Marco G.
Corsini
L’iscrizione fenicia di João Pessoa (Paraiba, Brasile)
(naufraghi
fenici sulle coste sudamericane
2100 anni prima di Colombo)
Sulla scoperta dell’America da parte dei vikinghi prima di
Cristoforo Colombo narrano le saghe di
Leif Ericson (figlio di Eric il Rosso) e suo fratello Thorwald, dalle quali si apprende che
intorno all’anno 1000 i Vikinghi conoscevano già l’isola di Terranova (il suo
nome inglese è Newfoundland, in Canada), e Vinland (la costa americana). Le
rovine di un insediamento vikingo scoperto nel 1961 presso Flower’s Cove
sull’estremità nord di Terranova
potrebbero essere quelle dell’insediamento di Leif Ericson. Poi, molto
tempo dopo, nel XIV secolo, re Magnum Erikson ordinò una spedizione (di cui
resta la pietra di Kensington) per appurare lo stato delle colonie. L’indagine
non era peregrina se dalla
Groenlandia continuavano i viaggi verso il Labrador (Markland, la “terra del
legname”). Dagli annali islandesi sappiamo che nel 1347 una nave di ritorno da
Markland dirottata dalla tempesta trovò rifugio in Islanda. I cristiani
vichingi si comportarono male coi nativi, mentre non ci sono prove che i nativi
abbiano sopraffatto i coloni. Magari saranno state le condizioni climatiche e
la difficoltà di sopravvivenza a spingere i coloni a spostarsi in altre sedi o
a morire rendendo deserti i siti medesimi. Ma un certo numero di iscrizioni e
manufatti scoperti nelle Americhe fanno ritenere che ben prima dei vikinghi
furono i fenici a scoprire e colonizzare il Nuovo Mondo. E’ evidente che
Platone (428-348) ha collocato Atlantide (un trattato di geopolitica volto al
futuro remoto, cioè ai nostri giorni, e ambientato in un inverosimile passato
remoto, che si legge in Repubblica, Timeo e Crizia) esattamente dove oggi è il
Nuovo Mondo. Dunque Atlantide non si è mai inabissata (ma si inabisserà ai
nostri tempi) e è sempre stata
dov’è ancora oggi, e soprattutto dove non solo Platone sapeva che era ma prima di lui i
navigatori transoceanici del suo tempo.
Platone
teorizza che l’impero di Atlantide guidato da un tiranno (Bush; gli USA dopo
una sfilza di leggi speciali che sfuggono al controllo democratico sono
attualmente una tirannide e non più una democrazia) colonizzarà (e ha
colonizzato) l’Eurafrica(-Asia) dalla Tirrenia/Italia (di Berlusconi)
all’Egitto (di Mubarak) ma sarà sconfitta dallo stato della libertà e
uguaglianza di Atene, assai più
vasto dell’Atene antica, e si inabisserà durante una guerra annichilatrice
nella quale oltre alle armi (anche nucleari?) farà probabilmente la sua parte
anche la natura (terremoti, maremoti, vulcani, tifoni, ecc., che già hanno
cominciato il riscaldamento prima dell’attacco finale). Ad uso e consumo dell’indottrinamento
della classe dirigente ateniese (insegnamento che allo stato dei dati storici
traditi Platone potrebbe aver derivato dalla casta sacerdotale di Gerusalemme,
cioè se la redazione del Pentateuco è del 444) Platone deve introdurre un mito
antichissimo che dia agli ateniesi una storia assai più antica dello stesso
Egitto e così immagina l’isola di Atlantide fra Gibilterra e l’America attuale,
ma poiché un’isola in questo spazio (nell’Atlantico) non c’è mai stata ne
deriva che Platone ci descrive esattamente la posizione dell’America attuale
fra Atlantico e Pacifico. Dunque la vera Atlantide è l’America: « partendo da
quella [la fantomatica Atlantide nell’Atlantico] era possibile raggiungere le
altre isole [la vera America] per coloro che allora compivano le traversate,
e dalle isole a tutto il continente opposto [Asia] che si trovava intorno a
quel vero mare [Pacifico]. » (Timeo, 24e, 25a) Notare bene che secondo Platone
ci fu un tempo in cui dei navigatori compivano le traversate transoceaniche
(ammettiamo pure in gran parte costa-costa).
Trascrizione: 1) nhn abn knan m zdn m e-qrt e-mlk
shr ešlka 2) an ai z rhqt arz erm u nšt b
hr l aliunm 3) u aliunt b šnt tšat u ašrt l hrm mlk naabr 4) u nelk m
azun gbr b im sp u nnsa am anit
ašrt 5) u neie b im ihr k štm šnm sbu l arz l hm u nbr 6) l
mirbal u la neat hbrna u nbaelm šnmasr 7) mtm u šlšt nšm b ai hr tašan kimt
ašrt abr.
Traduzione: 1) Noi (siamo) figli di Canaan,
(provenienti) da Sidone, dalla città reale. Una tempesta ha gettato 2) la (nostra) nave (נא) su
questa costa lontana, una terra montuosa, e abbiamo sacrificato su una
altura agli dèi 3) e alle dee,
nell’anno diciannovesimo di Hrm, il nostro re potente. 4) Ci siamo imbarcati ad
Ezion Geber nel Mar Rosso e siamo salpati con dieci navi (תינא). 5) Fummo in
mare insieme per due anni, aggirando l’Africa (lett: la terra di Cam), ma fummo
separati 6) dalla tempesta (lett: לעב-ביךמ cioè “la disputa di Baal”) e non
fummo (più) con i nostri compagni. 7) Così ci siamo accampati (nuaelm), dodici
uomini e tre donne, su questa costa montuosa, sani e salvi, ma dieci perirono.
La flotta di 10 navi salpò da Ezion Geber sul Mar
Rosso in territorio di Edom. Da questo porto partirono le navi di Salomone con
marinai di Hiram di Tiro, che da Ofir riportarono 420 talenti d’oro (1 Re, 9,
26-28). (Le fonti ebraiche veterotestamentarie non hanno in linea di principio
valore storico e soprattutto non hanno valore storico con riferimento alla
storia di Israele. Però sono comunque delle fonti, adespote, cioè senza certo
aggancio geografico e storico, ma comunque delle informazioni, che lo storico
accorto può utilizzare nei limiti della verosimiglianza.) Salomone aveva in mare anche la flotta di
Taršiš, che seguiva la via opposta oltre Gibilterra e ogni tre anni riportava
carichi d’oro e d’argento, d’avorio, di scimmie e pavoni (1 Re, 10,22). L’età
delle navigazioni bibliche attribuite a
Salomone non è l’anno 1000 o 1100. Della favolosa ricchezza di Salomone,
della sua reggia, del suo tempio, non v’è alcuna traccia archeologica. Il
nostro Hrm non è detto si legga Hiram e oltretutto è re di Sidone e non di
Tiro. Ciò è a favore dell’autenticità dell’iscrizione, perché un falsario oltre
ad avere una bella grafia credibile del tipo Eshmunazar (VI secolo), avrebbe
ricalcato le notizie bibliche citando non solo Ezion Geber (in territorio
troppo vicino all’Egitto per non essere controllato dall’Egitto) ma anche Hiram
di Tiro. Ma evidentemente per l’iscrizione di cui ci occupiamo il nostro
falsario si sarebbe servito dell’alfabeto di Ahiram del XIII secolo o di quello
di Mesa del IX. Si tratterebbe di un falsario da quattro soldi. Orbene
l’alfabeto di Eshmunazar è di Sidone e dunque fa ottimamente al caso nostro. Si noterà la E uguale a
quella di Mesa, la Z più ruotata e simile a Mesa, il K semplificato. Il nostro
Hiram di Sidone ordinò una spedizione o eseguì per conto di un faraone egizio
una spedizione intorno all’Africa in circostanze temporali che sono troppo
vicine a quelle della spedizione di Neco per poter fare altre ipotesi.
Altrimenti si tratterà di una spedizione precedente o meglio successiva sulla
via aperta dalla prima.
Comunque gli egizi ordinavano spedizioni con flotte fenicie già dal
tempo della regina Hashepsowe (reggente di Tuthmosis III) della XVIII dinastia,
di cui è celebre la spedizione a Pwene che ben può corrispondere a Ofir. Ma a
sentire Omero i fenici erano già grandi navigatori agli ordini di Radamanto, il
faraone Seqenenra Tao II, della XVII dinastia, intorno al 1570. Omero, che
ricostruisce un’età intorno al 1200, chiama Sidonii, da Sidone, i ricchi d’oro
e d’argento re e mercanti fenici. I nostri Sidonii non viaggiano su commissione
di Salomone, di Davide o di Saul, né dei suffeti o giudici successori di Mosè e
Giosuè. I nostri Sidonii viaggiano autonomamente, e semmai su commissione del
faraone egizio. Ammesso e non concesso che gli ebrei esistessero di già,
autonomamente e peculiarmente,
avranno acquistato semplicemente, come tutti, le merci transoceaniche
importate dalle navi di Taršiš e di Ofir del re di Sidone. La nostra è un’iscrizione
tarda, probabilmente da riferire alla spedizione di Neco. Ora è evidente che
dei fenici naufraghi se poi, come certo nel nostro caso, non poterono riferire
in patria della scoperta del Nuovo Mondo, non rappresentano un caso di scoperta
vera e propria e di colonizzazione sia pure temporanea com’è quella dei
vikinghi. (La scoperta di Colombo non è tanto importante in se stessa quanto
per il fatto che subito dopo si ebbe la colonizzazione vera e propria delle
Americhe. E allora potrebbe darsi il fatto che i portoghesi siano stati
costretti a colonizzare (il Brasile) mentre prima di allora potrebbero avervi
condotto (e non solo in Brasile) sporadici viaggi di perlustrazione e di
commercio o rapina tenendo la scoperta per sé.) Il fatto è che esistono altre
tracce dell’arrivo dei fenici in America e ciò apre la possibilità che il
sacrificio umano (di cui contrariamente a come traduce Gordon nella nostra iscrizione non si fa menzione)
sia stato importato (direttamente) dai fenici e altrimenti (indirettamente) dai
missionari cristiani che dal secondo secolo poterono essere spinti ad
evangelizzare l’estremo occidente assai più e più verisimilmente dei mercanti
romani a servizio dell’imperatore.
Indirettamente, nel senso che il sacrificio del Cristo sulla croce,
ferito dalla corona di spine e soprattutto dalla ferita di lancia al costato
(da cui un indigeno può immaginare sia stato estratto il cuore), il cuore a cielo aperto di Gesù e Maria
trafitto da ogni sorta di spine e armi da taglio, può aver scatenato negli
indigeni l’idea del capro espiatorio, della vittima sacrificale umana per il
bene della collettività, l’estrazione del cuore alle vittime ancora vive, e, da
idea nasce idea, l’antropofagia, il cannibalismo rituale dall’eucaristia, cioè
la cerimonia sacra del mangiare il corpo di Gesù. Se il sacrificio umano e gli stessi dèi barbuti (i Quetzalcoatl,
i Viracocha, cioè i missionari e
gli avventurieri del Vecchio Continente) venuti da oriente e ripartiti verso
oriente con la promessa di tornare
sono l’essenza delle civiltà precolombiane, allora ci si deve chiedere che
senso ha studiarle. Se sono il frutto dell’incontro del peggio del Vecchio
Mondo con il buon selvaggio di Rousseau allora ritroveremo specchiati nelle
Americhe tutti i nostri errori e crimini, il lato oscuro (che prosegue nei
massonici USA attuali) del Vecchio Mondo, e le civiltà precolombiane altro non sono che l’immagine satanica
rimossa dalle nostre coscienze del nostro passato, soprattutto il terribile
mostro della religione (religione, statolatria, fanatismo politico e religioso)
che ci perseguita anche nel presente e da cui con tutte le nostre forze
combattiamo oggi consapevolmente noi europei convinti con la costituzione
europea.
Fine