veramente esistito e non è, come sospetto altamente, un doppione del secondo (si noti che è ucciso di spada) spostato nel 44 d. C. (vedi la stessa datazione anomala di Stefano protomartire i cui fatti dovrebbero invece cadere ugualmente nel 58 d. C.), non sappiamo né alla fine dei conti ci interessa troppo sapere. Del secondo sappiamo che va identificato con Gionata sommo sacerdote ebreo, ucciso con la spada nel 58 d. C. e che dunque con Gesù non aveva nulla a che spartire e anzi era sicuramente un suo fiero oppositore, oppositore degli zeloti. La cronologia cristiana che lo vuole lapidato dai Giudei nel 62 d. C. è totalmente falsa, ma è evidente che, seppure con una differenza di quattro anni e della lapidazione al posto della decapitazione, stiamo parlando della stessa persona. Mentre il primo Giacomo superapostolo della triade assiste privilegiato con Giovanni suo fratello e Pietro a tre grandi fatti di Gesù è curioso che nel suo vangelo Giovanni mostra di ignorare gli stessi fatti per cui i sinottici lo chiamano in causa come testimone oculare. Eppure sono miracoli non da poco (resurrezione della figlia di Giairo; poi si scopre che in effetti ne ha parlato sotto la voce: resurrezione di Lazzaro; ne riparleremo) o di più (la trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor) sono manifestazioni sorprendenti della divinità di Gesù. Fa senso anche ad un più che convinto ateo come me notare come i sinottici descrivano i momenti dolorosi della sofferenza nel Getsemani (l’anima di Gesù era triste fino alla morte, Mt, Mc, trasudava gocce di sangue che colavano a terra, Lc), mentre Giovanni freddamente registra che « Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là dal torrente Cedron, dove c’era un giardino nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel posto… » (18,1ss) E questo era Giovanni… il discepolo « che Gesù amava » (Gv 20,2)! Abbiamo paura a chiederci come si sarebbe comportato il discepolo che avesse avuto motivo di odiare Gesù. Lo conosciamo, Giuda, ma anche a suo riguardo avremo modo di sconvolgere l’opinione corrente. E non è strano che taccia proprio Giovanni che, a differenza dei sinottici (che hanno mirato a darci la vita terrena ed umana di Gesù) si è proposto di scrivere il suo vangelo « perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome » (20,31)? Delle sette frasi che Gesù avrebbe pronunciato sulla croce solo una, quella possibilmente vera, è riportata da due evangelisti Matteo e Marco: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? ». Le altre, tutte differenti, sono riportate tre solo da Luca e tre solo da Giovanni. E’ stato notato che solo due dei vari miracoli di Gesù sono comuni a Giovanni e ai sinottici (Le Muse. Voce Testamento, Nuovo, Istituto geografico De Agostini, Novara, 1968). Eppure il vangelo di Giovanni è da considerare fra i più attendibili documenti cristiani, così come gli Atti degli Apostoli che fanno capo a Paolo. Abbiamo visto e vedremo che Gesù l'Egiziano era legato al deserto di Qumran e dunque ai Rotoli del Mar Morto, e Giovanni « sembra aver subito molto fortemente l’influenza di una corrente di pensiero largamente diffusa in alcuni circoli del giudaismo: recentemente se ne è ritrovata l’espressione nei documenti esseni di Qumran. Una importanza particolare vi era data alla conoscenza; ciò conferiva al vocabolario un colore che preannunziava quello della gnosi; un certo dualismo si esprimeva mediante antinomie: luce-tenebre, verità-menzogna, angelo di luce-angelo di tenebre (Beliar). Specialmente a Qumran si insisteva, in una prospettiva escatologica, sulla mistica dell’unità e sulla necessità dell’amore fraterno. Tutti questi temi si ritrovano nel Vangelo giovanneo e caratterizzano bene l’ambiente giudeo-cristiano nel quale deve essere nato. » (La Bibbia di Gerusalemme, introduzione al Vangelo di Giovanni, EDB, 1990. p. 2257). Giovanni è l’autore dell’Apocalisse, il folle vaneggiamento di un capo zelota relegato a Patmos per cui il tempo s'è fermato e che non comprende che Gesù è tornato nella sua gloria, l'inferno s'è già incarnato in Palestina distruggendo fra Gerusalemme e Masada tutto quello che c'era da distruggere, e, non contento, ha cominciato coi cristiani a distruggere ciò che c'è di più bello, l'impero romano, la civiltà.

 

Unzione di Gesù da parte di Maria Magdalena nesaia ("che innalza"?) e resurrezione di Lazzaro.

In penombra ma nel solo vangelo di Giovanni compare anche la figura di Eleazar/Lazzaro di Giairo discendente di Giuda galileo, imparentato con Menahem e capo della resistenza a Masada (Gg II, 17,9 e VII, 8,1), del quale Giuseppe Flavio ci consegna un discorso imbevuto di dottrina iranica ovvero qumranica in perfetta sintonia con le idee di resurrezione di Gesù evangelico (Gg VII, 8,6). Ma in precedenza Eleazar (Gg VII, 8,6) come lo stesso Gesù evangelico nel discorso davanti a Pilato, da la colpa della fine delle speranze indipendentiste alla contrarietà di dio: « Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande. » (Gv 19, 11) Questo Eleazar di cui parla solo Giovanni relativamente alla sua resurrezione da parte di Gesù (XI, 1-44) io lo identifico con il figlio di Simone di Ghiora alias Jair/Giairo. Eleazar figlio di Simone all'inizio aveva fatto entrare gli zeloti nel tempio ed aveva occupato l'area delle provviste sacre del tempio in opposizione a Giovanni di Giscala. In una prima fase dunque la città di Gerusalemme fu divisa fra Eleazar, Giovanni e Simone. Poi Giovanni sopraffece le forze di Eleazar, che passò dalla sua parte (Guerra gudaica V, 1-6,1). E' evidente che Giovanni evangelista ha interesse a far risaltare (perché s'era messo dalla sua parte) Eleazar/Lazzaro di Simone di Giairo o Ghiora che dir si voglia, discendente del Giuda galileo, mentre invece i sinottici, dominati dall'evangelizzazione dei seguaci di Simone Pietro si vergognano del tradimento di Lazzaro e lo puniscono trasformandolo in donna, la figlia resuscitata di Giairo (Lc VIII; Mc V; Mt IX). Prima di entrare a Gerusalemme Gesù viene unto da Maria Magdalena, una pubblica peccatrice, sorella di Lazzaro e dunque figlia di Simone pietro di Ghiora o Giairo, che in Matteo si cerca di camuffare come Simone il lebbroso di Betania (26,6ss) come se non fosse Pietro. (Nell'episodio in questione come raccontato da Matteo sono gli apostoli e non Giuda a scandalizzarsi della costosa unzione sul capo di Gesù perché i soldi sarebbero stati spesi meglio a favore dei poveri, ma Gesù risponde che i poveri ci saranno sempre; dunque a lui non glie ne frega nulla di eliminarli, sia pure come puro progetto a lunghissima scadenza.) Dunque si vuole imparentare Gesù col capo riconosciuto e più amato dei ribelli a Gerusalemme, ed è Maria di Magdala che investe Gesù del potere (sotto forma di unzione funebre perché Gesù/Tifone è il Male, la Morte). La resurrezione di Lazzaro, morto evidentemente a Masada, costituisce una resurrezione del figlio destinato a regnare dopo Pietro e disgraziatamente premortogli, ma la figura onnipotente di Gesù si può permettere anche l'impossibile. Dunque Giovanni valuta molto Lazzaro figlio di Pietro a differenza degli evangelisti di più stretta derivazione dai seguaci di Pietro che lo deprezzano per essersi coalizzato con Giovanni attribuendo forse a ciò la disfatta di Gerusalemme. Comunque sia Simone Pietro e Giovanni alla fine si coalizzarono e difesero Gerusalemme contro l'assedio di Tito e nei vangeli sono come il gatto, Pietro, e la volpe, Giovanni (a volte detto Marco), assistendo insieme ai più grandi miracoli e organizzando le più importanti attività di Gesù.

Figura da approfondire quella di Giovanni vescovo di Gerusalemme, nemico acerrimo di Paolo e da questo ritenuto una delle colonne degli apostoli a Gerusalemme (Galati 2,9) dopo la morte di Gesù. E' una gemmazione cristiana dal sommo sacerdote Gionata o, meglio, da Anano. Giuseppe Flavio era sacerdote ebreo di famiglia sacerdotale e mai s’è dichiarato o è stato dichiarato essersi convertito al cristianesimo, e ciò ci è confermato da fonte cristiana, perché Origene, III secolo, commentando proprio l'Antichità giudaica, attribuisce a Giuseppe l’affermazione  che Gerusalemme fu distrutta per castigo divino « in conseguenza delle cose che essi avevano osato fare contro Giacomo il fratello di Gesù chiamato il Cristo », aggiungendo: « E la cosa sorprendente è che egli, pur non ammettendo il nostro Gesù essere il Cristo, ciò nondimeno rese a Giacomo attestazione di tanta giustizia  » (Commento a Matteo, X,17).  L'attestazione resa da Giuseppe Flavio a Giacomo per la sua tanta giustizia consiste per Origene nel fatto che, secondo questo, dio avrebbe abbandonato Gerusalemme nelle mani dei Romani a causa di ciò che gli ebrei gli avevano fatto.   In realtà queste cose Giuseppe Flavio non le dice in Antichità giudaica XX, 9, 1, ma in Antichità giudaica XX, 8, 5. Origene identifica il passo in Antichità  giudaica  XX, 8, 5 come integrante quello di Antichità giudaica XX, 9, 1.  Giuseppe Flavio  dice che Gionata (non Giacomo)  fu ucciso, col pugnale, dai sicari. Nel Contro Celso, I, 47, Origene riprende il medesimo concetto, facendo  rilevare come Giuseppe dica queste cose « sebbene non credente in Gesù come il Cristo ». Ne deduciamo una cosa sola, e cioè che al tempo di Origene Ag ancora non era stato manipolato dai cristiani. Fu probabilmente Origene con questa sua affermazione a far sorgere in uno dei tanti idioti zelatori del cristianesimo  la brillante idea di  fare il miracolo, rendere Giuseppe Flavio un  credente cristiano. E costui interpolò Ag aggiungendovi quello che è noto come secondo testimonium flavianum: « Anano … convocò il sinedrio a giudizio e vi condusse il fratello di Gesù, detto Cristo (cioè: detto Messia), di nome Giacomo, e alcuni altri, accusandoli di trasgressione della legge e condannandoli alla lapidazione. » Una delle argomentazioni dei sostenitori dell'autenticità dei due testimonia parte proprio da questo testimonium 2. Secondo costoro Giuseppe Flavio non avrebbe avuto alcun motivo per parlare di punto in bianco di Gesù il Cristo a commento di Giacomo se non ne avesse già parlato  ampiamente in un altro passo precedente. Ecco perché, colta l'argomentazione al balzo, con precognizione telepatica, i cristiani provvidero, in un'era in cui comandavano loro, a inserire successivamente  il testimonium flavianum 1,  Ag XVIII, III, 3, esagerando per troppo zelo: « Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d’altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani » In Antichità giudaica i cristiani diffamano anche Saul/Paolo e suo fratello Costobar attribuendogli le caratteristiche da capi di bravi che invece sono dei loro capi storici. Però, poiché il diavolo è specializzato nel fare le pentole ma non i coperchi, si dimenticano di manipolare anche Guerra giudaica, per cui rimane a onor del vero la palese discrepanza fra i due testi. In particolare, che i fatti di Gesù e soprattutto dei suoi apostoli Pietro e Giovanni siano da collocare prossimamente al 70 d. C. e non nei primi anni 40 o 60 d. C. ce lo dimostra Guerra giudaica dove Giuseppe Flavio esprime la condanna di dio su Gerusalemme per aver ucciso un sommo sacerdote buono, non a proposito dell'assassinio di Gionata, bensì a proposito dell'assassinio di Anano: « Non credo di sbagliare dicendo che la morte di Anano segnò l'inizio della distruzione della città, e che le sue mura caddero e lo stato dei giudei andò in rovina a cominciare dal giorno in cui essi videro scannato in mezzo alla città il loro sommo sacerdote e il capo della loro salvezza. Era stato un uomo venerando sotto ogni rispetto e di assoluta integrità... Su uomini siffatti io credo che la stessa Virtù abbia lacrimato, lamentando di esser stata così calpestata dalla malvagità... » (IV, 5,2) L'ira di dio, invece, secondo Antichità giudaica, s'è scatenata contro gli ebrei perché hanno osato commettere degli omicidi (compreso quello di Gionata) nel Suo Tempio, per cui di Gionata per se stesso a dio, stando a come si esprime Giuseppe Flavio, non avrebbe potuto fregare di meno. Ne deduciamo  che al tempo di  Origene (185-253 d. C.), che  accetta l'identità Gionata/Giacomo,  il testo flaviano ancora non era stato manipolato dai cristiani. Un fesso di cristiano ritenne di inserire pari pari  il suggerimento di Origene  (« Giacomo il fratello di Gesù chiamato il Cristo ») – che col suo Commento a Matteo aveva però datato e fissato Antichità di Giuseppe Flavio – in Antichità  XX, IX, 1,  noto come  secondo  testimonium flavianum. La verità è che Gesù non se l’è mai filato nessuno dei contemporanei, nemmeno Giuseppe Flavio che ne parla – come falso profeta egizio, solo perché ha messo in pericolo Gerusalemme e la sua casta sacerdotale ebrea – senza sapere che di lui si tratta, della pietra  scartata dai costruttori divenuta testata d'angolo, a fondazione della società di malaffari cristiana. Stando all'identificazione di Origene la morte di Gionata/Giacomo vescovo di Gerusalemme pugnalato nel tempio, secondo Guerra giudaica andrebbe collocata ai primi anni del regno di Nerone e dunque meglio il 58 d. C. (vedi anche Antichità giudaica XX, 8, 5) del 62 d. C. dove invece i cristiani lo fanno morire, per lapidazione. La cosa si spiega con la menzogna cristiana che vuole che il sommo sacerdote ammazzato dagli zeloti sia stato eletto successore di Gesù a Gerusalemme. Certamente da escludere è il 44 d. C. – perché Nerone ancora non regnava e nemmeno Gionata – dove i cristiani collocano la morte con la spada di Giacomo fratello di Giovanni evangelista (Atti, 12, 1-3). E' evidente che i cristiani vollero far propri i sommi sacerdoti ebrei per avere un pedigree di nobiltà ma invece furono proprio gli zeloti proto-cristiani a toglierli di mezzo.

Secondo Antichità giudaica irrimediabilmente manipolata dai cristiani, un procuratore romano, Felice, « persuase uno dei più fedeli amici di Gionata, un cittadino di Gerusalemme, il cui nome era Doras, a portare i ladroni da  Gionata per ucciderlo; e raggiunse l'obbiettivo   promettendo di dargli per questo lavoro una grande quantità di denaro.  » (Antichità giudaica  XX, 8, 5) Ciò è un palese falso contrario ad ogni logica e a Guerra giudaica, secondo cui agli inizi del regno di Nerone (II,13,1) prima della comparsa di Gesù l'Egiziano (II,13,5) i banditi sicari assassinarono Gionata (II,13,3). E' inverosimile che l'apparato romano si mettesse ad ammazzare i sommi sacerdoti ebrei e ciò valeva anche inversamente perché i vangeli stessi affermano che il sinedrio decise la morte di uno solo, Gesù, che creava dissidi coi Romani, per la salute di tutto il popolo ebraico. Dunque Doras è uno dei tanti falsi di Ag (ma storicamente prezioso per studiare il processo di falsificazione cristiano) ed è servito per suggerire il personaggio di Giuda drammaticamente antagonista di Gesù come Antinoo lo è di Odisseo. L'introduzione di Giuda come tesoriere di Gesù e degli apostoli è un palese falso in quanto secondo Luca a tenere i cordoni della borsa erano le donne: al seguito di Gesù e degli apostoli c’erano « alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità. Maria di Magdala, dalla quale erano usciti sette demoni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e moltre altre, che li assistevano con i loro beni. » (8, 2-3) E’ curioso che Luca nomini queste donne e non invece le tre Marie, Maria di Cleofa, madre di Gesù l'Egiziano, Maria Salome, madre di Giovanni di Giscala (e Giacomo), e Maria Magdalena, figlia di Simone Pietro di Ghiora. L'introduzione di Giuda serve forse ai cristiani per uno scopo più importante e cioè giustificare l'entrata fra i dodici in incognito dello stesso Gesù (falso profeta egizio) latitante? Si tratta del fatto che una volta che Giuda fu tolto di mezzo con la stessa facilità con cui era stato creato, gli "apostoli " sorteggiarono l'ingresso del dodicesimo fra due candidati, un Mattia (che fecero finta di aggregarsi) e un'altro (che io invece credo fu quello sorteggiato realmente), che si chiamava Giuseppe (per i  Samaritani Gesù era " figlio di Giuseppe ") detto Barsabba ("Figlio del sabato", camuffamento di Barabba "Figlio del Padre" ovvero di dio; Carsten Peter Thiede, in “Simon Pietro, dalla Galilea a Roma”, Massimo, Milano, 1999, si premura, troppo, di assicurarci  che non ci sono prove che egli e il Giuda di Atti 15, 22, cioè il fratello di Gesù, fossero parenti, p. 158) soprannominato il Giusto, soprannome che andrebbe bene solo a Gesù, dopo dio naturalmente. Naturalmente questo Giosè/Giuseppe potrebbe essere il figlio di Alfeo fratello di Gesù e fratello soprattutto di Giacomo Minore il Giusto, ma sopra abbiamo messo in dubbio l'esistenza reale di costoro come figli di Maria. Carsten Peter Thiede al luogo citato dice che un'altra persona aveva questo soprannome, Gesù chiamato il Giusto (Colossesi 4, 11), ed allora è possibile che trasversalmente, sotto il nome di un falso fratello di Gesù si sia voluto indicare lo stesso Gesù, figlio innominabile del nonno paterno (del " Padre ") e Maria figlia di Cleofa.

Particolare del registro inferiore del sarcofago cosiddetto dogmatico (seconda metà del IV sec., al Museo Pio Cristiano, Vaticano) con Cristo che predice a Pietro la sua triplice negazione.

Secondo Guerra giudaica dio aveva abbandonato Gerusalemme e Israele al loro destino dopo la morte di Anano il giusto (IV, 5,2). E nella storia di Anano, come infiltrato che giustifica la conoscenza del sommo sacerdote e del tempio da parte di Marco alias Giovanni che vi si reca con Pietro c'è proprio Giovanni di Giscala: « un uomo quanto mai subdolo, dominato da una terribile sete di potere, che già da tempo manovrava per impadronirsene. In quel momento egli fece finta di stare dalla parte dei cittadini e, messosi al seguito di Anano, che di giorno si incontrava con i notabili per deliberare e di notte ispezionava gli uomini di guardia, riferiva poi i segreti agli Zeloti, e ogni progetto del popolo veniva per suo mezzo a conoscenza dei nemici prima ancora di essere definitivamente approvato. Adoperandosi per non destare sospetti, mostrava una devozione esagerata verso Anano e i personaggi più eminenti del popolo... » (IV, 3,13) Anano ha suggerito il Gesù tradito con un bacio e Giovanni di Giscala ha suggerito il Giuda dell'orto del Getsemani, e s’è firmato dietro il giovanetto nudo che Gesù amava... alla greca, episodio rimasto solo in Mc che essendo stupido è attendibile: « Tutti allora, abbandonandolo, fuggirono. Un giovanetto però lo seguiva, rivestito soltanto di un lenzuolo [cioè sotto era nudo e il lenzuolo se l'era messo addosso come prima cosa che aveva trovato a portata di mano; sulla stessa linea ma più esplicito è l'apocrifo vangelo segreto di Marco scampato al rogo della Biblioteca di Alessandria, distrutta dai cristiani perché ricca di libri e documenti che ci avrebbero narrato la vera storia del cristianesimo], e lo fermarono. Ma egli, lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo. » (14,50-52) Pietro taglia con la spada l'orecchio del servo del sommo sacerdote trasferendo sul servo, che secondo Gv si chiama Malco "Re", l'azione desacralizzante del taglio dell'orecchio del sommo sacerdote, che non poteva avere difetti fisici, cf. Ircano. Secondo Gv « Simon Pietro seguiva Gesù insieme con un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote e perciò entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote; Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta... » (17,15-16) Pietro rinnega Gesù tre volte e alla terza all'alba canta il gallo e Anano appare a Pietro col volto di Gesù (Lc 22,61). Nell'Apocalisse Gesù dice: « Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino. » cioè la stella Venere che annuncia l'alba, cioè Lucifero. Da questi episodi ricavo la riprova che nella loro somma malvagità il gatto e la volpe, Pietro e Giovanni, ci godono, soprattutto Giovanni (l'altro, morto nel 70 è messo fuori gioco dai vangeli e dai sospetti) a porre la sua firma ben evidente eppure trascurata dagli sciocchi come vero colpevole della morte del giusto Anano (e di un sacerdote anch'esso giusto morto con lui di nome Gesù, IV, 4,3ss). Secondo l'apocrifo Vangelo di Pietro, Pietro e altri poterono assistere alla crocifissione di Gesù solo in seguito, perché erano ricercati come malfattori  « che volevano appiccare il fuoco al tempio » (7, 26). Ciò che ci riporta agli episodi retrodatati di Giacomo Maggiore morto nel 44 e "Stefano" morto nel 34-36 d. C. che dunque andranno collocati al loro posto, nel 58 d. C. (o addirittura vicinissimo al 70). Fra l'altro lo spunto per collocare nel 34-36 la morte e lo stesso nome del fittizio Stefano la da proprio Guerra giudaica che parla dell'uccisione da parte dei briganti di uno Stefano servo dell'imperatore Claudio i quali lo depredarono del bagaglio che trasportava (II, 12,1). Quanto a Gesù, Pietro e gli altri seguaci, maschili e femminili in realtà lo abbandonarono  nel 58 d. C. al momento della sua fuga. Il vero Giuda è Giovanni detto Marco, che sta dietro all'assassinio di Anano. Paolo nella Pentecoste del 58 d. C. (Atti, 23, 2ss) dopo il suo arresto nel Tempio, caduto nell'imboscata tesagli dai superapostoli, fu interrogato da Anania di Nebedeo, da non confondere con Anano che troviamo come sommo sacerdote al tempo di Nerone in Grecia (cf. Gg II, 17,6-9 e II, 20, 1-3).

Non manca anche Longino, un valente soldato romano del tempo della conquista di Gerusalemme che mai e poi mai ebbe a che fare con la presunta crocifissione di Gesù. Da quanto precede sorge il legittimo sospetto che Guerra giudaica e Antichità giudaica siano stati saccheggiati dagli evangelisti per trarne spunto storico e ciò come se essi e i presunti apostoli da loro intervistati nulla sapessero della " storia " che scrivevano pur richiamandosi ai briganti zeloti e sicari che quella guerra avevano scritto da protagonisti. In altre parole avremmo dei seguaci del movimento zelotico che non hanno avuto nessun contatto coi protagonisti né cogli ultimi partecipanti di questo ma a questo si rivolgono come a modello ideale di religione a molta distanza di tempo. Se a ciò si aggiunge che Giovanni, l'unico capo ribelle a scrivere il suo vangelo lo scrive volutamente a prescindere dai fatti storici (e per la verità anche a prescindere dai miracoli più eclatanti, che appunto un capo ribelle, sia pure " Egiziano ", non avrebbe mai e poi mai potuto compiere), la montatura storica dei sinottici è massima. Per fortuna oltre a Giuseppe Flavio ci pensano gli Atti e le lettere di Paolo a fornirci la certezza che stiamo parlando di autentici e gravissimi fatti storici. La favola di Gesù, scritta ispirandosi e deformando gli scritti di Giuseppe Flavio continua ispirandosi agli scritti di Omero, l'Iliade e l'Odissea. Ma prima di spiegarci come mai Omero fu impiegato per drammatizzare i vangeli continuiamo a cercare di identificare i personaggi ulteriori dei vangeli, in particolare gli apostoli nel loro complesso e non certo individualmente. Innanzitutto essi, curiosamente, non sono del tutto esattamente riportati da vangelo a vangelo: Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni evangelista figli di Zebedeo, Filippo, Bartolomeo, Matteo evangelista, Tommaso, Giacomo e Giuda Taddeo d'Alfeo, Simone Cananeo o Zelota, Giuda Iscariota. Ma sono tutti terroristi zeloti, rivoluzionari che almeno a parole erano strettamente osservanti zelanti della legge (il troppo zelo fa debordare nell'altra sponda, quella dell'illegalità ma è ancor più possibile che questi grandissimi figli di puttana amanti del male in se stesso, provassero un grandissimo piacere a definirsi il contrario di quello che erano), qanna'im, guidati da ultimo da Eleazar di Simone di Ghiora. Così Simone zelota è detto Simone kananaîon da Mc 3, 18. E Simone Pietro è detto baryôna, parola accadico-aramaica sinonimo di ladrone, greco listés, cioè brigante - cf. i due briganti crocifissi insieme al collega Gesù - e non " figlio di Iona, Giovanni " come si vorrebbe far credere; e ancora Giuda iscariota, sicariota, dall'ebraico ekariot; Giacomo e Giovanni boanerghes, " figli del tuono "; Giuda Taddeo da Theuda (" Coraggioso ", figlio di Giuda il Galileo decapitato sotto Cuspio Fado nel 44-46(?) per essersi messo a capo di una rivolta, Ant. Giud. XX,  97-99), "fratello" di Gesù.

Il programma di Gesù è quello di un perfetto zelota: « Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa » (Mt X, 34ss), nell’ultima Cena Gesù dice agli apostoli: « “ Quando vi ho mandato senza borsa, né bisaccia, né sandali, vi è forse mancato qualcosa? … Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra i malfattori. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo termine ”. Ed essi dissero: “ Signore, ecco qui due spade ” » Lc XXII 36ss; dunque gli apostoli giravano armati prima che Gesù li inducesse ad armarsi; quanto al termine malfattori il testo greco ha più precisamente anómon, fuorilegge, ciò che s’accorda ad un zelota che viene crocifisso con la motivazione di volersi fare re dei Giudei insieme ad altri due kakourgoi, malfattori (Lc XXIII 32), abbiamo anche: lestaì, latrones (Mt XXVII 44) = assassini/sicari/zeloti; c’è uno zelota fra gli apostoli, Simone, mentre nell’orto degli Ulivi Pietro (con la spada) taglia un orecchio ad una delle guardie mandate dal Sinedrio ad arrestare Gesù (Mt XXVI 50, Mc XIV 47, Giov XVIII 10). L’origine sadoqita spiega l’affermazione di Cristo: « Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge e i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto » (Mt V 17ss). Nei vangeli c'è una palese contraddizione fra questa posizione rigida e una più elastica che poi è quella che rende tipici i vangeli. Entrambe sono proprie di un Gesù l'Egiziano e dei suoi seguaci, che come banditi che pensano solo al potere e ai soldi hanno tutte le opinioni e nessuna. E' certo però che la posizione rigida dové maggiormente caratterizzare i tempi antichi mentre quella elastica, lassista dové caratterizzare l'epoca di Callisto, il bancarottiere fraudolento.

Nonostante gli evangelisti abbiano falsato gli avvenimenti e li abbiano inseriti nel letto di Procuste di  una cornice storica più antica di  trent'anni, alcuni accenni nei vangeli attuali ci danno l'aria che si respirava a Gerusalemme poco prima del 70 d. C., e ciò perché Gesù sparì prima della distruzione di Gerusalemme e chi ne tramandò le vicende ebbe contatti pubblici con lui prima di quella data. Prima della distruzione della città  si respira l'enorme corruzione  raggiunta dalla famiglia sacerdotale che aveva come capostipite  Anna e che traeva profitti dal mercato del Tempio (negli scritti rabbinici si parla dei mercati dei figli di Anna, chanujoth bnei Chanan)  e che tre anni prima della distruzione di Gerusalemme  portò ad una sollevazione popolare che spazzò via i banchi della famiglia di Anna a  causa della peccaminosa ingordigia che caratterizzava i loro affari (Antichità giudaica, XX, 8, 5-6), sulla quale è modellato Gesù che caccia i venditori dal Tempio (Gv II, 13ss, Lc XIX, 45ss, Mc XI, 15bss, Mt XXI, 12ss) Per l'esposizione più dettagliata e diffusa e per  la collocazione all'inizio del suo vangelo di un  fatto che diede certamente avvio alla rivolta  tre anni prima della distruzione di Gerusalemme, Giovanni si riconferma come il primo dei quattro evangelisti.

Il vangelo di Luca si riconferma come derivazione da Giovanni e come ricerca autonoma perché fa precedere l'episodio da una notizia narrata anche da Giuseppe Flavio circa un Gesù  figlio di Anania, un rozzo contadino che, quattro anni prima che scoppiasse la guerra, durante la festa dei tabernacoli, « all’improvviso cominciò a gridare nel tempio: " Una voce da oriente, una voce da occidente, una voce dai quattro venti, una voce contro Gerusalemme e il tempio, una voce contro sposi e spose, una voce contro il popolo intero! " …Allora i capi… lo trascinarono dinanzi al governatore romano. Quivi, sebbene fosse flagellato fino a mettere allo scoperto le ossa… a ogni battitura rispondeva: " Povera Gerusalemme! " … finché Albino [il governatore] sentenziò che si trattava di pazzia e lo lasciò andare… Per sette anni e cinque mesi lo andò ripetendo… e smise solo all’inizio dell’assedio, quando ormai vedeva avverarsi il suo triste presagio. Infatti un giorno che andava in giro sulle mura gridando a piena gola… una pietra scagliata da un lanciamissili lo colpì uccidendolo all’istante, ed egli spirò ripetendo ancora quelle parole. » (Guerra giudaica VI, 5, 3) L'episodio è così raccontato nel vangelo di Luca in occasione dell'ingresso di Gesù a Gerusalemme la domenica delle palme: « Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: " Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace! Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata. » (19, 41ss)

 

Ingresso a Gerusalemme, Venezia, S. Marco, fine del XII sec.

Museo Pio Cristiano. Frammento del coperchio di un sarcofago dalla necropoli vaticana con l'adorazione dei magi (seconda metà del IV sec.). Si notino il bue e soprattutto l'asino di cui non si parla nei vangeli canonici.

Dopo la distruzione di Gerusalemme del 70 d. C. i Romani trasferirono la " tassa giudea ", di uno shekel, dal Tempio, distrutto, al tempio di Giove Capitolino a Roma. E' interessante quanto scrive in proposito Giuseppe Flavio: « All'incirca in quel tempo [il tempo della caduta di Macherunte e dello sterminio dei tremila superstiti nella foresta di Iardes] l'imperatore ordinò a Basso e a Laberio Massimo, che era il procuratore, di assoggettare tutto il territorio della Giudea al regime della locazione in affitto. Egli infatti non vi costituì alcuna città, riservandosi quella regione come sua proprietà privata, e soltanto a ottocento soldati inviati in congedo fece la concessione di costituire una colonia nella località che si chiama Emmaus e dista trenta stadi da Gerusalemme. Egli poi impose a tutti i giudei, dovunque risiedessero, una tassa di due dracme a testa da versare annualmente al Campidoglio. Tale, dunque, fu la sistemazione data allora alla Giudea. » (Guerra giudaica, VII, 6, 6) Il tributo al tempio viene pagato in moneta greca (didramma = mezzo siclo; statere = tetradramma = 1 siclo). Dunque sia prima che poi la tassa del tempio fu pagata con moneta greca e non essendoci accenno al fatto che adesso viene versata al tempio di Giove Capitolino a Roma non possiamo sostenere che l'accenno sia posteriore al 70 d. C. (e sarebbe un anacronismo che però getterebbe luce sull'età in cui furono scritti i vangeli analogamente alla "profezia" di Gesù sulla distruzione del tempio e della città di Gerusalemme) né possiamo escluderlo. Purtroppo non possiamo mettere in relazione tributo al tempio e a Cesare perché sono diversi e infatti ne tratta lo stesso Matteo in due passi distinti. Riguardo al secondo episodio Gesù è costretto a rispondere ai suoi avversari che paga il tributo a Cesare e manda il pescatore di gonzi nazorei ("pesci") Pietro a pescare un pesce nel quale trova lo statere con cui pagare il tributo per entrambi. I primi discepoli sono presentati camuffati da pescatori. Se erano banditi zeloti non potevano essere pescatori. Inoltre non erano dei rozzi popolani, bensì dei colti terroristi addestrati, dei terroristi intellettuali, come le Brigate rosse, e c'è una bella differenza. Vivevano in una regione ellenizzata e portavano non per niente nomi greci, dunque semmai la pesca era la loro 'copertura', oppure un modo di dire che avevano molti proseliti che gli venivano dietro come tanti pescetti che abboccavano all'amo. Essi parlavano e scrivevano anche in greco ed erano istruiti, come appare del resto dai loro scritti. Sono  dunque dei  pagani irreligiosi del nord,  istruiti, dei banditi pericolosi. Oltre a Tifone/Caos/Asino c’è la personificazione Tifone/Caos/Pesce. E' a questo Pesce del Lago di Tiberiade ovvero Mare di Galilea che Gesù invia Pietro per ottenere di che pagare agli esattori il tributo per il Tempio, così sottolineando, a chi ha la sua stessa sottigliezza, che il Pesce/Messiah/Coccodrillo/Leviatan/Tifone/Caos è il signore del Tempio.  I pescatori che diventano discepoli di Gesù/Pesce e diffusori della sua mala dottrina, pescatori d'uomini, piuttosto di gonzi,  sono un simbolo evidente per i malvagi, meno per gli ignari che sono al di fuori. Leggendo Plutarco si capisce che il Caos ha come regno anche il mare (il lago di Genezaret è detto anche Mare di Galilea) dove si raccoglie la materia residuale, putrida dell’universo. In questa fogna a cielo aperto sguazza il male rappresentato dai pesci, da Leviathan, il Drago marino e cosmico del Caos: «  Tifone è il mare, in cui il Nilo gettandosi svanisce e si disperde... Gli Egizi, infatti, credono che le regioni orientali siano il volto del mondo, le parti settentrionali il braccio destro, le meridionali il sinistro. Ora, il Nilo – che scorre da sud ed è ingoiato dal mare a nord – a buon diritto è detto avere la nascita a sinistra e la morte a destra. Questa è la ragione che fa aborrire il mare dai sacerdoti, i quali chiamano perciò il sale ' spuma di Tifone '; anzi, tra le cose vietate loro, una si è appunto il porre il sale a mensa... E non è questa l'ultima ragione per cui essi schivano il pesce e rappresentano l'odio con la figura del pesce.  » (Plutarco, Iside e Osiride, 32,  Bompiani, Testi a Fronte, p. 61)

Il ricorso ai poemi omerici per comporre il proto-vangelo è una dimostrazione in più che si trattò di una creazione a tavolino e può averla fatta solo Paolo "vendendola" discretamente agli altri, prima di tutto a Giovanni, che gliela comprarono volentieri facendola propria. Paolo fa continuamente riferimento al suo vangelo come il primo, insidiato da quello pernicioso di altri venuti dopo (« se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! …se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema! » Gal I 8ss). Dalle sue lettere emerge che gli altri (quelli che predicavano ai circoncisi) la pensavano allo stesso modo nei suoi confronti ma si tratta di una querelle posteriore al 70 e retrodatata per far vedere che anche Pietro e Giovanni e perfino "Giacomo" il sommo sacerdote, avevano un vangelo da diffondere prima del 70 d. C., ciò che non può corrispondere al vero. Giovanni, che scrive isolato a Patmos, non prima del 70 e fin sotto Domiziano, ha sicuramente derivato dalla visione paolina (ma per quanto riguarda gli scenari apocalittici della Guerra giudaica e delle visioni zelotiche di Qumran è invece semmai Paolo che s'è documentato "a Damasco" per poter parlare con lo stesso linguaggio degli evangelizzati). Così anche Luca, il che vuol dire appunto che tutti gli evangelisti, Giovanni o i sinottici avevano un fondo comune che può essere stato suggerito con discrezione dall'infiltrato Paolo, la spia al servizio di Nerone. Che Paolo sia ricorso ad Omero è logico, in quanto Omero è il miglior venditore pubblicitario mai esistito e trae da una civiltà che conosceva dal III millennio il " banchetto di resurrezione " o eucaristico (noto anche nell'Odissea, laddove Alcinoo invita Odisseo a banchetto prima di farlo trasportare dalle trascendenti navi dei Feaci dal Paradiso di Scheria a Itaca dove giunge in carne ed ossa), civiltà che comprendeva Cilicia, Cipro e alta Siria e che risaliva almeno al Disco di Festo cioè al XVI secolo a. C. (vedi tutti questi argomenti su questo sito). E appunto si dice che Paolo era di Tarso in Cilicia. Io direi meglio che Saulo/Paolo è proprio chi ho identificato io nella prima parte di questo lavoro. Successivamente, per spiegare le derivazioni da Omero, s'è ritenuto conveniente dire che Paolo proveniva da Tarso in Cilicia.

Guerra giudaica ci informa sulle migliaia di giudei crocifissi ad opera dei romani, ma pare che non ci sia un solo esempio sicuro di crocefissione con uso dei chiodi in tutta la Palestina. L’idea di Gesù ferito alle mani dai buchi dei chiodi con cui è stato inchiodato alla croce viene a Giovanni dall’episodio di Ettore cui Achille, dopo averlo ucciso e spogliato delle armi, pratica un foro nei piedi per legarci una cinghia che all’altra estremità è attaccata alla sua biga, guidando la quale trascina selvaggiamente il corpo del povero disgraziato lungo la piana di Troia. In quell’occasione il corpo martoriato di Ettore viene schernito dagli Achei (Il. XXII, 395ss). Ancora una volta, mentre i sinottici si dolgono del fatto che Gesù veniva schernito, Giovanni, che gli altri dicono testimone dei fatti, tace. Giovanni aggiunge la ferita di lancia al costato. Gli apostoli secondo la sua versione credono immediatamente alla resurrezione di Gesù, anche se Tommaso credette solo dopo aver toccato il corpo di Gesù: « Tommaso, uno dei dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!” Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani i segni dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò.” » (20,24ss) E dopo otto giorni, alla prova delle mani e del costato, Tommaso esclama stupefatto: « Mio Signore e Mio Dio! » (Gv 20,28). L’episodio di Tommaso è stato preso da Giovanni da quello che vede protagonista la vecchia nutrice Euriclea che lava le gambe di Odisseo e lo riconosce dalla cicatrice provocatagli in gioventù dalla zanna di un cinghiale durante una battuta di caccia nelle terre del nonno Autolico: « Ora la vecchia, toccando la cicatrice con le due mani aperte, la riconobbe palpandola, e lasciò andare il piede… A lei gioia e angoscia insieme presero il cuore, i suoi occhi s’empiron di lacrime, la florida voce era stretta. Carezzandogli il mento, disse a Odisseo: “Oh sì, Odisseo tu sei, cara creatura! E non ti ho conosciuto prima di averlo tutto palpato il mio re!… » Od XIX, 467ss).

Luca, che « redigendo il suo Vangelo, ha conosciuto e utilizzato, se non il Vangelo giovanneo nella forma attuale, almeno tradizioni giovannee (specialmente nei racconti della passione e della resurrezione), costituite già da molto tempo » (La Bibbia di Gerusalemme, introduzione al Vangelo di Giovanni, p. 2261), anticipando lo scetticismo degli apostoli fa dire a Gesù: « Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho. » (24, 38ss) « Guardate le mie mani e i miei piedi » può semplicemente riferirsi ai segni lasciati sulla pelle dalle funi ben strette, ma anche ai buchi dei chiodi della crocifissione introdotta da Giovanni. Luca rimane ambiguo, anello di passaggio fra la più fantasiosa fonte giovannea e le versioni più controllate dei successivi evangelisti. E infatti a fianco di crocifissione Luca parla anche degli appesi (tõn kremasthénton, 23,39). Gli Atti degli apostoli (5,30), di Luca, che si presume appartengano ad una redazione più antica degli stessi vangeli e dunque più difficilmente contaminabile da successive manipolazioni, non dicono che Gesù e i ladroni furono crocifissi (perché in questo caso è usato il verbo stauróo; leggi stavròo), bensì appesi al legno (greco: kremásantes epì xúlou; leggi: ksìlu), e ciò concorda ancora con una redazione del proto-vangelo sinottico da parte di Paolo nel senso che il caso che compare in Odissea è appunto quello dell’infedele capraio Melanzio che viene legato mani e piedi « con una fune ritorta, in cima a un’alta colonna… ai travi, perché lungamente, vivo, soffra atroci torture. » (XXII, 175ss) Nessun accenno a ferite a mani piedi e costato in Matteo e Marco che sottolineano il completo scetticismo da parte degli apostoli sulla resurrezione.

Odisseo rappresenta Dioniso il Liberatore, il volto oscuro del sole (di cui Apollo è il volto luminoso). Appena nato il nome gli fu imposto da Autolico, il padre di Anticlea, dunque suo nonno per parte di madre. Costui « tra i mortali eccelleva per ruberie e spergiuri: un dio gli fece simile dono, Ermete, ché a lui gradite cosce bruciava d’agnelli e capretti; perciò lo aiutava benigno. » (Od. XIX, 394ss) Chi ha letto l'Antico Testamento (vedi sul mio sito) identifica subito questo Autolico con uno dei patriarchi ebrei, ladri di bestiame protetti dal loro dio filibustiere, qui nascosto dietro a Mercurio, il dio dei ladri. Dunque Autolico impose il nome al bimbo con la seguente motivazione: « Figlia e genero mio, mettetegli il nome che dico: io venni qui, odio covando contro di molti, uomini e donne, sulla terra nutrice; dunque Odisseo sia il nome. » (Od. XIX, 406ss) Poi Odisseo va a trovare il nonno e sul Parnaso, in una battuta di caccia è ferito da un cinghiale e lo uccide. Evidentemente si appropria delle facoltà del cinghiale, cioè della divinità (questo cinghiale, che poi è un porco, mi sa tanto di dio vile come sono vili quelli degli Hyksos, ad esempio l’asino, animale di Seth, il dio maledetto che uccise il buon Osiride, animale dei nomadi del deserto i cui discendenti arabi ed ebrei si astengono tutt'oggi dalla carne di porco, in base ad un'ovvio tabù). Se dunque il cinghiale non è certo un animale di qualità eccelse, il suo lato negativo è rappresentato dal pirata Odisseo, colui che odia il genere umano. I cristiani inorridiranno, affari loro, ma io devo affermare che Giovanni con tutta evidenza – sicuramente suggestionato dai discorsi di Paolo sul "legno maledetto" – è giunto a ricalcare Gesù su Odisseo fino a questi ultimi dettagli. A coloro che credono nelle Scritture come fossero… vangelo e filosofeggiano di katéchon e di Paracleto sulle edizioni Adelphi, dico che nessun Paracleto Liberatore (incarnato magari dalla trinità Bush, Blair, Berlusconi, BBB, la Banda Bassotti) è stato preannunciato da Gesù per i nostri tempi. E’ egli stesso il distruttore, e lo ha detto chiaramente, o meglio, glielo hanno attribuito chiaramente i vangeli (« Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre: padre contro figlio… madre contro figlia… e suocera contro nuora… » Lc XII 49ss « Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa. Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me » Mt X 34ss) come continuazione della violenta pratica dei popoli del mare che l'hanno introdotta in Palestina (vedi ad esempio l’uccisione di Ifigenia – all'ultimo momento trasformata in cerbiatta da Artemide – da parte di Agamennone al fine di ottenere il vento favorevole alla volta di Troia) o ve l'hanno già trovata (sacrificio di Isacco sostituito all’ultimo momento con un caprone da parte di Abramo) come pratica dei Cananei e comune ai culti dionisiaci delle Baccanti. La profezia o promessa di Gesù riguardava la distruzione di Gerusalemme e dunque la profezia è compiuta con la discesa dell'Inferno in terra e dunque l'arrivo del Paracleto distruttore e sterminatore della nazione ebraica al tempo di Vespasiano. Non ha alcun senso applicare le scritture al tempo presente. Esse sono tutte datate, ivi compreso l'Anticristo che doveva venire prima del ritorno di Gesù, che ovviamente non è tornato e ormai non tornerà più.

Da ultimo ho scoperto che dietro Odisseo si cela Osto Ostilio ovvero Romolo, nonno di Tullo Ostilio (Odisseo = Hostilius) committente dell'ira d'Achille e del completamento dell'Odissea. Dunque i vangeli si sarebbero ispirati a poemi tesi a celebrare in greco la civiltà etrusco-romana del tempo di Romolo! Il Viaggio d’Odisseo ruota intorno al santuario di Ino Leucothea (Aurora, dunque anche Lucifero e Astarte/Afrodite Urania) di Pyrgi di cui costituisce il poema inaugurale. Il protagonista Odisseo col suo viaggio agli Inferi (Inferno, Purgatorio e Paradiso) e con la sua resurrezione a Itaca (resurrezione a tempo determinato perché dovrà prima o poi tornare nel mondo dei morti per sorgere di nuovo, all’infinito), rappresenta Adone (antico Tammuz) che muore durante la caccia al cinghiale (secondo J. G. Frazer – Il ramo d’oro, Grandi Tascabili Economici Newton – animale incarnazione del dio e dunque sacro e intoccabile per gli antichi Siriani; da qui nell’ambiguità del mito secondo cui è l’animale che uccide il dio – il dio uccide se stesso – la sua impurità, secondo islamici ed ebrei; il cinghiale è associato a Odisseo) e risorge. Vittima sacrificale, rappresentava la vita che scaturiva dal suo sangue. La sua morte era la vita per gli altri. Nausicaa, ma anche Penelope va intesa come incarnazione dell’Aurora/Lucifero /Venere dunque Afrodite, la grande madre cui il re divino (i fenici lo conoscono come Melqart, il ‘re della città’) nella rotazione del ciclo della vita e della morte si accosta e se ne allontana. La grande madre per la verità si accoppia con tutti (possiamo vedervi i Proci), di qui in origine un mito di Penelope infedele. Il culto di Adone/Afrodite ha dato origine a quello di Gesù/Maria (detta Stella del mattino, ovvero Lucifero, ‘portatore di Luce’, l’astro Venere; secondo J. G. Frazer – che tratta di Adone in molteplici passi de Il ramo d’oro – la dea Astarte scendeva come stella Venere o cometa a risvegliare l’amante morto dal suo giaciglio terreno, anche se a mio parere del tutto politica fu la stella che guidò i Magi a Betlemme, la Casa del Pane, il luogo santo che aveva ascoltato i lamenti per Adone e poi il pianto di Gesù Bambino) ponendo un accento differente sull’importanza della divinità, femminile la prima, maschile (la religione giudeo-cristiana è maschilista) la seconda. Da dove vengono fuori l’oro, l’incenso e la mirra donati dai Magi a Gesù neonato? L’incenso viene sempre dal mito di Adone, infatti Apollodoro dice che secondo Paniassi Adone era figlio di Tiante re d’Assiria e di sua figlia Smirna ovvero Mirra, tramutata da Afrodite nella pianta di mirra, da cui stillano gocce di resina gommosa, interpretate come le lacrime della giovane sfortunata. Al decimo mese la pianta si spaccò e ne venne fuori Adone (Biblioteca III, 14) Secondo Frazer il racconto è « originato forse dal fatto che, durante la festa di Adone, si bruciava mirra al posto dell’incenso. Come abbiamo visto, nei corrispondenti riti babilonesi si usava bruciare incenso, come gli Ebrei idolatri lo bruciavano in onore della regina del cielo, la quale non era che Astarte. » (op. cit. p. 385) Quanto all’oro, il metallo più prezioso esistente, l’idea di farne dono a dio va da sé. La grotta potrebbe venire dal mito iranico di Mitra, ma le grotte dei ladroni zeloti (piene di tesori rubati come quella di Alì Babà e i quaranta ladroni) sono troppo ben messe in risalto in Guerra giudaica per non concludere che proprio in una di esse nacque il bandito Gesù detto l'Egiziano.

Vi sono straordinarie somiglianze fra i poemi omerici e i vangeli, come il calice e la cena di resurrezione (vedi l’Eucarestia; le radici di questa pratica religiosa affondano nell’Alta Siria di III millennio) offerti da Alcinoo a Odisseo prima che questo, trasportato dalle magiche navi dei Feaci si reincarni a Itaca (vedi i poemi omerici sul mio sito). Omero crede nell’Inferno di Circe, dove sta un anno, nel Purgatorio di Calipso, dove sta 7 anni a purificarsi e nel Paradiso di Arete e Nausicaa, da cui passa brevemente per poi reincarnarsi a Itaca. E’ Omero il primo a introdurre il Purgatorio e non la cristianità medioevale. C'è un chiaro parallelo fra la pietra del sepolcro di Gesù e quella che chiudeva l’antro di Polifemo. Ma la pietra del sepolcro di Gesù, com’è verificabile archeologicamente in sepolture coeve di Gerusalemme, era una ruota di pietra e correva su un binario scavato nella roccia. Era facile spostarla, verisimilmente anche per una donna. Ma gli evangelisti dovevano negare l’accusa, da parte degli Ebrei, di trafugamento della salma (come registra l’onesto Matteo in 28,11ss) e dunque attribuire lo spostamento di un grande macigno alla potenza della resurrezione stessa dell’Uomo-Dio, o ad un essere di potenza comunque sovrumana (come un angelo, meglio due; gli angeli sono presenti nella religione iranica e sotto forma di dèi e geni della natura anche nell'Odissea e nell'Iliade), ad imitazione del gigante Polifemo.

Dunque gli evangelisti ricorrono a termini ambigui, come la pietra « ribaltata dal sepolcro » (Gv 20,1), oppure definita come « masso » (« Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro? » Mc 16,3. dicono le donne prima di accorgersi che esso in effetti è stato già spostato dall’ingresso del sepolcro) La presenza contestuale di uno o più angeli induce a pensare ad un’intervento divino che ha spostato il masso « benché fosse molto grande » (Mc 16,4). E’ evidente che Gesù è risuscitato senza altro testimone che (eventualmente) gli angeli. E’ curioso che si sia lasciato dietro nell’occasione più importante Pietro, Giovanni e suo fratello Giacomo, il trio dei privilegiati. Nel caso di Matteo (28,1ss) è l’angelo che, sceso dal cielo dopo un terremoto, di fronte alle donne rotola la pietra del sepolcro e annuncia alle medesime la resurrezione che evidentemente s’è operata proprio allora sotto i loro occhi senza che se ne accorgessero. Le donne vedono l’angelo ma non vedono Gesù risorto, che avrebbe dovuto essere della stessa materia dell’angelo visibile. Un gioco di prestigio degno del Mago Silvan o di Simone Mago. Finora i discepoli hanno trattato a tu per tu con Gesù ma ora, di punto in bianco, devono trattare la risurrezione di Gesù tramite delle donne (come tali non degne di fede per gli ebrei del tempo) che a loro volta hanno trattato con degli esseri (gli angeli) di dubbia provenienza! Mi si permetterà di osservare che non è da tutti i giorni avvistare degli angeli, mentre i vangeli ne sono pieni, anzi di dèi, come la Scheria dei Feaci (il paradiso omerico), tanto per cambiare. Nonostante la cultura orientale ed ebraica in particolare non dia valore giuridico alla testimonianza femminile i nostri truffaldini usano le donne per conquistare la creduloneria dei loro mariti. Vedi il caso della samaritana: « Molti Samaritani di quella città cedettero in lui per le parole della donna che dichiarava: “Mi ha detto tutto quello che ha fatto”. E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro… » (Gv 4,39ss)

Gesù ha ereditato anche la tradizione del dio della vegetazione figlio della Grande Madre che muore e risorge per dare la prosperità al popolo. E' questo il re buffone di carnevale, che va a dorso d'asino come farebbe un Trimalchione (o un Re Momo al Carnevale di Rio), sputato, fustigato, coronato di spine, vestito con un mantello di porpora e con una canna in mano per scettro,  che viene sacrificato con la crocefissione  (successivamente sarà sostituito da un fantoccio da dare alle fiamme) annualmente per propiziare una nuova raccolta.  Per questo è collegato a Betlemme " casa del pane " dove era un antico santuario di Adone. A proposito di Betlemme J. G. Frazer scrive: « S. Girolamo… ci dice che Bethlehem dove, secondo la tradizione, nacque il Signore, sorgeva all’ombra di un bosco dedicato a quel dio siriano ancora più antico, Adone, e là dove Gesù Bambino aveva pianto, erano echeggiati i lamenti per l’amante di Venere. Pur non affermandolo esplicitamente, S. Girolamo lascia intendere che, a suo parere, il boschetto di Adone era stato piantato dai pagani dopo la nascita di Cristo, allo scopo di profanare quel sacro luogo. Ma in questo può darsi che si sbagliasse. Se, come io credo, Adone era in realtà lo spirito del grano, non si sarebbe potuto trovare nome più adatto per la sua dimora che quello di Bethlehem, "Casa del Pane", e può darsi che in quella Casa del Pane egli fosse stato venerato secoli prima della nacita di colui che disse "Io sono il Pane della Vita" » (Il ramo d’oro, Studio sulla magia e la religione, I Mammut, Grandi Tascabili Economici, Newton & Compton, Roma, 1992, p. 394).

E’ illuminante il passo della lettera 2 di Pietro, 1,16ss in cui come scrive C. P. Thiede, « Pietro esordisce prendendo le distanze, assieme ai suoi compagni, da antichi miti e da interpretazioni fantasiose della storia di Gesù Cristo. Le “storie abilmente inventate” o le favole artificiosamente inventate” sono “miti abilmente escogitati” » (op. cit., p. 74-75). Si riferisse o meno a Paolo (vangelo di Luca; ma anche a Giovanni che fu suggestionato da Paolo) è noto che da Paolo "Pietro" avrebbe preso le distanze.

A questo punto possiamo seriamente pensare ad un ribaltamento della cronologia dei vangeli canonici tenendo però presente che i vangeli rispecchiano soprattutto le quattro principali correnti politiche della chiesa primitiva, che nasce prima di tutto negli ambienti giudei di lingua greca: quella di Giovanni scritta dal medesimo, di Efeso, poi quella che si rifà a Paolo, di Antiochia ma anche di Gerusalemme, scritta dicesi da Luca medico che deve risalire al più presto intorno al 110 d. C. (cioè dopo la crocifissione di Simeone di Cleofa vescovo di Gerusalemme), quella di Matteo per i cristiani di Alessandria d'Egitto, poi anche di Gerusalemme, e ultimo quello che si rifà a Pietro, di Roma, attribuito a Marco che raffazzona un vangelo solo per dire che anche Roma ne ha uno e copia senza capire (ad esempio, nell'episodio in cui gli astanti pensano che Gesù crocifisso chiami Elia, riportato anche da Mt 27,45-49, uno di essi da a Gesù la spugna imbevuta di aceto e gli altri gli dicono di non farlo e di aspettare per vedere se Elia viene a salvarlo; Marco non capisce e scrive: « Uno corse a inzuppare di aceto una spugna e, postala su una canna, gli dava da bere, dicendo: " Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce. " ... » 15,36). Ciò premesso io sostengo che il più antico vangelo o comunque la più antica costruzione delle vicende poi raccontate nei vangeli risale a Paolo che ha influenzato Giovanni, e attraverso Giovanni Luca e di seguito gli altri sinottici. C’è poi da dire che Luca conserva un vecchio passo poi abbandonato nella riedizione del vangelo di Giovanni: « Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore » (2,51) che fa il paio con « e la prudente parola del figlio si tenne in cuore » di Od 1, 361 (dove il contesto è ben diverso in quanto Telemaco con modi spicci manda Penelope nelle sue stanze dicendole in pratica di farsi i fatti suoi) Ancora Matteo e Luca conservano il ricordo delle vergini che attendono lo sposo che arriva all’improvviso, delle ancelle che « dalle stanze esse vennero, con la fiaccola in mano, con amore baciavano il suo capo e le spalle e le mani, stringendole; e lui dolce voglia prendeva di pianto e singhiozzo, ché tutte riconosceva in cuore. » (Od XXII, 497ss) Poi quando i vangeli furono messi nell'ordine attuale, diciamo intorno alla metà del III d. C., (perché il greco e il latino dei vangeli sinottici è sicuramente molto tardo) furono rivisti e corretti a partire da Matteo fino a Luca e Giovanni, precisandosi gradualmente Giuda come colui che si scandalizza (invece degli apostoli tutti) per l'unzione di Gesù da parte della Magdalena e poi il ladrone buono dai due che inizialmente sono entrambi cattivi e offendono Gesù, e così via. Non solo gli autori dei vangeli sinottici ma anche quelli delle lettere in generale non hanno mai conosciuto Gesù di persona né mai hanno vissuto al suo tempo bensì molto dopo. E’ un dato di fatto che presunti apostoli come Pietro, Giovanni, Giacomo e Giuda nelle loro lettere (scritte tardi apposta per far vedere che anche loro avevano evangelizato al tempo di Paolo) non abbiano trattenuto non solo la fraseologia di Gesù cui sarebbero vissuti vicino per ben due o tre anni, ma neppure lontanamente lo spirito della medesima, e ciò appare alquanto inverosimile. Viceversa è possibile che le lettere di Paolo siano attribuibili a Paolo stesso, ma il sospetto è che tutte siano state più o meno alterate e manipolate dai cristiani tardi.

Il primo dei vangeli canonici è quello di Giovanni, attribuibile a Giovanni di Giscala, autore anche dell'Apocalisse, scritta nella reclusione dell'isola di Patmos al tempo di Domiziano, il Nerone redivivo (« Le sette teste sono i sette colli sui quali è seduta la donna; e sono anche sette re. I primi cinque sono caduti, ne resta uno ancora in vita [Vespasiano], l'altro non è ancora venuto e quando sarà venuto dovrà rimanere per poco [Tito]. Quanto alla bestia che era e non è più, è ad un tempo l'ottavo re [Domiziano] e uno dei sette [il Nerone redivivo, il calvus Nero di Giovenale], ma va in perdizione. » (17,9-11) Tutti i lavori di Giovanni come anche quelli dei tre evangelisti sinottici furono scritti originariamente in greco, anche quello di Matteo. Matteo si rivolgeva agli ebrei più ortodossi di Alessandria d'Egitto (lo ricavo dall'accenno unico alla permanenza della sacra famiglia in Egitto, dove pure era una notevole e agitata comunità ebraica; è difficile che questo vangelo fosse diffuso a Gerusalemme prima dell'età degli Antonini e dei Severi; inoltre questo vangelo (ma anche quello affine di Luca) poteva attraverso l'Egitto essere diffuso nell'Africa di rigoristi come Tertulliano, Cipriano e Agostino), seconda città dell'impero romano, cercando di dimostrare che Gesù era il Messia facendogli avverare (più degli altri sinottici) le " profezie " dell'Antico Testamento. Matteo, come del resto la comunità giudea di Alessandria, non conosce l'aramaico e dunque non può aver scritto prima un vangelo in aramaico poi tradotto in greco. Nell'episodio in cui Gesù entra a Gerusalemme la domenica delle Palme gli fa cavalcare un'asina col suo puledro (21,5). Ciò avviene perché fraintende Zaccaria 9, 9 che dice: « Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile,  cavalca  un asino, [e] un puledro figlio d'asina » La [e] è enfatica e non si traduce, rafforza il concetto espresso in precedenza, non indica un animale distinto. Oltretutto qui si parla chiaramente di un asino, mentre Matteo parla di asina con puledro. Il passo di Zaccaria oltretutto non è citato esattamente ma con traduzione molto libera e sintetica, il che la dice lunga sulla conoscenza diretta dei testi ebraici da parte di Matteo. Matteo non era certamente un ebreo addentro alle scritture, che leggeva a caso dandogli un significato profetico, al momento in cui la " profezia " s'era " realizzata ",  secondo le esigenze del momento. Se davvero esistono tracce di un vangelo di Matteo scritto in aramaico questo fu tradotto in greco da un traduttore che non aveva familiarità con l'A. T. Solo Giovanni può aver conosciuto, anche solo per sentito dire, Gesù l'Egiziano il cui acme fu il 58 d. C. perché Giovanni visse la rivoluzione giudea fino alla distruzione di Gerusalemme nel 70 d. C. I vangeli detti sinottici furono scritti tardi in nome e per conto delle più importanti sedi vescovili e attribuiti falsamente a personaggi vissuti ai tempi dell'evangelizzazione di Gesù (Matteo gabelliere a apostolo) o dei suoi apostoli (Luca medico al presunto servizio di Paolo e Marco, Giovanni detto Marco, presunto fedelissimo di Pietro, in realtà doppione di Giovanni evangelista). Devono essere distinti più propriamente in Lc paolino e Mt (rivolto ai giudei e semplficazione del primo) da una parte e Mc derivato dai primi due (soprattutto per eliminazione di parti troppo impegnative ritenute non opportune) e dunque ultimo dei vangeli. E' pacifico che il vangelo di Marco è quello del vescovo di Roma e non a caso vi si rispecchia la dottrina lassista e corrotta della comunità medesima, mirante solo a fare adepti e i denari direttamente proporzionali al numero degli adepti stessi: più adepti, più denari. Al tempo di papa Cornelio (251-253) gli si contrappone Novaziano (che ha seguaci in Italia, Africa, Asia e Gallia) che gli rimprovera la riammissione in seno alla chiesa dei lapsi, coloro che erano sottostati ai riti pagani a favore dell'imperatore e degli dèi pur di salvare la pelle. Cornelio lo convoca ad un concilio di sessanta vescovi a Roma dove viene condannato insieme alla sua dottrina. Più tardi sotto Stefano I (254-257) la chiesa spagnola depone dalle loro sedi due vescovi spagnoli in quanto libellatici, ciè traditori come i lapsi ma in modo anche più vile perché avevano comprato il certificato dal quale risultava che avevano (e non avevano) eseguito i riti pagani. Costoro fecero appello a Stefano che revocò la sentenza. La chiesa di Spagna presentò allora appello alla chiesa di Cartagine, a Cipriano, che riunì un concilio e dichiarò indegni Basilide e Marziale, accompagnando la sentenza con una motivazione rivolta a Stefano, supponendo cioè che, stando così lontano dalle sedi episcopali non era stato informato del vero stato delle cose. Subito dopo si ripropose un motivo di conflitto a proposito del battesimo amministrato dagli eretici. Secondo Cipriano era nullo perché l'eretico che rientrava in seno alla chiesa doveva essere ribattezzato, e nel 255 un concilio di Cartagine approvò la sua dottrina. Stefano lo contrastò ma Cipriano non riconosce la supremazia di Roma e osserva che « Ciascuno dei capi della Chiesa è libero di comportarsi come vuole e deve renderne conto solo a Dio », tesi confermata in un concilio del 256. Gli evangelisti profetizzano le persecuzioni, quelle vere, da Settimio Severo in poi o forse meglio quelle del tempo di Decio. Marco precisa il tempo di queste persecuzioni: « Ma prima è necessario che il vangelo sia proclamato a tutte le genti... Voi sarete odiati da tutti a causa del mio nome, ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato. » (13,10-13) C'è evidentemente la preoccupazione per i lapsi, per coloro che per paura della morte del corpo sacrificano all'imperatore rinnegando la fede cristiana e dunque perdono l'anima: « E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna. » (Mt 10,28, analogo Lc 12,4-5) « chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli. » (Mt 10, 33; analogo Lc 12,9) I sinottici Matteo e Luca rispecchiano l'intransigenza del vescovo di Cartagine Cipriano (che richiede un nuovo battesimo di lapsi e libellatici) contro il papa lassista Stefano (254-257). Marcellino (296-304) secondo i seguaci di Donato si sarebbe arreso alle autorità, consegnando i libri sacri e bruciando incenso alle divinità pagane. Il vescovo Ceciliano è accusato dai seguaci di Donato di aver tradito la fede durante l'ultima persecuzione e viene deposto. Costantino sottopone la questione ad un concilio dei vescovi delle chiese di Autun, Colonia e Arles sotto la presidenza di Milziade (311-314) a Roma, in domo Faustae in Laterano. Inutile dire quale fu il verdetto. Ci fermiamo all'età di Costantino quando la supremazia del cristianesimo della chiesa di Roma in occidente è sancita definitivamente. E' evidente una contrapposizione fra rigorismo provinciale e lassismo romano. Si può anche immaginare che dietro a tutto ciò vi siano delle lotte di potere come vi saranno a proposito delle questioni dogmatiche ma una cosa è certa, che per inseguire la supremazia la chiesa di Roma gioca sporco, sostenendo un comportamento moralmente discutibile, mentre la chiesa provinciale, specie di Cartagine, è di una dirittura morale indiscutibile. I vangeli sinottici sono una chiara riprova della dottrina romana lassista (Mc) contrapposta a quella provinciale rigorista (Lc 12,9, Mt 10,33). Secondo i vangeli di Lc e Mt sarà rinnegato da Gesù in cielo chiunque lo rinnegherà davanti agli uomini. Non è previsto appello né pentimento di sorta. Tutta questa parte è significativamente totalmente assente nel vangelo di Mc. Altra questione che prima ancora di questa ha visto contrapposte Roma alle sedi vescovili provinciali, orientali, è quella della celebrazione della Pasqua. Com'è noto Gesù celebrò la pasqua ebraica nel giorno della pasqua ebraica. Com'è altresì noto da quel momento la pasqua divenne la pasqua di resurrezione di Gesù e non più intesa al modo ebraico di passaggio del Mar Rosso. Dunque le chiese d'Asia (Efeso, dunque vangelo di Gv) celebravano la Pasqua di resurrezione alla data ebraica del 14 Nisan. La chiesa di Roma non celebrava nessuna festa di Pasqua, a riprova dello scetticismo riguardo alla resurrezione di Gesù palese in Mc, che a tale riguardo è il più scettico dei vangeli. Fu solo Pio I (140-155) a istituirla e ovviamente, per distinguersi dagli altri (che lo facevano per tradizione direttamente risalente a Gesù) e non essere messo in minoranza, la fissò in modo diverso dalla chiesa orientale, alla domenica seguente al plenilunio di marzo. Da quanto precede è già evidente la freddezza religiosa della chiesa di Roma mirante solo a far più proseliti possibile, perché più proseliti è uguale a più denari. Una rapida scorsa ai titoli della Sinossi del Lagrange tenendo presente cosa non ha Mc rispetto a Lc e Mt oppure cosa ha Mc da solo o con Lc o Mt mette in evidenza che Mc predilige i miracoli (anche sotto forma di maledizioni fulminanti come quella di Gesù contro il fico sterile che l'indomani mattina era bello che stecchito) e vede Roma come corte dei miracoli che portano numerosa folla e tanti denari, ma poco o punta fede ("Tutto è possibile per chi crede", dice Gesù, e il padre dell'indemoniato dall'infanzia: "Credo, aiutami nella mia incredulità"), è tollerante nei confronti di coloro che pur non essendo cristiani si servono del nome di Gesù (« chi non è contro di noi è con noi »), ci tiene a sottolineare che dio perdona chi perdona perché con tanti perdoni si acquistano anche tanti adepti e tanti soldi, nella scelta troppo impegnativa fra dio e mammona preferisce omettere la scelta (si sa che preferisce mammona). Rifugge dalle predicazioni di penitenza di Giovanni il Battista, dalle punizioni nel fuoco eterno, dalle laceranti tentazioni (preferisce abbandonarsi subito al "nemico" e dunque omette gli accenni alla lotta), dalle laceranti lotte sociali a favore dei poveri, dei deboli, dei perseguitati, e contro i ricchi, quelli che vanno a braccetto col potere attuale, dall'elencazione dei peccati, dai peccati stessi in blocco (ma c'è un'eccezione che riguarda l'indissolubilità del matrimonio), omette la parabola del debitore graziato e creditore senza misericordia (perché il papa romano è usuraio e ha tanti debitori), dai discorsi troppo spirituali e perciò complicati (al Getsemani gli apostoli si addormentano), dalle prese di petto contro le sette avverse, dai passi del vangelo troppo intransigenti o impegnativi, dove potrebbe emergere l'identità Roma/Gerusalemme secolarizzate, un grave squilibrio fra la carità della povera vedova e l'avarizia dei papi giudei. Il vangelo di Mc letto a confronto di quelli di Lc e Mt è di uno squallore totale. Dipingono un papa usuraio che di questioni spirituali non si interessa proprio, soprattutto scettico sul dato essenziale della resurrezione. Perciò in contrasto con questo quadro appare assolutamente ipocrita quando afferma: se la tua mano, il tuo piede, il tuo occhio sono per te soggetto di scandalo eliminali, perché meglio vivere senza uno di questi che andare al fuoco eterno col corpo intero. Tenendo dunque conto anche dell'inizio della questione dei lapsi e libellatici direi che la redazione del più recente dei sinottici Mc che ha tolto la parte intransigente del messaggio di Gesù sui traditori nelle persecuzioni si aggira intorno alla metà del III d. C. Si confronti questa datazione della redazione finale dei vangeli con quella ancora più tarda della redazione finale delle lettere paoline.

Nei vangeli si tace sulla disperazione delle tre Marie al calvario e al sepolcro, mentre successivamente l’iconografia cristiana ha continuato ad ispirarsi ad Omero (o meglio a redazioni più antiche, poi dismesse, dei vangeli) e precisamente alle tre donne che piangono sul cadavere e sul sepolcro di Ettore domatore di cavalli, Andromaca, sua moglie, Elena, sua cognata, e Ecuba, sua madre (sul Golgota abbiamo la prolifica al di fuori del matrimonio Maria di Cleofa madre di Gesù l'Egiziano, la madre di Giovanni di Giscala Maria Salome e la fidanzata di Gesù e figlia di Simone Pietro di Ghiora, la prostituta ex superindemoniata Maria di Magdala). Giovanni ha compreso subito l’importanza di ispirarsi ai poemi immortali di Omero per creare il personaggio Gesù il Nazoreo poi divenuto di Nazaret. Omero era un eccelso pubblicitario che trascinava i mercanti ellenofoni ad investire nelle banche etrusco-romane. Trascinava dunque persone con un minimo di intelligenza e furbizia, figuriamoci gli imbecilli. Omero ha fatto credere a tutti fino ad oggi che la guerra di Troia è veramente avvenuta, e per liberare Elena rapita da Paride, e che anche il ritorno di Odisseo è realmente avvenuto con tutti gli incidenti di percorso, percorso che qualcuno ancora si ostina a ricercare su antiche mappe geografiche. Quando la gente finirà di credere a Ettore e Odisseo come personaggi reali finirà anche di credere nel loro cugino Gesù. Quando la gente finirà di piangere per la sorte di Ettore e di Odisseo finirà di piangere anche per il loro lontano cugino Gesù. Quando la gente finirà di voler a tutti i costi sognare ad occhi aperti allora sarà divenuta matura e degna di stare su questa terra a testa alta. Tutti abbiamo pianto quando ci hanno detto che eravamo ormai troppo cresciuti per credere a Babbo Natale e alla Befana (qualcuno non ci credeva già ma faceva finta di nulla, imparando subito quanto sia utile l’ipocrisia cristiana). Ci siamo trovati ingannati e al tempo stesso trattati da deficienti. La verità è che non si dovrebbero raccontare le bugie, soprattutto ai piccoli, nemmeno quelle di Babbo Natale e della Befana. Chi crede alle frottole da piccolo è predisposto a credere alle frottole anche da grande. Chi crede a Babbo natale da piccolo da grande crede a dio e ai politici ladri che governano il paese e lo spingono sull'orlo della guerra totale. Ho parlato di banchieri greci attirati ad investire a Tarquinia e Roma dal pubblicitario Omero. Mi si obietterà che invece Gesù parlava ai poveri. Ho già trattato l’argomento nel Satyricon su questo sito. Qui convaliderò quanto già sostenuto avvalendomi del lavoro citato di C. P. Thiede, il quale mi conforta affermando che « L’idea tradizionale che la missione al di fuori di Gerusalemme (particolarmente a Roma negli anni successivi) iniziasse fra gli strati bassi della società non è supportata dai fatti. Anche se non si prendono in considerazione le storie successive, narrate al di fuori del Nuovo Testamento, che parlano dei contatti di Pietro a Roma con i senatori e le loro famiglie, queste due conversioni [cioè l’Etiope sovrintendente ai tesori della regina Candace, At 8, 26-39, e il centurione romano Cornelio, At 10, 1-2, che CPTh cita nella stessa pagina], e quella di cui parla Paolo: Erasto, il «tesoriere della città» di Corinto (Rm 16,23), e il fatto che i due libri di Luca siano dedicati a una personalità non giudea d’alto rango, dipingono un quadro completamente diverso. » (p. 213).

La religione cristiana come la conosciamo nasce essenzialmente dopo l'adesione degli ebrei messianisti, letteralmente " cristiani ", zeloti che si vedono rappresentati da Pietro, alla dottrina sincretistica di  Paolo che si ispira agli ebrei ellenizzati della diaspora, ecumenici, filantropi, civili, e che subito dopo viene estromesso. Anche se entrambi erano stupidi, tranne Paolo che ci faceva ma non c'era: i primi perché ebrei credenti nell'Antico Testamento, che è una raccolta di favole ispirate in gran parte ai poemi omerici e alle letterature del vicino oriente; i secondi perché rincretiniti  dalla stupida filosofia greca (eccettuato l'immenso Epicuro). I migliori dei due, i civili ebrei della diaspora – si pensi a Filone d'Alessandria, d'Egitto, dov'era una comunità di ebrei greci che aveva prodotto dal III sec. a. C. la traduzione biblica dei Settanta in greco perché non più capace di comprendere l'ebraico – avevano già tentato l'armonizzazione fra ebraismo e filosofia greca. Paolo (che ci tiene a sottolineare che il suo vangelo lo ha ricevuto direttamente da dio e non dagli apostoli: Galati 1, 11-12, e in particolare l'ultima cena: 1 Corinzi 11, 23ss)  pensò di dare più corpo al Logos filosofico incarnando il Figlio di Dio redentore nel mistico e antico culto orientale di Tammuz/Adone come adombrato nell'Odissea di Omero. Tarso in Cilicia era erede della civiltà del Disco di Festo e soprattutto di Omero e di Ebla. Qui la comunione col dio e la resurrezione del re (che diveniva dio) attraverso il calice del vino e il pane (di Adone, adorato a Betlehem, ‘Casa del Pane’, assai prima di Gesù) era nota dal terzo millennio almeno come possiamo giudicare dai  rilievi sui bacini di lustrazione o acquasantiere (raffiguranti il re – defunto divinizzato  come antenato della stirpe regale che l'A. T. e Odissea  chiamano dei Giganti – che liba davanti ad una tavola offertoria ricolma di pani azimi) trovati ad esempio a Ebla (ma certamente anche altrove nell’area Cipro-Cilicia-Alta Siria). Qui a Ebla c’è tutto Gesù, la sua ultima cena e resurrezione, e Paolo recepiva ciò anche da quel personaggio di Omero (le cui  origini culturali erano in Cilicia/Cipro/Alta Siria), Odisseo/Adone (il dio che muore e risorge, come Odisseo che entra in contatto con gli inferi, parla con l'indovino Tiresia, e ne viene fuori), che nel Paradiso dei Feaci (gli Etruschi originari della Siria) partecipava al banchetto della resurrezione (Od. VIII, 469-470; XIII, 24-26) accomiatandosi levando il calice del vino insieme alla regina Arete (XIII, 56-62) per poi reincarnarsi a Itaca dopo il divino volo delle magiche navi feacie che  « l'abisso del mare velocissime passano, di nebbia e nube fasciate ». Per divulgare ciò Paolo ebbe a modello Odisseo, una incarnazione di Adone del santuario etrusco di Pyrgi che era stato all'inferno di Circe e ne era tornato si può dire dopo tre giorni e così poteva ispirare la figura di un uomo-dio che risuscitava. Così ritroviamo nei vangeli un Gesù figlio unico o con fratelli e sorelle come Odisseo nel racconto contraddittorio omerico; la caverna del ciclope Polifemo trasformata nel sepolcro apprestato per Gesù da Giuseppe d’Arimatea; lo stupore affranto della nutrice Euriclea che tasta la ferita del cinghiale sulla coscia di Odisseo/Adone trasformato nello scetticismo di Tommaso che mette la mano nelle ferite dei chiodi e del costato di Gesù risorto; l’umiliazione di Ettore spogliato sputato sbeffeggiato e trascinato da Achille sul carro nella polvere della la pianura di Troia, legato con una cinghia attraverso fori praticati nei piedi, trasformata nella crocifissione umiliante di Gesù; le tre donne che piangono sulla pira di Ettore, Andromaca la madre, Ecuba la moglie, Elena la cognata, trasformate nelle tre Marie (le madri e la figlia dei tre principali protagonisti di Guerra giudaica) al sepolcro;  perfino gli angeli che si manifestano spesso agli uomini sono penetrati nei vangeli più dalla Scheria dei Feaci omerici (« sempre, infatti, gli dèi ci si mostran visibili, quando per loro facciamo elette ecatombi, banchettano in mezzo a noi, sedendo dove noi siamo; e se un viandante, anche solo, li incontra, non si nascondono, perché siamo prossimi a loro, come i Ciclopi e le selvagge tribù dei Giganti. » Od. VII, 201-207) che non dai racconti dell’Antico Testamento (Genesi, Esodo, Elia, ecc. ecc.). Nell'Odissea c'è anche l'Avversario, Antinoo, che si trasformerà in Satana, e un piccolo Giudizio Universale con Odisseo/Gesù risorto che torna (e i primi cristiani credevano sarebbe tornato al loro tempo, poi nell'anno mille, poi nel 2000, forse oggi non ci credono più che tornerà, e farebbero bene) e punisce le ancelle/anime infedeli, quelle che hanno fornicato con altri al di fuori di lui, che non lo hanno atteso con la fiaccola accesa ma l'hanno fatta spengere. C'è pure la purificazione col fuoco e lo zolfo tipica dell'inferno cristiano, e anche i pianti e lo stridor di denti.

Ma il fatto di copiare anche da Giuseppe Flavio dimostra che l'autore del proto-vangelo sinottico (sia pure ispirato da una qualche tradizione orale risalente a Paolo) lavorò assai tardi e senza più avere conoscenza diretta delle imprese degli zeloti reduci della guerra giudaica. Il proto-vangelo dei sinottici fu scritto in greco come tutti gli altri e dunque nella metà orientale dell'impero. A quel tempo non si parlava di primato della chiesa di Roma e tutti i vescovi avevano pari dignità. Gli orientali riconoscevano certamente che Pietro, che nella difesa di Gerusalemme secondo Gg aveva avuto più consensi di Giovanni e che era morto a Roma capitale dell'impero dove era un'antica comunità giudaica accresciutasi in seguito coll'ingresso dei liberi e dei liberti venuti schiavi a Roma al seguito di Vespasiano, conferiva al vescovo di Roma un prestigio notevole. Dunque non è necessario interpretare il primato di Pietro nei vangeli come espressione delle manipolazioni successive all'effettivo primato di Roma sulle altre sedi vescovili ma come riconoscimento su basi storiche del primato che sempre dal momento della difesa di Gerusalemme fu riconosciuto a Pietro. Altri elementi della religione come la verginità di Maria sono aggiustamenti necessitati dal fatto che Gesù essendo uomo-dio doveva avere necessariamente un padre divino ed essere figlio unico. E ancora la filosofia greca con cui già Filone d'Alessandria aveva cominciato a conciliare l'Antico Testamento era usata non a caso da Giovanni per analizzare il mistero della trinità: dio padre, figlio Gesù e Spirito Santo o Paraclito. Nelle comunità ebree messianiste si diffuse il convincimento dell'avvenuta incarnazione del Messia e vivendo fuori Gerusalemme dopo il 70 vi fu un avvicinamento ai costumi pagani. A ciò si aggiunga l'opera di Paolo. Un bel giorno qualcuno sentì il bisogno di una specie di testo sacro che rendesse omogeneo l'indottrinamento e da quel momento in poi il cristianesimo cominciò la sua evoluzione fino a come lo conosciamo oggi. Come data puramente indicativa io collocherei la nascita consapevole del cristianesimo alla metà del III secolo, quando circolarono i vangeli nella loro veste definitiva e quando anche il vangelo di Giovanni, inizialmente propenso a candidarsi lui alla guida della chiesa dopo la morte nel 70 di Pietro, fu collocato per ultimo e magari ritoccato tanto da riconoscere il primato di Pietro. Il vangelo di Giovanni inizia così: « In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta…» E’ questa la dottrina del Logos (Verbo), già utilizzata dall’ebreo Filone d’Alessandria nel tentativo di unificare la speculazione greca e la teologia giudaica ritenendo che la prima – specie le dottrine platoniche – sia derivata dalla seconda. Giovanni, ed è ciò che prova la maggiore antichità del suo vangelo rispetto agli altri (rivolti agli ignoranti pagani dell’Impero romano) procede allo stesso modo, modellando il Cristo in modo appetibile al sofisticato mondo ellenistico della stessa Palestina. Giovanni presenta il Cristo appunto come quel Logos che i filosofi hanno sempre ricercato. Giovanni fa col cristianesimo ciò che Filone fa col giudaismo. E analogamente fa Paolo quando, parlando all’Areopago per almeno… un minuto e mezzo, cerca di convincere i greci ad adorare Cristo come quel Dio ignoto che adorano nel caso esista nonostante la loro ignoranza: « Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio. » (At 17,23). Saranno via via gli altri evangelisti, Luca, Marco e Matteo a sdoganarsi da questo peccato originale di invenzione, umanizzando la figura di Gesù e concretizzandolo rispetto al mito omerico di Odisseo, il reincarnato, colui che, unico fra tutti i mortali era destinato a morire due volte, perché era già stato all’Inferno, a parlare con l’indovino Tiresia, e ne era ritornato vivo, come suo padre Sisifo di Corinto, altro furbo matricolato.

Non so se definire gli antichi giudeo-cristiani furbi o sciocchi. Divertente è il “riconoscimento” di Gesù da parte di Giovanni Battista, che non è molto edificante per giudicare il quoziente intellettivo del... medico Luca. Gli ebrei erano molto stupidi e Luca avrebbe potuto (ma non fu) essere scelto da Paolo come scriba perché, più stupido della media, non si sarebbe mai accorto del suo incarico segreto di agente politico al servizio di Sua Maestà l'imperatore di Roma Nerone. Ma è più logico che Luca sia solo il manipolatore tardo del vangelo e della relazione di Palo a Nerone. Luca è quello che parte da più lontano di tutti. Narra in contemporanea la storia del concepimento di Giovanni Battista e di quello di Gesù. Il Battista e Gesù erano parenti per via di madri cugine fra loro. Il primo è figlio di un sacerdote del tempio, il secondo di dio. Gesù il figlio di dio, era contornato da fratelli santi da parte di madre. Andata a visitare Elisabetta incinta, Maria la saluta e il piccolo Battista sobbalza nella pancia materna. A sua volta Elisabetta saluta Maria come madre di dio. E’ l’incontro di due regine dei cieli. Quando, ormai grandicello, il Battista battezza Gesù: « il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza corporea, come di colomba, e vi fu una voce dal cielo: “Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto.”» (3,21ss) Notare che Gesù non fa in tempo ad essere battezzato da suo cugino che in questa stessa circostanza incontra i suoi primi apostoli, Andrea, suo fratello Pietro e Filippo. Noi saremmo indotti a credere che i racconti delle sante mamme ai due ancor più santi cugini fin da piccoli e questo miracolo visivo-uditivo ora che sono maturi dovrebbero bastare a Giovanni Battista per credere alla divinità del suo parente Gesù. Macché! Dalla prigione in cui Erode Antipa lo aveva rinchiuso (gli avrebbe fatto tagliare la testa per donarla alla bellissima nipote e danzatrice Salomè figlia di sua moglie Erodiade) manda due discepoli da Gesù col seguente messaggio: « Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro? » (7,20) Stando al racconto di Luca, dunque, Giovanni morì senza aver conosciuto il Messia che aspettava. Mah! I discepoli di Giovanni, pur essendo degli stupidi ebrei, erano infatti perplessi sull'indentificabilità di Gesù come Messia, e gli domandano: « Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano? » (Mt 9,14) Ciò che si riferisce a Giovanni il Battista è raccontato analogamente dagli altri evangelisti. Gesù non solo mangiava alla grande ma addirittura mangiava alla tavola dei gabellieri (i cosiddetti pubblicani) e dei peccatori ebrei, perché di norma l'evangelizzazione è rivolta ai soli ebrei, ma appunto perciò egli non rispettava le norme sulla purezza del cibo (perché costoro non avranno certamente rispettato le norme sui cibi da mangiare e quelli da cui astenersi) e del divieto di contatto con gente impura. E che dire dell’intelligenza della stessa Maria e di Giuseppe cui il piccolo e disubbidiente Gesù, allontanatosi per entrare nel tempio, a loro che l’avevano cercato dappertutto disse: « “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” Ma essi non compresero le sue parole. » (Lc 2,49ss) Mah!

Altri miracoli di Gesù sono divertenti e degni di menzione. Gesù che cammina sulle acque del lago di Genezaret o Tiberiade che dir si voglia è un inno alla faciloneria e alla dabbenaggine degli sciocchi di tutte le latitudini e meridiani. Ha già moltiplicato il pane e i pesci a Betsaida, dove congeda i discepoli e li fa montare in barca dicendo loro di precederlo a Genezaret, località a 15 chilometri pressoché rettilinei da fare dunque costa costa o anche a piedi in un’ora, due ore al massimo. Matteo e Marco fanno apparire le cose come se Genezaret fosse dalla parte opposta del lago e dunque come se necessariamente si dovesse andare in barca per attraversarlo. Congedata la folla, alla quarta vigilia della notte, il che vuol dire che quei poveri disgraziati navigavano da almeno nove ore, gli appare Gesù che cammina sulle acque (ovviamente) in mezzo al lago. La cosa curiosa è che invece di continuare a camminare sull’acqua fino a Genezaret egli preferì salire a bordo « e rapidamente la barca toccò la riva alla quale erano diretti » (GV 6,21), « compiuta la traversata, approdarono a Genesaret » (Mt 14,34; Mc 6,53). La barca di Pietro è veloce come il pensiero, come le navi dei Feaci.

Ma la storia di Gesù non fa solo ridere, fa anche piangere. Perfino i peggiori criminali al momento della morte trovano qualcuno che li conforta, sia pure per semplice gesto umanitario. Gesù, presunta brava persona, viene tradito da Giuda, rinnegato tre volte dal suo successore designato, Pietro, abbandonato da tutti gli altri. Nella via crucis i Romani devono requisire un cireneo di passaggio che porti sulle spalle la traversa al posto di Gesù (ma poi forse si dimenticano di riprendergliela e quello viene crocifisso sul Calvario come capita al povero Fantozzi). Sul Calvario c’è Giovanni, l’apostolo prediletto, ma solo per procurarsi in extremis un’investitura che possa poi vincere quella di Pietro, e cioè la qualifica di “figlio di Maria” al posto del morto Gesù (ricordate l’astuzia di Adonia, che voleva il regno del fratello Salomone e ci rimise la vita?). Per il re del mondo non v’è nemmeno un sepolcro predisposto dai suoi fedeli. Dov’è Pietro, il successore designato che lo ha rinnegato tre volte? Un seguace segreto, alla lontana, ha il coraggio di recarsi dal procuratore di Roma e di chiedergli il corpo di Gesù per seppellirlo. Riconoscersi seguace o comunque interessato a Gesù da morto non è segno di coraggio maggiore che interessarsi a Gesù da vivo? Ed ecco che spunta fuori all’improvviso Giuseppe d’Arimatea che concede a Gesù il suo sepolcro personale. La resurrezione di Gesù è un altro bell'esempio di scemenza giudaica, ma anche di come i pregiudizi (che la sindone di Torino abbia avvolto il corpo di Gesù sepolto) deviino dal retto giudizio le persone anche intelligenti. Cominciamo dall'esame evangelico di un altro sepolto analogamente a Gesù, Lazzaro di Giairo, un altro apostolo che Gesù amava (un altro ancora era Giovanni che si vuol sdoppiare in Marco del Getsemani), di cui parla Giovanni. Il morto è stato deposto a Betania, vicino Gerusalemme, in « una grotta e contro vi era posta una pietra » ed era stato legato « mani e piedi nelle bende », cioè totalmente, secondo l'uso ben noto nell'Egitto greco-romano, cioè come le mummie egizie, ma con in più il dipinto del volto del defunto cucito in corrispondenza della faccia: « e vi era legata intorno la sua immagine su tela (kaì e ópsis autoû soudaríoi periedédeto). Gesù disse loro: “ Scioglietelo e lasciatelo andare ” » (11, 38-44). La traduzione degli ultimi due passi è mia fino a " su tela " e me ne attribuisco la responsabilità. Non è pensabile ovviamente che Lazzaro fosse legato solo alle mani e ai piedi e nudo per il restante, né è pensabile che un sudario, destinato a stare a contatto col corpo, fosse appoggiato sulle bende che avvolgevano il capo. Se poi questo fazzoletto era a contatto col volto e sopra era nascosto dalle bende intrecciate non ci sarebbe stato motivo di accennarvi. Inoltre qui non si parla affatto di un lenzuolo tipo sindone.

Contrariamente a quanto pasticciano i, più tardi, sinottici, secondo Giovanni di Giscala ovvero evangelista, Gesù fu sepolto esattamente come Lazzaro. Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo una volta morto Gesù di venerdì, e il morto doveva essere seppellito la sera stessa, « presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com'è usanza seppellire per i Giudei. » (19,40) Poiché il venerdì, la Parasceve dei Giudei (19,42), gli ebrei lavoravano, mentre il giorno dopo, sabato, era vietata qualsiasi attività, cadono le scuse dei sinottici secondo cui le donne (ma perché le donne, visto che per Giovanni furono degli uomini? Semplicemente perché le donne cui gli ebrei non credono, per i cristiani si prestano a mentire) avrebbero dovuto tornare di domenica!, con un corpo in putrefazione!, con gli olii per l'unzione e operare la fasciatura di Gesù, scusa, inutile, per tornare al sepolcro e trovarlo vuoto. Secondo Giovanni, Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo unsero, posero il sudario sul capo di Gesù, lo fasciarono come una mummia egizia e legarono anche sul suo capo il suo ritratto su tela. Chiusero ovviamente poi anche il sepolcro facendo rotolare la pietra nel suo binario. Le donne che per i sinottici erano andate, di domenica, per portare gli aromi e unguenti con cui cospargere il corpo di Gesù, e poi procedere alla fasciatura, come nel caso di Lazzaro, trovarono la pietra rotolata e rimossa e il corpo sparito. In altre parole, secondo loro, Gesù sarebbe stato sottratto al sepolcro prima di essere bendato come una mummia egizia di tipo greco-romano. Dunque, sempre secondo loro, era semplicemente avvolto provvisoriamente nel lenzuolo o sindone apprestato da Giuseppe d'Arimatea che aveva anche fornito il sepolcro. Luca si smentisce. Ci dice che Pietro recatosi al sepolcro vede solo le bende (nel senso che Gesù è sparito). Ma che c'entrano le bende se Gesù era stato avvolto provvisoriamente nel lenzuolo? Certo le bende erano e rimangono sfasciate, ancora non utilizzate per l'imbalsamazione che non avverrà mai. Giovanni invece dice che Pietro prima e Giovanni dopo, il gatto e la volpe, videro il sepolcro aperto e « le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti. » (20, 6-9) Secondo Giovanni Gesù è stato avvolto in bende come una mummia egizia e dunque le bende le dobbiamo immaginare a terra fasciate o sfasciate? Se sfasciate, possono essere state sfasciate da chiunque senza bisogno di ricorrere ad alcuna resurrezione. Se rimaste fasciate invece si suppone si siano afflosciate a terra per sparizione, resurrezione vera e propria del corpo all'interno, come si potrebbe afflosciare un bozzolo di farfalla vuoto, dopo la fuoriuscita miracolosa di un risorto. E suppongo che questo sia il suggerimento astuto di Giovanni che però come tutti i truffatori lascia a noi questa conclusione e non si azzarda a parlare lui stesso di involucro rimasto intatto e sgonfiato dopo la resurrezione presunta di Gesù. Infatti collega a questo fatto l'altro fatto del sudario, supposto a contatto con la pelle del capo di Gesù, fuoriuscito con Gesù e poi piegato a parte, si presume dallo stesso Gesù, molto ordinato. Orbene la resurrezione del sudario (oltre che di Gesù) mi pare eccessiva, nel senso che il sudario doveva restare dentro la fasciatura essendo di vile materia. Non si potrebbe obiettare che valesse di più contenendo le tracce di sangue di Gesù, perché anche le bende a terra contenevano altrettante macchie dello stesso identico sangue. La verità è che anche nel caso di Gesù come in quello di Lazzaro il cosiddetto sudario non era sotto le bende, bensì sopra, era sempre stato sopra, all'esterno delle bende. E potremmo persino pensare che l'accenno al sudario nel caso di Lazzaro sia un'interpolazione successiva per accreditare l'idea che la tela col volto dipinto fosse a contatto della pelle di Gesù e non all'esterno della mummia. Quanto alle mummie romane in Egitto ecco cosa scrive Ranuccio Bianchi Bandinelli su Roma, La fine dell'arte antica, BUR, Arte, pp. 282-284: « I documenti più noti dell'Egitto romano sono i ritratti dipinti su legno a tempera ed encausto (cera), qualche volta anche in tela che, conservati nelle case di abitazione, venivano poi applicati sulla mummia del defunto. Ritratti analoghi si trovano sulle stoffe di lino che servivano da sudario, dove il defunto è accompagnato da Anubi, l'antico dio della morte della religione egiziana. A parte l'uso rituale di queste immagini, dal punto di vista della forma artistica esse, nella maggioranza dei casi, non rappresentano affatto una particolarità dell'Egitto romano. Ritratti della stessa qualità pittorica dovevano esistere in ogni progredita provincia dell'impero: essi si ricollegano con quel poco che conosciamo dei ritratti pompeiani, superstiti per puro caso, come per le particolari condizioni climatiche dell'Egitto si sono conservati questi. Provenienti in gran parte dalla regione del Fayyu'm... Si è discusso se alcuni di questi ritratti siano databili a partire dall'età di Augusto o soltanto dall'età degli imperatori Flavi. Dati cronologici esterni si hanno solo a partire dall'età di Adriano. E per tutto questo tempo i ritratti corrispondono al gusto pittorico ellenistico-romano. » Concludendo, non so se dire sciocchi o furbi, il gatto e la volpe dei vangeli dedussero la resurrezione (perché secondo le Scritture e non secondo la viva voce del Messia?) di Gesù da un sepolcro trovato spalancato e da bende sfasciate per terra con accanto il dipinto su tela del volto di Gesù che in una prima approssimazione chiameremo antenato di tutti i Sudari e Sindoni ispirati a questo prototipo. La sindone di Torino è invece un falso fotografico su tela dell'XI-XII secolo (vedi sul mio sito). Nel diátagma Kaísaros, conservato in una epigrafe acquistata a Nazareth nel 1878 e attribuito più probabilmente a Claudio, l'imperatore comminava la pena di morte a chiunque violasse le tombe, trasportando in altro luogo il sepolto, e sull'argomento cristiano scherza anche il Satyricon (posteriore ai vangeli) nella novella della matrona d’Efeso (vedi sul mio sito) i cui protagonisti sono apparsi ai più vivere al tempo di Nerone per gli accenni voluti al primo persecutore dei cristiani, mentre in effetti il vero periodo storico è quello di Settimio Severo e dei Severi (è più o meno l'ambivalenza che v'è nell'Odissea fra VII secolo ed età mitica della guerra di Troia). Le donne andarono a raccontare tutto a Pietro (Lc) o a Pietro e Giovanni (Gv), ovviamente. Matteo e Marco ci assicurano che gli apostoli non credettero. Nessun ebreo avrebbe mai creduto a una donna, tanto più che erano state loro a vedere per prime e a dichiarare che il sepolcro era già aperto al momento del loro arrivo.

Omero sembra aver compreso meglio dei sui scopiazzatori il concetto di relazione trascendentale fra due anime. Ricordate il caso esemplare di Telemaco? Egli desidera così fortemente l'arrivo del padre lontano da venti anni che in questo suo stato di forte concentrazione mentale che quasi lo sdoppia e lo fa uscire da sé, in questo stato di trance,  non solo riesce ad attirare sul suo caso l'attenzione del concilio degli dèi presieduto da Zeus, ma poi riesce anche a percepire con l'occhio dell'anima ciò che altrimenti non potrebbe percepire affatto, cioè l'apparizione della dea Atena (sotto le vesti di Mente re dei Tafi), per ipotesi invisibile,  richiamata dalla sua " preghiera ". Casi analoghi ve ne sono nell'Odissea ma meno esemplari di questo e corrispondono alla fase di trapasso dalla notte al giorno nel momento preciso in cui i vivi e i morti (ma anche gli svegli e i dormienti) possono avere un rapido rapporto extrasensoriale fra loro, ma sempre in uno stato di veglia dell'anima analogo a quello di Telemaco. Si dirà che Omero è più colto e dunque capace di esprimere le sue esperienze di quanto non potessero fare dei terroristi sia pure alfabetizzati. Ora io credo che chiunque, anche analfabeta, se avesse davvero l'esperienza del soprannaturale, 1° non sopravviverebbe nemmeno e morrebbe di un colpo al cuore per lo spavento che gli arrecherebbe l'esperienza, e 2°, se sopravvivesse saprebbe eccome raccontare l'accaduto e gli crederemmo se non altro per come lo spiegherebbe impappinandosi nel tentare di descriverlo. I cialtroni evangelisti  utilizzarono l'esperienza extrasensoriale di Telemaco che era un sogno, ma non avendo alcuna esperienza del soprannaturale la trasformarono in un materialistico e degradante sonno e gli apostoli della triade privilegiata, la cricca di Giovanni, Pietro e Giacomo, se la dormirono della grossa  durante la Trasfigurazione (Giovanni non ne parla; Lc 9,32), che è quell'esperienza che più si avvicinava alla Resurrezione cui essi non poterono assistere (dunque essi sproloquiavano di divinità di Gesù senza averne mai avuto uno straccio di prova), tanto che Carsten Peter Thiede è costretto a concludere: « ... Luca aggiunge altri dettagli omessi dagli altri due evangelisti: « Pietro e i suoi compagni erano presi da un sonno profondo », e soltanto  « svegliatisi, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui ». Se erano veramente addormentati (o  « avevano il sonno pesante », Authorized Version e Revised Standard Version), come poterono poi riferire la conversazione? Marco e Matteo tacciono al riguardo, forse perché è un'invenzione di Luca? ... il riassunto di Luca è abbastanza vago da autorizzare la congettura che, quando l'evangelista ebbe letto il racconto di Marco, desiderando saperne di più, andò da quest'ultimo (o dai tre protagonisti dell'episodio) per chiedere loro se sapessero qualcosa  riguardo alla conversazione in particolare, ed essi gli risposero che in quel momento erano piuttosto assonnati, ma erano sicuri di aver sentito parlare di  « dipartita » e di « Gerusalemme ». E non possiamo dimenticare che Gesù stesso deve aver senz'altro spiegato ai discepoli quello che era successo. » (Simon Pietro, pp. 69-70) No comment! Inutile dire che la Trasfigurazione ha scopiazzato anche dalle esperienze veterotestamentarie di Geova, Mosè ed Elia. 

 

Fine 2a parte

 

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