ovvero
L’Apoteosi del faraone Radamanto/Seqenenra Ta’o II e della regina Alcmena/Ahhotep, 1550 a. C. ca.
Decidendo che un giorno avrei decifrato il Disco di Festo, a sedici anni ho iniziato la mia carriera di storico. Sono entrato nel documento nel dicembre del 1984, tre anni dopo la laurea in Giurisprudenza, identificando esattamente il nome di Radamanto re di Festo. Intanto imparavo le lingue antiche (oltre alle moderne) e soprattutto l’egizia, sulla grammatica del Gardiner, ben sapendo che prima o poi mi sarebbe stata utile, e poi s’è rivelata indispensabile, per l’interpretazione di questo straordinario documento (lo stesso è stato per il greco moderno – quello antico l’avevo cominciato a studiare al classico – e per il sanscrito). La decifrazione era ormai ampiamente sviluppata nel settembre del 1992 quando identificai definitivamente la natura funeraria del Disco. Da allora nuove scoperte sono venute arricchendo la decifrazione, da anni sostanzialmente definitiva, e l’interpretazione, la cui complessità non è da meno della decifrazione. L’accoglimento da parte dei micenologi? Totale ostracismo e rifiuto di pubblicazione. Comunque grazie a internet e al mio provider d’ora in poi tutti potranno finalmente – e democraticamente – conoscere la mia decifrazione e finalmente i tanti ciarlatani smetteranno di menzionare il nome del Disco di Festo invano… o almeno si spera vivamente.
Disco di Festo, lato A
Disco
di Festo, lato B
Il Disco di Festo è un
disco di 16 cm ca. di diametro e 2 cm ca. di spessore,
in argilla depuratissima che dopo la cottura, voluta, ha preso un
colore giallo-oro. Rappresenta il disco d’oro del dio Ra‘ posto sotto il
capo del faraone defunto. Fu scoperto nel
1908 a Festo, Creta centro-meridionale, e pubblicato dal direttore degli scavi
italiani L. Pernier. E’ il
supporto di un testo funerario cui attribuisco il nome di Apoteosi di
Radamanto (e d’ora in poi parlerò di Apoteosi di Radamanto o di Apoteosi
semplicemente, e non più di Disco di Festo) costituito da una successione di
sillabogrammi (disegni che rappresentano sillabe) impressi dal centro verso
l’esterno. Supponiamo che io voglia scrivere la parola tavolo con una
scrittura sillabica analoga a quella del Disco di Festo,
imprimerò di seguito tre disegni:
della tazza (corrispondente al valore fonetico TA), del vomere (VO) e
del lombrico (LO).
Traslitterazione.
Lato A: ma-ka-ri
da(i)-mon la-wri-i-pi-pi-ti-si ma-ka-ri I-so-nia da(i)-mon-ti-si ti-ke-on
so-tei-ra-ki pi-ra-pro-no-pi-ti-si Ke+r-on-ti-si Da(i)-pni ra-nia-ri-zei-pi-si
Ke+r-on-ti-si ni-wa-djo la-wri-i-pi-pi-ti-si Ke+r-on-ti-si Da(i)-pni
ra-nia-ri-zei-pi-si ne-kro Ma-nia-por-ti-si de(i)-mn°-wi-da(i) i-so-wi-ti-si
i-ke-on sa-ra-ki-ti-si me-ro-pi ti-de(i)-jo-pi djo-mn°-is-ti-si ste-ni-ni
De(i)-jo-ni ti-mn°-o Ra-da(i)-mon-ti-si.
Lato B: De(i)-jo
zei-nja-ste-ni de(i)-nja-i-ki-si de(i)-ra-kro-wa-ko
Me-de(i)-mi-ni-to o-ra-nja-de(i) De(i)-jo-de(i) i-ra-de(i)
zei-nja-ste-pi Me-de(i)-mi-ni-to De(i)-jo-ni mon-me-ni Me-de(i)-mi-ni da(i)-pi-ko-si
djo-kro-pro-i-ki da(i)-djo-ni ra-no-n i-re-o-o-ni da(i)-ma-zei-pi mn°-mi-ke-si
i-mn°-o-de(i) zei-a-wri-to Ra-da(i)-mon-de(i)-se djo-kro-da(i)-mon
Ta-ra-nja-n ti-rei-o-djo pi-zei-to Pa-nja-wri-si i-de(i)-jo-pi
de(i)-mn°-to-ti-si.
Il
lettore può agevolmente confrontare sulle foto del Disco di Festo messe a
disposizione che a ciascun disegnino o, meglio, sillabogramma, attribuisco
sempre e solo un determinato valore
sillabico. +r corrisponde all’analogo segno aggiuntivo del geroglifico luvio,
una piccola virgola aggiunta sotto il segno ‘corno bovino’, ke,
greco kéras, kératos, corno (vedere foto A e ingrandire l’immagine se
necessario), segno che si aggiunge ai 45 impressi nel testo definitivo
dell’Apoteosi (in realtà i segni del sillabario festio, scoperti quasi
tutti da chi scrive, sono oltre 60). Un segno mostra di valere pro e por:
procellaria o porphyrìōn. mn° può leggersi con, volta a volta, una
delle cinque vocali al posto di °. Come si può notare la vocale è per lo più
la o ed è spesso indicata dalla
vocale che segue; nel caso di de-m(õ)n°-wi-da
si tratta di una η, ē. La (i) è un suono insito nella sillaba cui
accede ma a volte emerge, a volte no.
Trascrizione.
Lato A:
Makàri’ dàimon lawrýiphi-spìtis. Makàri’ Isònoia, daimòn
t’ēs tykhèon, sòteira kē peirapròno’ spìtis. Kreiontìs Dàphnē
rh’aniarìzeiphi sòi - Kreiontìs niwàdio lawrýiphi-spìtis - Kreiontìs
Dàphnē rh’aniarìzeiphi sòi nekrò’ Maniapòrtēs, dēmòn ē wìda isowithýs oikèion.
S’arakhthèis (1) meròiphi Tydèiophi, diò mnēsthèis sthenèian Dēion
thýmen’ o Rhadàmanthys.
Lato B:
Dēio Zēniàstthen, deinē aigìs d’ewràkrou wagoù Mèdei-Mìnito’
- ouràniade Dēiode hìrade (2) Zēniàstthenphi Mèdei-Mìnito’ -
Dēion monomènē’, Mèdei-Mìni’,
dasphiggòs [gg = pronuncia ng] dyokròa pro oikìe dadìon rhanòn, hirèio
on, damàzeiphi mnēmeĩ’
(A)khaiois [aioi = ei; opp. mnēmeĩ’ ếgeis]. Hymnòdei zèi
àwrito’ Rha dàimon’ d’èis dyokròa dàimona (3) Tarànian. Thýrē’
hodòio (4) pièzei toù Phaniàwrēs idiòiphi dēmòn autoù tēs
[= tàis].
(1) osté’ arákhthē
in Omero è: si fracassava le ossa; ciò s’addice allo stato della mummia di
Seqenenra Ta’o II. (2) hirà a fianco di hierà è omerico. (3) Lo scriba
avrebbe dovuto usare qui il segno
mn° invece di mon. (4) hodoĩo
è omerico.
L’accentazione è
pensata al solo fine di consentire una lettura adeguata a chi non ha fatto gli
studi classici, dato che ai micenologi il mio lavoro non è mai interessato.
Traduzione.
Lato A:
Beata dea del labirinto. Beata Isonoia,
dea del destino e custode della casa che protegge il passaggio
(all’al di là). La Creontide Daphne vi consacra a te - la Creontide,
nell’inaccessibile del labirinto - la Creontide Daphne vi consacra a te la
mummia di Maniaporte, esperta delle leggi e delle consuetudini
nazionali dei popoli. Ti è stato massacrato dai reparti di Tideo,
perciò è stato sposato alla forte Deione il celebrato Radamanto.
Lato B:
Deione di Diospolis, terribile egida di Minosse che su molti regna
sovrano - alla celeste Deione santa nella Diospolis di
Minosse - A Deione rimasta sola, Minosse, avendo asperso al lumino
davanti al tempio delle doppie corna della Grande Sfinge, essendo nell’area
sacrificale, vi uccide al sepolcro gli Achei (opp. coloro che hanno condotto
le celebrazioni commemorative). Intona poi l’inno de “la
barca del mattino del dio
Ra” alla dea delle doppie corna Tarania. La porta d’ingresso (della
cripta) imprime Phaniawrēs
cogli emblemi dei popoli, quelli di Radamanto.
La
morte di Radamanto nella guerra
dei Sette contro Tebe, un episodio della guerra di liberazione della XVII
dinastia tebana contro gli Hyksos
Un racconto popolare
egizio posteriore di quattro secoli agli avvenimenti, si apre narrando…
Ora avvenne che la
terra d’Egitto fosse in dura afflizione, e non c’era alcun sovrano che
fosse re di quel tempo. E accadde che il re Seqenenra governasse la Città
Meridionale… [cioè Tebe] mentre il
capo Apopi era ad Avari e tutto il paese gli pagava i tributi per intero…
Il re Hyksos del delta,
cioè del nord dell’Egitto, Apopi, cioè verisimilmente
Aweserra Apopi, inviò un singolare messaggio al re Seqenenra:
« E’ re Apopi che mi
manda a proposito degli ippopotami che sono intorno alla tua città, dicendo:
il loro frastuono è sempre nelle mie orecchie e non mi lascia dormire né di
giorno né di notte ».
Avari dista da Tebe…
seicento chilometri. Il fatto è che l’Egitto, senza più un governo
centrale, aveva avuto sinora dei
faraoni incapaci di rintuzzare le sempre maggiori pretese dell’occupante
asiatico (fin dalla metà del XVIII sec. a. C.) e così di giorno in giorno
questo si faceva più tracotante, assomigliando
al lupo della favola, che accusava, lui a monte, l’agnellino a valle, di
sporcargli, bevendo, l’acqua che scorreva ovviamente dall’alto in basso,
dal lupo all’agnellino. Il faraone, figlio di una civiltà millenaria e che
certo non si sarebbe mai scomposto di fronte ad una pretesa del genere…
Ammutolì e non seppe
che cosa rispondere se non che avrebbe provveduto a fare del suo meglio per
soddisfare il desiderio di Apopi. Partito l’ambasciatore, Seqenenra radunò
ufficiali e consiglieri, e li mise al corrente della strampalata richiesta: «
essi ascoltarono e stettero a lungo in silenzio e non poterono rispondergli né
bene né male. Poi il re Apopi inviò…
E qui finisce il
papiro. Che i consiglieri e generali non sappiano mai cosa rispondere o
rispondano in modo errato è un classico della realtà egizia, dove a brillare
per intelligenza deve essere solo il faraone. In ogni caso se Seqenenra Ta’o
II, questo è il nome completo, fu chiamato ‘il valoroso’ un motivo ci
deve pur essere. Attaccante o attaccato non si tirò certo indietro, morendo
valorosamente in battaglia. Abbiamo la sua mummia straziata da orribili ferite
al collo e alla testa, il cranio fracassato in più punti, il volto contratto
in una smorfia impressionante che
ha fotografato gli ultimi istanti della sua morte fra atroci sofferenze.
Mummia
del faraone Seqenenra Ta’o II
Sarcofago
della regina Ahhotep
Sua moglie Ahhotep, di
cui abbiamo in foto il sarcofago, visse invece a lungo e fu la memoria storica, l’animatrice,
della guerra di liberazione dell’Egitto dagli Hyksos, continuando la
guerra prima a fianco del figlio faraone Kamose e dopo la morte di questo come
reggente del figlio Ahmose fino alla ascesa al trono di questo
nel 1550 a. C. ca. Su una stele a Karnak così Ahhmose ricorda la
madre: « Una regina che si è presa cura dell’Egitto e dei
suoi soldati… che ha riportato indietro i fuggiaschi e che ha riunito i
disertori; ha pacificato l’Alto Egitto [con capitale Tebe] e ha espulso gli
oppressori ».
Lo scontro fra l’esercito
egizio guidato da Seqenenra e quello degli Hyksos avvenne diciamo intorno al
1570 a. C. Siamo nel Secondo Periodo Intermedio della storia egizia, un’età
buia, dove non essendoci che guerre mancano anche le informazioni scritte. A
Creta, questo stesso periodo,
intermedio fra i Primi e i Secondi palazzi, è analogamente scarso di dati,
e poiché non leggiamo le già poche iscrizioni, ancora più scarso di dati.
In base al raccordo fra archeologia e tradizione si può ritenere che
a Micene coi suoi Cerchi funerari B e A (inizio del XVI secolo) regna l’Hyksos
Danao. L’episodio dell’uccisione degli Egiziani da parte delle figlie di
Danao potrà collocarsi al tempo delle guerre fra la XVII dinastia tebana e
gli Hyksos. Dunque in base a questi ragionamenti la guerra dei Sette contro
Tebe in Beozia cui può accennare l’Apoteosi
potrebbe aver riguardato anche un faraone egizio. In base ai miei studi è
però ugualmente possibile un’altra interpretazione, che a me convince di
più per varie ragioni, ma che in questo lavoro lascerò in secondo piano
per non rendere troppo complicata la comprensione della mia decifrazione,
già così complessa. Dopo che ho dimostrato che la guerra di Troia (che i
Greci consideravano insieme alla guerra dei Sette a Tebe uno dei due fatti
epici della loro storia più antica) non
è mai avvenuta, ma è un’invenzione
di Omero (suggerita dai viaggi verso il mar Nero degli antichi Etruschi:
epopea degli Argonauti e varie altre contro la rocca di Troia) trasfigurante
il movimento dei popoli del mare e l’esodo greco verso l’Anatolia in
seguito all’invasione dorica, potrebbe
cadere anche l’altro caposaldo della storia greca più antica, la ‘guerra
dei Sette a Tebe’. Quando Omero
fa solo dei cenni a determinate avventure ‘epiche’ come ad esempio a
quella della nave Argo o alla guerra dei Sette a Tebe, non significa che
rinvii a materiale epico greco già noto. Non solo è più facile che faccia
riferimento a tradizioni etrusche ma addirittura potrebbe anche essere il
primo a parlarne come ne parla,
avendo nella sua testa la trasfigurazione di eventi della tradizione
etrusca. Omero dunque avrebbe potuto trasfigurare (nella sua testa) e
spostare di luogo analoghe
invasioni, o meglio la guerra degli invasori Hyksos da tempo stabilmente
insediati sul delta egizio contro i faraoni della XVII dinastia tebana,
tanto più che secondo Esiodo questa guerra fu combattuta per le greggi di
Edipo, dunque più un episodio di guerra di invasione barbarica che altro.
Dunque è possibile che la battaglia in cui morì Seqenenra/Radamanto si sia svolta davanti alle mura di Tebe beota ma anche, forse più
probabilmente, a mezza via fra il delta, regno dei sovrani Hyksos, con
capitale Avaris, e Tebe,
capitale dell’Alto Egitto e sede dei faraoni della XVII dinastia. In
questo caso la guerra dei Sette
a Tebe avrebbe preso il nome dalla capitale egizia Tebe e non da Tebe in
Beozia.
Il cavallo e il carro
da guerra erano stati importati in Egitto dagli Hyksos e così ci possiamo
immaginare secondo l’iconografia egizia e omerica il faraone Radamanto che
sul suo carro scocca dall’arco le sue frecce micidiali, mentre il suo
auriga frusta i cavalli e gli zoccoli di questi e le ruote del carro
calpestano i corpi esanimi dei nemici uccisi, mentre il loro sangue imbratta
l’assale e la ringhiera del carro. Si tratta di guerre in ampi spazi
pianeggianti con migliaia di carri e altrettanti fanti come quelle
combattute in Israele o appunto sul delta egizio, di cui conserva il
ricordo Omero a qualche
secolo di distanza. Ma in un giorno infausto del 1570 a. C. ca.
nella battaglia contro gli spregevoli Hyksos
l’egida del Sole raggiante guardava da un’altra parte e il carro
faraonico fu circondato dai carri e dai fanti micenei che ridussero il
povero faraone come possiamo vedere nella foto. Forse non fu nemmeno
possibile una vera e propria mummificazione.
L’Apoteosi c’entra
poco con Creta dal punto di vista della storia su cui getta direttamente
luce. Certo Creta era sotto il dominio dei sovrani Hyksos e la guerra
proseguì e anzi si svolse soprattutto nei domini oltremare in mano agli
Hyksos. Dunque Creta subì in
questo periodo devastazioni dovute alla guerra che si combatté casa per
casa per stanare i dominatori stranieri e alla fine l’isola entrò nei
possedimenti della doppia corona dei valorosi faraoni tebani della XVII
dinastia e della successiva XVIII dinastia. L’Apoteosi
c’entra invece molto con Creta per quanto riguarda
scrittura e lingua locale del possedimento egizio di cui
Festo era forse la città capitale.
L’Apoteosi è
riferita chiaramente ad una coppia faraonica il cui nome è reso grecizzato
in quanto coppia reale su Creta nel cui palazzo di Festo si parlava come
lingua ufficiale lo ionico (verisimilmente lo stesso ionico della corte
cadmea di Tebe). La regina si chiama Man-ia-porte (sanscrito: purti) che è
la traduzione esatta di Ahhotep (Possa la Luna essere soddisfatta). Il
faraone si chiama Radamanto ed è la possibile traduzione di Seqenenra (Ra‘
rende potente, o valoroso). L’Apoteosi fa anche
riferimento alla guerra dei Sette contro Tebe in Beozia. Come tutti
sanno, Edipo aveva risolto l’indovinello della Sfinge ed era diventato re
di Tebe, fondata da Cadmo fratello di Europa,
provenienti dalla Siria. Dopo aver scoperto di aver ucciso il proprio
padre e sposato la propria madre Edipo se ne andò in esilio, lasciando il
trono ai due figli Eteocle e Polinice, che avrebbero dovuto alternarsi nel
regno un anno l’uno, l’anno seguente l’altro, e così di seguito.
Eteocle allo scadere del suo anno non volle cedere il trono al fratello
Polinice, che raccolse una coalizione di sovrani dell’Argolide
guidata da suo suocero Adrasto d’Argo che assediò Tebe. Fra questi
sovrani c’era Tideo (menzionato dall’Apoteosi, anche lui genero di
Adrasto), che secondo Apollodoro era accampato
davanti alla porta Crenida, una delle sette porte di Tebe (Biblioteca III,
6). Durante la guerra Eteocle e Polinice si uccisero in duello e a Eteocle
successe Creonte (menzionato dall’Apoteosi). La guerra si concluse con la
vittoria dei Tebani e dei loro alleati. I Sette morirono tutti in guerra,
tranne Adrasto.
L’Apoteosi menziona
ancora Radamanto, informandoci che fu massacrato dai soldati di Tideo.
Sappiamo che Radamanto era figlio di Europa e dunque nipote di Cadmo. Logico
che caricasse la sua flotta (gestita da marinai Feaci, Od. VII, 323ss, cioè
dell’alta Siria) di carristi e fanti e prendesse il mare in direzione di
Tebe con lo scopo di spezzare l’assedio nemico, cosa che evidentemente
riuscì.
Se Seqenenra è
Radamanto, allora questo fu prima di tutto faraone tebano e secondariamente
re di Festo e di Creta. Che Seqenenra Ta’o II possa essere morto nella
piana di Tebe non è inverosimile se si tiene presente che l’impero degli
Hyksos comprendeva Creta, il continente greco e il Levante, terra d’origine
di questi sovrani, e che per sconfiggerli occorreva colpirli al cuore nei
loro territori più vitali. Basti pensare che ancora Ahmose al decimo anno
di regno colpì gli Hyksos, e questa volta definitivamente, nella loro
fortezza siriana di Sharuhen. L’Apoteosi menziona palesemente dei rituali
funerari egizi (Grande Sfinge, inno della barca solare di Ra, ecc.) e nomi
di personaggi egizi, Medei-Min
(‘Min regna’), teoforico del dio Min, che richiama il toro Min, ‘toro
di sua madre’ e ‘protettore della Luna’, e dunque il
Minotauro e Minosse. L’Apoteosi è chiaramente opera sua e lui dice
di provenire da Tebe o che comunque Tebe, egizia, è la sede del suo potere.
Se non si tratta di un altro nome di
Nebpehtira Ahmose, allora è quello del suo generalissimo della campagna di
Grecia. Poiché le celebrazioni riguardanti la regina Maniaporte sono
officiate dalla figlia di
Creonte governatore (per l’Egitto) di Tebe in Beozia, che in tal modo è
stato onorato per l’apporto essenziale che la rocca di Tebe ha dato come
caposaldo della difesa e dell’attacco contro gli Hyksos nei suoi
possedimenti oltremare, analogamente questo generalissimo potrebbe essere
stato onorato per la sua condotta delle operazioni belliche con il
presiedere alle celebrazioni funebri del re Seqenenra. Ma è chiaro che
tutto acquista migliore chiarezza se collocato nel quadro della guerra fra
Hyksos e faraoni della XVII dinastia tebana. Da tempo degli indeuropei erano
giunti in Egitto attraverso la Siria e possiamo considerarli i primi Greci.
Creonte può essere stato il governatore di Giza liberata dall’esercito
tebano recatosi a Wast (Tebe) per i funerali. Sarà più logico che i
funerali siano celebrati da egizi, anche greci egittizzati,
in Egitto, fra cui Edipo e poi Creonte e i suoi familiari. Anche
dalla parte degli Hyksos c’erano greci immigrati, come Adrasto e i Sette.
In quest’ottica l’impresa di Teseo contro il Labirinto (il Labirinto
egizio di Hawwara, nel Faiyum) potrebbe anche essere la trasfigurazione dell’assalto
di uno dei popoli del mare al
delta, una tarda replica dell’impresa
dei Sette contro Tebe egizia.
L’Apoteosi data
intorno al 1550 a. C. e alla sepoltura della regina Ahhotep nella tomba
rupestre di Dra Abu’ n-Naga (dove sono le tombe della XVII dinastia tebana)
a Tebe Ovest a fianco del consorte Seqenenra Ta’o II già da tempo
depostovi. Nella stessa occasione la coppia viene
divinizzata (e vi sono prove della venerazione come di vere e proprie
divinità della coppia faraonica precedente, Senakhtenra Ta’o I e
Tetisheri, e di quella successiva di
Ahmose e Ahmes-Nefertary). La moglie viene consacrata alla Signora del
Labirinto, cioè del tempio annesso alla tomba scavata nella roccia, a
Isonoia (dea del Giudizio Giusto), egizia Maet, con la motivazione: «
esperta delle leggi e delle consuetudini
nazionali dei popoli ». Poiché Radamanto è celebrato dalla
tradizione per la sua giustizia di re e dunque di amministratore,
legislatore interprete delle leggi e consuetudini dei
popoli non solo di quelli a lui soggetti ma anche gli altri con cui
intratteneva relazioni di ogni tipo, evidentemente
col tempo, in Grecia, in capo a Radamanto si venne a fondere la tradizione
riguardante anche e soprattutto la moglie. Radamanto, poiché è morto
valorosamente « massacrato dai soldati di Tideo » viene invece divinizzato
[*] e sposato (ierogamia) alla forte Deione o Dione (cf. Iliade V, 370,
381), la ‘Distruttrice’, Terribile egida del generalissimo Minosse, dea
e generale di
Diospolis (la città di Zeus), cioè
Diospolis magna, cioè Tebe in Alto Egitto. E’ la dea Hathor,
probabilmente nel suo aspetto
di Sekhmet. La dea propriamente funeraria cui viene intonato l’inno ‘della
barca del mattino (Mandjet) di Ra’ da Medei-Min (Minosse) è Tarania
(sanscrito: Taragna), la Nave, i Campi Elisi (Od. IV, 563ss), la stessa
Grande Sfinge di Giza. Questa seconda cerimonia è solo accennata come
avvenuta alla fine del lato A dell’Apoteosi. Sul lato B se ne descrivono
dei momenti: Minosse asperge la torcia (sul pavimento, presso la soglia) all’orbata
Deione (ma solo apparentemente perché essa sposa il defunto Radamanto)
davanti al tempio delle doppie corna della Grande Sfinge; uccide in uno
spiazzo antistante degli esseri
umani (vittime sacrificali che
ci rammentano i giovanetti Ateniesi salvati da Teseo che subito dopo uccise
il Minotauro/Minosse) di cui null’altro si dice se non che aspirano ad
unirsi con la dea; infine intona davanti al tempio delle doppie corna alla
dea delle doppie corna Tarania, l’inno ‘la barca solare del mattino’ (Mandjet,
con cui Ra‘ solca il cielo al mattino da oriente a occidente). Infine il
sacerdote Phaniawrēs (che ‘Splende al mattino’) sigilla la porta di
accesso alla cripta coi sigilli del defunto Radamanto su cui sono
raffigurati gli emblemi dei vari popoli a lui
soggetti. Lo scriba bilingue del santuario di Festo corresse il testo
(sovrapponendo quello definitivo; ma per fortuna non cancellando del tutto
quello originario) nell’adeguare la traduzione all’originale egizio. In
tre casi queste correzioni possono fornirci ulteriori informazioni. Di una
abbiamo già detto alla nota [*]. Nella seconda si fa accenno al faraone
come dēmòn poimēn ‘pastore di popoli’; nella terza abbiamo il
titolo ragale di
insibya, cioè re dell’Alto e Basso Egitto.
La tradizione greca
è coerente con quanto da me sostenuto, nel
senso che Radamanto andò via da Festo e si recò in Beozia dove
sposò Alcmena (nome semitico da Al-Qamar? Che significa ‘la Luna’: *Al-Qmera >
Alcmena) tebana ed egizia vedova di Anfitrione e madre di Eracle; ed anche nel senso che Radamanto fu sepolto con Alcmena lontano
da Creta. E’ chiaro adesso perché la tradizione greca voleva che Minosse
e Radamanto fossero originari della Siria, figli di Europa figlia di Agenore
o di Fenice. Questi due faraoni erano per loro associati alla civiltà del
Disco di Festo, che originava dall’Alta Siria. Con la decifrazione dell’Apoteosi
di Radamanto e con l’interpretazione dell’Iliade e dell’Odissea di
Omero ho scoperto una nuova importante civiltà, quella di Iperea, senza mai
aver preso in mano una pala o un piccone o uscire dal mio studio.
L’Apoteosi
e le pitture del sarcofago di Haghia Triada
Assai presto ho
cominciato ad utilizzare le scene dipinte sui lati lunghi del sarcofago di
H. Triada come bilingue per l’interpretazione dell’Apoteosi, specie da
quando ne ho identificato il contenuto funerario.
Il sarcofago e la tomba di H. Triada in cui fu rinvenuto, databili
intorno al 1350 a. C. si inseriscono in una ristrutturazione edilizia dell’area
di H. Triada con evidenti intenti celebrativi del glorioso passato in cui
Creta e Festo (ma anche H. Triada stessa) erano sotto il benefico dominio di
Radamanto. E’ in auge il culto della sfinge che si rifà alla sfinge
egizia (come quello della sfinge di Edipo) e anche il
signore defunto nel nostro sarcofago dipinto, una rarità, si
atteggia al Radamanto della tradizione adeguando il cerimoniale funebre a
quello del testo dell’Apoteosi, che dunque doveva essere ben noto e
tramandato di generazione in generazione.
Scena
dipinta sul sarcofago di H. Triada, lato lungo A
Scena
dipinta sul sarcofago di H. Triada, lato lungo B
Mentre l’Apoteosi
celebra di fronte al mondo intero l’esistenza di un nuovo dio protettore
della casa regnante e dei suoi popoli e ha dunque un carattere pubblico, il
sarcofago dipinto ha un carattere intimo e privatistico, mirando a far
risaltare la pietà dei familiari e della corte del defunto signore.
Per questo motivo l’artista su commissione ha messo in risalto
alcuni fatti menzionati anche dall’Apoteosi in parte facendoli vedere da
altra angolatura o facendo risaltare la continuità dei rituali funerari
anche oltre il funerale e altri ha omessi. Così è raffigurato il toro (in
realtà un uomo sacrificato - le gambe posteriori sono piegate come quelle
umane - rinchiuso in una pelle di toro) legato alla tavola per sacrifici,
già sgozzato (il suo sangue cola in un vaso a terra) e offerto con gesto
rituale dalla vedova in veste di dea Ecate/Artemide (la Dea Madre cretese),
con i capelli sciolti sotto la corona, seguita da un corteo di dame di corte
e una sacerdotessa (che nell’Apoteosi è la figlia di Creonte) che fa
offerte nel labirinto (cioè nel santuario annesso alla tomba) all’aperto;
sull’altro lato le due donne, seguite da quello che nell’Apoteosi è Minosse, versano il sangue della vittima in un cratere a
contatto col suolo e posto fra due alti pali (gli alti pali di Astarte
Ashera, la divinità siro-palestinese degli ‘alti luoghi’, antenata di
quella dell’Apoteosi e del Sarcofafgo) sormontati da doppie asce e da
uccelli neri (parenti della colomba di Anat-Atargatis-Derketo, greca
Afrodite). Si tratta della nekyia o evocazione del defunto che infatti
appare esile e minuto, lui che in vita è stato signore di popoli, di fronte
alla falsa porta della sua tomba a dado dove portatori
al seguito della ‘figlia di Creonte’ gli porgono offerte animali
e la nave per il viaggio ai Campi Elisi. Compare, ho detto, al seguito delle
due donne nella nekyia anche ‘Minosse’ che, al suono della cetra a sette
corde, intona l’inno ‘la nave solare del dio Ra’. Nel mentre, l’anima
del signore di popoli, bevuto
il sangue delle vittime, si materializza davanti alla sua tomba a ricevere
le onoranze funebri. Nel rievocare il buon re divenuto dio protettore della
città e di Creta il nostro capo locale intende anche lui nel suo piccolo
proporsi come dio protettore di H. Triada/Festo e Creta.
L’Apoteosi è la
relazione fatta da Minosse (Medei-Min) alla Signora del Labirinto (= Tempio
annesso alla tomba ipogea) Isonoia/Maet,
sulle cerimonie di divinizzazione, funerarie e di sepoltura da lui ordinate
come autorità suprema in Tebe d’Egitto a favore
di Maniaporte/Ahhotep e di
Radamanto/Seqenenra Ta’o II, cerimonie
celebrate insieme alla figlia del
re di Tebe beota Creonte.
Il palazzo di Festo a
Creta è sede del re. Lo scriba di palazzo ha scritto in greco un testo
egizio riportando dove possibile i nomi in greco per adattare le cerimonie
al contesto greco di cui pure la coppia faraonica era reggente. L’Apoteosi,
opera presumibile di Medei-Min/Minosse, fu
archiviata nel santuario di
Festo nel 1550 a. C. ca. E’ presumibile che le feroci guerre contro gli
Hyksos abbiano devastato l’isola di Creta determinando la fine dell’età
dei primi palazzi.
Poseidone/Dagan, dio dell’Occidente e del Paese Superiore (Hypereia omerica)
Il
sillabogramma n° 50, PO, Poseidone, nella casella A27
L’Apoteosi,
documento di importanza eccezionale è
interessante per molti motivi, ma soprattutto per lo scenario storico che ci rivela. La tradizione collega
Minosse e Radamanto alla Fenicia o meglio all’alta Siria attraverso la
madre Europa (l’Occidentale, Atargatis/Derketo), la dea paredra del dio
dell’Occidente e del Paese Superiore Dagan (l’omerico Poseidone). E
Dagan, il dio metà pesce metà uomo, colla
corona solare sul capo e verisimilmente il pastorale egizio nella mano
destra, già naturalizzato greco come Poseidone (l’omerico Signore della
Terra, Potis + Dā, che circonda o abbraccia la Terra), è stato da me
scoperto e identificato nel sillabogramma
PO, Poseidon (impresso dallo scriba che poi ha cambiato versione e l’ha
sovrimpresso con altro segno, per fortuna lasciandone visibile una parte
preziosa per la ricostruzione) grazie al contributo fondamentale di due
studiosi coi quali ho avuto una proficua corrispondenza, P. Faure (in un suo
dattiloscritto originale inviatomi v’erano gl’indizi per scoprire
la coda di pesce, segnalata
con un punto interrogativo come
la ‘nave’, ma che certo non
poteva corrispondere alla poppa della ‘nave’)
e J. Faucounau (cui mi aveva indirizzato Faure e con cui intrattenevo
in quel momento una intensa
corrispondenza, e che su mia segnalazione della scoperta di Dagan mi fece
notare, sull’ingrandimento della casella in esame, quella che secondo lui
era la testa della ‘lampreda’; viceversa mi fu subito evidente il volto
di profilo del dio Dagan, e in più, grazie
allo stesso ingrandimento, potei
intravvedere il
disco solare sul capo del dio e di intuire, più che altro, un braccio
destro con in mano il pastorale egizio o l’etrusco lituo, più che il
tridente che poi gli sarà attribuito dalla tradizione greca). Ciò per
quanto riguarda l’aspetto esteriore della civiltà. La lingua attestata
nell’Apoteosi è infatti lo ionico di influenza cretese formatosi alla
corte di Festo al più presto nel XVII secolo a. C. (quando dinasti Hyksos
come Khayan estendono il loro dominio anche su Creta) dalle parlate
indeuropee di ceppo indoiranico (di cui è traccia nel lessico e nell’onomastica
dell’Apoteosi) venute al seguito dei principi Hyksos nel corso del XVIII
secolo a. C. Dalla presenza della testa di Pelasgo/Filisteo (identificata
come tale già da L. Pernier nel suo lavoro
in cui pubblicò il ritrovamento del Disco) cui la mia decifrazione
assegna il valore
SI, Syrios (Erodoto chiama Siri i Pelasgi/Filistei della
Siria-Palestina: III 5, VII 89, ecc.) possiamo chiamare Pelasgi come la
tradizione i primi indeuropei, di origine sud-orientale (non nord-orientale
– dalla Tessaglia – come si immagina a partire da Omero, che poi
sostanzialmente confonde – con una parte di
ragione – il movimento
pelasgico con quello celtico), giunti al seguito degli Hyksos. L’Apoteosi di Radamanto impressa sul Disco di Festo ci
permette di affermare che dalla Siria-palestina arrivarono a Creta al
seguito degli Hyksos sia i Filistei che il loro dio Dagan, trasformandosi
qui nei Pelasgi e nel dio Poseidone. Altri
sillabogrammi del Disco confermano l’origine geografica siria mediata
attraverso l’Egitto (sede dei faraoni Hyksos della XV e XVI dinastia)
della scrittura e della lingua protogreca festia, come TO, egizio: To-meri ‘il Paese amato’, l”Egitto’, identificato nel Nilo e
raffigurato appunto dal Fiume composto da corso superiore (Alto Egitto) e
dalle ramificazioni (per semplificare due soltanto) del delta (Basso Egitto)
e BI/WI byblos, ‘foglio di
papiro’ (il pittogramma raffigura un foglio di papiro piegato), che i
Cretesi acquistavano nel porto di Byblos, in Siria, col quale l’Egitto
aveva rapporti risalenti al III millennio (Omero ci informa del fatto che
Radamanto per i suoi viaggi si
serviva delle navi dei Feaci, che erano depositari di una civiltà mista
cipriota-cilicia e alto siriana da cui poi deriverà nell’VIII sec. a. C.
la classe dominante a Cere – quella dei tumuli monumentali –
da cui discende lo stesso Omero)
Dalla qual cosa deduciamo che i Minoici, se non prima, dai faraoni
della XV dinastia impararono a scrivere su carta di papiro con calamo e
inchiostro una versione identica (magari
addirittura più particolareggiata e addirittura colorata differentemente
nei differenti particolari) o anche più semplificata fino a diventare
una specie di ieratica, della geroglifica dell’Apoteosi,
documentazione perduta a meno che non se ne possano trovare esemplari
conservati in Alto Egitto o in
altre regioni dal clima favorevole. La geroglifica festia parrebbe nata
gradualmente dalle esigenze pratiche di indicare sui sigilli ad esempio
il contenuto dei pithoi (le grandi giare dei magazzini palatini) o il
loro proprietario dapprima con semplici segni logografici, che cioè con un
solo segno (plurisillabico o monosillabico) rappresenta sempre e solo un
unico nome, di bene di consumo
o persona o divinità, ecc. In
seguito gli amministratori s’accorsero
che era possibile accostare questi segni (monosillabici) uno all’altro e
comporre parole nuove e più complesse. La casualità sostanziale della
creazione dei segni è data dal fatto che vi compaiono un po’ come nella
geroglifica luvia (attestata in alta Siria e con la quale probabilmente la
festia è imparentata essendo state entrambe ideate in un milieu
comune) segni sillabici
Consonante-Vocale o solo Vocale insieme ad altri CCV, CVV, VC, e segni
aggiuntivi: la virgola ( ,). Il sillabario festio è ripartito su 4 sole
vocali (a, e, i, o/u: probabile evidenza dell’ origine della lingua in
comune con l’indo-iranica) a differenza della Lineare B. La i corrisponde
alla pronuncia di i, ē, y, il che prova la necessità della lettura
neogreca del greco antico.
[*] In un passo
originario poi sostituito dal testo definitivo si accenna possibilmente ad
una assimilazione a Ra del defunto. Sia esatta o meno questa lettura
si deduce anche dal Disco, che fa da supporto all’Apoteosi,
in terracotta giallo-oro a simboleggiare il disco solare del dio Ra
in cui si trasformerà Radamanto. Anche la scrittura, che corre a spirale
all’interno del disco dal centro verso l’esterno in senso antiorario,
simboleggia il serpente, associato alla morte e resurrezione.