Esci               

                                               

                 
Marco G. Corsini
 
Le lamine auree punico-etrusche dal santuario di Uni-Astarte a Pyrgi (S. Severa) 500 a. C. ca. e l’affissione annuale del chiodo nel tempio di Nortia al Fanum Voltumnae  
 
 
La lingua etrusca è sostanzialmente nota, nel senso che da molti decenni conosciamo più che a sufficienza la grammatica (vedi quella di M. Cristofani). Quello che mancava era un buon ermeneuta, che sulla base del minimo vocabolario più o meno noto e della grammatica traducesse anche in modo attendibile  i documenti scritti noti, ottenendo per conseguenza un  vocabolario più ampio, utile alla più rapida traduzione delle iscrizioni non contemplate nel TLE o ancora da scoprire.  Ho tradotto da molto tempo la più parte del TLE di M. Pallottino, cominciando a realizzare il corpus dei testi etruschi tradotti e commentati, la grammatica, il dizionario, ecc. Non passerà molto tempo che sicuramente nessuno più parlerà di mistero della lingua etrusca né darà adito alla coltivazione del  mistero attraverso enunciazioni fallaci o lacunose.

Avrei potuto pubblicare già fin d’ora la più parte delle iscrizioni da quelle più lunghe a quelle più significative, ma il lavoro giace nei dischetti scritti col wordstar 4 (il relativo computer nel frattempo ha collassato)  e il nuovo sistema word 2000 non me li legge se non alterando ampiamente il testo. Ciò significa un lavoro supplementare che mi costringerà a pubblicare i documenti uno alla volta. Inizio la pubblicazione dalle tre lamine auree di Pyrgi perché utili alla comprensione del mio lavoro sui poemi omerici e in particolare sull’Odissea, il poema di Tarquinia (e prima di tutto del suo porto di Pyrgi) Signora del Mare.

 

Dopo il mio studio sui poemi omerici (vedi) e in particolare sull’Odissea è accertato che il santuario pirgense risale al primo quarto del VII sec. a. C.  per volere di una classe dirigente tarquiniese trainata da corinzi e dedicato alla dea Ino Leucotea (Pseudo-Aristotele, Oecon.  II, 1349 b. 33-35)-Ilizia  (Strabone, Geogr. 5,  2,  8; Ilizia, che  aveva aiutato Latona  a  partorire  Artemide  e Apollo,  proveniva  dal  paese  degli Iperborei: Pausania, I, 18, 5;  Juno Lucina è ricordata da  Orazio –  Carmen Saeculare, 14ss –  con l’appellativo di Ilizia Lucina  o Genitale;  da identificare con la Uni-Astarte delle lamine auree di Pyrgi, Augustinus,  Heptat. VII, 16:  Lingua  punica Iuno Astarte vocatur, e anche con Atena: aveva per attributo la lancia, Juno Quirite, ed era cinta alla vita da una pelle di capra, tanto da richiamare l’egida d’Atena) e ancora a Tinia/Zeus e ad Apollo (Eliano, Var. Hist. I, 20), ricorda il saccheggio delle preziose offerte ad Apollo e Leucotea avvenuto sulle coste dell’Etruria. I personaggi omerici invocano insieme  Zeus Atena e Apollo. Per quanto riguarda il culto catactonio di Adone rinvio a quanto ho scritto a riguardo nell'Odissea.

 

Foto della lamina aurea in punico

 

Il testo punico (parallelo a TLE 874)

 

L  RBT  L   ‘AŠTRT  AŠR  QDŠ  AZ    P‘AL  W    JTN  TBRJA  WLNŠ  MLK   ‘AL  KJŠRJA  B  JRH  ZBH  ŠMŠ  B  MTNA  B  BT  W  BNTW  K  ‘AŠTRT  ARŠ  BDJ  L  MLKJ  ŠNT  ŠLŠ   III  B  JRH   KRR  B JM  QBR   ALM  W  ŠNT  L  MAŠ  ALM  B  BTJ  ŠNT  KM  H  KKBM  AL

Probabilmente ci sarebbe da rivedere la traduzione di questo documento punico (anche se la revisione  non è comunque rilevante ai fini della traduzione del testo etrusco) e connesso con questa c’è la resa vocalica del testo che i semitisti non danno (e fanno molto male). Per questo lancio un appello ai madrelingua  ebraica, araba, aramaica, ecc. affinché mi suggeriscano come essi pronuncerebbero questo testo nella loro lingua. Vedrò poi di ricavare dalle varie letture suggerite quella più verisimile per il  dialetto e l’epoca specifici.

«  Alla signora  Astarte questo è il luogo santo  che ha fatto e che ha donato Tebaria Welinaš,  re  su  Kišria, nel mese  del  sacrificio  al  sole,  in offerta nel tempio.  L’ha costruito  poiché  Astarte ha concesso l’inizio  del suo regno  il terzo anno, nel mese di karar,  dal  giorno del seppellimento. Sia la durata  degli  anni del deposito,  la  durata  degli anni del tempio, quante queste stelle ».

 

 

Foto delle lamine auree in etrusco

 

 

Il testo etrusco di TLE 874 e 875

 

ita  tmia icac heramasva  vatieχe  unialastres θemiasa   mec  θuta θefariei velianas  sal  cluvenias  turuce  munistas θuvas   tameresca ilacve tulerase nac ci avil  χurvar tesiam eitale  ilacve alsase nac atranes zilacal sel eitala acnasvers itanim heramve  avil eniaca pulumχva (874).

nac θefarie  veliiunas θamuce  cleva  etanal masan tiur unias  selace vacal tmial avilχval amuce pulumχva snuiaφ (875).

 

χ = kh; θ = th; φ = ph.

 

« Codesta   area   sacra  e   questi   (valori) depositati furono consacrati a Uni-Astarte da Tiberio  della Velia, ordinato  re  sacerdote. Avendo   dato l’ordine della celebrazione, dedicò  codesti suddetti altari e le   camere, dove  aveva sostenuto da tre anni la raccolta  e  l’organizzazione di codesta imposta e  dove  era stato offerto, a partire dalla sepoltura,  della direzione  di  codesto  ufficio  dell’imposta  sulle nascite. Siano  a codesto deposito  anni  e signoria stellari (cioè eterni) » (874).

« Così  Tiberio della  Velia istituì  le  cerimonie  della  durata. A  masan, mese di Uni, officiò le offerte annuali del santuario e affisse gli  auguri stellari » (875).

 

Le iscrizioni delle lamine d’oro di Pyrgi (500 a.  C. ca.) sono posteriori alla cacciata da Roma di Tarquinio il Superbo (509 a. C.),  che trovò  rifugio  a Cere, dove  è attestata la tomba gentilizia dei Tarkhna. Tra i seguaci che lo seguirono  ci  fu probabilmente Thefarie Veliana cioè Tiberio Veliano,  della Velia (un colle  di   Roma  nei  pressi  del Foro,  tra Palatino ed Esquilino), nominato  re-sacerdote mekh thuta (il melek del testo punico) di Cere nello stesso  periodo  in cui  a Roma, dopo l’abbattimento    della monarchia, veniva istituito  il  rex   sacrorum (sacrificus, sacrificulus)   per svolgere le funzioni di carattere  religioso che  prima erano   di competenza del re. Quella di  thuta sembrerebbe essere stata la massima carica del sacerdozio, comprendente la  conoscenza dell’arte augurale, necessaria per  la dedicazione del santuario.

 

A Tiberio della  Velia  si  deve dunque il   primo impianto  del  santuario  di Pyrgi nel  suo aspetto  attuale. Costui intorno al 500 a.  C. consacrò, vatiece, e dedicò, turuce,  a Uni-Astarte il tempio B (più antico di quello A) e l’annessa   area C  di altari   sacrificali (tempio   e  altari chiamati  nelle lamine complessivamente t(a)mia e thuvas,  nonché  il thesauros,  heramu, un edificio  costituito  da poco meno di 20 camere, tameres, allineate sul lato orientale del tempio B per una  lunghezza complessiva   di  circa  70 m, destinate   a contenere   le  imposte  sulle nascite:  eitala acnasvers.   Nove altari   in allineamento irregolare fronteggiano alcune  celle.

 

Le iscrizioni pirgensi  sorprendono perché ci informano che Tiberio introduce  per la prima volta a  Cere due istituzioni che a Roma secondo la tradizione non sono anteriori al re Servio Tullio (600 a. C. ca.), e  cioè l’imposta sulle nascite, da versare al tesoro di Juno  Lucina, e, connesso colla  prima, quella del computo degli anni, cioè   le cerimonie (propiziatorie)  per  cui annualmente  il  re sacerdote affiggeva  gli   auguri   stellari (pulumkhva  snuiafh), cioè i chiodi di bronzo, con capocchia dorata, chiamati ‘stelle’.

Per  quanto riguarda il primo  istituto, « come scrive  L.  Pisone nel primo libro dei suoi Annali, volendo sapere il numero di quelli che vivevano a Roma, e cioè di quanti vi nascevano e  morivano e di quanti  raggiungevano  l’età virile, Tullio stabilì l’entità della moneta che doveva essere versata dai parenti per ogni nato al  tesoro  di  Ilithia,  che i Romani chiamano  Hera Phosphoros [Juno  Lucina],  al tesoro   di  Afrodite  del  bosco, che   essi chiamano Libitina, per coloro che morissero, ed al tesoro della Neotes [Juventas] per ogni adolescente  che cominci ad  entrare  nell’età virile.  Lo scopo era di conoscere  ogni  anno quanti  erano gli abitanti complessivamente e fra questi quanti erano in età di prestare  il servizio militare » (Dion. Hal. IV,  15, 5).

Lo scopritore delle venti cellette, Giovanni Colonna, scrive a proposito dei simboli fittili acroteriali che decoravano la fronte dell’edificio  e fra cui egli identifica  il simbolo del demone a testa di gallo su campo nero con Phosphoros-Lucifero:        « dopo la scoperta del lungo edificio delle « venti celle » possono essere assai più convenientemente assegnate a quest’ultimo, del cui tetto a falda unica costituivano praticamente il solo ornamento. Il movimento unidirezionale delle figure, dalla sinistra verso la destra dello spettatore, si adatta bene ad un edificio a fronte unica, senza contare che il suo orientamento da (nord) est a (sud) ovest evoca puntualmente la successione dei temi, dal Sole alla Notte, dall’oriente all’occidente » (G. Colonna in Santuari d’Etruria, Electa, Milano, 1985, p. 133).

 

La pratica di scandire lo scorrere degli  anni affiggendo chiodi è attestata anche a Roma e a  Volsinii. La testimonianza riguardante Volsinii sede del Fanum Voltumnae cioè del santuario federale etrusco potrebbe ingannarci sulla sua antichità, ma le riunioni a Volsinii sono attestate tardi, fra VI e V secolo al più presto: «  E’  antica  legge,  scritta in lettere  e  parole arcaiche, che il supremo magistrato alle idi di settembre [cioè il 13 settembre] conficchi il chiodo; essa venne affissa sul lato destro del tempio  di Giove Ottimo Massimo,  dalla  parte dove  si trova la cappella di Minerva.  Dicono che questo chiodo,  poiché rari erano in quell’epoca   gli  scritti,  fosse  il segno indicativo  del numero degli anni, e  che la  legge   fosse  consacrata alla  cappella   di Minerva, perché invenzione di Minerva è  il numero. –  Anche a  Volsini,  secondo quanto  afferma  Cincio, relatore scrupoloso  di tali  documenti,  si  possono vedere,  piantati nel  tempio di Norzia, divinità etrusca, i  chiodi  indicativi del numero degli anni –. Il console Marco Orazio dedicò il tempio di  Giove  Ottimo  Massimo secondo il disposto di quella legge  un anno dopo la cacciata  dei  re;  la  cerimonia della fissione del chiodo passò  poi  dai consoli ai dittatori, perché maggiore  era  la loro autorità » (Livio, VII, 3).

 

Dunque le prove attuali sono nel senso che non un’istituzione etrusca (per ipotesi antichissima), quella della fissione del  chiodo annuale, fu importata a Roma, bensì un’istituzione della tarda Roma etrusca e monarchica fu importata in Etruria.

 

Siamo alla fine dell’apogeo della potenza etrusca. Se all’inaugurazione del santuario d’età omerica i depositi di valori erano a garanzia degli scambi commerciali, nel 500 a. C. i depositi sono costituiti prevalentemente  dalle tasse sulle nascite, ciò che serve a conoscere la consistenza della popolazione per tutte le necessità di uno stato, prima fra tutte la guerra. Fra poco, dopo la costruzione del tempio A, il volume dei traffici diminuiranno sensibilmente e la strada Cere Pyrgi, divenuta via sacra, si fermerà davanti  al santuario, mentre di secondaria importanza diventerà il tratto che proseguiva verso il porto. Le entrate allora verranno dalle prostitute sacre che  occuperanno le venti camere per svolgervi le proprie prestazioni  (è questa l’interpretazione di G. Colonna: vedi la scheda su Pyrgi di Servio, commentatore dell’Eneide; Plauto, la Cistellaria II, 3,  20ss; una satira del poeta  Lucilio, della  seconda metà del II  sec.  a.  C.). Il costume  delle prostitute sacre  accompagnava il culto di Astarte in tutti i centri portuali (tutto il mondo è paese).

Il  saccheggio del santuario, nel 384  a.  C., in  occasione di una  spedizione piratesca (ho dimostrato nei miei lavori, a partire dallo studio dell’Odissea, che gli unici pirati erano i Greci, che accusavano di pirateria gli Etruschi, che invece avevano propagandato, e si capisce bene perché  rivolgendosi proprio ai Greci un codice di deontologia mercantile) contro  la Corsica, fece ricavare a Dionisio di Siracusa un bottino  di  non meno  di 1.000 talenti (Diodoro Siculo, 15, 14, 4).

 

Fine

 

                                                                     Esci