Esci

 

 

Marco G. Corsini

La Bibbia, il Libro Ariano del Male Assoluto

(La licenza di sterminio di massa rilasciata da Geova/Giove all’unica razza ariana pura, quella ebraica)

 

 

Questo lavoro è una rianalisi dell’Antico Testamento suscitata da nuovi indizi ed interpretazioni di tutto il mio lavoro anche e soprattutto esterno all’Antico Testamento. Sono veramente felice – da studioso serio –  di poter sostenere l’attendibilità dell’Antico Testamento fin da Genesi nonostante la verità storica sia nascosta da una pesante manipolazione politico-religiosa. Tutto ebbe inizio con il mio primo lavoro scientifico, la decifrazione del Disco di Festo ovvero Apoteosi di Radamanto, del 1550 a. C., dove si accenna allo scontro avvenuto intorno al 1570 a. C.  fra Seqenenra Tao II, faraone della XVII dinastia tebana e quelli che devono essere gli Hyksos che occupano il delta e che curiosamente portano nomi achei di personaggi della guerra dei Sette contro Tebe beota della tradizione greca, come Tideo e Creonte. Dalla storia egizia sappiamo della penetrazione di elementi siriani nella stessa corte della XVIII dinastia egizia attraverso le donne dell’harem, per cui non ci stupirà che vi siano greci (non saprei come altro definire coloro che scrissero il Disco di Festo) di cultura siriana sia a fianco del faraone, come Creonte, verisimilmente governatore del distretto di Giza (dove era la Sfinge che compare nella tradizione di Edipo), che contro, come Tideo, capo degli armati hyksos. Orbene, i greci che sotto la guida di Tideo hanno ucciso il faraone e re di Creta Radamanto/Seqenenra Tao II erano degli Hyksos e al tempo stesso degli Achei, come li chiama Omero. Sono giunto a poter dare l’esatta dimostrazione della coincidenza dei nomi grazie alla trascrizione fornita da Christopher Knight e Robert Lomas (che non citano la loro fonte) nel loro libro “ La Chiave di Hiram ”, e cioè, reso in modo più semplificato, Heqew-eshowe, mentre la trascrizione fornita dai testi scientifici tradizionali è troppo lontana dalla soluzione del mistero, e cioè Heqa-khase, la cui traduzione esatta è principi, heqa, dei paesi stranieri, khase. Nelle iscrizioni egizie che si riferiscono ai popoli del mare troviamo gli Aqawasha che corrispondono esattamente agli Heqeu-eshowe: Aqaw-asha. Questi sono forse parenti degli Equi con cui si scontrarono i Romani all’inizio della loro seconda (dopo la caduta della monarchia) scalata all’impero. Non è escluso che il nome degli Achei/Hyksos si nasconda nella parte finale della casella B20 dell’Apoteosi di Radamanto, casella che ho sempre sospettato di essere sintetica (cioè di omettere un segno): [M]I-KE-S[I] = I-ke-s, ovvero  Ike<wo>s, all’accusativo, cioè la resa egittizzante di Akhaiwoús, Achei. Il corrispondente nome degli archivi ittiti è Ahhiyawa che rende solo il primo della coppia di nomi, significando ‘i principi’, i ‘capi’, gli Achei. La seconda tappa della mia scoperta la toccai studiando l’Iliade e L’Odissea alla ricerca di materiale letterario risalente ad età minoico-micenea che potesse in qualche modo compensare la perdita di materiale storico-letterario del tipo Apoteosi di Radamanto. La mia ricerca fu vana ma in compenso mi colpirono le palesi e molteplici somiglianze fra passi omerici e dell’Antico Testamento tanto da farmi allora credere che Omero, che ritengo di origini etrusco-siriane, si fosse ispirato (perché i suoi versi sono di molto superiori) a precedenti testi cananei. Mi colpì anche  il fatto che dalla stessa lettura dei poemi omerici confermata dall’interpretazione dei fatti data da Erodoto risultava che la guerra di Troia non era mai avvenuta a Troia e comunque  Elena non era mai giunta a Troia e dunque gli Achei non ve l’avevano trovata, ma tutta la vicenda si era svolta fra la Siria e l’Egitto dove Alessandro, portato dai venti contrari, era stato  bloccato a Memfi dal visir Toni o Toone per essere sottoposto a processo in seguito al rapimento di Elena. Poiché a Memfi nel quartiere dei Tiri ovvero dei Fenici esisteva un tempio di Elena/Afrodite “ Straniera ” la storiella tramandava la localizzazione della originale guerra di Troia attraverso la diffusione del culto di Afrodite Urania/Elena  della filistea Ascalona dea dell’amore e del matrimonio dunque dell’unione fra  popoli diversi, che si realizza attraverso il rapimento, di Elena spartana da parte di Paride troiano, come delle danzatrici ebree da parte dei Beniaminiti a Silo e delle Sabine da parte dei Romani a Roma. La conclusione più importante era che se non si sapeva se e dove s’era svolta realmente la cosiddetta guerra di Troia  certamente “ Sparta ”  era Ascalona, la città filistea da cui il troiano Paride aveva rapito “ Elena ”. L’ultimo tassello mancante per la chiusura del puzzle è stato lo studio dell’Antico Testamento inizialmente al fine di scoprire le fonti della poesia omerica. Sono veramente impressionanti i punti di contatto letterari fra i poemi omerici e l’Antico Testamento che è stato messo per scritto posteriormente ai poemi omerici. Oggi sostengo che entrambe le letterature risalgono alle stesse fonti storiche per via di tradizione autonoma, anche se l’Antico Testamento può aver attinto ad Omero come ha attinto alla letteratura di tanti paesi. Sono le due facce della stessa medaglia. Sostanzialmente sono l’epopea dei popoli del mare, specie i Pelasgi/Filistei, in Palestina raccontata dal punto di vista di un occidentale (Omero) che travisa i fatti e i personaggi per adattare l’epopea alla colonizzazione greca dell’Anatolia e alla celebrazione di Albalonga e della vocazione imperiale di Roma   e raccontata  nell’Antico Testamento da parte degli Ebrei che sono la risultante degli autoctoni e degli immigrati dall’interno (Beniaminiti) nonché e soprattutto dei popoli indeuropei immigrati dal mare, come Pelasgi/Filistei, Danai, Achei. Per focalizzare nel modo migliore questa realtà mi sono dovuto rendere conto che dietro l’Esodo di Mosè e la conquista di Giosuè c’era non l’esodo dei residui Hyksos allevatori di bestiame e un’epidemia del bestiame tipo mucca pazza che portò alla morte prima di tutto i piccoli proto-Ebrei entro i primi quattro anni di vita, bensì un popolo di guerrieri seguito da mogli e figli sui carri tirati da buoi e da mandrie che gli facevano da cibo e tutto ciò proprio mentre Ramesses III celebrava la sua vittoria. Questi popoli del mare riuniti intorno ad una lega delle “ dodici tribù ” (ma alcune di queste tribù provenivano dall’interno, come i Beniaminiti dell’Eufrate) avevano dovuto mettere a ferro e fuoco la Palestina a partire dal loro centro federale di Silo e prima ancora da uno o più altri centri costieri. Gli Achei/Hyksos – l’abbiamo visto dall’Apoteosi di Radamanto – erano popoli del mare se non dal 1730 ca., quando occuparono Avaris, almeno intorno al 1570 a. C. poco prima di essere cacciati dall’Egitto ad opera dei primi faraoni della XVIII dinastia. Allora  si  sparpagliarono andando a finire qua e là come i pirati egei Achei/Ahhiyawa della Troade (che potevano dare l’idea di un’invasione dopo la distruzione di Troia, anche se sfortunatamente risiedevano nella Troade dal XIV secolo, cioè assai prima della presunta guerra decennale), ma soprattutto costituendo la confederazione di  popoli del mare (la lega dei re achei omerici) che intorno al 1178 a. C. iniziarono l’occupazione della Palestina. Fra Tideo (che combatte la guerra dei Sette contro Tebe) datato dall’Apoteosi al 1570 ca. a suo figlio Diomede (combattente la guerra degli Epigoni e poi di Troia)  intorno all’anno 8 di Ramesses III intercorrono quasi 4 secoli. Ho preferito interpretare come svolta nel delta e non in Beozia la guerra dei Sette contro Tebe (ovviamente Tebe capitale dei faraoni della XVIII dinastia) e non a caso la guerra degli Epigoni vincenti si potrà identificare, contrariamente alla propaganda faraonica, con un parziale sfondamento nel delta dei popoli del mare al tempo di Ramesses III, cui seguirà l’occupazione della Palestina e cioè la guerra che diede spunto all’Iliade omerica, da parte degli stessi popoli del mare. Analogamente intercorrono circa quattro secoli fra la cacciata degli Hyksos che nell’Antico Testamento sono rappresentati dal capostipite Abramo e Mosè e Giosuè. I testi ebraici non hanno un corrispondente per Tideo e cioè per l’età della prima cacciata. L’Antico Testamento colloca Giuseppe (che Ahmed Osman ha genialmente identificato con Yuya, di cui abbiamo la mummia, visir di Amenofi III e IV)  in un contesto non suo, quello in cui regnavano ancora i sovrani hyksos, ma per due motivi che dovremo tenere a mente, e cioè 1° che Giuseppe hurrita e carrista maryannu è effettivamente di ascendenze hyksos e 2° che l’Antico Testamento ricollega come un continuum l’età degli Hyksos e quella dei popoli del mare unificando l’uscita dall’Egitto del 1560 a. C. e quella di Mosè e Giosuè intorno al 1178 a. C. e cioè al tempo dei popoli del mare assegnando ad entrambe la datazione dell’ultima uscita (dopo la guerra degli Epigoni contro “ Tebe d’Egitto ”). Evidentemente gli Ebrei (eccettuato Giuseppe Flavio) hanno  cercato di occultare l’identità Hyksos/Ebrei depistando sui rapporti fra Ekhnaton ed Ebrei. Ma non è nemmeno possibile identificare Mosè con Amenofi IV/Ekhnaton (anche se l’intento dei redattori veterotestamentari è di farci credere la dipendenza di Geova da Adon/Aton) sia per la cronologia troppo alta di questo faraone rispetto alla cronologia di Mosè e Giosuè sia perché non c’è nessuna ragione di credere all’influenza di Adone sul monoteismo ebraico e anzi vedremo come essa sia inconciliabile con le divinità hyksos e dei popoli del mare. Dico Adone, e cioè una divinità cananea che risulta venerata nel tempio stesso di Gerusalemme (Tammuz) e venerata alla corte egizia della XVIII dinastia tramite le donne hurrite e mitanniche tanto da poter dar vita al culto di Adon/Aton. Del depistaggio o comunque della spiegazione xenofoba fuorviante fa parte anche la tradizione ebraica della moria di persone e animali attribuite all’allevamento del bestiame  nel territorio di Gosen dove al tempo di  Ramesses II sarebbe scoppiata un’epidemia antenata della moderna ‘mucca pazza’ e che fece le prime vittime proprio fra i discendenti degli Hyksos, uccidendo le mandrie e i piccoli hyksos entro i primi quattro anni di vita. L’unica verità è che gli Hyksos furono cacciati dai primi faraoni della XVIII dinastia, mentre i popoli del mare intorno al 1178 a. C. ca. devastarono e conquistarono la parte centrale della Palestina dove poi sorse Israele. Giuseppe/Yuya e Mosè/Ekhnaton  sono sicuramente depistaggi, mentre l’esodo xenofobo in seguito ad epidemia al tempo di Ramesses II pur non depistando troppo quanto a cronologia, occulta il fatto più importante. e cioè che i popoli del mare erano guerrieri (e non allevatori di bestiame), che però erano spesso accompagnati da carri con mogli e figli, nonché dal bestiame con cui si sostentavano.

 

Giuseppe Flavio, ebreo e di casta sacerdotale,  identificava gli Ebrei delle origini con gli Hyksos e con la semplificazione eccessiva di cui ho detto confondeva la cacciata del 1560 a. C. con quella mosaica del tempo di Ramesses II. Gli Ebrei ritenevano Abramo loro capostipite ed effettivamente Abramo si muove in un originario ambito hyksos, è il capostipite degli Hyksos, o almeno di quel ramo da cui discendono gli Ebrei. Gli Hyksos erano un insieme di popoli  in apparenza semitici che parlavano lingue sia semitiche che indeuropee. Dimostrerò che gli Ebrei avevano una cultura originariamente ariana poi semitizzatasi esteriormente a contatto coi popoli semiti della Palestina. Ebrei e Filistei erano più affini di quanto non si possa immaginare. Anche i Pelasgi, provenienti da Creta e di lingua greca (dialetto proto-ionico), cioè indeuropea, divennero indistinguibili dai popoli cananei dopo un certo tempo che  vissero a loro stretto contatto. Poiché il dio comune ai diversi popoli ebraico (Geova), latino (Giove), greco (Zeus) ha  origine dallo stesso radicale fisso indeuropeo ricostruito come *die/ow- ne deduco che questo era il dio degli Hyksos, il cui impero linguistico si estendeva dalla valle dell’Indo all’isola di Creta, diciamo fra il 1800 a. C. e il 1700 a. C., per cui è soprattutto a partire dal frantumarsi dell’impero Hyksos che originano i diversi gruppi linguistici indeuropei. Il percorso degli Hyksos è dalla valle dell’Indo (dove coi loro carri tirati da cavalli che trasportavano guerrieri dotati di archi di moderna concezione e  di un’arma incendiaria  devastante come un’arma atomica distrussero le città Mohenjo Daro e Harappa, che poi sotto forma di Sodoma e Gomorra, le città distrutte dall’arma atomica degli angeli di dio, sono state poste dal redattore di Genesi a sud dell’area depressa del Mar Morto)  all’Armenia (dove si arena l’arca di Noè e partono due – Tigri ed Eufrate –  dei quattro fiumi del Paradiso terrestre; gli altri sono verosimilmente l’Indo/Ghicon e l’Amu-Darja/Pison, naturalmente bisogna rifarsi alle carte geografiche del tempo di Omero o Anassimandro e Ecateo per raccapezzarsici) e al Caucaso e da qui passando da nord e da sud del Mar Nero, attraverso l’alta Siria, verso occidente. Con questo tragitto collimano le fonti persiane raccolte da Erodoto I,1 secondo cui i Fenici – e gli Hyksos da Manetone in Sesto Africano erano considerati fenici – provenivano dal Mare Eritreo, cioè dal Golfo Persico e dall’Oceano Indiano. E ancora Amos 9,7, che fa l’equazione Ebrei = Etiopi: « Non siete voi per me come gli Etiopi [Kushiti], Israeliti? » La successiva menzione dell’arrivo in Palestina degli Aramei da Qir, Cappadocia (terra dove si parlava ittito e rinvia anche alla terra degli Hurriti coi loro carristi Maryannu), dei Filistei greci da Creta e degli Ebrei dall’Egitto deve significare che tutti e tre questi popoli erano indeuropei all’origine e sono diventati culturalmente  semiti solo dopo la permanenza e la convivenza in Palestina. Tra Filistei ed Ebrei, fra l’altro convissuti a lungo nello stesso territorio, le differenze linguistiche e culturali originarie dovettero essere come la parte (i Filistei/Pelasgi) sta al tutto (gli Ebrei essendo o considerandosi il risultato di tutti o del nocciolo duro dei popoli del mare ex Hyksos stabilitisi in Palestina). Poiché gli Hyksos erano anche semiti è all’interno degli Hyksos che si realizza la scissione dell’indeuropeo dal semitico che è ovviamente più antico, anche se non tanto antico quanto il camitico che è ovviamente il più antico di tutti. Io credo dunque che il processo di separazione del semitico dal camitico e anche quello dell’indeuropeo dal semitico si debba collocare a sud, nelle terre bagnate dal Golfo Persico e dall’Oceano Indiano. E’ essenzialmente un movimento da sud-est a nord-ovest, mentre coi popoli del mare indeuropei nel XIII secolo il processo diventa inverso da nord-ovest a sud.

L’hyksos (hurrita) Giuseppe visir di Faraone era scuro di pelle  perché i suoi fratelli, scuri di pelle come lui e come gli egizi non lo riconobbero immediatamente. Viceversa se fosse stato bianco come loro avrebbero dovuto notarlo e riconoscerlo prima come ebreo poi come loro parente per i tratti somatici palesemente differenti da quelli degli egiziani. Di Giuseppe/Yuya e  di sua moglie Tuya abbiamo la mummia nera di pelle e bionda di capelli. La datazione del personaggio storico Giuseppe al XIV secolo sotto Amenofi III e Amenofi IV è un dato di fatto storico-archeologico sicuro.

 

 

Yuya e Tuya erano i genitori di Tiye moglie di Amenofi III e madre di Amenofi IV Ekhnaton adoratore di Adon/Aton. Tiye ovviamente doveva avere i tratti dei genitori e cioè pelle nera e capelli biondi. Veniva ricollegata a Kush, cioè all’Etiopia, ma questa era solo la terra di origine dei suoi antenati. E’ da questi individui di pelle nera di origine etiopica (che sono passati alla valle dell’Indo – cf. gli Etiopi sulla riva destra della foce dell’Indo e i versi omerici « gli Etiopi che in due si dividono, gli estremi degli uomini, quelli del sole che cade e quelli del sole che nasce » Od. I,23-24 –  e da qui ritornati al Golfo Persico e poi ambientatisi nel Caucaso e in alta Siria) che si separa il ramo di lingua indeuropea fra cui significativi sono gli Hurriti  di Labano di Harran in alta Siria dove Abramo e tutti gli altri patriarchi prendevano moglie. Dunque una società matriarcale dove il potere risiedeva ad Harran.  Se i capelli biondi sono autentici e non tinti secondo una moda e se la pelle nera non è dovuta ad alterazione chimica da mummificazione, allora abbiamo due possibilità, di Hurriti o altri indeuropei discesi dagli Etiopi che hanno conservato la pelle  nera e per motivi ambientali hanno assunto una colorazione bionda dei capelli  oppure di Hurriti o altri indeuropei bianchi coi capelli biondi scesi con gli Hyksos in Egitto e mischiatisi con le donne nere dando origine a neri coi capelli biondi. Preferisco la prima ipotesi perché è evidente che così gli indeuropei hanno potuto mantenere la loro lingua e dunque conservarsi come proto-Ebrei. Nel secondo caso no, avendo necessariamente adottato l’egizio. Del resto la seconda ipotesi è esclusa dall’Antico Testamento e dalla logica perché tanto gli Ebrei quanto gli Egizi pare abbiano evitato attentamente la mescolanza del sangue. Anche  i Pelasgi/Filistei della Siria dovevano avere tratti negroidi come risulta dalla testina di Sirio del sillabario festio, pur parlando una lingua indeuropea come il proto-ionico.

 

 

 

 

Peleset e Pelasgi hanno una radice Pel- come Pelops, Pelope (‘dal volto scuro’), senz’altro un hurrita all’origine dei dinasti greci di Micene. A questo punto è aperta la strada all’interpretazione anche in chiave etiope/valle dell’Indo delle rappresentazioni dei pittogrammi (non dei valori sillabici) del Disco di Festo e ci colpirà prima di tutto la donna con la sua acconciatura africana che richiama una tipologia nota a Creta, così come l’edificio a pagoda, o lo squalo dei mari caldi afroasiatici. C’è un nesso  fra Pelasgi/Pelargi migratori ed habiru nomadi fuggitivi. Come risulta evidente da questa sommaria esposizione, l’indeuropeo è un fatto abbastanza recente, interno al secondo millennio a. C.  in cui  va ricompreso  l’isolato ramo ittito che porterà semmai ad un’evoluzione a partire dal III millennio, pertanto  ho seri dubbi sulla validità della tesi dominante dell’origine verso il V millennio e dintorni dai Kurgani a nord del Mar Nero. L’indeuropeo è legato all’impero degli Hyksos che è un fatto sicuramente molto più  archeologico e storico dei Kurgani. Possiamo  discutere di un nucleo originario evolutosi nel corso del III millennio, ma non è accettabile l’origine dai Kurgani come se gli indeuropei sia razzialmente che linguisticamente nascessero in Europa, puri e incontaminati dal resto dell’umanità fin dall’inizio. E’ questo il solito marchio razzista di una certa cultura anglosassone e cioè alla fin fine ebrea. Adamo è nato in Africa (e non perché ce lo dice la Bibbia ma perché ce lo assicura la paleontologia) e con la pelle nera, ci piaccia o no, e tutti gli uomini si sono evoluti da Adamo sia per la pelle che per la lingua. In indeuropeo comune pter ( sta per una e rovesciata) è il capo della famiglia patriarcale. Israele è il nome più antico e persistente della terra dominata dai popoli del mare (guidati da capi ariani) che daranno vita al popolo ebraico. L’etimologia data dall’angelo in Genesi 32,29 è che Giacobbe ha combattuto e vinto sia Dio sia gli uomini. Dunque isra-El significherebbe colui che combatte/vince Dio. L’etimologia è evidentemente falsa perché semmai significa “Dio/El è forte” (il commentatore della Bibbia di Gerusalemme propone: Dio si mostri forte). Ebbene, forte in sanscrito, cioè indeuropeo, si dice iira- ed è connesso al greco hieròs, dunque parte da un significato di “forte” per significare anche “sacro”. Dunque potremmo tradurre Israele con “Dio è forte” o “Dio è santo”. In ebraico peter è il primo nato, il che si concilia col diritto di primogenitura ad esempio di Esaù che per un piatto di lenticchie cedette a Giacobbe il diritto di comandare la famiglia patriarcale di Israele. Anche da melek  potrebbe essersi evoluto il latino rex, re, attraverso maharajah e rajah sanscrito (da malìk arabo giungiamo a -rix celtico). Il faggio è un albero importantissimo nello studio dell’indeuropeo. E’ collegato al mangiare, greco phághein, perché anticamente si mangiavano faggina e ghiande, e alla cultura, al sapere, ted. Buch, libro, perché anticamente si scriveva su legno di faggio. In greco il phegós è una specie di quercia. Di solito pensiamo all’albero della scienza del bene e del male al centro del Paradiso Terrestre come ad un melo forse in base ai pomi del giardino delle Esperidi. Nessuna pianta fornisce la sapienza mangiandola. Viceversa Adamo ed Eva subito dopo aver mangiato di questa pianta si coprirono di foglie di fico. Sorge spontaneo il sospetto che come al solito gli Ebrei non abbiano compreso – perché hanno assorbito una cultura indeuropea a loro estranea o perché hanno cominciato a dimenticarla vivendo in mezzo ai semiti? – che era il  faggio la pianta che veniva sia mangiata sia impiegata per la scrittura  fonte dell’accumulo dei dati e della conoscenza e l’hanno trasformata in fico per l’assonanza con phegós che comunque in ebraico non si chiamava più con una forma riconoscibile come indeuropea. In ogni caso è evidente che anche per gli Ebrei  la pianta della sapienza era il faggio e dunque gli Ebrei dimostrano ancora una volta di possedere una cultura indeuropea. Anche l’avversione alla conoscenza che viene interdetta da dio nel Paradiso terrestre è tipicamente indeuropea e si addice ad un popolo come i germani del medioevo che per lo più analfabeti si dedicavano al comando e alla guerra  lasciando ai chierici la conoscenza latina delle leggi e di tutto ciò che è cultura. Gli Hyksos e gli Ebrei erano razziatori, non pastori, e nemmeno agricoltori, semmai raccoglitori e cacciatori. Anche qui gli Ebrei non hanno più compreso che i re hyksos erano chiamati re pastori di popoli e da ciò hanno creduto fossero pastori mentre erano, come in genere (i Romani erano fondamentalmente agricoltori anche se eccelsero anche come razziatori) gli indeuropei, dei razziatori. E’ dunque sempre più valida l’ipotesi che Abele fosse il razziatore assassino di suo fratello l’agricoltore sedentario Caino. Gli Ebrei come tutti gli indeuropei detestano il pesce e non lo nominano  fino all’avvento del cristiano – che è appunto cristiano, via Paolo, e non ebreo – Gesù. Quanto al mare essi non sono navigatori ma si servono di marinai e navi del fenicio  Hiram di Tiro. L’attraversamento del Mar Rosso lo fanno a piedi e solo perché le acque si sono miracolosamente ritirate. Il mare è un ponto/pantano, un ponte, una strada melmosa ma sempre una strada e solo con Gesù i palestinesi impareranno a camminare sulle acque.   E’ curioso notare che nel suo ottimo manuale di linguistica indeuropea A. Martinet fa di continuo riferimento ad usi e costumi ebraici per esemplificarci la struttura della famiglia indeuropea, eppure non s’è accorto come ovviamente gli altri eminenti linguisti e gli altri studiosi di altre discipline che Geova e Giove sono la stessa cosa.   La ricerca di termini indeuropei nel lessico ebraico è tutta da fare con la consapevolezza che si tratta di trovare il classico ago nel pagliaio ma che la ricerca è possibile e darà frutti ben superiori a quelli del lessico pelasgico (greco, indeuropeo) attraverso il filisteo (pelasgico ambientato fra e sommerso dalle lingue semitiche palestinesi) registrato nell’Antico Testamento. In ogni caso, se dal punto di vista esteriore sia i Pelasgi che gli Ebrei hanno un aspetto semitico, dal punto di vista linguistico originario e culturale finale gli Ebrei sono più ariani degli stessi Pelasgi. A proposito di Pelasgi, suppongo che il greco koiranoi, principi, deve essersi trasformato nel filisteo attestato in ebraico seranim. E’ dunque da sottolineare che gli Ebrei sono di pura cultura ariana (sia geneticamente, originando da popoli ariani, i popoli del mare, e soprattutto per indottrinamento in età babilonese-persiana, di cui diremo), sono il più antico popolo, l’unico popolo a riconoscersi nella pura cultura ariana, mascherata da cultura semitica, quella dell’Antico Testamento. Se a ciò aggiungiamo che gli Ebrei si sposano solo fra di loro essi sono non solo la più antica ma anche l’unica razza ariana esistente e ciò anche se in termini scientifici non potessero essere definiti come razza ariana nel vero senso della parola (cioè ammesso che la loro razza ariana originaria si sia mescolata con altre razze nel corso del tempo e non solo prima di Ezra e Neemia ma anche da allora ad oggi, essi sono ariani, nazisti per cultura). Gli attacchi contro gli Ebrei non sono pertanto indice di antisemitismo perché gli Ebrei non sono semiti né religiosamente, né culturalmente, e poiché si sposano solo fra loro nemmeno razzialmente. Gli Ebrei sfruttano abilmente la loro maschera da semiti dovuta al fatto che lo stesso Antico Testamento è calato in una cultura e lingua semitica e loro oggi vivono in Israele, un paese di lingua e costumi semitici, vivono di rendita sull’olocausto di sei milioni di ebrei sterminati nelle camere a gas, fanno le vittime e al contempo sferrano la loro guerra ariana di distruzione di massa sugli arabi palestinesi in nome del diritto della razza prediletta da dio ad avere il suo spazio vitale. Il Mein kampf dell’ebreo Hitler è il manuale ariano della distruzione di massa degli Ebrei (olocausto) direttamente disceso dall’insegnamento dell’Antico Testamento. Si potrebbe dire che gli Ebrei hanno teorizzato l’annientamento di massa delle popolazioni indigene cananee affinché il popolo di dio potesse crearsi il suo spazio vitale (credo, da quanto verrò esponendo a proposito dei feroci popoli del mare che gli Ebrei non  solo teorizzarono ma anche misero in pratica la guerra distruttiva totale o  olocausto anche nella loro  storia precedente l’editto di Ciro oltre che nell’età presente) ma sono stati superati dai Tedeschi, che hanno messo in pratica il più metodico e organizzato olocausto di Ebrei che mai più vi sarà – con tale modalità – sulla faccia della Terra.

 

L’Iliade vede contrapposte due coalizioni di popoli che a parte certe differenziazioni di cornice appaiono sostanzialmente uguali e definibili come  Pelasgi/Filistei anche se particolarmente come Pelasgi/Filistei vengono descritti gli Achei coi loro copricapi  piumati caratteristici (l’altro popolo del mare è forse quello dei Tjekker, Teucri, Troiani, di Dor, sulla costa più a nord della Filistea prossima alla Fenicia). I Pelasgi/Filistei hanno come campione Achille, un gigante filisteo analogo a Golia. I giganti erano gli eroi figli degli dèi (Genesi 6,4). Essi nacquero in Israele alti di statura ed esperti nella guerra (Baruc 3,26). Queste informazioni sono preziose per dimostrare che gli eroi Achei combatterono in Israele e che sulla loro conquista di Canaan si fonda la leggenda omerica della guerra di Troia. Sia Omero (Od. VII,53-60) che Genesi e soprattutto Baruc (3,26-28) accennano alla fine del popolo dei Giganti superbi, dopo di che i superstiti sotto la guida di Nausìtoo emigrarono in Scheria/Etruria. Secondo Genesi esistettero giganti sia prima sia dopo il diluvio (6,4) e infatti abbiamo ancora Golia al tempo di Davide. Io credo che la fine dei giganti (gli eroi della “ guerra di Troia ”) per autodistruzione avvenne appunto fra XII e XI secolo a partire dall’invasione della Palestina da parte dei popoli del mare fino a quella che nell’Antico Testamento è ricordata come vittoria finale di Davide sui Filistei.  Gli Sherdanu o Serdanu (da cui deriveranno i Serdaioi/Sardi)  in comune con gli Achei/Pelasgi  veneravano una quercia di Zeus (una località è detta “ quercia di Sherdanu ” nel territorio dei villaggi di Mati-Ilu e Ili-ishtamah  “dio ha ascoltato”, che doveva essere  sito oracolare, come apprendiamo da due testi di Ugarit del XIII secolo) analoga a quella oracolare pelasgica di Dodona o a quella presso le porte Scee (Il. VII,17-22 e 58-60) e più in generale i proto-Ebrei avevano le loro  querce: di Mamre, di More a Sichem, di Bet-El, di Beer-Sheba. Inoltre gli Sherdanu, avendo servito come truppe mercenarie a contatto con le truppe egizie, avevano riportato dall’Egitto il culto e l’arca di Reshef il “ combattente ”, dio dei morti e della resurrezione dotato di arco e frecce con cui diffondere la peste. Da ciò a immaginare che l’arca avesse originariamente la forma di un sarcofago con dentro un simulacro del dio in forma di mummia il passo è breve. La scossa elettrica presa da coloro che incautamente  toccavano l’arca/bara può essere stata un’aggiunta posteriore quando era noto e riproducibile (magari dopo l’esilio di Babilonia e la conoscenza delle “ pile ” persiane) il fenomeno dell’elettricità  messo in relazione col fulmine di dio, determinando nei lettori moderni suggestioni extraterrestri che dunque non avrebbero alcun fondamento. (E’ di tutta evidenza che gli Ebrei si vergognavano in età postesilica di aver adorato un morto e la bara fu trasformata in arca). La realtà originaria può essere stata la pura e semplice sindrome da “ maledizione del faraone ” che colpisce coloro che violano il riposo eterno delle mummie egizie. Gli Achei/Filistei dunque rapirono agli Sherdanu/proto-Ebrei alleati dei Troiani Criseide/l’arca e Apollo/Geova mandò la peste nel campo acheo/filisteo fino a che con la restituzione e la riparazione mediante sacrifici consistenti nell’olocausto del grasso  animale (« all’esercito l’Atride ordinò di lavarsi: e si lavarono, gettarono le lordure nel mare, e offrivano ad Apollo ecatombe perfette di tori e di capre, sul lido del mare infecondo; saliva al cielo il grasso, intorno al fumo avvolgendosi. » Il. I,313-317) la peste cessò. Capo della lega achea è Agamennone  poimén laòn  “ pastore d’eserciti ”, epiteto che rinvia all’etimologia popolare di Hyksos “ re pastori ”.  Lo scriba dell’Apoteosi di Radamanto aveva verisimilmente intenzione di scrivere  demòn poimén “ pastore di popoli ” in una precedente versione della casella A27 con riferimento a Radamanto. All’inizio del poema Agamennone invoca Zeus di non far tramontare il sole prima di aver atterrato Ilio (II, 12ss) proprio come Giosuè si rivolse a Geova nella battaglia per la difesa della città di Gàbaon (10,12-13). Se in questo caso Zeus non ascolta Agamennone al contrario di Geova che ascolta Giosuè vi sono nell’Iliade altri casi in cui il sole tramonta per volere della divinità. In occasione del duello con Aiace Telamonio Ettore assicura che renderà agli Achei il corpo dell’ucciso affinché gli facciano il funerale e appenderà le sue armi nel tempio di Apollo saettante (VII, 81-86) in ciò collimando con 1 Cronache (10,8-10) secondo cui i Filistei collocarono le armi di re Saul e dei suoi figli uccisi nel tempio di Dagon e così le teste che avevano tagliato e portato in trofeo per il paese ad annunciare la vittoria. Anche gli eroi omerici usano tagliare la testa ai nemici uccisi. Apollo è divinità propriamente troiana e degli alleati. Diomede e Odisseo preferiscono dedicare le armi dell’ucciso e decapitato Dolone ad Atena (che rappresenta… la Sapienza di dio), analogamente a quanto fanno i Filistei riguardo a Saul e ai suoi figli nella versione di 1 Samuele 31,8-10, secondo cui le armi vengono collocate nel tempio di Astarte. Il matusalemme re Nestore di… Silo ricorda (in Il. VII,132-136) le sue imprese guerresche contro giganti come Ereutalìone con cui combatté presso il fiume Giàrdano. Non c’è dubbio che  i Pelasgi della Mesarà di Creta hanno introdotto in Palestina il loro fiume Iardano, citato in Od. III,  che è diventato il Giordano (ebraico Iarden; fiume, ior, di Dan, dei Danai).

 

Gli Achei che come popoli del mare erano il residuo degli Hyksos venuti in e cacciati dall’Egitto avevano fra loro a dire di Omero dei Danai cioè dei membri della tribù poi ebraica di Dan o Daniti e dei Pelasgi/Filistei, che passeranno poi per i nemici più accaniti degli Ebrei. Non è forse possibile identificare una vera e propria “ Troia ” in una Palestina messa a ferro e fuoco, bruciata secondo le norme dell’olocausto, dai popoli del mare nel corso del XII secolo,  e del resto l’unica vera Troia omerica è  quella dei Dardanelli, madrepatria secondo gli Albani di Albalonga, e Albalonga  è la Troia di fatto, quella su cui piangere attualmente e in occasione della cui distruzione è stata commissionata a Omero l’Ira d’Achille. Sintetizzando si può dire che l’Iliade omerica e l’Antico Testamento, da Esodo fino a Samuele compreso, sono due facce (assai simili perché Omero acquisisce la tradizione per via semitica, rasennia) della stessa medaglia, l’occupazione della Palestina da parte dei popoli del mare e di altri popoli dell’interno nel periodo di carestie e crollo dei grandi imperi egizio e ittito, quando soprattutto i popoli del mare mercenari si ritrovarono disoccupati e cominciarono a combattere come pirati in proprio. La civiltà d’origine è la stessa, ariana, per entrambi i popoli, acheo e proto-ebreo, mentre per il secondo diventa esteriormente e gradualmente cananea anche linguisticamente (ma si consideri che se l’arabo ha solo tre vocali, a, i, u, l’ebraico ne ha cinque come altri popoli indeuropei). Ma ad esempio gli Achei  praticano la circoncisione e dunque sono ariani con costumi semitici. Possiamo pensare dunque ad un loro movimento da sud-est a nord-ovest (e poi da nord-ovest – dalla Troade – a sud come popoli del mare) come indeuropei che emergono dal ceppo semitico e non viceversa come indeuropei che venuti dal lontano nord a contatto coi semiti ne abbiano assunto il costume della circoncisione. Gli Achei spariscono immersi fra i Cananei o ritornando alle terre d’origine o prendendo nuove strade, e fra queste nuove strade c’è il connesso mondo etrusco-romano. Ciò che lega questi mondi è la divisione in dodici tribù o città stato, cioè una lega anfizionica di stampo greco dunque indeuropeo alla base della dodecapoli etrusca, dell’analoga lega guidata da Roma, della lega degli “ Achei ” in Palestina, cioè della lega degli Achei omerici davanti la spianata di Troia. Gli Ebrei si ambientano in Palestina e dunque sono frutto  di entrambe le culture, ma, io credo, restando sempre ben consapevoli della loro origine ariana facendo finta di nulla, mascherando sempre abilmente questa verità con i panni del povero giudeo perseguitato. Ecco dunque risolto definitivamente l’enigma delle affinità fra Omero e l’Antico Testamento. Seppure gli Ebrei hanno scritto dopo (e dunque possono almeno in qualche caso aver copiato da Omero), non avevano bisogno di copiare da Omero perché erano partecipi da un’ottica  neppure troppo diversa della stessa realtà storica di cui  avevano dunque un distinto ricordo di fondo, anche se poi l’eventuale travisamento è dovuto a prevalenti fini di manipolazione politico-religiosa.

 

Dunque fra Hyksos e popoli del mare c’è una continuità sostanziale. Anche i Romani hanno ascendenze  hyksos e  benaminite, ma avendo fondato la loro società sul lavoro della terra e facendo i soldati solo a tempo perso (ciò ovviamente all’inizio della loro storia), e detestando la dittatura e amando la democrazia, non avrebbero potuto tollerare un dio unico di nome Geova o Giove che fosse, in ciò distinguendosi sia dai proto-Ebrei che dagli Achei tiranneggiati (il pantheon acheo è palesemente subordinato allo strapotente Zeus) da un Agamennone qualsiasi. Viceversa i proto-Ebrei che si sono sempre identificati coi parenti stretti dei Romani, i guerrieri Beniaminiti del solo vero “ stato ” ebreo che possa mai essere esistito, quello di Giuda (Israele o Samaria al nord fu sempre monoliticamente pagano), erano candidati ideali ad avere un unico dio, il loro dio della guerra di sterminio di massa. In appendice a Giudici viene riportata la storia dei Beniaminiti  che verranno a comporre la tribù dello stato sudista di Giuda, l’unico che si possa definire pre-ebreo, e i Danuna o Danai omerici –  altro nome omerico degli Achei/Hyksos –  stanziati in Cilicia e alta Siria, nonché, secondo la tradizione, nello stato di Giuda e all’estremo nord dello stato di Israele.  La ricostruzione della storia di Israele è così completa. Al tempo di Saul il primo re, da intendere ancora allo stato precario (così come lo sarà il suo successore Davide che vive da pastore e da bandito fuorilegge e poi da re taglieggia il popolo cui offre protezione, mentre di Salomone non c’è la minima traccia del tempio e del palazzo, o meglio del palazzo, perché il tempio sarà stato un locale interno al palazzo deputato al tesoro; i preti sono sempre stati attaccati alla borsa e sono stati i primi banchieri), dobbiamo semplicemente immaginare che il re, il capo di Beniamino al sud  (risiede a Gibea mentre l’assemblea popolare si riunisce a Mispa) cercasse di imporre il suo predominio sul sacerdozio di Silo di Efraim a nord (il “re” è unto a Gibea e il maggiore santuario è a Bet-El). Samuele, l’ultimo dei giudici (la traduzione giudici è tanto tradizionale quanto inadeguata) e cioè dei pretori (tale è il significato anche presso i cartaginesi dei suffeti) federali assimilabili ai sacerdotes (così li definiscono i Romani) della lega etrusca, è il capostipite dei religiosi (che non sono stati eletti dal popolo) che ricattano i politici (che invece sono rappresentanti del popolo e solo dal popolo devono essere giudicati) in base ad un presunto e infondato potere, quello dei religiosi, di provenienza divina. Nei poemi omerici l’aruspice Calcante è assimilabile a Samuele e vaticinò dal centro federale della lega achea che la peste era stata inviata da Apollo per l’offesa recata al suo sacerdote Crise. Fu sotto Samuele che l’arca santa fu restituita agli Ebrei ponendo fine alla peste nello stato filisteo. Poi Davide crea il suo regno in Giuda con capitale Gerusalemme e da inizio ai re sostenuti dal clero. Per esperienza di storico direi che in linea di massima sono stati buoni re quelli accusati dal clero e cattivi quelli approvati dal clero. E’ stato buon re Saul e cattivo, spregevole addirittura, re Davide, come sarà cattivo re Salomone con la sua discendenza cui è appunto imputabile la scissione fra Israele e Giuda e la dipendenza di Giuda da Israele. Omero sembrerebbe avere ricordo della realtà dei popoli del mare in Palestina ancora sotto Davide e Salomone, come ricavo dall’episodio di Preto/Davide che da ordine a Iobate/Ioab di uccidere Bellerofonte/Uria (Naturalmente è difficile stabilire quale sia il fatto originale e quale quello inventato, sempre che non siano inventati entrambi, anche se è più facile  che gli Ebrei abbiano copiato da Omero), e dalla celebrazione di Penelope da parte di Odisseo come re perfetto. Omero scrive assai dopo la fine del regno unitario ma è evidente che nell’immaginario collettivo è col regno unitario che termina l’epopea e dunque degli altri reucci non si ritiene di dover parlare. Al momento della separazione fra i due stati di Israele a nord e Giuda a sud dopo Salomone, Efraim viene a far parte di Israele con capitale Sichem mentre Beniamino viene a far parte di Giuda.

 

La polvere alzata dai  focosi cavalli dei carristi hyksos si confondeva con quella nera e carica di pioggia del loro dio. Conquistarono l’Egitto e fra gli dèi di questo paese scelsero Seth, l’uccisore del buon Osiride, per rappresentare Geova. I Greci identificavano Seth con Tifone/Caos. Effettivamente lo Zeus omerico (Omero è etrusco-romano) è un dio civile depurato del suo aspetto negativo di Tifone/Caos che invece è prevalente presso i proto-Ebrei e i Greci adoratori di Dioniso che è l’aspetto violento dell’Apollo di Delfi.  Un dio da Unni o Vandali. Ma alla fine il dio Amon della XVII e XVIII dinastia tebana decise che era ora di farla finita e si sbarazzò del dio e del popolo invasori riducendoli a briciole sparse e insignificanti. (Dio, il dio giudeo-cristiano, è stato sconfitto sonoramente una volta e potrà dunque essere sconfitto ancora, da un qualsiasi altro dio pagano come Allah e meglio ancora da un popolo ateo! Geova porta oltretutto sfiga ai suoi adoratori, sei milioni di ebrei sterminati nelle camere a gas, un popolo che ha dovuto attendere il 1948 d. C. per essere indipendente duemilacinquecento anni dopo la caduta dell’impero hyksos e che sparirà fra breve, senza dubbio, e per sempre quando saranno spariti i suoi sostenitori USA e Gran Bretagna) Allora singoli individui derivanti dagli Hyksos/Achei e dalla confederazione dei popoli del mare (Danai) o comunque dei popoli guerrieri e mercenari (Beniaminiti) entrarono a far parte dell’harem e perfino dell’esercito del faraone come quel Yuya/Giuseppe che fu comandante dei carristi sotto Amenofi III e IV. Ritengo che nonostante la scoperta a Gerusalemme di un palazzo egizio della tarda XVIII dinastia, della suggestiva teoria dell’influenza del monoteismo di Aton (che è la risultante egizia del cananeo Adon filtrato attraverso le donne dell’harem) e dell’attestato culto di Tammuz presso il tempio preesilico di Gerusalemme (Ezechiele, 8,14, rimproverava le donne di Gerusalemme che prima dell'esodo a Babilonia nel 597 o 587 a. C. piangevano – sedute all'ingresso del portico settentrionale del Tempio –  la morte di Tammuz, cioè Adone, il dio-pastore, che scendeva agli inferi come Odisseo per poi risorgerne), il monoteismo del futuro popolo ebraico ha radici hyksos, assai più antiche, e ruota intorno a Tifone/Caos che con Aton egizio e con Tammuz non ha nulla a che spartire. Dopo che questo popolo lasciò  l’Egitto visse sotto il nome di popoli del mare lasciando poche tracce di sé, un non popolo senza patria noto col nome di habiru, gruppi di apolidi ai margini della società che qua e là si dedicavano ad attività di pastorizia o furto di bestiame, manovalanza in opere pubbliche, rapine ai viandanti, mercenariato al servizio di chi pagava di più. Alcuni mercenari e avventurieri direttisi sulle coste laziali fondarono diverse città etrusche e anche Roma. Altri stavano lavorando a Gerusalemme, una qualsiasi città cananea del VII secolo, quando Nabucodonosor II assediò e prese la città e deportò i suoi abitanti, compresi gli apolidi habiru, muratori,  e « tutti i falegnami e i fabbri » (2 Re 24,14) deportandoli a Babilonia. Nell’ambito di costoro, in prigionia, attraverso un proselitismo che deve essere stato analogo a quello dei cristiani (diretto in apparenza alle masse ignoranti ma sotto sotto  a coloro che tenevano i cordoni della borsa e che avevano interesse a investire nel progetto) si rafforzò il culto avito di Geova/Giove pluvio che dopo il decreto di Ciro II del 538 a. C. fu importato a Gerusalemme dove proprio gli habiru furono incaricati della ricostruzione della città. Questa volta gli habiru non erano più dei paria, dei fuori casta, ma la casta più importante e cominciarono per la prima volta dopo un millennio a tornare ad essere un popolo legato al loro dio Geova. I muratori (massoni) furono importanti anche per la nascita del cristianesimo. Come scrivono Ch. Knight e R. Lomas, « Nel 65 d. C. il paese versava in pessime condizioni. Le tasse imposte da Roma erano pesanti, i funzionari sempre più corrotti; alla conclusione dei lavori di costruzione del Tempio furono licenziate a Gerusalemme 18.000 persone. Gli scontenti (alcuni patrioti, altri degli autentici briganti) riscuotevano anch’essi tributi dalla popolazione locale, il che equivaleva a una “ estorsione a scopo di protezione ”. La tensione cresceva giorno dopo giorno… Ma non erano solo i Romani a rendere difficile la vita; anche le principali famiglie sacerdotali di Gerusalemme istigavano atti di violenza contro chiunque non li compiacesse. » (Il Secondo Messia, pp.16-17) Fu dunque negli anni precedenti in cui montava la ribellione che si colloca il tentativo di un tale di nome o soprannome  Giosuè/Gesù di conquistare Gerusalemme dall’orto degli Ulivi e cacciare dei Romani. Come proseguimento del  suo tentativo fallito veniva inaugurato il cristianesimo (messianismo) coll’incendio di Roma del 64 d. C. ordinato da Pietro. E alla fine la rivolta scoppiò prima a Cesarea e poi a Gerusalemme dove fu massacrata la guarnigione romana, che scatenò la reazione antigiudea. Il cristianesimo è una filiazione solo indiretta dall’ebraismo e non ha nulla a che vedere coll’ebraismo anche se entrambi sono all’origine ariani. Osiride stava a Seth come Apollo il Sole a Dioniso. Apollo è il dio preferito da Omero, il protagonista dell’Iliade in cui provoca l’ira d’Achille mandando la peste nel campo acheo e il protagonista dell’Odissea dove fa vincere a Odisseo la prova dell’arco col seguito dello sterminio degli usurpatori. Ma è anche  Proteo omerico (questo deve essere il dio dei proto-Ebrei che secondo Erodoto ha un santuario a Memphi con tempio dedicato ad Afrodite “ Straniera ” intorno a cui abitano dei Fenici di Tiro e tutta la località è chiamata Campo dei Tiri, II, 112; ritengo com’è noto che questa Afrodite sia l’Afrodite Urania di Ascalona, Erodoto, I, 105; da notare che i Persiani hanno questa divinità in comune coi proto-ebrei, come attesta Erodoto, I, 131) nel delta egizio, o  Vertumno etrusco-romano, rappresentabile esteriormente col Dagan/Poseidone/Conso raffigurato nel segno 50° del sillabario festio, metà pesce o anche serpente Apep (alcuni sovrani hyksos si chiamarono Apopi e Nehustan, il serpente di bronzo eretto da Mosè deve avere questa origine)  e metà essere umano con la corona solare in testa. Il Sole-Fuoco da cui tutto nasce e dove tutto ritorna. Stando all’Antico Testamento il Sole era venerato a Gerusalemme prima dell’esilio a Babilonia. Il “ riformatore ”  Giosia alla fine del regno di Giuda « fece scomparire i cavalli che i re di Giuda avevano consacrati al sole all’ingresso del tempio » (2 Re 23,11) e Ezechiele ha visto « nell’atrio interno del tempio… all’ingresso del tempio, fra il vestibolo e l’altare, circa venticinque uomini, con le spalle voltate al tempio e la faccia a oriente che, prostrati, adoravano il sole… Eccoli, vedi, che si portano il ramoscello sacro alle narici » (8,16-17). I Persiani, teniamo bene a mente i Persiani, usavano coprire le narici con rami d’erbe sacre per non contaminare col fiato l’atmosfera al sorgere del sole. Anche il Tofet o crematorio in cui gli ebrei bruciavano i figli in onore di Moloch richiama il fuoco, l’olocausto e dunque ancora una volta il Sole. Abbiamo detto che al Sole di Gerusalemme erano sacri i cavalli ma, certo poiché a Seth era sacro l’asino,  nel tempio di Gerusalemme era adorata ancora in età ellenistico-romana una testa d’asino d’oro (Giuseppe Flavio in Contro Apione II,7), e del resto l’asino in oriente è la cavalcatura regale dalle età più remote a Gesù. Oltre al Sole-pesce o serpente nel tempio di Gerusalemme preesilica  (entro il palazzo reale; o più facilmente è stato proiettato in età  preesilica il culto di Geova da parte degli habiru a partire dall’età esilica) si venerava la sua paredra, la dea Astarte verisimilmente nel consimile aspetto di Atargatis/Derketo (Afrodite Urania), cioè in forma di Sirena o dea-serpente come la Delfina di Delfi, con le sue prostitute, poi i suoi prostituti sacri che alloggiavano nel tempio stesso. Questa era la coppia divina delle città filistee, almeno quelle di Ascalona e Gaza. La presenza di profetesse sia pure tenute molto nello sfondo nella “ storia ” veterotestamentaria di Israele richiama alla mente la Pizia di Delfi. La dea della fertilità lunare era la dea delle popolazioni sedentarie cretesi ed alto-siriane già fusesi coi nomadi indeuropei e note come hurrite di Harran (vedi sul mio sito: Studi 1). La civiltà di Harran seppure indeuropea era matriarcale e dominante sulla civiltà dei patriarchi che prendevano moglie ad Harran. La società regale che l’Antico Testamento cerca di avvalorare fu anch’essa matriarcale perché i re adottarono le divinità delle loro mogli e concubine fino alla presa di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor. Il giardino dell’Eden, spostato in Armenia dove sorgono due dei quattro fiumi paradisiaci, il Tigri e l’Eufrate, e dove l’arca di Noè s’arenò sull’Ararat, fu pensato in origine a Creta e identificato col giardino di Eva (in ebraico Chàwwuah – cf. inglese cow [kau] tedesco kuh, armeno cov – che potrebbe essere indeuropeo per Vacca, si pensi alla dea lunare Iside con aspetto di mucca) la dea madre lunare dei serpenti. Più che col bue Api (che potrebbe essere un tardo errore di identificazione con Apopi) il vitello d’oro dell’Esodo potrebbe meglio essere identificato con la vacca lunare di Iside. Anche per Omero nel giardino del Purgatorio di Calipso che Omero ben sapeva collocato nell’Atlantico ma ha spostato in Sardegna per esigenze letterarie, « Quattro polle sgorgavano in fila, di limpida acqua, una vicina all’altra, ma in parti opposte volgendosi. » (Od. V,70-71) Qui Omero pare davanti ad una carta geografica di quelle disegnate geometricamente dagli assiro-babilonesi con un anello intorno ad indicare il fiume Oceano e una croce interna ad indicare i quattro fiumi che si dipartono da un cerchio interno che rappresenta l’Eden, o magari Babilonia.

 

 

 

Il paredro della dea era dunque il dio-pesce o dio-serpente, dio fallico fecondatore, poi estromesso e criminalizzato dai leviti di Geova che odia la vita e si astiene dal fecondare chicchessia lui che crea col pensiero e la parola maschile. Solo in età postesilica Geova, messo da parte il principio femminile, prese il sopravvento e gli Ebrei esistettero come popolo e furono realmente maschilisti, razzisti, teorizzatori e praticanti dell’olocausto. Dunque va messo bene in evidenza che a dispetto dell’aspetto culturale esteriore semitico i futuri Ebrei fin dal tempo degli Hyksos ebbero e mantennero una cultura fondamentalmente ariana, misogina e razzista come la civiltà greca di una Atene e di una Sparta.

Bisogna distinguere nettamente fra abitanti di Gerusalemme (gli Ebrei ancora non esistevano), pagani, in esilio o rimasti a Gerusalemme e habiru che abbracciarono il culto esilico e postesilico di Geova e che si scontrarono una volta a Gerusalemme coi gerosolimitani che erano sempre stati pagani,  anche gli adoratori del Sole. In ogni caso la “ storia del popolo ebreo ” antecedente al 538 a. C. e cioè all’editto di Ciro sul ritorno da Babilonia è stata per lo più manipolata dai sacerdoti habiru/ebrei per “ dimostrare ” agli Ebrei che essi sono il popolo eletto e che Dio ha in mente solo loro e li salva tutte le volte che lo venerano e li perde tutte le altre volte. E’ una storia nel senso di storiella, favola (credibile allo stato dei fatti come lo sono per moltissimi quelle della guerra di Troia e del ritorno di Odisseo) con intento politico che serve a formare un popolo che sia consapevole della sua grandezza passata in modo da avere quel senso di superiorità verso i popoli che lo circondano e così non li tema e anzi gli altri temano lui. Non sono in grado di provare che il nucleo storico fondamentale dell’A. T. e in particolare Genesi, sia stato scritto dopo la Repubblica di Platone ma certo se non ispirati dalla Repubblica gli Ebrei ebbero in mente gli stessi dettami platonici nel redigere l’Antico Testamento. Che viceversa sia stato Platone a scrivere la Repubblica avendo compreso l’infondatezza e il fine politico della storia di Israele? Dunque il popolo ebreo, se ho ragione, si sarebbe formato solo a partire dal ritorno a Gerusalemme nel 538 a. C. e, per la prima volta, intorno a Geova, dio della discordia, del continuo conflitto, del male assoluto. Gli Ebrei odiano gli Arabi da sempre e hanno sempre cercato di farli apparire come fomentatori di discordie e di serie b. Viceversa gli Arabi sono di serie A rispetto agli Ebrei fomentatori di discordie in tutto il Medio Oriente e altrove. Sull’Antico Testamento sono stati educati generazioni e generazioni di Ebrei fino ad oggi, e il Libro ha prodotto quello che ha sempre predicato, un popolo nazionalista, razzista, esclusivista, sterminatore degli altri popoli che si parano davanti al suo espansionismo. L’Antico Testamento nel suo insieme è il frutto di una tale ideologia. L’Antico Testamento è il manuale del primato della razza ebrea. L’Antico Testamento è il manuale della conquista legittima per chi è con dio di tutto ciò che appartiene agli altri e cioè non appartiene a nessuno perché gli altri non sono nessuno. L’Antico Testamento è il credo degli USA fin dallo sbarco dei Padri Pellegrini. L’Antico Testamento è l’invenzione dell’eterno Caino che c’è nell’uomo (in realtà poiché Caino era l’egiziano urbanizzato l’assassino non può che essere stato il pastore hyksos, dunque il nomade Abele)  e che è riuscito a pensare dio come solo per lui e non per tutta l’umanità per potere con un ombrello di legittimità derubare della sua eredità la parte restante dell’umanità. Se dio è padre di tutti siamo tutti suoi figli ed è difficile farsi la guerra senza temere una punizione divina. Se invece dio è padre solo degli Ebrei allora gli Ebrei possono accaparrare (sempre che ci riescano) tutto quello che vogliono sulla terra del tutto legittimamente perché se dio è solo con loro e gli altri non hanno l’appoggio di dio è come se non esistessero o fossero roba di nessuno e dunque gli Ebrei possono prendere tutto ciò che è di nessuno senza alcun senso di colpa. Ovviamente tutto ciò non ha fondamento logico perché gli altri hanno altri dèi o nessun dio, che è meglio,  e allora vinca chi ha il dio più forte. Vinca chi è ateo e, signore di se stesso, ragiona col proprio cervello. Ma il cristianesimo, figliato indirettamente dall’ebraismo, è riuscito a dare respiro universale ad un dio tribale che tale doveva restare e come tale sarebbe morto. Non cambia nulla, ovviamente, perché il dio cristiano resta lo stesso dio ebreo e dunque un minuscolo e inutile idolo di un popolo che se continua a farla da padrone sarà spazzato via dalla faccia della terra (e lo stesso vale per il suo tutore USA), perché se dio non esiste, in compenso la pazienza umana, perfino quella orientale, ha un limite. In questo lavoro mi occuperò della genesi del dio giudeo-cristiano che, come è nato nel tempo, morirà nel tempo, portandosi dietro i suoi fedeli.  

 

Col suo capostipite Ciro l’Impero persiano assunse una posizione di primo piano nella storia non solo dell’Asia ma di tutto il mondo antico. Aveva avuto un precedente nell’impero degli Hyksos di cui sappiamo tanto poco e che  in qualche modo prese a modello. Ciro il Grande, uno dei più notevoli protagonisti dell’antichità, spicca su ogni altro per aver temperato il valore e l’intraprendenza in guerra con la sapienza organizzativa e con un raro senso di tolleranza e di umanità. Sotto di lui fu abbattuto il regno dei Medi (550 a.C.) poi il regno lidio e infine quello babilonese. Quando nel 528 Ciro morì, l’Impero si estendeva dal Caucaso all’Oceano Indiano, dal Mediterraneo all’Asia Centrale. E’ Ciro il Messia del popolo ebreo, perché lo ha liberato dall’esilio babilonese, e il buon Pastore, e il Servo fedele, il Cristo/Messia dei cristiani, che muore  per dare al mondo la pace universale. Il profeta Isaia  a lui solo si riferiva esclusi tutti gli altri, Gesù compreso. Non ci fu e non ci sarà mai altro Messia al di fuori di Ciro. Se gli Ebrei attendono un Messia in base al libro dei Profeti hanno voglia ad attendere.   

La mia scoperta rivoluzionaria nasce da una coincidenza emersa alla fine degli ultimi miei studi sul giudeo-cristianesimo e dalla rilettura delle Storie di Erodoto, dalle quali emerge che la religione (e il popolo ebraico) e la religione cristiana sono nate assai recentemente e sono entrambe creatura dei Persiani come strumento per il controllo dell’occidente nella fase in cui i Persiani intendevano invaderlo e in seguito per scoraggiarne le ambizioni espansionistiche verso oriente. La prova immediata di questa mia intuizione viene dal fatto che Ciro II il Grande fondatore dell’impero persiano è anche il fondatore dell’ebraismo col suo editto del 538 a. C. in base al quale inviò una colonia di individui di lingua ebraica a fondare la città di Gerusalemme. Nel 597 e 587 a. C. secondo quanto rivendica l’Antico Testamento si ha la deportazione degli abitanti di Gerusalemme a Babilonia sotto Nabucodonosor II. Si tratta dai  50 ai 40 anni di prigionia, cioè due generazioni, in Babilonia, prima sotto i Babilonesi e poi sotto i Persiani, il paese e i popoli più civili del tempo. Le giovani generazioni nate nell’esilio ed educate dai capi religiosi ad amare l’inferno degli habiru dove vivevano da liberi e  confrontandolo col  Giardino dell’Eden (Babilonia) in cui vivevano da schiavi, quando fu il momento della liberazione preferirono restare a Babilonia e quelli che accettarono di tornare, gli habiru, erano i portabandiera della politica globalizzatrice di Ciro, ma se non si fossero  interrotti i rapporti  coll’impero persiano l’ebraismo non sarebbe stato quello che invece è, religione nazionalista, razzista e sterminatrice di tutto ciò che è al di fuori e dunque suo nemico.  

La verità è che la nascita del giudeo-cristianesimo fu guidata dai Persiani e prima di allora non ci fu ebraismo. Ammesso che una o più città cananee abbiano venerato fra i loro dèi un dio chiamato o soprannominato Geova al primo posto o comunque nel loro pantheon, e fra queste Gerusalemme, ciò non significa che esistessero gli Ebrei e tantomeno che esistesse il culto monoteista ebraico di Geova). Strettamente legato al culto di Geova preesilico in ogni caso sarebbe stato quello della dea Astarte per cui le donne (dotate di specchi per farsi belle) nei tempi stabiliti si prostituivano all’ingresso della tenda del convegno fin dai tempi di Mosè e del presunto santuario di Silo (Esodo 38,8 e 1 Samuele 2,22). Se qualcosa poi cambiò nell’età dei re è che alle prostitute furono sostituiti prostituti (dunque il rapporto omosessuale invece di quello eterosessuale) sacri e che le loro celle –  nelle quali le donne tessevano tende  per Astante Asera  – ora si trovavano nel tempio stesso (2 Re 23,7). I presunti Ebrei preesilici adoravano Adon, Adone (‘Signore’), divinità semitica che fu introdotta in Egitto al seguito delle regine hurrite o ittite e dall’Egitto tornò in Israele sotto la forma di Aton il disco solare diventato dio unico del re eretico Ekhnaton/Mosè. Poiché non vi sono prove del regno unico e soprattutto “ faraonico ” di Israele da Saul a Salomone si ritiene che questi sovrani siano stati inventati a partire da faraoni della XVIII dinastia. In particolare ad esempio Davide e Betsabea l’ittita genitori di Salomone il re sapiente potrebbero corrispondere ad Amenofi III e Teye da cui nacque Amenofi IV/Ekhnaton. Ma anche Salomone potrebbe corrispondere ad Amenofi III e la regina di Saba a Teye. Ma gli scopiazzamenti da un determinato faraone sono tanti (Ekhnaton può corrispondere tanto a Mosè che a Salomone e perfino a Sansone, tanto simile al greco Eracle che appunto è la rappresentazione all’esatto contrario del deforme Ekhnaton)  e si ripetono senza alcun ordine cronologico per cui non avrebbe alcun senso recuperare la storicità reale egizia da cui la “ storia ” ebrea trae le sue origini.  Ne consegue che se gli Ebrei si identificano con Geova e viceversa, è solo a partire dal 538 a. C. che siamo legittimati a cominciare a parlare di popolo e religione ebraici. Dunque il giudeo-cristianesimo pretende di credere in un unico dio che ad un certo momento avrebbe creato il mondo sensibile in cui viviamo e tutte le sue creature viventi e in primo luogo l’uomo, mentre è vero che i furbi Magi persiani crearono il giudeo-cristianesimo (il cristianesimo se etimologicamente lo intendiamo per quello che è: messianesimo) come testa di ponte per la destabilizzazione dell’occidente in vista della sua conquista. L’onere di provare l’autenticità della pseudo storia degli Ebrei precedente il 538 a. C.  da Adamo ed Eva o da Abramo al 538 a. C. cade sulle spalle di chi ne rivendica la validità perché in linea di massima non è stata trovata prova alcuna di un regno unitario e nemmeno di uno diviso fra Giuda e Israele prima del 538 a. C. Se poi anche si dimostri da qualche iscrizione l’esistenza di qualche nome di re della lista veterotestamentaria anteriore al 538 a. C. ciò non significa che questo sia un re ebreo di Gerusalemme ma – sempre fino a prova contraria – semplicemente  un re di una città cananea (Gerusalemme) fra tante in cui si veneravano tante divinità maschili e femminili fra cui eventualmente – ma va anche questo provato e non è sufficiente l’argomento che ne parla la Bibbia –  una divinità di nome Geova.

Quando parliamo di profeti siamo portati a pensare a gente che pretende di predire il futuro. Se parliamo di profeti ebrei del libro dei Profeti siamo immediatamente portati a credere che costoro pretesero di predire la caduta di Gerusalemme  nelle mani di Nabucodonosor che ne deportò la popolazione a Babilonia. Soprattutto siamo portati a ritenere ciò quando leggiamo che il primo profeta, Isaia, sarebbe nato verso il 765 a. C., ed è ovvio che a quel tempo la presa di Gerusalemme era solo prevedibile. Poi però, battendo la pista che una religione ebraica è esistita a partire dal “ ritorno ” a Gerusalemme nel  538 a. C., ci accorgiamo che dal secondo profeta in poi, da Geremia a Malachia, abbiamo appunto a che fare con “ profeti ” che assistettero in vita loro alla caduta di Gerusalemme e alla deportazione, nonché al ritorno. E viene il dubbio che è una strana coincidenza che uno preveda una cosa e poi viva abbastanza anche da verificare l’esattezza della previsione. Se i profeti ebrei fossero dei napoletani, senza offesa, ma ormai sono diventati un classico,  potremmo sospettare che prima abbiano assistito alla caduta di Gerusalemme e poi scritto le loro “ profezie ”. E allora sospettando che anche Isaia sia stato un “ napoletano ” approfondiamo l’analisi e scopriamo che egli ha assistito alla vittoria di Ciro II il Grande su Babilonia e addirittura all’editto di ritorno degli ebrei a Gerusalemme e perfino alla morte di Ciro. Poiché uno nato nel 765 potrà pure essere un grandissimo profeta ma non per questo andare oltre le regole della natura, è evidente che per assistere al decreto di Ciro Isaia avrebbe vissuto oltre due secoli, ciò che non è ammissibile. E infatti è dio stesso ad affermare che nessun profeta ha mai previsto l’arrivo di Ciro, nemmeno Isaia: « Chi lo ha predetto dal principio, perché noi lo sapessimo, chi dall’antichità, così che dicessimo: “ E’ vero? ” Nessuno lo ha predetto… Per primo io l’ho annunziato a Sion e a Gerusalemme ho inviato un messaggero di cose liete. Guardai ma non c’era nessuno, tra costoro nessuno era capace di consigliare… » (Is 41,26-28) Dunque dio ha dato la notizia a nessuno, dunque nessuna profezia. Dunque dobbiamo ristabilire la verità secondo logica e cioè che Isaia, almeno da 1 a  55, è vissuto al tempo di Ciro. Si pone dunque nella stessa cornice degli altri profeti, al primo posto, e come essi non prevede il futuro ma solo il presente e il passato, come il “ Maco ” Abatantuono di Grand Hotel. Io ritengo che Isaia sia stato un “ profeta ”, il primo “ profeta ” al servizio di Ciro II, incaricato di propagandare la politica di pacificazione nella globalizzazione dell’impero persiano, e  così nei cc 1-39 mostra agli Ebrei il “ bastone ” e cioè rievoca il castigo inflitto da dio a Israele, conclusosi con la presa di Gerusalemme e l’esilio (risale abbastanza indietro nel tempo cosicché poi i successivi redattori, che aggiunsero anche i cc da 56 a 66, poterono farlo nascere intorno al 765 a. C. presentando almeno lui come vero profeta), ma nei cc 40-55 fa vedere la “ carota ” cioè la possibilità di salvezza nell’intervento vittorioso di Ciro II che attraverso Isaia invita a tornare tranquillamente e con spirito collaborativo (« Se sarete docili e ascolterete, mangerete i frutti della terra. Ma se vi ostinate e vi ribellate, sarete divorati dalla spada, perché la bocca del Signore ha parlato » Is 1,19-20; « Ora cessate di agire con arroganza perché non si stringano di più le vostre catene, perché un decreto di rovina io ho udito, da parte del Signore, Dio degli eserciti, riguardo a tutta la terra » Is 28,22; « Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e voi vivrete. Io stabilirò per voi un’alleanza eterna, i favori assicurati a Davide… Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie – oracolo del Signore… così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata. Voi dunque partirete con gioia, sarete condotti in pace » Is 55,3-12) a Gerusalemme perché dio stesso, il Signore degli eserciti,  ha suscitato il  liberatore degli Ebrei (« Io, io ho parlato; io l’ho chiamato, l’ho fatto venire e ho dato successo alle sue imprese » Is 48,15; « Io dico a Ciro: Mio pastore; ed egli soddisferà tutti i miei desideri, dicendo a Gerusalemme: Sarai riedificata; e al tempio: Sarai riedificato dalle fondamenta » Is 44,28), Ciro il pastore di dio, il  Messia (Is 45, 1: « Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: “ Io l’ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso »), che ha distrutto Babilonia (« E’ caduta Babilonia! Tutte le statue dei suoi dèi sono a terra, in frantumi » Is 21,9; « la città eccelsa l’ha rovesciata, rovesciata fino a terra, l’ha rasa al suolo. I piedi la calpestano, i piedi degli oppressi, i passi dei poveri » Is 26,5-6). Lo Jahvè che ispira le “ profezie ” o meglio le minacce di Isaia ha sposato in pieno la causa imperialista di Ciro, uno straniero, figlio di un persiano (inteso come una nullità da parte dei Medi, per cui probabilmente si potrà affermare che Ciro è nato da una vergine, e dunque con un padre putativo persiano) e una principessa meda. La cosa è tanto abnorme rispetto al razzismo ebraico (che avrebbe certo preferito un Messia ebreo) che dobbiamo credere che fu Ciro a creare l’ebraismo. Il commentatore della Bibbia di Gerusalemme scrive a proposito di 45,1: « Questo oracolo è curiosamente parallelo a un testo babilonese, il Cilindro di Ciro, in cui si dice che Marduk, che non è un dio persiano, ha “nominato il nome di Ciro e lo ha chiamato al dominio su tutta la terra”. Questo testo, redatto dai sacerdoti di Babilonia, è stato scritto, come l’oracolo del Deutero-Isaia, al momento della marcia vittoriosa di Ciro, nel 538 a. C. » (p. 1640). Pare però che il Cilindro di Ciro riporti un elenco dei popoli liberati dove non compaiono, ancora una volta, gli Ebrei, ma soltanto popolazioni mesopotamiche. Il minimo che si possa dire è che questi Ebrei erano tanto insignificanti da non essere mai presi in considerazione da nessuno, invisibili,  inesistenti. E infatti esistevano solo come habiru. Esisteva solo Gerusalemme ma come una qualsiasi città cananea e Ciro provvide a restituire gli arredi sacri del tempio al re di Giuda Sheshbassar. Il tempio era evidentemente ritenuto ancora proprietà regia e non sacerdotale. Da quanto precede si dedurrebbe che Gerusalemme anteriore all’esilio era una qualsiasi città cananea politeista dove se tutto va bene il clero levita di Geova non aveva preminenza né sede nel tempio o nel palazzo reale. Tornando al cilindro di Ciro viene da pensare alla collusione –  fino ad aprirgli le porte di Babilonia –  del clero babilonese di Marduk col monoteista Ciro, così come Zorobabele sostenuto da Isaia è  pronto a gestire il governo di Gerusalemme in nome e per conto di Ciro. I riferimenti di Isaia ad un Messia per quanto ambigui non possono che riguardare in genere Ciro (« la vergine concepirà e partorirà un figlio,  che chiamerà Emmanuele » Is 7,14; « un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace; grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e sempre; questo farà lo zelo del Signore degli eserciti » Is 9,5-6), ma c’è forse anche un riferimento a Zorobabele laddove si annuncia che  « un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore… Si compiacerà del timore del Signore… giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese… » (Is 11,1-4). Essendo stato così autorevolmente introdotto, alla fine Ciro il Messia fa il suo proclama in prima persona: « Ascoltatemi,  o isole, udite attentamente, nazioni lontane; il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome. Ha reso la mia bocca  come spada affilata… Ora disse il Signore che mi ha plasmato suo servo dal seno materno… : “ E’ troppo poco che tu sia mio servo  per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Ma io ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra. ” Dice il Signore, il redentore di Israele, il suo Santo, a colui la cui vita è disprezzata, al reietto delle nazioni, al servo dei potenti: “ I re vedranno e si alzeranno in piedi, i principi vedranno e si prostreranno, a causa del Signore che è fedele, a causa del Santo di Israele che ti ha scelto » (Is 49,1-7). Questo e altri passi in cui si parla del servo non sono stati capiti dalla critica anche perché evidentemente di redazione in redazione gli scribi hanno cercato di diminuire la figura del messia Ciro a vantaggio di Israele vista come il popolo reietto che deve dare luce al mondo e a vantaggio di un messia ebreo. A meno che gli Ebrei non si identifichino con gli Hyksos, non con i soli Hyksos dell’Egitto, ma con gli Hyksos del grande impero che andava da Creta forse fino alla valle dell’Indo. Ciro liberando Israele la farebbe rivivere nello stesso grande impero hyksos oggi sotto Ciro e sotto lo stesso dio unico che ogni popolo dell’impero di Ciro chiama come vuole. E’ evidente che Ciro dalla testa di ponte di Gerusalemme lancia il suo proclama di dominio all’Europa, alle isole dell’Egeo  e si pone come designato da dio (paese per paese egli poi concretizzerà differentemente l’aspetto di questo dio, cioè parla ai Babilonesi come messia di Marduk, ai Gerosolimitani come messia di Geova, ecc.). Più avanti leggiamo ciò che si dice di Ciro morto in guerra, secondo Erodoto, contro i Massageti: « Ecco, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e molto innalzato. Come molti si stupirono di lui – tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo – così si meraviglieranno di lui molte genti; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto mai ad essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito. Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? E’ cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in arida terra. Non ha apparenza di bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori, e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti… ecc. ecc. » (Is 52,13-53,1-6) I cristiani piluccano da questi passi come se  profetizzassero l’avvento di Gesù mentre riguardano Ciro. Con il cosiddetto Deutero-Isaia (che per me comprende Proto-Isaia ed è Isaia e basta) si conclude con una mezza delusione l’esperienza di Ciro, mezza delusione perché pur avendo fatto tutto quel che si poteva per ridare a Gerusalemme un minimo di libertà  è morto sulla via della costruzione di un impero monoteistico ecumenico che molto avrebbe fatto per Israele, e i suoi successori non sono stati mai alla sua altezza per non dire di Serse che fu sconfitto dai Greci che gli hanno sbarrato la via in Europa. Israele si sarebbe avvantaggiata sicuramente della sua posizione alle porte dell’Europa se i Persiani fossero riusciti nell’impresa di conquistarla. Ma col passare del tempo a questa delusione ne subentrò un’altra peggiore e cioè la constatazione che ancora il culto di Geova non riusciva ad attecchire e sopravviveva l’idolatria di sempre nei confronti delle divinità cananee e l’ingiustizia di sempre del popolo ebraico, degli ebrei verso altri ebrei. Così i cc da 56 a 66 di Trito-Isaia sono una delirante e scombinata serie di vaneggiamenti con alti e bassi di sconforto, minacce, promesse, speranze che non hanno capo né coda perché stavolta non c’è una realtà oggettiva da prevedere ma solo parole parlate a vanvera, a vuoto. Con queste aggiunte la “ profezia ” di Isaia si trasforma in profezia perpetua da essere valida per infinite occasioni future, tanto generica e vaga da potersi adattare ad ogni circostanza. Un povero israelita del nord – se stiamo al racconto dei vangeli – abbastanza fuor di cervello come attestavano i suoi stessi parenti –  credette e gli fu fatto credere di incarnare il messia (ma il Messia Ciro era già venuto e le “ profezie ” solo a lui si riferivano e avevano  avuto compimento da molto tempo) e così si autosuggestionò al punto da incarnare una seconda liberazione del popolo ebreo (questa volta dai Romani) che sfociò alla fine nella creazione di una nuova religione, la cristiana mentre gli Ebrei venivano ancora una volta dispersi fino ai tempi moderni. Ci fu un solo profeta ed era il portavoce di Ciro. Quelli che vennero dopo continuarono il genere letterario profetico senza aver compreso il motivo per il quale era stato impiegato da Isaia e comunque senza le forti motivazioni di quello. Dio non ha mai parlato ad alcun profeta perché dio non esiste. L’unico che ha parlato è stato Ciro, il creatore del dio di Israele. Tutti gli altri che hanno creduto e credono di diffondere il messaggio di dio sono  pazzi o ubriachi perché è esistito un solo dio, lo ha creato Ciro, e poiché ha avuto una nascita avrà una morte come l’ebbe il Mostro di Frankenstein.

L’avvento di Ciro apre per un momento le porte alla speranza di una nuova era per l’umanità, quella in cui dio è sceso fra gli uomini e la terra è di nuovo un Paradiso dove scorre latte e miele. Un paese di Cuccagna antitetico all’Inferno di Israele e appetibile tanto più per  il fatto che agli Ebrei non va di lavorare. La popolazione rimasta a Gerusalemme, ovviamente rimasta quel che era, pagana, non può essere stata superiore di numero e di potere ai nuovi arrivati  sostenitori di Geova. Nonostante ciò Isaia si scaglia contro l’idolatria e il sacerdozio: « Anche costoro barcollano per il vino, vanno fuori strada per le bevande inebrianti. Sacerdoti e profeti barcollano per la bevanda inebriante, affogano nel vino; vanno fuori strada per le bevande inebrianti, s’ingannano mentre hanno visioni, dondolano quando fanno da giudici. Tutte le tavole sono piene di fetido vomito;  non c’è un posto pulito… » (Is 28,7-8), il che vuol dire che la popolazione di Gerusalemme continua a rifiutare sostanzialmente il culto monoteista di Geova e alla fine Zorobabele deve imporre con la forza le sue idee. E ciò è evidente perché quale Ebreo può accettare semplicisticamente l’idea che dio gli mandi come messia un persiano? E così dio spiega e giustifica il suo comportamento:   « Ricordatevi i fatti del tempo antico, perché io sono Dio e non ce n’è altri. Sono Dio, nulla è uguale a me. Io dal principio annunzio la fine e, molto prima, quanto non è stato ancora compiuto: io che dico: “ Il mio progetto resta valido, io compirò ogni mia volontà! ” » (Is 46,9-10), «  i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie – oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri » (Is 55,8-9), che detto in altre parole significa: « Ebrei, è dio che vi parla, lo stesso identico dio di sempre. Se anche potete avere dei dubbi per il fatto che ho nominato messia uno straniero di nome Ciro ubbidite in silenzio perché io sono io e faccio ciò che voglio ». Io credo che i Gerosolimitani postesilici rimanessero prevalentemente politeisti, mentre Isaia e gli altri profeti sembrano voler accreditare la versione di un popolo monoteista infedele soprattutto per colpa della classe dirigente levita. In entrambi i casi non cambia nulla perché è evidente che Ciro impose il suo culto monoteistico (che si dirà di Geova) per la prima volta contro il precedente politeismo o contro i leviti. Il minimo che si possa affermare è che Zorobabele abbia ammesso al culto solo i leviti che hanno fatto sottomissione a Ciro. L’ipotesi più estrema è che i leviti sono stati istituiti per la prima volta da Zorobabele. Certo è che a giudicare da Trito-Isaia, cioè dalla terza e ultima parte di Isaia, l’esperienza monoteistica è stata breve e dunque più imposta dall’esterno, da Zorobabele per conto di Ciro, che sentita come tradizionale. Dunque l’ipotesi più ragionevole è che Geova è stato imposto dai Persiani a Gerusalemme perché questa doveva diventare nelle mire persiane una cellula persiana per la destabilizzazione e il controllo dell’Occidente, come lo è tuttora, dell’Occidente e dell’Oriente. Il dio giudeo-cristiano è nato come espediente dei Persiani per il controllo del mondo occidentale ed è rimasto orfano quando questi non sono riusciti a sfondare in occidente grazie alla strenua difesa greca. Gli Ebrei amano i loro profeti di sciagure perché tanto le sciagure le invocano e le predicono sugli altri popoli, quelli che non sono in sintonia con i governi di Israele. Fanno terrorismo psicologico giocando sull’ignorante credenza religiosa della massa  intellettualmente inerte. L’Europa a guida franco-tedesca non includendo il principio delle cattive radici giudeo-cristiane ha mostrato di essere la degna continuatrice dell’Europa a guida ellenica di Maratona, Salamina, Platea. Il Moloch della religione non è ancora vinto, e tutto sanguinante, e dunque più agguerrito e pericoloso, si ricoalizzerà ancor di più intorno a USA, Gran Bretagna e Israele e qualche altro scagnozzo tipo l’Italia di Berlusconi o il Giappone di Koizumi. Io non so chi vincerà la IIIa guerra mondiale in corso, anche se Tucidide e Palatone mi fanno sperare che vincerà il popolo arabo intorno all’Irak che si riconosce in Saddam Hussein o che comunque non si riconosce nel governo fantoccio imposto dagli USA. So invece che sapremo che la guerra è finita quando sarà evidente chi l’avrà persa e persa per bene, perché questa sarà la prima volta nella storia che il perdente sparirà economicamente e politicamente. Perché? Perché l’umanità non vuol vivere nel terrore. O viceversa, perché i paesi terroristi temono l’opposizione legalista.

La salita al trono di Ciro II il Grande è stata preannunciata da una stella avvistata dai Magi e la sua vita, che ricorda quella di  Romolo (anche i Romani di Romolo due secoli prima dei Persiani di Ciro II adoravano il fuoco della dea Vesta e la madre di Romolo era sacerdotessa della dea Vesta), è servita da modello a quella di Gesù secondo Matteo. In particolare troviamo i Magi che predicono che il nascituro regnerà al posto del re in carica e questo ordina di eliminarlo. Il re in carica è il medo Astiage e la partoriente è sua figlia Mandane, madre di Ciro che appunto regnerà dopo Astiage (Erodoto, I, 108ss). Ciro è stato il primo Messia degli Ebrei fondando Gerusalemme e il tempio, ma anche il prototipo di Gesù il Messia dei cristiani, il cui simbolo della vite (per i greci connesso a Dioniso) è già presente nel sogno di Astiage, dove la vite  si sviluppa dal sesso di sua figlia fino a coprire l’Asia intera indicando che Ciro avrebbe avuto un tale regno.  Già che ci siamo citiamo un altro passo in cui si parla di una profezia in base alla quale le mura di una città (Babilonia) sarebbero cadute quando una mula avesse partorito (Erodoto, III, 153), ciò che richiama l’entrata a Gerusalemme (che il Giosuè/Gesù di Giuseppe Flavio aveva profetizzato che avrebbe fatto crollare come a suo tempo Giosuè di Mosè aveva fatto crollare le mura di Gerico) di Gesù su un’asina coll’asinello (Mt XXI, 1-3). Ed è probabile che l’ebreo non abbia capito o non abbia voluto seguire fino in fondo la profezia in Erodoto. Se il dio ebraico è creato artificialmente allora deve basarsi su un concetto diffuso e sincretistico dalla Persia alla Grecia. Questo dio è il Sole luminoso. La luce rinvia all’atto di vedere e al sapere, l’oida greco che include i due sensi, e il radicale vid- di video, sanscrito Veda. Gli dèi – sanscrito deva, antico persiano daiva, latino deus, sono etimologicamente i “ luminosi ”, dalla radice div-, che vuol dire “ splendere ”. Helios per Omero è il sole « che tutto vede e tutto ode » (Od. 11,109) la cui onniscienza procede dalla sua onniveggenza, e l’onniveggenza è inerente alla sua natura di dio solare, e quindi per eccellenza luminoso. Il vedico Dyaus, il greco Zeus, il romano Jupiter, sono personificazioni del “ Padre-Cielo ”, e sono onniveggenti-onniscienti; così come il vedico Surya, il babilonese Shamash, l’egizio Ra, tutte personificazioni del sole, sono onniveggenti-onniscienti.  Ahura Mazda, come si legge nell’Avesta, è “ il Signore che sa ”, “ colui che conosce ”, “ colui che vede tutto ” ecc.  Geova/Giove risiede nel cielo, e dal cielo vede quel che gli uomini fanno, dal cielo manda il suo castigo. La nozione del cielo come dimora di Geova è di origine postesilica. Ma l’aspetto uranico-meteorico di Geova si rivela già nelle più antiche teofanie: Geova si manifesta nella nube temporalesca e nella violenza dell’uragano ed è detto “ nube nera ” come Zeus omerico. E come paterno dio celeste poi aveva precedenti riscontrabili nell’Atharva-veda induista e nell’Avesta mazdeista, il che fa supporre che fosse una credenza diffusa fra gli antichi popoli del lontano e del vicino Oriente, la cui influenza – specialmente egizia e babilonese e cananea – sulla formazione della primitiva religione ebraica, per ragioni storiche, è più che sicura. Ebraismo e cristianesimo sono impregnati fin dal tempo di Isaia di elementi iranici: « Guai a coloro che  chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre… » (Is 5,20). Nella dottrina dell’Avesta (il Sapere) di Zarathustra, operante verso il 630 a. C., il  mondo risulta diviso in due campi: Bene-Male, Mazda e Mainyu. L'intera storia dell'universo  altro non è se non  la storia della lotta tra i due; lotta tra i quali ogni uomo é chiamato a scegliere, ma che tuttavia non potrà che terminare solo con la totale sconfitta di Mainyu: il male. (Che si combatte in vita  con recitazione di preghiere, confessione delle colpe, penitenze, corvée, e nell'aldilà con un giudizio in attesa del quale si sta in una specie di Purgatorio e un premio o una pena dopo di che si passa rispettivamente al Paradiso, che in persiano significa, Giardino, Parco, o all’inferno con il fuoco e le fiamme per l'espiazione, perché nell'inferno di Zarathustra le  fiamme toglievano le impurità dopo di che i cattivi venivano restituiti al mondo nel giorno dell’Apocatastasi o “ resurrezione ”, mentre la dottrina cristiana  considera l'inferno senza ritorno cioè per la vita eterna) Questo manicheismo ha un errore di fondo perché ritiene che un giorno possa vincere il bene. Se vincesse il bene (o se vincesse il male) in un modo o nell’altro il mondo verrebbe a finire. Il bene è dato da un misto di cosiddetto bene e cosiddetto male. Cosiddetto perché ciascuno da di ogni cosa un giudizio volta a volta diverso. L’universo vivrà o sparirà per fatti suoi che non hanno niente a che vedere col bene o col male. Una società si regge solo se c’è un giusto equilibrio fra bene e male. Una società tutta fondata nel male non può nemmeno esistere. Una società fondata solo sul bene è una società dalla quale tutti prima o poi vorrebbero fuggire ed è dunque la più pericolosa.  Questo manicheismo che vede tutto bianco o tutto nero derivò probabilmente dal culto del fuoco forse il più antico culto essendogli legata la prima forte sensazione a carattere sovrannaturale per lo sgomento (il fuoco inceneriva, distruggeva) e ammirazione (il fuoco era luce e calore).  Fonte di vita, di luce e di calore, ma anche potente distruttore, che nell'idea di Zarathustra diventa  purificatore e rigeneratore. Al fuoco erano fin dall’origine addetti i semitici Magusei, con il loro dialetto aramaico (prima impiegato nella diplomazia e negli affari e solo in un secondo tempo in quello letterario), o meglio conosciuti come i Magi. Quest'ultima era una antica tribù di Medi che inizialmente si chiamavano athravan “ gli accenditori del fuoco ”. Per Zarathustra al centro di ogni cosa sta solo il “ Saggio Signore ”, e la sua missione è quella di preparare il regno del giusto pensare, del giusto agire e del giusto parlare. Zarathustra si richiama a un giudizio di questo unico dio, da cui dipende la beatitudine o la dannazione; così l'uomo viene inserito nella lotta grandiosa e drammatica fra le potenze del bene e quelle del male. Questo è appunto il programma di Ciro esposto da Isaia e che incita gli Ebrei ad abbandonare il male e a mettersi sulla via del bene accettando l’invito ad essere sudditi fedeli di Ciro e a recarsi a Gerusalemme. Alla religione oltranzista persiana si contrappose quella greca che pure aveva i suoi fondatori: Omero ed Esiodo. Non credo che Esiodo la cui visione è strettamente aderente ai modelli orientali, cananei, possa aver avuto una qualche influenza sulla vittoria dei Greci se non quella negativa del ricorso superstizioso all’oracolo di Delfi. Semmai Omero col suo appello alla pazienza di Odisseo e alla ragione che lo porta a diffidare degli stessi dèi ha avuto influenza sulla vittoria finale. Superstizione contro ragione. E la differenza fra l’Odisseo occidentale e quello orientale Giobbe non potrebbe essere più abissale nello scontro fra ragione occidentale e superstizione orientale.

Bisogna capire perché in questo momento sorgono tanti creatori di religioni (sottolineo che si tratta di religioni create e non rivelate; anche la religione ebraica è creata e non rivelata) come Zarathustra, Esiodo, Omero, ecc. Il fatto è che al crollo delle monarchie che avevano anche il controllo della religione e della scrittura non si è sostituita la consapevolezza del nuovo regime che è fondato sulle assemblee (che dispongono della facile scrittura alfabetica inventata a Ugarit come semplificazione della stessa scrittura egizia che conosceva segni monoconsonantici) e dunque sul potere di molti, di uomini che ragionano con la propria testa e agiscono per far valere i propri fini e interessi. Il problema è il controllo morale della società e tutti, tranne l’occidentale Omero, continuano a fondarlo sulla paura, la paura degli dèi al posto della paura per il despota orientale. A Roma e Tarquinia dove le assemblee funzionano (diversamente da Itaca e dall’esercito acheo a Troia) ancora si pongono le banche sotto la protezione degli dèi per inerzia mentale ma Omero gli  sostituisce a modello cui tutti sono chiamati a ispirarsi gli eroi laici Ettore e Odisseo, assai migliori degli abbastanza spregevoli  Zeus, Era, Atena.  

Se la religione di Geova è stata creata ed imposta a Gerusalemme per realizzare il progetto espansionistico di Ciro in occidente essa conterrà numerosi elementi iranici (che ritroveremo nella comunità di Qumran, in Giovanni, all’inizio  del Genesi: « Dio disse: “ Sia la luce! ” E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre… ») oltre che cananei dato l’ambito geografico in cui s’è sviluppata, ma si sarà ispirata grandemente  ad elementi greci e in  particolare all’oracolo di Apollo/Sole a Delfi. E’ allora immediato pensare che la religione ebraica s’è ispirata ad Omero che possedeva entrambi gli elementi culturali orientali (iranici compresi: si pensi all’insistenza sul bene in contrapposizione al male e alle divinità che appaiono agli uomini nel Paradiso di Scheria e dappertutto e che assomigliano fortemente ad angeli senza ali) e greci.  

L’impresa di Ciro avvenne in una Siria-palestina influenzata dai poemi omerici e dalla cultura greca in genere ed è da questo ambito che i fondatori dell’ebraismo attinsero a piene mani. Sostengo che nella Palestina grecizzata (e grecizzata fin dal tempo dei Pelasgi/Filistei di Radamanto e Minosse figli di Europa Fenicia, dalla cui civiltà deriva direttamente Omero) i Persiani mandarono una colonia di muratori falegnami e fabbri, colleghi di quelli che erano stati condotti in esilio sotto Nabucodonosor –  e che avevano costruito  per il re Ezechia (716-687 a. C.) il canale di Siloe – a rifondare Gerusalemme guidati da capi grecizzati che avevano l'ordine di fondare una comunità retta da un insieme di regole politico-religiose ricalcate sull'orizzonte del santuario di Delfi per fare di Gerusalemme e del suo unico dio un ponte per la conquista della Grecia e dell’Europa. E’ solo lecito attendersi di ritrovare qualche frammento del tempio postesilico di Zorobabele, inaugurato nel 515 a. C. sotto Dario I. Io credo che il primo tempio ebraico di Jahvè inteso come unico dio nazionale sia questo di Zorobabele (detto secondo per distinguerlo dallo pseudo-primo di Salomone) patrocinato dai Persiani. Il tempio di Salomone non è mai esistito e semmai  gli scrittori biblici hanno proiettato e deformato in un lontano passato le caratteristiche oltretutto persiane del tempio di Zorobabele. In ogni caso il Levitico  è necessariamente un testo postesilico in quanto dedicato all’esercizio del rituale, e questo stabilisce che sull’altare del tempio arda un fuoco perenne (Lv 6,5-6). Ma la vera data di nascita del giudaismo è il 444 a. C. sotto Artaserse I, nell’età di Pericle, quando Ezra lesse il Pentateuco da lui redatto (dunque compreso il Levitico) al popolo di Gerusalemme. Da notare che dalla colonizzazione di Gerusalemme gli Ebrei non furono affatto indipendenti ma restarono  sempre (salvo qualche eventuale e brevissima parentesi dovuta alla debolezza dei regni dominanti) soggetti a qualcuno, prima i Persiani, poi Alessandro Magno e i Seleucidi, infine i Romani che nel 70 d. C. distrussero la città e deportarono il popolo ai quattro angoli dell’impero. Gli Ebrei, un popolo nato dopo la colonizzazione postesilica di Gerusalemme, non furono mai indipendenti fino al 1948. E oltretutto riuscirono pure ad essere fatti schiavi, cioè a perdere doppiamente la loro dipendenza passando dalla dipendenza da un popolo a quella di un’altro. Come religione l’ebraica è solo 600 anni più antica del cristianesimo, ma se si tiene conto che il nucleo di entrambe è in Ciro e in Omero esse sono contemporanee. Se gli Ebrei, che come popolo sono infinitamente più recenti degli Arabi e degli Arabi di Palestina, hanno uno stato indipendente solo e sottolineo solo (non furono mai stato indipendente e nemmeno furono popolo dunque non esistettero mai prima della colonizzazione persiana di Gerusalemme) dal 1948 e ciò al solo scopo illegittimo (perché è ovvio che allora tutti coloro che rivendicano uno stato indipendente dovrebbero ottenerlo, come i Curdi; anche la lingua ebraica, una lingua morta sostituita da tempo localmente dall’aramaico, è stata riportata in vita artificialmente insegnandola a partire dalle scritture e creando i neologismi dal nulla né più né meno di come si fa col latino della Chiesa cattolica che però lingua morta non è mai stata, essendo sopravvissuta appunto come lingua dei testi ufficiali del Vaticano) di spina nel fianco del mondo arabo per tenerlo sotto controllo e tenerne sotto controllo il petrolio, non si vede perché non debbano ottenere l’indipendenza di stato sovrano i Palestinesi, che hanno dato nome alla Palestina, che in quanto Arabi sono nella regione da sempre e con pieni diritti storici. Per quanto è possibile giudicare dai fatti non vedo soluzione al problema palestinese se non con la fine  dello stato di Israele e ciò avverrà presto, quando gli mancherà l’appoggio criminale di USA e Gran Bretagna (perché spariranno dalla faccia della terra), che verranno ricordati come gli stati  pirati del secondo millennio. 

Poiché l'orizzonte della colonizzazione di Gerusalemme voluta dai Persiani avviene nel quadro della diffusione in oriente dell'Odissea e dell'Ira d'Achille di Omero è lecito affermare che la Siria grecizzata in cui si sviluppano l'ebraismo e il cristianesimo è prima di tutto la Siria omerizzata. I poemi omerici, questa è una delle più importanti verità risultanti dalla mia ricerca, furono letteralmente la Bibbia non solo per i Greci ma anche per gli Ebrei e per i Cristiani.  

Successivamente le cose si ripetono quando nella Palestina grecizzata dove muratori e carpentieri stanno costruendo il tempio di Erode (distrutto dai Romani nel 70 d. C.) i Persiani mettono in giro la voce dell'avvistamento della stella del nuovo re di Giuda, ciò che in una Palestina sotto dominazione romana significa invito alla ribellione per l'indipendenza sotto la guida di un messia o cristo fra quelli che allora pullulano da ogni parte, e appunto un suggestionabile esaltato  soprannominato Giosuè perché intende imitare il generale di Mosè che abbatte le mura di Gerusalemme col suono della tromba, forse della tribù di Beniamino, ma comunque proveniente  da Israele, da Samaria, lo stato del nord ricolonizzato dagli Assiri con gente venuta da ogni dove e non più ebrea (ma che comunque era sempre stato pagano), accende la miccia di quello che poi altri concorreranno a creare come cristianesimo. La mia tesi è che il giudeocristianesimo è un continuum di civiltà e religione ariana (stretta parente di quella Nazista) da Omero a Platone a Filone alessandrino in poi, che deve la vita ai Persiani.

Approfondendo la nascita dell'ebraismo noteremo che nella prima parte dell'Odissea, più precisamente nella Telemachia,  troviamo descritto il dio Proteo di cui notammo subito l'affinità col Vertumno etrusco-romano, col greco Poseidone, col siriano Dagan, con l'ebraico Geova dimostrando che il suo animale simbolo era in origine il cavallo, il cavallo di Poseidone, che presso gli ebrei era diventato l'asino, l'asino del malvagio Seth. Alla fine dell'Odissea domina Apollo nell'episodio decisivo della vittoria della gara con l'arco di Odisseo sui Proci. Poiché l'Ira d'Achille dominata all'inizio da Apollo che invia la peste nel campo acheo fu completata prima del 649 a. C. e l’Odissea qualche anno dopo è evidente che l'influenza del pensiero omerico sulla Siria è anteriore di quasi un secolo rispetto alla colonizzazione ebraica a guida persiana di Gerusalemme. Dalla lettura delle Storie di Erodoto emerge evidente l’affinità con quello dei profeti ebraici, fino all’Apocalisse, del linguaggio dell'oracolo della Pizia dell'Apollo di Delfi (« Io so quanti sono i granelli di sabbia e so le dimensioni del mare, io intendo chi è muto e ascolto anche chi non ha voce… » Erodoto, I, 47; « Eezione, nessuno ti rende onore, benché tu ne sia assai degno. Labda è incinta e partorirà un macigno; cadrà su chi ha il potere e punirà Corinto »,  o ancora: « Un’aquila è gravida sulle pietre, e darà alla luce un leone feroce carnivoro: a molti fiaccherà le ginocchia. Pensateci bene, Corinzi, che abitate intorno alla bella Pirene e alla ripida Corinto » Erodoto, V, 92b, e ancora: « E allora, o Mileto, macchinatrice di male imprese, diventerai banchetto e splendido dono per molti, le tue spose laveranno i piedi a molti uomini dai lunghi capelli, e altri avranno cura del nostro tempio di Didima » Erodoto, VI, 19, e ancora: « Voi che abitate l’ampia pianura di Sparta, o la vostra grande e gloriosa città dai discendenti di Perseo viene distrutta, oppure no, ma allora il paese di Lacedemone piangerà la morte di un re della stirpe di Eracle. No, non lo tratterrà la forza né dei tori né dei leoni. Faccia a faccia; dispone della forza di Zeus; e dico che non si fermerà prima di aver fatto a pezzi l’una o l’altra » Erodoto, VII, 220; dal plutarcheo Perché mai i responsi della Pizia non sono ora più in versi, traggo invece questo oracolo: « Fa’ bene attenzione, o Sparta, per quanto tu sia altezzosa, che non nasca da te, vigorosa di gambe perfette, un re claudicante; poiché per lungo tempo inattesi travagli verranno ad assalirti, quasi in onda di guerra travolta a sterminio di uomini », 11). E’ dunque necessario approfondire lo studio sull'oracolo di Delfi partendo  dal dialogo plutarcheo Peri tou ei tou en Delphois, Sulla E di Delfi. Qui Ammonio, maestro di Plutarco, sostiene che la E, che si legge 'Ei' (e non epsilon come la chiamiamo noi moderni),  sta per 'Tu sei', cioè Apollo è il dio unico, l'unico di cui si possa dire che è in quanto solo dio è mentre tutto il resto essendo mortale è destinato a perire. Dunque la E sormontava, immaginiamo, il fronte del tempio di Apollo e se il dio accoglieva i fedeli con il suo ammonimento ' Conosci te stesso ', che vale meglio del nostro ' Salve ',  i fedeli vedendo la E  ricordavano di replicare ad Apollo dicendogli Tu sei, (solo) Tu sei, (solo) Tu esisti. Tutto ciò richiama alla mente il nome di dio secondo dio stesso in Esodo 3, 14: « Io sono colui che sono ». E' il solito scopiazzamento ebraico che non coglie esattamente il concetto originario che sarebbe: « Io sono colui che è » e lo travisa al punto di trasformarlo in una frasetta ad effetto che sembra uscita da una favola. Interessante è l’identità Apollo/Proteo suggerita indirettamente nel dialogo come approccio più materiale, più percepibile dall'uomo, dell'essere che continuamente si trasforma in ogni cosa e identificato esemplificativamente nel fuoco e nel Sole. Tutti sanno che la religione persiana è assai elevata spiritualmente, per cui in un primo momento si potrebbe credere che i Persiani abbiano inteso in buona fede creare un tipo di religione monoteista (in linea con una globalizzazione politica) facendola emergere dall’ambito locale senza dare l’idea di imporre un culto esterno, cioè persiano. Era evidentemente utile per i Persiani che entro i confini dell’impero si sviluppasse una religione monoteista ma altrettanto utile che ogni paese e popolo si sviluppasse senza costrizioni di sorta. E’ il pensiero che Erodoto fa proprio nelle Storie (« Se si chiedesse a tutti gli uomini di scegliere fra tutte le usanze le migliori, ciascuno, dopo aver ben riflettuto, indicherebbe le proprie: tanto sarebbe convinto che i propri costumi siano i migliori in assoluto; perciò non è naturale deridere simili cose, a meno di essere in preda alla follia… Le usanze sono usanze, c’è poco da fare, e a me sembra che Pindaro l’abbia espresso molto bene dicendo: “ La tradizione è regina del mondo ” » III, 38)  ed è il pensiero che i paesi democratici coalizzati dietro a Francia e Germania hanno sostenuto riguardo all’Iraq di Saddam Hussein contro il pensiero opposto, prevaricatore, impositore del modello occidentale e cristiano di Bush e Blair (e dei media in genere) il quale è stato punito alle elezioni amministrative ed a quelle europee.  I Greci identificavano più esattamente l’aspetto del divenire di Apollo con Dioniso anch’egli venerato a Delfi. Gli spiriti più elevati come Ammonio sanno invece che il dio unico Apollo non può essere identificato con alcuna cosa in particolare perché « unità e semplicità sono attributi costanti di ciò che è incorruttibile e puro ». Sia ben chiaro che il dio unico degli Ebrei soprattutto ma anche quello dei cristiani non è apollineo bensì normalmente dionisiaco sia nell’apparenza della statua d’asino nel tempio di Gerusalemme e dell’asino cavalcato da Gesù manifestazione appunto di Tifone/Caos che sta a Dioniso come Osiride/Ordine sta ad Apollo, sia nella teorizzazione degli olocausti di vecchi donne e bambini ordinati nell’Antico Testamento da dio a più non posso per aprire la via allo stanziamento ebraico in Palestina distruggendo le popolazioni precedenti, o delle reali turbolenze messianiche culminanti nell’emblematico incendio ordinato da Pietro della Roma/Babilonia imperante Nerone discepolo del filosofo Seneca, incendio al quale nel tempo ne seguirono altri anche di peggiori e ne seguiranno fino alla fine del giudeo-cristianesimo, fine tanto più anticipata e definitiva quanto più l’umanità si aprirà alla ragione e alla cultura, ciò che appare tanto logico quanto inesorabile. Dunque se Gerusalemme è una creatura dei Persiani è logico che poi i Persiani quando hanno avuto bisogno di distruggere l’impero romano che gli si era rivoltato contro si siano serviti di Gerusalemme annunciando in apparenza innocuamente di aver avvistato la stella del Salvatore.

Nel culto delfico di Apollo c’è il nocciolo dell’ebraismo e del cristianesimo. Apollo si contrappone al serpente delfico, il Pitone, che diventa il serpente dell’Eden, ma Apollo è venerato anche come Peana, Salvatore e Purificatore e come profeta ha una donna, le donne tanto care ai cristiani come portavoce di dio (escluse invece dal sacerdozio) quanto disprezzate invece dagli Ebrei che più coerentemente hanno profeti uomini. Infatti non si riesce a capire come la donna buttata via dalla porta ritorni dalla finestra come depositaria dei messaggi di dio, Gesù o Madonne varie. Io come ateo affermo che se dio aveva qualcosa da dire lo ha già detto nella Bibbia. Quanto ai  profeti non sono mai stati tali, ma meno che meno lo sono state le donne che non hanno alcun potere di sacerdozio e la cui testimonianza non è ammessa presso gli ebrei. La verità è che la religione è un incubo dal quale la ragione ci porterà fuori prima o poi. Apollo è dio preminente all’inizio dell’Ira d’Achille come alla fine dell’Odissea e Odisseo ne è una sua incarnazione perché anche lui salirà sul Parnaso dove Odisseo ferito dal cinghiale si presenta come vittima sacrificale con quelle ferite che poi Euriclea tasterà prototipo di Tommaso solo allora riconoscendo il suo Signore. Omero immagina anche un Inferno, un Purgatorio e infine un Paradiso attraverso cui l’anima del defunto Odisseo si purifica. C’è pure l’Ultima Cena a Scheria. Si può dunque affermare che  i poemi omerici sono all’origine di entrambe le religioni ma più vicini al cristianesimo che non all’ebraismo. Altrimenti detto, il cristianesimo era in nuce nei poemi omerici prima ancora dell’ebraismo. (Non sto qui a ripetere quanto ho scritto a proposito dei precursori omerici delle tre Marie, di Gesù figlio unico o con fratelli e sorelle, di Gesù sputato e sbeffeggiato, fustigato e crocifisso, della pietra che chiudeva il sepolcro, degli angeli tipicamente iranici eccetera, per cui rimando ai miei lavori sul sito.) Naturalmente i furbi cristiani cercheranno di interpretare queste mie conclusioni come la prova che il cristianesimo è la vera religione e che Omero era cristiano senza saperlo, come  Socrate e tanti altri prima e dopo di lui. La verità è invece che alla base di tutto c’è  solo la fantasia del  racconto omerico che semmai si incontra con influenze della  religione apollinea e delle religioni  orientali affini di origine egizia,  siriana, iranica. Omero era fondamentalmente ateo e non riconosceva alcun dio al di sopra della ragione. Certo Apollo è il dio omerico  che fa più bella figura per intelligenza. Forse  Omero fu colpevole di aver prodotto dei poemi di fantasia troppo belli e tali da soggiogare gli animi più deboli che furono indotti a credere nell’esistenza di dèi così umani e simili a loro più nei difetti che nelle virtù, e anche questa è stata la via per la diffusione delle due religioni, la religione dei razzisti operatori di olocausti comandati da dio a unico uso e consumo degli ebrei (oggi le nazioni allineate su questi concetti compongono l’asse del male: USA, Gran Bretagna e Israele) e la religione dei peccatori, della feccia morale dell’umanità, perdonata all’infinito e sola legittimata ad operare nel mondo regno di Satana che a parole dice di voler fuggire aspirando al regno di dio che, ancora, cambiando idea, dice di voler realizzare in terra, rendendo la terra un inferno (costoro sono oggi gli alleati migliori dell’asse del male). Dunque semmai il mio pensiero è che la menzogna della religione una volta nata – del tutto naturalmente, fisiologicamente, a causa della ignoranza congenita alla scimmia – nell’uomo evolutosi dalla scimmia si è del tutto naturalmente sviluppata fino ad assumere le forme attuali del cristianesimo ma sparirà definitivamente e del tutto con l’uomo consapevole di se stesso e della sua storia fra qualche secolo. Non importa quanto ci si mette a capire che l’intelligenza è tutto insieme alla cultura e che la religione è non intelligenza e non cultura. L’importante è raggiungere questo stadio dall’alto del quale si abbraccia tutta la verità. Gli errori si buttano alle spalle e conta solo la vittoria finale.

Occorre approfondire se realmente i Persiani fossero o meno in buona fede. E’ evidente che se la cornice entro cui è nato l’ebraismo di Geova è greca la materia che compone l’Antico Testamento è per metà greca e per metà cananea e mesopotamica in generale, perfino iranica. Le civiltà orientali in genere, persiana compresa, sono liberali in genere e non ostili agli stranieri. La crudeltà è insita nell’uomo senza differenze di colore ma solo di ideologia. Dal tempo di Cambise successore di Ciro che maltrattò il prigioniero Creso, il ricchissimo ex re dei Lidi, a Bush che ha catturato Saddam Hussein il mondo ha visto repentinamente cadere  tante fortune e il mondo orientale è rimasto ingenuamente teatrale nelle sue manifestazioni di crudeltà come un taglio di testa filmato e diffuso dai media. Ci colpisce questa crudeltà? E perché non allora quella degli indeuropei angloamericani che hanno ucciso in Iraq migliaia e migliaia di persone lasciandone in vita altrettante storpie, a volte dei mezzi esseri umani, per tutta la vita? La risposta è soprattutto che la religione giudeo-cristiana inventata dai Persiani riesce a sostenere un massacro giustificandolo. E’ un vero oppio, tipo quello che mangiavano gli Assassini, che deforma le immagini e riduce a nulla il massacro con le bombe a frammentazione e ingigantisce la foto del prigioniero cui è stata tagliata la testa in diretta. Riduce al nulla l’assoluta illegittimità dell’attacco angloamericano all’Iraq (stato membro delle Nazioni Unite) con la pretesa che  Saddam Hussein possedesse armi di distruzione di massa (che non c’erano e perciò non sono state trovate e perciò Bush e Blair hanno dichiarato di rinunciare a cercarle) o fosse colluso con Al-Qaida (e anche questo è stato escluso dalla commissione indipendente d’inchiesta dell’assemblea parlamentare USA) nella distruzione delle torri gemelle e del Pentagono e invece ingigantisce il fatto cinematografico e letterario che gli Usa sono i difensori della libertà di tutti e hanno posto fine ad una dittatura sanguinaria. Chiunque sappia cosa significa diritto internazionale ma anche semplicemente diritto o  abbia un poco di senno sa che in questa brutta storia gli unici terroristi sono stati e sono gli angloamericani che hanno scatenato la terza guerra mondiale, tuttora in corso, che terminerà solo con la totale e definitiva distruzione economica e militare della coalizione che perderà. Se la religione giudeo-cristiana nasce nella cornice dei poemi omerici e  si imbeve al cinquanta per cento di cultura greca è perciò nell’ambito della civiltà greca che dobbiamo trovare il marcio. Ma poi rimane la questione se davvero i Magi persiani che hanno creato la religione giudeo-cristiana fossero davvero in buona fede o non abbiano progettato il giudaismo per tenere sotto controllo il mondo ad occidente che si ripromettevano di conquistare. Tenuto conto che la religione giudeo-cristiana è sempre stata destabilizzante non è peregrino sospettare che i Persiani l’abbiano creata per controllare l’occidente e far salire la pressione tutte le volte che serviva. Se questo è vero i Magi persiani mostrano una finezza politica straordinaria – seppur diabolica –  che io non ho mai riscontrato nell’antichità. Certamente Cambise ha le idee totalitarie dei moderni neofascisti alla Bush e Blair ed è significativo che in una regione come l’Egitto del politeismo zoomorfo tanto importante nella nascita del giudeo-cristianesimo si comportò da iconoclasta  sbeffeggiando e ferendo mortalmente il sacro toro Api, massacrando gli Egizi durante le festività religiose (male interpretando per mancanza di sensibilità culturale le loro intenzioni, così come gli americani hanno sterminato i festeggianti un matrimonio perché secondo usanza avevano sparato in aria coi fucili),  violando le tombe, ridendo davanti alla statua di Efesto/Ptah e incendiando le statue all’interno del tempio dei Cabri/Khnumu (Erodoto III, 27 e 37). Se non Ciro dunque il suo folle successore Cambise sta certo dietro ad un programma di diffusione della religione monoteista spiritualista che tanto danno ha prodotto e ancor più ne sta producendo oggi. E l’Egitto è anche un focolaio ebraico o meglio “protoebraico” se ci ricordiamo delle affinità degli Ebrei con gli Hyksos, con gli adoratori di Aton, con gli Habiru fomentatori di disordini. Ecco il punto. Controllare i fomentatori di disordini identificabili con la comunità dei protoebrei in Egitto per controllare l’Egitto. A questi poi si faranno subentrare i cristiani per lo stesso identico motivo, questa volta il controllo del mondo da parte dei cristiani stessi. Il rapporto fra la Persia e il giudeocristianesimo è sempre stato strettissimo. Secondo le parole di Martin Bernal, « Il messianesimo era stato per lungo tempo centrale alla tradizione ebraica. Il primo Messia nella Bibbia fu Ciro, il re di Persia che liberò gli Ebrei – almeno quelli che volevano partire – dall’esilio in Babilonia. Il messianesimo ebraico, a quanto risulta, conservò poi la speranza che la liberazione potesse giungere dall’Oriente e in particolare dai Parti, i nuovi dominatori della Persia, che governavano anche la Mesopotamia, con la sua vasta popolazione  ebrea, e che avevano anch’essi come gli Ebrei, combattuto una guerra d’indipendenza contro i Seleucidi. Inoltre, c’è scarso motivo di dubbio che le sollevazioni del 115 e 116, chiaramente vissute dai partecipanti in termini messianici, fossero concomitanti al grande attacco di Traiano alla Partia avvenuto in quegli anni » (Atena nera, Ed. EST, p. 154).

E’ la cultura  greca dell’età classica, ruotante e non ruotante intorno al santuario di Delfi, ad aver inoculato negli Ebrei il razzismo, la misoginia, l’imperialismo che travolge e fa olocausto di tutto ciò che si mette di traverso fra il proprio tornaconto e i diritti a vivere degli altri. So che quel che dico apparirà semplice e pura eresia per molti educati da generazioni di professori razzisti al culto della civiltà greca, ma la Grecia classica non nasce bell’e fatta dalla testa di Zeus come Atena e oltretutto non è nemmeno un modello di perfezione come si vuole imporre. Quanto all’intelligenza dei Greci basta leggere Erodoto per accorgersi che nel VI secolo delle guerre persiane non deliberano esprimendo pareri prima di compiere un’azione politica o di guerra, bensì si affidano ciecamente agli oracoli di Delfi, né più né meno, mutatis mutandis, di quanto facevano i proto-Ebrei intorno al santuario di Silo e poi intorno al tempio (inaugurato nel 515 a. C.). Quanto alla supposta supremazia di Atene nella difesa dei diritti e della libertà si tratta di pura fantaletteratura. Piuttosto si tenga conto che Temistocle riesce a vincere la decisiva battaglia di Salamina grazie al denaro che utilizza  per corrompere gli ammiragli con mazzette, intascando la maggior parte della somma romanente. Quanto poco Atene si battesse per la libertà degli altri e quanto invece curasse solo i suoi interessi lo dimostrerà fra breve nella guerra del Peloponneso che per fortuna farà uscire di scena Atene a vantaggio di Sparta. L’esperienza di una Atene democratica e leader in Grecia è durata pochi decenni ed è stata un disastro. Per non parlare dell’ostracismo del V secolo che ricorda da vicino gli attacchi alla magistratura e a tutti quelli che non la pensano come lui di quella parodia di Mussolini all’ombra del Duomo che è  Berlusconi.

Dunque il mio giudizio morale sulla Grecia classica è tanto duro quanto lo è quello estetico, perché non sono mai stato estimatore dell’arte greca classica, o culturale, perché trovo che in genere gli uomini di cultura greci abbiano le idee abbastanza contorte a differenza della chiarezza dei latini. Io ho imparato ad amare la filosofia leggendola dai latini, compreso il sommo Epicuro. Certo c’è un’altra Grecia, contemporanea a quella espressa da Atene, ed è Sparta, che s’è caricata sulle spalle fin dall’inizio e l’una e l’altra guerra vincendole coi suoi Leonida e gli altri senza farsi precedere da fanfare. Ma non è certo questa la Grecia che fu modello allora agli Ebrei come oggi ai neofascisti che esaltano  Tucidide senza averlo capito (e forse senza averlo nemmeno letto o avendolo letto distrattamente) perché Tucidide ha scritto prima ancora di Platone, che a lui s’è ispirato per il mito di Atlantide, il perché della sconfitta di Atene e dunque la condanna a morte della coalizione angloamericana che loro, i neofascisti, sperano di vedere vittoriosa.

Dal mio primo lavoro sull’Antico Testamento in cerca di quelle che credevo le fonti semiche della poesia di Omero a oggi il mio giudizio sintetico sugli Ebrei è che si tratta di un popolo artificiale con una storia in parte autentica ma fortemente alterata fino a diventare artificiale nato intorno all’idea artificiale di un dio unico e che come il mostro di Frankenstein sarà fatto fuori in una fantasmagorica festa di fuochi d’artificio che segneranno il vero inizio del III millennio, un millennio speciale sotto tutti i punti di vista. Occorre ricostruire la genesi dell’Antico Testamento e mettere i suoi libri nell’ordine cronologico in cui furono scritti. Fare questa genesi corrisponde a documentare l’indottrinamento dei sacerdoti habiru da parte dei magi persiani.

Non c’è dubbio che, cronologicamente parlando, al primo posto della Bibbia va posto il libro di Isaia (insieme e dopo Isaia possiamo trattare tutti i profeti), segue ovviamente tutto ciò che giunge fino ai tempi più moderni, e cioè i Maccabei, che descrivono la storia ebraica sotto i Seleucidi e i Romani della repubblica, e il Nuovo Testamento, che descrive quella sotto i Romani dell’impero. Poi inseriremo tutto quello che gli ebrei si attribuiscono come storia passata sia come tradizione propria sia come imbeccata da Persiani e Babilonesi, sia come manipolazione a fini politico-religiosi.

Se a Ciro serviva una testa di ponte – Gerusalemme – verso la Grecia e l’Europa che potesse diffondere l’idea monoteistica ma anche sincretistica del dio persiano occorreva imporle un dio che traesse sia dalla Siria-Palestina da cui originavano gli Ebrei sia dalla Grecia, e dunque occorreva fare riferimento a Omero e più indietro nel tempo alla civiltà del Disco di Festo da cui traeva Omero e cioè dalla civiltà  pelasgo-hurrita degli Hyksos che avevano unificato il mondo  da Creta alla valle dell’Indo, proprio lo stesso mondo che ora era dominato dai Persiani di Ciro. Gli Ebrei di Gerusalemme furono dunque indotti a credere di originare dagli Hyksos il cui impero a partire dal 1700 a. C. ca. andava dall’Egitto e dalla Creta di Radamanto e Minosse (vedi l’Apoteosi di Radamanto su questo sito) ad Harran (alta Siria; da qui i patriarchi ebrei scelsero sempre le loro mogli) di Labano (padre delle mogli di Abramo) e Canaan, al Caucaso ed Armenia dell’Eden (Tigri ed Eufrate, due dei quattro fiumi di Eden nascono dall’Armenia) di Adamo e dell’arca di Noè (fermatasi sull’Ararat in Armenia) alla valle dell’Indo, dove gli Hurriti appaiono dopo che Harappa e Mohenjo Daro sono distrutte in un modo che può richiamare alla mente Sodoma e Gomorra (Is 1,9-10), queste distrutte da angeli di dio  (presenti anche in Isaia 6, 2ss) dotati di armi di distruzione di massa testimoni Abramo e Lot. Abramo compare in tutte le località abitate dagli Hyksos e va inteso come capostipite degli Hyksos/Ebrei (nel senso che gli Ebrei ritenevano a torto o ragione di identificarsi con gli Hyksos) e va datato al 1700 a. C. ca. Dio vieta l’accesso all’Eden da oriente a conferma che agli Ebrei s’era fatto credere di  originare ad est del Caucaso, e cioè nella valle dell'Indo e ne interdicono l’accesso  i cherubini, cioè dei velivoli UFO, e un’arma laser a forma di spada che manda una luce folgorante, affine a  quella di “ Guerre stellari ” per intenderci (Genesi 3, 24). Il giardino dell’Eden è stato dunque concepito durante la permanenza a Babilonia sotto dominazione persiana. Il redattore di Genesi deve aver visto una carta geografica di Anassimandro o di Ecateo di Mileto, dove compaiono ravvicinate e facenti capo alla Media le sorgenti di Tigri, Eufrate e Indo/Ghicon, fiume che si può dire circondi l’Etiopia indiana. Il Pison che circonda Avila potrebbe corrispondere all’Amu-Darja.

Nella religione babilonese e persiana la fantasia si sprigiona immaginando esseri straordinari o anche sviluppando come divinità visioni astronomiche e più ravvicinate di oggetti volanti non identificati assimilati alle divinità. Poiché gli Ebrei apprendono o riapprendono la loro “ storia nazionale ” dai Persiani che conoscono la pila (pila di Baghdad) è intuitivo che anche l’arca che mandava la scossa elettrica poteva essere un’ “ invenzione ” del racconto persiano, come poteva essere sempre invenzione dei Persiani o tradizione giunta a questi dall’Egitto del faraone presunto extraterrestre Ekhnaton insieme all’arca capace anche di trasmettere e ricevere messaggi radiotelevisivi dalla nave spaziale da cui dio guidava l’Esodo.  Secondo i dotti Persiani, scrive Erodoto, i Fenici « giunsero in queste nostre acque provenienti dal mare detto Eritreo, insediatisi nella regione che abitano tutt’oggi » (I,1). Se Erodoto ha ragione i Fenici sarebbero la popolazione pre-aria cacciata dalla valle dell’Indo dagli arii Hurriti e che prese la via del Golfo Persico e dell’Oceano Indiano. In Genesi gli Ebrei vogliono accreditare la versione secondo cui  Abramo e suo nipote Lot sono vittime dei massacri operati dagli angeli sulle popolazioni pre-arie, tanto che emigrano dalla valle dell’Indo via Ur di Caldea fino ad Harran (alta Siria) di Labano, ma ciò mal si concilia con le loro malcelate cognizioni indeuropee, per cui il minimo che si possa sostenere è che i magi  li convinsero di appartenere all’elemento ario invasore e distruttore o che comunque  approfittò delle distruzioni diciamo così aliene. Certo  a oriente, sulla riva destra dell'Eufrate, era stanziato  nel II millennio il nucleo fondamentale degli Ebrei, i Beniaminiti (ma questo era un popolo semitico  con troppi elementi affini a quello indeuropeo dei Romani: l’emblema del lupo, il ratto delle donne per unificare le diverse tribù, il culto del cavallo/asino di Poseidone/Conso), aggregatosi agli  Ebrei come quello dei Danai o Daniti. Insomma gli Ebrei avevano senz’altro ascendenze indeuropee.  La storia di Giacobbe che lavora come schiavo di Labano per sette anni più sette per poter sposare sua figlia Rachele  ha un fondo comune con la  storia di Teoclimeno in Odissea XV,223-256 dove  Biante è fratello di Melampode o Melampo che vuol sposare Pero figlia di Neleo di Pilo. Neleo darà sua figlia in sposa a chi gli porterà il bestiame di Ificlo in località Filace. Melampo si offre di aiutare il fratello e così farà un anno di prigione per aver tentato di rubare il bestiame. Poi in cambio di un  suo intervento mantico-religioso ottenne il bestiame che portò a Neleo in cambio di Pero che diede a suo fratello Biante. Esistono corrispondenze fra Nestore di Pilo e …  Matusalemme di Silo, fra il ratto delle Sabine e quello delle danzatrici/prostitute sacre di Silio. Ebrei e Romani hanno in comune anche i luoghi d’asilo o città di rifugio e Rama/Roma. Simili sono da una parte  l’episodio di Giuseppe e della moglie infedele di Putifarre nonché quello di Uria l’ittito marito di Betsabea fatto uccidere da Ioab su ordine scritto di Davide e dall’altra la storia di  Bellerofonte amato inutilmente da Antea e  mandato da Preto di Corinto con una missiva per il suocero Iobate re di Licia contenente la richiesta di uccidere il latore della medesima (Od. VI,155-170). Genesi termina con Giuseppe/Yuya (1400 a. C. ca.) visir del faraone eretico Ekhnaton. La parte transgiordana dell’esodo è preceduta dall’episodio del (falso) profeta Balaam la cui asina, per intervento divino, si mise a parlare come il cavallo Xanto di Achille (Il. XIX 404ss): « Allora il Signore aprì la bocca all’asina ed essa disse a Balaam: “ Che ti ho fatto perché tu mi percuota già per la terza volta? ” Balaam rispose all’asina: “ Perché ti sei beffata di me! Se avessi una spada in mano ti ammazzerei subito. ” L’asina disse a Balaam: “ Non sono io la tua asina sulla quale hai sempre cavalcato fino ad oggi? Sono forse abituata ad agire così? ” Ed egli rispose: “ No. ” Allora il Signore aprì gli occhi a Balaam ed egli vide l’angelo del Signore, che stava sulla strada con la spada sguainata. » (Nm 22,28ss), e il bello è che né  Achille né Balaam si stupirono minimamente del fatto straordinario di un animale parlante. Infine vi sono i libri da Giosuè a Re e Cronache e oltre, che raccontano la conquista violenta della Palestina da parte dei popoli del mare  a forza di olocausti che eliminano con efferato spirito nazionalista tutto o quasi ciò che vi è di altro incoraggiando gli Ebrei del VI secolo in poi a fare altrettanto. I popoli del mare si organizzano in modo federale di dodici popoli o città-stato sia in Palestina che in Etruria o sulla piana di Troia. L’episodio dell’arca rapita dai Filistei e che scatena la peste in Filistea fino alla riconsegna con offerte riparatorie agli Ebrei pare ricalcato sul rapimento di Criseide non a caso figlia del sacerdote di Apollo/Sole da parte degli Achei con conseguente peste nel campo acheo fino alla restituzione al padre con offerte riparatorie (Il. Libro 1). Da notare che Geova “ tempesta ” di Giobbe tuona dal cielo come Zeus “ nube nera ” omerico per segnalare che concede la vittoria agli Ebrei: « in quel giorno il Signore tuonò con voce potente contro i Filistei, li disperse ed essi furono sconfitti davanti a Israele » (1 Samuele 7,10). Giobbe probabilmente è stato ricalcato su Odisseo ed è dunque doppiamente  retrogrado perché orientale e orientale dopo l’esempio occidentale. Giobbe è un giudice perfetto ma dio l’ha punito con una serie di sciagure per puro arbitrio così come Agamennone per puro arbitrio invita gli Achei a ritirarsi sulle navi e a tornare alle loro case per vedere se lo fanno davvero o piuttosto si mostrano intenzionati a continuare la guerra contro Troia. Odisseo è invece un pirata che gradualmente capisce che a comportarsi bene conviene. Infatti anche lui ha perso tutto, compagni e ricchezze che aveva depredato a Troia e altrove, ma alla fine attraverso l’espiazione e le sofferenze riesce a farsi benvolere da Alcinoo e Arete signori divini del paradiso di Scheria che lo ricopriranno di maggiori ricchezze di quante non avrebbe portato con se dalle sue ruberie. Odisseo ci insegna qualcosa, che l’uomo può redimersi e può diventare saggio e trovare la giusta via attraverso la sofferenza. Giobbe no. Giobbe alla fine verrà reintegrato nelle sue ricchezze (non certo nei figli perché avere altri figli non restituisce quelli vecchi)  per puro arbitrio divino. Giobbe piange perché non può parlare con dio immortale lui mortale. Piange perché è mortale e piange perché vorrebbe che di lui si interessasse  quel dio che invece di lui si disinteressa. Odisseo preferisce la mortalità all’immortalità che gli offre la dea del purgatorio Circe perché vuol vivere la stessa vita mortale di chi ama. Odisseo è ateo e comunque diffida di tutti e perfino degli dèi che lo amano come Atena. Creare Odisseo da Giobbe sarebbe stato frutto di estrema civiltà, mentre il fatto che Giobbe sia stato creato da Odisseo è indice dell’estrema stoltezza degli Ebrei. In Daniele  il profeta Àbacuc  preso per i capelli da un angelo e portato in volo fino a Babilonia col cibo destinato a Daniele nella fossa dei leoni è ricalcato su  Enea trasportato in volo fuori dai pericoli della battaglia da Poseidone perché da lui discenderà il popolo latino e romano. Sia ben chiaro che la storia ebraica anteriore al 538 a. C. non è stata scritta, ovviamente, dagli Ebrei con spirito storico, bensì politico, per continuare con una storia antichissima di un popolo, quello ebreo, antichissimo, il più antico di tutti, la politica perseguita da Isaia in poi e cioè far vincere su tutte la religione nazionalista, razzista, misogina, sterminatrice di Geova e dimostrare che fin dal più antico passato costui aveva prescelto gli Ebrei e parlato loro. Quello solo che poi l’Antico Testamento riesce a dimostrare è l’esistenza di un dio che pretende di essere in esclusiva il dio del popolo ebreo che sua volta non ne vuole sapere.

Per un serio studio della Bibbia occorrerà dunque tenere nettamente separata la storia dal 538 a. C. in poi, che è storia più o meno reale e fondata nei fatti e nei documenti, da quella precedente al 538 a. C. che andrà vista  come la  storia artificiale che gli Ebrei si prefabbricarono su istigazione dei dotti persiani che miravano ad un’Israele formato sulla cultura e lo spirito ariano perché collaborasse nell’impresa di dominio del mondo verso occidente. La Bibbia è sorta dunque come manuale di propaganda per la conquista imperialista razzista, nazionalista, di distruzione di massa, e se ne sono serviti gli USA fin da quando benedicevano dio che gli permetteva di ammazzare gli indiani e fare un buon raccolto e dimenticando che il primo anno dell’arrivo nel Nuovo Mondo furono quegli stessi indiani ad assisterli ed iniziarli alla pesca e all’agricoltura impedendogli di morire di fame. Il giorno del ringraziamento non è dedicato a quegli indiani ma a dio che gli ha permesso di sterminarli (quale riconoscenza, ripugnante alla più brutale delle bestie feroci) perché dio si identifica col suo popolo e il suo popolo con dio. Un dio razzista, nazionalista e sterminatore, pieno di odio contro tutto ciò che è altro, si identifica col suo popolo degli Stati Uniti d’America. Dio benedica l’America, perché a condannarla ci ha pensato Platone.  

 

Fine

 

 

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