Esci

 Marco G. Corsini

Troia, il tempio di Diana Nemorense sul lago di Nemi, Omero e il verso saturnio

 

Dopo aver penetrato l'essenza del corpus omerico e di quello vetero e neotestamentario torno ad interessarmi di due  problemi intriganti che ruotano intorno al mondo omerico e cioè da una parte la fine del mondo miceneo, i secoli bui e la nascita della civiltà greca, dall'altra l'origine dell'esametro omerico. Per quanto riguarda la prima questione occorre interrogarsi sulla o sulle cause della fine dei regni egizio, ittito, micenei, siriani, ecc. a cavallo del 1200 a. C. data non a caso della caduta di Troia. Testi base per la ricostruzione delle caratteristiche e del movimento dei Popoli del Mare sono  le iscrizioni sul tempio funerario di Ramesses III a Medinet Habu e le Lettere di Amarna. Un sito dove si trovano in abbondanza questi documenti è quello di Megaera Lorenz e altri. La  Relazione di Wenemdiamun di Megaera Lorenz  non è un documento egizio autentico, bensì una moderna storia romanzata fondata su documenti autentici che  possiamo dunque leggere  come tentativo di ricostruzione dei fatti di cui ci stiamo occupando. (In fondo alla Relazione di Wenemdiamun  c'è il link al sito coi lavori  scientifici di Megaera Lorenz e altri sui Popoli del Mare). La mia ipotesi, che tiene parzialmente conto di  quella della Lorenz,  è che i popoli del mare in origine si dedicavano  al commercio  per conto degli Egizi e delle città cananee come  Ugarit che commerciava con Cipro. Ad un certo momento Hatti, indebolita al suo interno da lotte fra principi vassalli, viene investita da un'invasione dal nord  e anche i sovrani cananei dimezzano il loro commercio marittimo preferendo costruire mura difensive. E' per questo motivo che i popoli marinai, disoccupati, si trasformano in pirati e scendono costa costa affiancando i popoli nomadi che invece scendono all'interno. Anche i popoli del mare, cioè delle coste anatolica  e siriana, sono accompagnati dalle mogli e dai figli su carri trainati da buoi. 

Le loro navi sui rilievi di Medinet Habu sono riprodotte senza remi a differenza di quelle egizie, e ciò può dipendere dal fatto che potevano procedere con le sole vele in qualsiasi condizione di vento. Ma se il vento non c'era? In questo caso è difficile pensare ad un sistema di locomozione diverso dai remi, ma anche le navi dei Feaci omerici andavano senza remi. Comunque una spiegazione può essere che gli egizi attaccarono così all'improvviso che i popoli del mare non fecero in tempo a tirar giù i remi dalla imbarcazioni già a riva. La crisi occidentale si ripercosse sull'Egeo che abbisognava delle importazioni da Hatti e dalla Siria. A rendere peggiori le cose si aggiunsero le carestie. Anche nella Grecia micenea  le lotte intestine favorirono l'invasione dal nord e via mare. Dunque una coalizione di Peleset e Tjekker (cui poi si aggiunsero consimili popoli mercenari che passavano dalla parte del vincitore) saccheggiarono Tarso in Cilicia e altri centri della zona, bruciarono al suolo Hattusa capitale dell'ultimo re ittito Suppiluliumas II, poi si lasciarono dietro in fiamme Ugarit, Kode, Carchemish, Arvad, Cipro, si accamparono quindi ad Amurru (dunque gli Aramei vengono sospinti a sud; a questo proposito va notato che alcuni commentatori biblici identificano con la Cappadocia la regione che Amos chiama Qir da cui provengono gli Aramei che entrano in Palestina nello stesso periodo di grandi migrazioni in cui vi arrivano i Filistei da Creta e gli Ebrei dall'Egitto) e scesero fino al delta via terra e via  mare  dove vennero alla fine sconfitti. Dai testi di Amarna veniamo a sapere che fra i predoni che infestavano le città siriane dal XIV secolo c'erano gli Abiru/Ebrei.  Si tratta né più né meno che di invasioni barbariche che iniziano già nel XIV secolo  e si protraggono fino al VII secolo con l'ultima invasione contemporanea di  Omero, quella dei Cimmeri. Fra questi due estremi ci sono circa tre secoli  più o meno assolutamente bui. I popoli nomadi che iniziano la catena degli spostamenti cacciando dalle loro sedi i popoli che si trovano sulla loro strada partono dalle loro sedi per i soliti motivi, un raccolto scarso o la sovrappopolazione e dunque la ricerca di nuovi terreni che diano sostentamento alle nuove generazioni. Io li individuo nei Traci soprattutto, negli Sciti, e in altre popolazioni analoghe che vivono a cavallo come i barbari che fra un millennio invaderanno l'impero romano. E costoro calando dalla Tracia passano lo stretto dei Dardanelli e trovano davanti a loro la città di Troia, che diventa il simbolo della fine di un'epoca. Troia  è il presidio  della civiltà che viene abbattuto dalla barbarie. E' il presidio della civiltà Micenea e delle civiltà coeve e affini di cui si diranno eredi Etruschi e  Romani. Vedremo che Troia è anche il crocevia delle altre civiltà greca ed ebraica che però sono più eredi dei barbari distruttori, dei popoli nomadi invasori dei grandi imperi del mondo antico.  La via dei Dardanelli è stata già prima percorsa da avventurieri proto-etruschi in cerca di nuove fonti di arricchimento predatorio o commerciale indifferentemente le cui saghe ci sono ricordate  dall'impresa della nave Argo e di Eracle che espugna  Troia per i cavalli di Laomedonte. Troia è l'emblema - e così fu vista dagli antichi - dello scontro fra occidente e oriente che vede vincitore l'occidente. Sfortunatamente per i crociati di ogni tempoTroia è sostanzialmente una favola (ma si badi bene che anche qui il barbaro è l'indeuropeo occidentale e nordico), mentre lo scontro fra occidente e oriente ha sempre o quasi sempre visto come vincitore l'oriente, e anche oggi, nell'anniversario della vittoria del popolo  iracheno sulla coalizione dei criminali crociati... si, perché c'è stato un ribaltamento della situazione che vede gli Iracheni dalla parte della ragione e armati fino ai denti che tendono imboscate sanguinose agli USA e ai loro compagni di merenda che assistono impotenti al rapimento e all'uccisione dei propri connazionali... quando Bush tradisce gli impegni della Road Map (cui non ho mai creduto) e sostiene gli assassinii politici di Sharon, quando Zapatero anticipa a immediatamente il ritiro delle truppe spagnole dall'Iraq, è più facile prevedere la fine di quella parte malvagia dell'occidente, di Atlantide o Patto Atlantico, il terrorista dai piedi d'argilla, che ha perso la faccia di fronte al mondo mostrando non solo la sua immoralità e illegalità di fondo ma anche la sua debolezza militare, ciò che ha già segnato la sua sparizione dalla faccia della terra, come Platone ha previsto 2400 anni fa.

Omero mostra di partecipare della cultura che entra a far parte della Grecia, dell’Etruria e di Roma e di Israele e un importante filo rosso di questa cultura è quello tracio. Sono tracie le Muse della Pieria, è tracia la primitiva poesia lirica e aulodica (giambo ha origine asiatica e elegia - canto accompagnato dal flauto -  ha riscontro nell'armeno elegn-) greca del cieco Tàmiri nota allo stesso Omero, e di Orfeo, è trace il mito di Ifigenia trasformata all’ultimo minuto in cerva sacrificata sull’altare di Artemide da Agamennone in Aulide per propiziare la spedizione navale a Troia. (Ifigenia era figlia di Agamennone, il trace capo della spedizione navale a Troia. Agamennone era figlio di Atreo che fece mangiare la carne umana dei suoi figli al fratello Tieste reo di avergli rubato il vello d'oro. Il fondatore della dinastia fu Tantalo, che tentò di ingannare gli dèi mangiando la carne umana di suo figlio Pelope, poi riportato in vita e padre di Atreo e Tieste.  Enomao re di Pisa sfidava in una corsa di carri i pretendenti di sua figlia Ippodamia e inchiodava le teste mozzate degli sconfitti al suo palazzo. Pelope lo vinse con la complicità dell'auriga che poi buttò in mare. Questa storia, raccontata più diffusamente da Apollodoro (Epitome, 2), mi pare abbia sullo sfondo un culto affine a quello  di Diana Nemorense e sempre qualcosa di analogo mi suggerisce la fine di Polidoro, il più piccolo dei figli che Priamo affidò a Polinestore re di Tracia che l'uccise, e Polidoro si trasformò in pianta dai cui rami spezzati usciva sangue.  I Greci derivavano dunque primariamente dai Traci e solo secondariamente traevano anche dalla civiltà micenea.) E’ dunque ugualmente trace il mito di Isacco trasformato all’ultimo minuto in ariete sacrificato sull’altare di Jahvè da Abramo su un  monte del territorio di Moria, messo alla prova dal suo dio sulla sua obbedienza. E’ trace Reso alleato di Priamo ucciso coi suoi da Odisseo e Diomede in una spedizione notturna. Evidentemente i Traci e non altri si sovrapposero alla civiltà micenea in Grecia e a quella contemporanea dell’Asia Minore. Ma i Traci si spostarono anche più a sud penetrando in  Palestina e portandovi il dio del vino Dioniso che poi diventerà il Gesù dei cristiani. E tracia  è la cultura che entra a far parte del sostrato palafitticolo-latino che scende dalla valle padana. Gli Etruschi come i Romani daranno alla cavalleria un ruolo di primo piano e sappiamo come Omero elogi continuamente i troiani come allevatori di cavalli. Dunque la mia scoperta è che l’elemento culturale tracio sarebbe almeno uno degli elementi unificanti di tre differenti civiltà. Io continuo a credere che i Romani non provengano da Troia,  ma non c’è dubbio che il quadro che ho appena tratteggiato da macchiaiolo mostra che Troia è idealmente comunque la città al crocevia del passaggio dei Traci che evidentemente finirono coll’identificarsi con la popolazione troiana passando da assalitori ad assaliti magari al tempo della colonizzazione greca, quando nel VII secolo Troia è nuovamente abitata. Il movimento dei Traci appare in senso orario toccare Grecia e Anatolia,   Siria e infine Italia. Omero coi suoi accenni a Dioniso e soprattutto ai Cimmeri e ai Traci, ai Centauri della Tessaglia, ai rapporti fra Achille (e Odisseo) e Dodona in Epiro, ci indica che queste popolazioni nomadi dal Danubio al Mar Nero furono la causa della fine dei regni micenei del nord e di Troia.

Vaso dei guerrieri Shardana (truppe mercenarie al servizio del faraone e non solo) da Micene 

Le fortificazioni di Micene, Tirinto e Troia rendono molto probabile che la caduta della civiltà micenea dipenda proprio da ondate di immigrazione barbarica di Traci, Sciti, Cimmeri, mentre altri siti sul mare sono stati distrutti dai popoli del mare, i quali  non venivano dall'Italia ma si stabilirono in Italia - come gli Shardana, gli Shekelesh e i Tursha - dopo le loro lunghe scorrerie nel Mediterraneo orientale. I popoli del mare si fanno notare in Egitto in due grandi ondate a cavallo del 1200 a. C. come narra lo stesso Odisseo finto pirata cretese al porcaro Eumeo. Omero, che par ricordare come propria la fame che spinge alla pirateria, conosceva le saghe dei popoli del mare probabilmente per via prima di tutto delle tradizioni locali etrusche risalenti ai Tursha e familiari  rasennie e greche  di Cipro,  Cilicia e Alta Siria, terre abitate e aggredite dai popoli del mare. 

 

Tempio di Ramesses III a Medinet Habu 

Dettagli della battaglia navale dal tempio funerario di Medinet Habu: Sopra guerrieri Peleset e sotto guerrieri Shardana 

I Peleset che venivano da Creta e i  Tjekker che hanno un'acconciatura simile e potevano provenire dall'Egeo, costituivano le etnie più numerose fra i popoli del mare. I secondi poi, attestati a Dor nella  Palestina meridionale, sono stati identificati coi  Teucri dalla tradizione greca attestati a Cipro (attraverso Teucro) altra tappa nella discesa dall'Egeo dove erano assimilati ai Troiani. I  Denyen o Danuna sono i Danai di Omero e i Daniti ebrei. E' possibile che i Danai venissero dall'Argolide mentre è certo che fossero attestati in Cilicia. Anche nell'Iliade è evidente l'incongruenza di battaglie condotte da Achille in Cilicia nello stesso momento in cui si svolge la guerra di Troia. Se ne deve concludere che Omero sposta a Troia una guerra che riguarda  Cipro (colonizzata dai micenei),  Cilicia, Alta Siria, anche se non è da escludere che gli assalitori provenissero dall'Egeo e dai Dardanelli.  Si precisa così la mia ipotesi che la città depredata e data alle fiamme  che diede lo spunto per l'Iliade fu Tarso (la Tarshish biblica, da cui partivano le navi d'alto mare che oltrepassavano le Colonne d'Ercole) in Cilicia (dalla Cilicia provengono Andromaca moglie di Ettore e le schiave bottino di Achille fra cui Briseide), assalita e data alle fiamme e depredata da popoli del mare i cui nomi, Tjekker/Teucri, Danai, Pelasgi, Akkhijawa/Equesh/Achei ricordano quelli omerici. Per l'inganno del cavallo Omero si può essere ispirato alla città di Ioppe in Palestina meridionale, di cui il verso del papiro Harris 500 racconta la presa con l'inganno da parte dei 200 soldati nascosti in 200 ceste fatte entrare in città, inganno ideato da Thuty generale di Tuthmosis III. 

Karnak, il poema di Pentaur

Gli altri spunti vennero ancora dalla storia egizia, dalla battaglia di Qadesh (anche qui abbiamo un poema, quello di Pentaur, sulla guerra fra Ramesses II  e gli Ittiti - popolo menzionato da Omero come alleato dei Troiani - un grande fiume, l'Oronte, e due beduini al servizio degli Ittiti che svolgono il ruolo di Sinone greco),  dalla storia della Cilicia, di Cipro, dell'Alta Siria, che Omero conosceva molto bene, e infine dalle imprese degli avventurieri  etruschi in cerca di ferro lungo la via che  dai Dardanelli portava al Mar Nero, e dalla calata dei Traci che attraversando i Dardanelli s'erano imbattuti nella  rocca di Troia travolgendola.   Il movimento dei Danai > Daniti è da nord a sud, dalla Cilicia alla Palestina e non viceversa come scrive Giudici 17-18. Si raccordi con questo panorama quello da me tratteggiato di  Harran attraverso cui le tradizioni indeuropee del Caucaso, dell'Ararat, dell'Eden di Armenia giungono nella letteratura ebraica. E’ importante aver colto la immigrazione tracia all'inizio dell’età buia della Grecia - che sarà tutto un migrare di popoli del mare per lo più sloggiati dalle loro sedi da popoli di terraferma calati dal nord dal XIV secolo  fino all'inizio della rinascenza greca dove ancora Omero ci parla dell'ultima invasione, nel VII secolo, da parte dei Cimmeri - come  una delle cause principali della nazione greca classica perché in Omero questo elemento è sentito come elemento delle origini ma rigettato come infatti è rigettata l’inclusione del mito di Ifigenia nell’Iliade come troppo truculento e immorale. Viceversa questo mito truculento e immorale è pienamente inserito in Genesi perché la cultura ebraica è fondata sull'immoralità. Il fatto è che evidentemente a Roma e in Etruria alla  tradizione tracia proto-etrusca e latina s’è sovrapposta una civiltà assai evoluta quale poté essere solo quella cilicio-cipriota-alto-siriana di Iperea, come la chiama Omero, o Rasennia come preferisco chiamarla io, dunque civiltà rasenno-romana.  A questo punto bisogna esaminare se la tradizione comune a Romani ed Ebrei dei luoghi di rifugio e del legame fra tribù realizzato attraverso il rapimento delle donne sia tracio oppure cananeo. Dalla risposta a questa domanda potremo decidere se Romolo veniva davvero da Troia essendo tracio (prima ipotesi) oppure come Enea che lo precede di una generazione era un mercenario e avventuriero proveniente dall'oriente, magari già naturalizzato come etrusco.  Francamente a prima vista il ratto delle donne mi pare appropriato ai Latini in quanto indeuropei  e ai Traci indeuropei ma non ai civilissimi popoli cananei e dunque se i barbari Ebrei avevano questo rituale potevano averlo solo derivato dalla cultura tracia e non in quanto partecipanti di una civiltà siriana. Devo dunque ammettere che appare improbabile che i Romani/Ramnenses e i Rasenna abbiano potuto introdurre queste costumanze dalla Siria, mentre è più logico che le apprendessero in loco come costumanze proprie dei Latini, dei Sabini, della cultura villanoviana, ecc., e non mi pare che si possa sostenere l'originalità di questa tradizione presso i Romani per il fatto che i seguaci di Romolo in quanto guerrieri avventurieri non avevano con sé delle donne e dunque per averle – volendo stanziarsi e vivere civilmente su un territorio – erano disposti a tutto. Anche i luoghi di rifugio costituiti per impedire le faide tribali e garantire un processo più equo e civile vanno bene con un precedente rozzo e bestiale come quello dei pastori e allevatori a nord della Grecia dall'Adriatico al Mar Nero. Achille, protagonista solo formale dell’Iliade, è a ben vedere un guerriero tracio allo stato primitivo, quando l’unico valore che conta è quello del guerriero che uccide uomini, depreda città e si spartisce il bottino fra cui le donne viste come oggetto, riposo del guerriero. E’ stato istruito dal centauro Chirone e i Centauri sono la rappresentazione mitizzata dei cavalieri traci. L’antefatto dell’Iliade stessa è un mito della tradizione tracia, le nozze di Peleo e Teti cui furono invitati tutti gli dei tranne la Discordia che durante il banchetto di nozze gettò una mela fra i convitati dedicandola alla più bella e così determinando il giudizio del pastorello Paride e la guerra di Troia. Achille canta accompagnandosi con la cetra le gloriose gesta degli eroi della sua patria (Il. IX, 189). I Ciconi della tracia contro cui si batte Odisseo al ritorno da Troia sono guerrieri bellicosi e temibili e conoscono il vino che gli viene donato e di cui farà uso sapiente col ciclope Polifemo. I Latini vantavano documentate origini troiane e una prova del loro giusto vanto è il tempio di Diana Nemorense nel mezzo della grande foresta  a nord del lago di Nemi  ai piedi  della parte rocciosa su cui sorge l’attuale Nemi.

Qui era venerata la stessa dea Artemide o Ifigenia del Chersoneso taurico (Crimea) cui erano offerti sacrifici umani, in particolare i naufraghi sbattuti dalle onde su quelle plaghe barbariche. (Il sommo sacerdote del santuario di Diana nemorense diveniva tale per aver ucciso il sommo sacerdote precendente. Il rito era ancora fiorente al tempo di Marco Aurelio e Comodo ma nel frattempo il duello era riservato agli schiavi fugitivi. Si ritiene che questa pratica abbia cessato con le leggi proibizioniste di Valentiniano II e Teodosio nell’anno 393 d. C.) James George Frazer scrisse oltre dodici volumi de Il ramo d'oro per spiegare il culto di Nemi e lo ha poi messo in relazione al culto druidico della quercia (capitolo 68) come è possibile verificare nell'edizione ridotta in un solo volume (senza le note che costituiscono fonte preziosa di informazioni per gli studiosi di etnologia) edito nei Mammut della Newton. La soluzione di Frazer, mediata da una annotazione di Servio all'Eneide, 136, è plausibile perché Achille e Odisseo frequentano l'oracolo delle querce di Zeus di Dodona in Epiro, oracolo strettamente legato alla tradizione tracia come la stiamo ricostruendo. Dunque Artemide, Ifigenia e Dodona con le sue querce oracolari erano strettamente legati. E Frazer scrive acutamente che « Se, come taluno ritiene, gli Ariani, con le loro mandrie e le loro greggi, percorsero le sconfinate steppe della Russia o dell'Asia centrale prima di immergersi nella tenebrosa oscurità delle foreste europee, essi possono aver venerato il dio del firmamento, azzurro o nuvoloso, e il lampo folgorante, molto prima di associarlo alle querce schiantate della loro boscosa dimora. Forse questa nuova ipotesi ha anche il vantaggio di far luce sulla particolare sacralità attribuita al vischio che nasce sulla quercia... Un accenno alla sua reale origine ci viene forse da Plinio, quando dice che i Druidi veneravano il vischio in quanto lo ritenevano piovuto dal cielo, e un sicuro segno che l'albero sul quale cresceva era stato prescelto dal dio in persona... il motivo autentico per cui i Druidi veneravano la quercia del vischio più di ogni altro albero della foresta, era la convinzione che quella pianta non solo era stata colpita dal fulmine, ma recava fra i suoi rami una emanazione visibile del fuoco celeste. » (pp. 778-779)    Dunque il sacerdote del lago di Nemi era lo sposo della  quercia in cui si riteneva incarnata Diana; era il ramo di vischio e si identificava con il dio Virbio/Zeus o meglio col principio fecondatore del fulmine, del fuoco celeste. Spezzare il ramo di vischio significava togliergli la vita stessa e toglierla al mondo dei viventi. Come accadeva in Egitto dove in origine il re dopo un certo numero di anni veniva ucciso e sostituito da un altro più giovane per meglio rappresentare il dio e il principio di fertilità in terra (poi questo  rituale barbaro fu sostituito dalla festa del sed in cui era magicamente ridata la giovinezza allo stesso re), così per tutto il tempo della durata del culto di Diana Nemorense il sacerdote del santuario doveva essere costantemente il più forte per garantire la fertilità del sole e del fulmine, il fuoco celeste che come quello di Vesta, pure venerata nel santuario, non doveva estinguersi mai. 

I naufraghi del Chersoneso tracio facevano dunque una fine completamente opposta a quella di Odisseo naufragato sulle coste dell’Etruria. E dalle leggende dell’antico Lazio emergono la barbarie della popolazione locale e le proteste dei Greci che ricalcano quelle di Odisseo al gigante Polifemo, il nessun rispetto verso gli dèi e gli uomini. Ma dai quei tempi lontani le cose sono drasticamente cambiate e ora Omero e la casta dirigente di Tarquinia (fra cui spicca il greco Demarato) si propone il miglioramento dei costumi non tanto della popolazione locale, il cui passato barbaro è un lontano ricordo (a Roma e in Etruria, non nel Lazio), quanto  degli stessi stranieri del civilissimo oriente, greci in primo luogo (i poemi omerici sono in greco perché rivolgono il loro messaggio agli ellenofoni). Per quanto riguarda il rapporto interno i Latini si sentivano fondatori di Roma attraverso il greco (così era ritenuto da loro e anche da Dionisio d’Alicarnasso) Enea troiano capostipite della dinastia d’Alba Longa.  Non era vero che Roma fosse stata fondata da ecisti provenienti da Alba Longa o da qualsiasi altra città latina, ma ai Romani, al latino Tullo Ostilio re committente dell’Ira d’Achille cioè dell’Iliade, che aveva sottomesso il Lazio e distrutto Alba Longa, poco importava la versione filogreca che metteva al centro la figura di Enea purché pacificasse l’elemento latino (esaltandone le origini nel momento della sottomissione a Roma) e portasse investimenti e commerci a Roma.  Era vero invece, e il culto di Diana Nemorense lo prova, che i Latini o meglio le classi egemoni latine derivavano dalla tracia e dunque genericamente dallo stretto dei Dardanelli e della troade, e addirittura, chissà – a questo punto il passo è minimo –  forse proprio da Troia alla fine della civiltà micenea e cioè con l’incendio della rocca intorno al 1200 a. C. (Da notare a questo punto la stretta relazione esistente fra lemnio ed etrusco) Dunque possiamo concludere che Roma e Romolo coi suoi Ramnenses strettamente affini ai guerrieri Beniaminiti adoratori del lupo (meglio, dello sciacallo) provenienti dalla riva destra dell’Eufrate partecipava della civiltà siriana come gli affini Rasenna casta dominante in Etruria. Pur essendo probabilmente dei mercenari e degli avventurieri erano assai più civili degli Sciti adoratori di Artemide Taurica e mai avrebbero fatto ricorso al ratto delle latine e sabine se non avessero ricevuto un rifiuto offensivo. Quanto alle altre costumanze in comune con gli Ebrei c’era un dio simile a Dagan o Poseidone metà uomo e metà pesce di origine mesopotamica ma che si era attestato anche da Troia VI in poi, distrutta da un terremoto. Omero conosce questa parte della storia di Troia attraverso la leggenda della costruzione delle mura da parte di Poseidone mentre Apollo pasceva le greggi ingaggiati da Laomedonte, che poi si rifiutò di pagare e così Apollo mandò sulla città una pestilenza e Poseidone un mostro marino che faceva strage d’uomini. Gli oracoli fecero sapere a Laomedonte che solo offrendo sua figlia al mostro lo avrebbe placato e così Esione fu legata ad uno scoglio. Questo Dagan era venerato a Ugarit come dio degli inferi proprio come Conso/Poseidone cui Romolo dedicò le corse dei carri per celebrare la fondazione di Roma.

Laocoonte sacerdote troiano di Poseidone stava facendogli sacrifici quando due serpenti marini inviati da Atena (la corrispondente  dea del mare greca, cui il cavallo, simbolo marino, era dedicato) lo uccidono coi suoi due figli perché aveva capito che il cavallo nascondeva un’insidia dei Greci e non voleva farlo entrare in città.  Il cavallo può essere stato suggerito magari dal nome che si dava a macchine da guerra capaci di accostarsi alle mura di una città e trasbordare la fanteria sui camminamenti delle mura stesse e da questi penetrare in città, magari una combinazione fra la torre e  l’ariete, che abbatteva le mura stesse, le armi in uso presso gli etrusco-romani. Queste armi non erano in uso al tempo del massimo splendore di Troia, Troia VI, distrutta da un terremoto messo dagli antichi in relazione con Poseidone. E’ al tempo di Troia VI che gli Akkijawa sono stanziati nella piana della Troade. Dunque semmai gli Akkijawa erano i Troiani. Ma Omero, che conosce questa realtà dai documenti scritti e dalla tradizione orale tanto da immaginare l’invasione della Troade da parte degli Akkijawa/Achei, pone la guerra di Troia alla fine dell’età micenea e dunque al tempo di Troia VII, che lui non ha mai visto, come non ha mai visto Troia VIII. Dunque Omero sapeva anche che Troia VII è stata distrutta da un incendio. Ma vi si trovano manufatti di provenienza tracia. Troia e Micene sono state colpite dalla stessa calamità, probabilmente i Traci, nuovi barbari che sono calati nell’impero civile del II millennio occupandolo. La civiltà greca sarà la rinascenza dopo il buio medioevo, anche se i Traci apporteranno il loro contributo importantissimo alla rinascenza, soprattutto nelle arti e nelle lettere. E questa rinascenza, come quella che le succederà fra due millenni, avrà la culla sempre in Etruria, nel cuore d’Italia.  Omero fa di tutto per minimizzare gli elementi barbarici, Cimmeri e Traci, e preferisce che Troia sia stata abbattuta dai Greci (intendi Micenei) perché più civili e considerati sullo stesso livello dei Troiani, gli Akkijawa essendo per lui sia Greci che Troiani. Era comunque questo l’unico modo per creare un’antefatto mitico alla colonizzazione Greca dell’Asia Minore nell’VIII secolo. Ma gli stessi popoli invasori che abitano l’Asia Minore e la Grecia dopo la caduta dei regni micenei nell’età buia si identificano coi Micenei. Immanuel Velikovsky (che però è il primo che incontro che  dati Omero come me) e i suoi seguaci non mi convincono – ovviamente –  ad adottare la cronologia ribassista fondata sull’Antico Testamento invece che sulle cronache egizie, ma i loro lavori dimostrano l’attaccamento dei Greci e degli Asiatici dell’VIII secolo in poi all’arte e alle tradizioni d’età micenea tanto da riprodurre dalle opere monumentali come la porta dei leoni fino all’ultimo vaso di coccio, con le stesse identiche caratteristiche iconografiche a distanza di quattro secoli, distanza che l'occhio anche poco esperto riconosce facilmente.

Porta dei Leoni a Micene e tomba frigia tagliata nella roccia ad Arslantas

Caccia al cervo: stele micenea e neo-ittita da Malatya in Siria settentrionale

Il vaso dei guerrieri da Micene e il cratere di Aristonothos con l'accecamento di Polifemo, da Cere

Velikovsky e altri non si sanno capacitare di questa realtà e ne concludono che queste opere separate da 400 (che poi si riducono a 300 perché le distruzioni riconducibili all'età della "guerra di Troia" scendono fino al 1100 a. C. e  oltre) anni devono essere contemporanee. (Non si riesce poi a comprendere come mai Velikovsky sostenga contraddicendosi una serie di catastrofi di così grande portata - e per lo più infondate - che a mio parere giustificherebbero appunto l'età buia.)  In realtà parlare di secoli bui è fuorviante perché evidentemente in questo periodo di tempo è solo l’archeologia che tace mentre la tradizione continuò senza sbalzi attraverso popoli pastorali e nomatici che vivevano sotto le tende quali erano i Traci, ed è ai Traci ed alle popolazioni similari entrate in Grecia e altrove che dobbiamo il geometrico, lo stesso geometrico dei loro tappeti con cui rendevano confortevoli le loro tende. Dobbiamo immaginare anche che si scrisse, magari solo nomi o formule magiche e religiose su materiale non solo archeologicamente deperibile; che si realizzarono opere artistiche o artigianali  che se non appartengono a quelle archeologicamente deperibili siti (non città ma accampamenti, ovviamente) scavati in futuro riporteranno alla luce. A Micene sono state scavate tombe a cista nell'età buia in cui ovviamente i vivi vivevano all'esterno della città sotto le tende. E' noto come gli etruschi costruissero le tombe dei morti (tombe rupestri, scavate nella roccia, che sono sopravvissute) in faccia a quelle dei vivi (di cui non v'è praticamente  più traccia).  Le tombe a cista le ritroviamo anche nella più antica fase della civiltà etrusca, dove un segnale di nomadismo è documentato dalle enormi tombe a tumulo (rappresentanti come dei tendoni da circo, le tende dei popoli nomadi) della necropoli della Banditaccia a Cere.   

Fu questa nostalgia del mitico mondo miceneo ad aprire le porte alla poesia omerica nel mondo greco e Omero e i suoi committenti Demarato e Tullo Ostilio conoscevano bene questa realtà. Lo sfondo che in altri lavori ho definito medievale di tipo celtico, dove domina il re pastore e mandriano, si chiami Paride o Nestore o Odisseo o Davide, dove dominano le faide fra clan e i furti di bestiame tipici della tradizione dell’Europa agricolo pastorale dall’Irlanda, all’Italia meridionale e insulare, all’ex Jugoslavia, all’Albania, ecc., è dunque derivato in Omero dall’Europa meridionale a nord della Grecia, alle odierne Albania, ex Jugoslavia, Bulgaria, Turchia europea, dalle popolazioni tracie che insistevano ai confini del mondo miceneo e alla fine lo avevano travolto. Come abbiamo detto, anche in Italia giunsero alcuni rappresentanti di questa civiltà, agricolo pastorale, i Latini  che in odio ai re etruschi mercantili ripiombarono la Roma cantata da Omero nel buio dell’oscurità da cui dovette tribolare lungo tempo prima di riemergere comunque a regina del mondo. Il saturnio era il verso dei modesti canti pastorali dei ladri di bestiame da Caco a Romolo e Remo pastori di Amulio e ai pastori di Numitore. Il lavoro di Milman Parry sulla poesia formulare orale è  raccolto in: The Making of Homeric Verse: The Collected Papers of Milman Parry, Adam Parry, Oxford, Clarendon Press, 1971. Se ne può avere un’idea in:  

http://www.mcluhan.utoronto.ca/index.htm

alla voce: Milman Parry: The Oral-Formulaic Style of the Homeric Tradition.

Naturalmente Milman Parry non va più seguito quando si parla di Omero, perché egli distrugge Omero e l'importanza della sua creazione. Già dal tempo di Romolo fondatore di Roma la realtà era ben diversa in quanto Romolo era della stessa stirpe dei Rasenna che dominavano sull’Etruria dall’orientalizzante. Romolo nella realtà poteva essere solo un pastore di uomini, un capo militare. Comunque quando per la prima volta Omero fu  incaricato di elaborare due poemi in  lingua greca e in verso adeguato solo poté avere come punto di riferimento e partenza il locale verso saturnio che già aveva servito egregiamente a cantare le imprese degli eroi e primo fra tutti Romolo. E infatti che la poesia omerica sia nata da  una poesia più antica esclusivamente orale che faceva uso di  versi formulari raccolti per tema e da ripetere identici (o con variazioni sul tema) in situazioni identiche è dimostrato dalla traccia che di questo modo di poetare è rimasto ma è minoritario  in Omero. Un  indizio sulla poesia etrusco-laziale primitiva ci viene dalla X pitica di Pindaro: « Né a piedi, né sopra naviglio tu trovi la via prodigiosa che ai ludi iperborei mena. Un dì fra quei popoli giunse, a banchetto con essi il duce Perso. Li colse che offrivano al Nume insigni ecatombi d’onàgri: ché assai Febo ha cari i loro festini e le preci; e ride, mirando dei bruti la balda salacia. Né da le lor costumanze ha bando la Musa. Ma sempre carole s’aggiran di vergini, e grida di lire, di flauti strepiti. Ed oro di lauri cingendo a le chiome banchettan con animo lieto: né morbi né uggiosa vecchiezza la sacra progenie contamina; e senza travagli né guerre passan la vita, schivando la Nemesi. » E’ evidente l’identità dei Lidi iperborei con i Feaci di Scheria e gli Etruschi. La presunta superiorità greca emerge laddove i civilissimi etruschi fra VI e V secolo sono definiti bruti baldamente salaci, ciò che richiama alla mente i fauni e i butteri della Maremma descritti dal Lawrence e che rappresentano l’Etruria nella fase di declino. Quanto agli onagri c’è il richiamo alle origini cananee della casta dominante etrusca e romana di Romolo. Omero opera servendosi della letteratura del Vicino Oriente antico e della scrittura. La sua è opera di prosa recitata in versi più che di versi estemporanei. Poi anche Omero  cantò  le gesta di Romolo (e quest’opera certamente in etrusco o in latino arcaico andò perduta per colpa del sentimento antietrusco della Roma repubblicana oltre allo scarso interesse per la poesia di un popolo che doveva prima erigere – con le armi e col sangue –  l’edificio cui quella poesia avrebbe potuto essere dedicata), traendone spunto poi per ricalcarci sopra la vendetta di Odisseo sui Proci. Il canto delle gesta degli eroi va di pari passo con l’elogio funebre e Dionisio dì Alicarnasso ci assicura che questa istituzione è più antica presso i Romani che presso i Greci. Quanto argomentato finora ci chiarisce la tradizione di Catone riportata da Cicerone secondo cui dalle Origini di risulta « che i convitati durante i banchetti avessero l’abitudine di  celebrare al suono del flauto le virtù degli uomini illustri » (Tuscolane I, 2), per cui il parallelo visivo delle tombe dipinte di Tarquinia è posteriore di almeno un secolo all’epoca cui Catone si riferisce. Ed è a Demodoco, il cantore cieco dei Feaci di Pyrgi, porto – siamo intorno al 680 a. C. –  di Tarquinia, che dobbiamo guardare per derivare qualche cenno della poetica etrusco-romana da cui parte Omero. In particolare dobbiamo studiare la sua esibizione nella spianata di fronte al tempio-banca internazionale della dea Ino-Leucothea a Pyrgi di cui il Viaggio d’Odisseo (il nucleo originario dell’Odissea) celebra l’inaugurazione sotto il corinzio Demarato (l’Alcinoo di Scheria), mecenate di Omero e vero e proprio fondatore del decollo economico di Pyrgi e dell’Etruria meridionale nonché di Roma attraverso suo figlio il primo re “ etrusco ” Tarquinio Prisco (Laodamante figlio di Alcinoo). Dunque Demodoco con la sua forminx, con la sua cetra non è escluso a sette corde come già  sul sarcofago di Haghia Triada,  sta al centro della scena, e intorno a lui dei giovani danzatori « battevan coi piedi il ritmo divino: Odisseo l’agile gioco dei piedi ammirava e stupiva nel cuore. » (VIII, 264-265) Odisseo ammira seriamente, non ironicamente come potrebbe fare un  greco che si incontra con una popolazione da lui ritenuta (come lo sono per i greci tutte quelle diverse dalla greca) inferiore. Eppure dopo l’esibizione di Demodoco gli stessi giovani fanno corona ai danzatori con la palla battendo « il tempo in piedi nell’arena: strepito grande saliva. » (VIII, 379-380) E ancora una volta Odisseo si complimenta seriamente: « Alcìnoo potente, gloria di tutto il tuo popolo, ti sei vantato che siete danzatori eccellenti, ed era molto vero: stupore mi vince guardando! » (VIII, 382-384).

Quanto precede porta necessariamente a confermare la nostra tesi che Omero fu il primo poeta epico derivando ciò dal fatto unico della commissione di due poemi celebrativi della grandezza di Tarquinia e Roma di cui egli fu l’autore. Senza committenti, senza i ricchi mecenati etrusco-romani non si sarebbero potuti mettere in cantiere i due poemi. Omero trasse spunto dalla poetica celebrativa dei banchetti etrusco-romani che ancora al suo tempo non poteva essere in greco né in esametro, ma in etrusco-romano e in saturnio. L’esametro derivato dal saturnio sarà stato dunque l’adattamento metrico alla lingua greca anch’esso inventato da Omero. Secondo Cesio Basso (I sec. d. C.) il saturnio era quantitativo come gli altri versi classici. Alcuni dei saturnii pervenutici sono esametri e tutti gli esametri sono riducibili a saturnii. Omero compone il Viaggio d'Odisseo verso il 680 a. C. e subito circolano, a partire dall'Italia (vedi foto sopra del cratere di Aristonothos), le immagini dell'episodio più amato, quello dell'accecamento di Polifemo. C'è già la scrittura e Omero stesso o chi per lui scrive in greco i suoi poemi, prima di tutto perché il primo poema, il Viaggio d'Odisseo, viene commissionato dal mercante greco Demarato, signorotto di Tarquinia e Pyrgi, ma soprattutto perché costui, integrato nella società etrusca, si rende conto (pensando pragmaticamente all'etrusco-romana) che è importante celebrare il decollo economico di Pyrgi col suo tempio-banca con un poema in greco, lingua internazionale, che abbia a protagonista un eroe corinzio (madrepatria del mecenate che si nasconde con suo figlio Tarquinio Prisco re di Roma dietro i personaggi di Alcinoo e Laodamante) a suo tempo ospitato dai regnanti locali cui vien fatta risalire la relazione di amicizia ospitale coi mercanti greci che così verranno a commerciare con l'Etruria. Quando Tullo Ostilio re di Roma vorrà celebrare il centenario della fondazione della città eterna avrà la strada spianata e oltre all'intento economico identico a quello di Demarato aggiungerà quello della pacificazione fra l'elemento latino (i Latini si dicevano discendenti degli Achei) e quello romano celato dietro a quello acheo-troiano della riconciliazione fra Achille e Priamo. Si trattava dunque di adoperare una determinata metrica per la messa in versi dell'opera, l'esametro. Ma da cosa deriva l'esametro omerico? Omero lavorava per Demarato e dunque si potrebbe pensare che fosse greco, corinzio, venuto a Tarquinia al suo seguito, e dunque utilizzasse la metrica in uso in Grecia. Contro questa ipotesi c'è il fatto che i poemi ciclici furono composti e scritti in Grecia posteriormente all'arrivo colà dei poemi omerici (e ciò conferma che la guerra di Troia e i ritorni sono frutto della fantasia omerica perché altrimenti li si sarebbe celebrati assai prima di Omero e qualche traccia scritta ne sarebbe pervenuta fino a noi) e si trattò di robaccia non sopravvissuta fino ai nostri giorni. I Greci non capirono assolutamente la poesia del canto omerico e fecero degli aridi mattoni di  mitologia senza alcun afflato umano. La poesia omerica era estranea alla cultura greca, perché  se Omero oltre ad essere greco avesse anche operato in Grecia, non è pensabile che tutta la poesia in esametri precedente sarebbe sparita del tutto senza lasciare traccia. Il greco Omero non avrebbe potuto essere l'unico genio sorto dal nulla. Anche un solo misero e breve canto sarebbe stato sicuramente trascritto e pervenuto a noi dal tempo della diffusione dell'alfabeto greco nei due secoli precedenti l'opera omerica.  

In un primo tempo, date le origini greche ma anche rasennie cioè siriane-etrusche di Omero, avevo pensato di ricercare nella poetica dei salmi l’origine dell’esametro omerico, ma mi è stato subito evidente l’inconciliabilità fra i due metri, senza parlare del fatto che tutta la letteratura ebraica è postomerica e inventata dalle letterature orientali e dagli stessi poemi omerici e dunque se Omero non può essersi ispirato ai soggetti dell'Antico Testamento non lo ha fatto nemmeno con la metrica dei salmi. Per riportare alla memoria qualche esempio da me già fatto, la storia di Preto che invia Bellerofonte con un messaggio cifrato dal re della Licia affinché questo uccida il latore del mesaggio si trasforma nella storia  di  Davide che per prendersi Betsabea con un messaggio ugualmente segreto fa uccidere Uria l'ittita marito di questa. La stessa passione di Antea moglie di Preto per Bellerofonte che rimane fedele all'ospite si trasforma nella passione della moglie di  Putifarre  per Giuseppe. Il libro di Giobbe è evidentemente derivato, ma confusamente, senza  aver minimamente compreso l'elevatissima moralità del poema omerico, dall'Odissea. Definii scherzosamente Nestore re di Silo invece che di Pilo, mentre mi è oggi evidente che al contrario furono le tradizioni relative a Nestore - vedi i miei lavori omerici su questo sito -  ad ispirare il lavoro coatto di Abramo presso Labano per sposarne le figlie, e mentre non vi è prova del regno unitario di Saul, Davide e Salomone, a maggior ragione non v'è prova del santuario federale di Silo col suo dio, ideati a partire dal santuario federale etrusco - menzionato indirettamente  da Omero nell'Odissea - col suo dio proteiforme Vertumno assimilato a Conso/Poseidone cui era sacro non l'asino (come riporta Giuseppe Flavio in Contro Apione) bensì il cavallo. Stesso discorso vale per certe frasi che gli autori dell'Antico Testamento  copiarono, e  male, dai poemi omerici. Un nuovo parallelismo  da aggiungere all'elenco  è quello della preghiera di Agamennone a Zeus: « Zeus gloriosissimo, immenso, nube nera, ch'abiti l'etra, non si nasconda il sole, non scenda la tenebra prima ch'io abbia steso a terra il palazzo di Priamo... Disse così, ma il Cronide non lo esaudiva... » (Il. II, 412-419) Non lo esaudiva perché  la richiesta cozzava contro la scienza astronomica, mentre Giosuè fa la stessa richiesta a Jahvè ed è esaudito perché con gli ebrei anche l'impossibile è divenuto possibile perché Jahvè può tutto, anche il miracolo contro le leggi da lui stesso, dice chi ci crede, poste: « Si fermò il sole e la luna rimase immobile finché il popolo non si vendicò dei nemici. » (Giosuè 10, 13). Per la verità c'è un altro passo omerico in cui Era, per far terminare la battaglia, accelera l'arrivo della notte facendo tramontare il sole (18, 239ss), e questo rappresenta semplice fantasia da parte di Omero senza implicazioni religiose  o altrimenti è un'interpolazione perché per me Omero è ateo. Ma se gli Ebrei copiarono Omero ciò avvenne perché ne condividevano una certa origine, quella che ho chiamato  tracia, e in altri lavori con altri nomi, ma sempre proveniente dal nord, e il lungo periodo - l'età buia - di nomadismo e migrazione potrà essere stato interpretato come il lungo viaggio dell'esilio prima di giungere in Israele, anche se al momento non intendo mettere  in discussione l'altra non incompatibile tradizione ebraica dell'origine dall'Egitto. 

Omero pare piuttosto nato in Etruria e qui vissuto fra Tarquinia e Roma, dunque ambientato nella cultura locale che conosceva il verso saturnio, assai simile all’esametro e che Omero perfezionò nell’esametro per adattarlo alla lingua greca. Se ciò che propongo è vero, Ennio avrebbe (ri)tradotto in latino su versi saturnii l’Odissea di Omero pensata da questo (anche) in etrusco (o magari anche in latino) e in versi saturnii e composta ad uso dei Greci in greco e per l’occasione perfezionando il saturnio nell’esametro. Non credo che il saturnio sia derivato dall’esametro omerico, bensì che questa fosse la metrica indigena etrusco-laziale le cui origini si perdono nella notte dei tempi e comunque più antica dell’esametro omerico che, se fosse cosa greca, apparirebbe, in Grecia, come un’invenzione dal nulla. Tutti i popoli  preletterari hanno avuto i loro canti celebrativi di uomini e fatti illustri, li ebbero i Celti, i Germani, certo anche  gli Etruschi e i Latini. Uno che ha studiato l’originaria poesia romana è Thomas Babbington Macaulay il cui lavoro si può leggere integralmente in Lays of Ancient Rome.  Questo autore nota come la storia romana arcaica narrata da Dionisio d'Alicarnasso e soprattutto da Livio mostra di essere derivata - dopo l'incendio gallico che distrusse tutti gli archivi della città - dalle ballate portate a memoria che celebravano gli eroi e i fatti notevoli del passato. L'autore ritiene di poter percorrere il processo inverso e ricostituire le antiche ballate dai brani di storia romana, e qui io non lo seguo più. Musica e poesia sono andate di pari passo ma salvo qualche brandello la musica antica è scomparsa coi documenti che la tramandavano. Ricostruire la musica che accompagnava la divina poesia di Omero è impossibile, ma forse non è impossibile renderci più o meno conto di come poteva funzionare nella sostanza (è poi evidente che ognuno poteva fare le variazioni sul tema e noi non possiamo sapere quali variazioni siano state realmente affiancate alla poesia omerica, mentre possiamo più o meno comprendere quale fosse il tema). Sull'argomento vedi:

http://www.oeaw.ac.at/kal/sh/#

 

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