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Marco G. Corsini

 

La saga degli Argonauti

(Le argonautiche di Apollonio Rodio)

 

 

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L’Odissea e l’Iliade sono essenzialmente la celebrazione della civiltà etrusco-romana  e quindi traggono  materia dalle saghe etrusche di quelli che gli Egizi e i Greci chiamano rispettivamente Turša e Tirreni dell’Egeo, di cultura semitica, e Dionisio d’Alicarnasso Rasenna (cf. egizio Rtnw o Rsnw, la costa siriana), di stirpe semitica e cultura israelitica anche se non ortodossa. La tradizione dietro cui forse si cela la prima fondazione dell’etrusca Roma/Ruma, ebraico ‘Altura/e’, ‘Colle/i’, intorno all’anno mille, da parte di quei semiti che giungevano fino alle isole di   Kittim  (Italia) e a  Taršiš (in Spagna meridionale), con le omonime navi di cui disponeva  re Salomone, è quella cui fa riferimento Dionisio d’Alicarnasso e che riguarda il passaggio di Eracle in Europa fino appunto in Spagna, cui fra l’altro si dovrebbe la sostituzione  dei sacrifici umani di tipo celtico con  quelli di « vittime pure con puro fuoco » (I, 38,2), di tipo ebraico, e una infiltrazione dell’elemento celto-germanico (di importanza pari a quello tirreno e semitico) nella civiltà etrusco-romana  simboleggiato dalla donna iperborea che incinta di Eracle,  dopo aver sposato Fauno, re degli Aborigeni,  avrebbe generato Latino (I, 43,1). Ma le origini più antiche degli Etruschi sono nel Caucaso e più esattamente nell’Armenia dove  non a caso il Genesi pone il giardino dell’Eden con Adamo ed Eva (il Tigri e l’Eufrate, due dei quattro fiumi che partivano dall’Eden, nascono in Armenia) e l’Ararat su cui si arenò l’arca di Noè da cui dopo il Diluvio Universale proverrebbe la seconda e attuale ripopolazione della Terra. Anche il Disco di Festo (o meglio, l’‘Apoteosi di Radamanto’), della XVII dinastia tebana, ma i cui referenti culturali rimontano alla XV e XVI dinastia Hyksos (e nel libro dei morti egizio vi sono riferimenti al Caucaso già evidenziati da Sir Flinders Petrie), consente attraverso i suoi pittogrammi del Pelasgo/Filisteo e del Dagan/Poseidone, del riferimento a Tebe in Beozia fondata dal fenicio Cadmo, e del dialetto ionico in cui è scritto, di risalire alle origini lontane del Caucaso e dell’Armenia, ma non con la stessa immediatezza e completezza della saga tirrena degli Argonauti, conservataci nell’altro poema epico dell’antichità, le Argonautiche di Apollonio Rodio.  L’impresa degli Argonauti si colloca cronologicamente fra due guerre che probabilmente non avvennero mai così come narrate dalla tradizione, la guerra dei Sette contro Tebe, che va inquadrata verisimilmente al tempo degli Hyksos, verso il 1550 a. C. (Disco di Festo),  e la guerra di  Troia che, se mai fa riferimento ad un evento storico, va datata al tempo del movimento dei popoli del mare a cavallo del 1200 a. C. e che  Omero utilizza  per celebrare le imprese dei  Turša che a quell’epoca assalirono il Basso Egitto (cf. il racconto di Odisseo, che si spaccia per pirata cretese, ad Eumeo, Od. XIV, 229ss) e altre località del Mediterraneo orientale (cf. il viaggio con cui Menelao « molta ricchezza riunendo » tocca Cipro, la Fenicia, l’Egitto, soprattutto l’Egitto - Od. IV, 351ss - l’Etiopia, la Libia, il paese degli Erembi, Od. IV, 80ss). Omero trae spunto da episodi di una guerra forse fra Egizi e  staterelli siriani al tempo  di Amenophis III  e che fu cantata nel poema ciclico Etiopide, come l’uccisione di Antiloco, intervenuto in difesa di suo padre Nestore,  da parte di Memnone, re degli Etiopi, che  i Greci identificarono col faraone Amenophis III (si pensi ai ‘Colossi di Memnone’). Irato per la morte di Antiloco Achille avrebbe poi ucciso Memnone. Una breve analisi delle Argonautiche  servirà come introduzione per spiegare in poche e chiare parole l’origine etrusca di Omero, ebraico Omar, etrusco Umar,  e dell’Iliade e dell’Odissea scritte in greco per volere di Tullo Ostilio e Demarato corinzio e rivolte ad un pubblico ellenofono per attirare gli investimenti dei relativi capitalisti nell’area industriale di Roma sul Tevere e di Tarquinia-Pyrgi (cui faceva capo l’area mineraria dei Monti della Tolfa ricchi di ferro) in occasione dell’inaugurazione dei relativi santuari-banche portuali.

 

Ad Orcomeno Minieo in Beozia è ambientata la tradizione del re  Atamante, figlio di Eolo, indotto dall’inganno della sua nuova moglie Ino, figlia di Cadmo, a sacrificare Frisso (ciò che sul versante ebraico ricorda il sacrificio di Isacco da parte di Abramo impedito dall’intervento di  Jahvè e sostituito dal sacrificio di un ariete) - avuto da un precedente matrimonio con  Nefele - che su un ariete volante   fu trasportato in Colchide sul Mar Nero, dove il re Eeta uccise l’ariete e ne appese il vello d’oro ad una quercia  sotto la custodia di un drago insonne. Successivamente  Atamante  impazzì e dopo aver ucciso il piccolo Learco avuto da Ino si pose alla ricerca di questa e del secondogenito Melicerte per ucciderli. Ino si gettò in mare col piccolo Melicerte. Divennero due divinità marine,  Ino, col nome di Leucothea – il cui santuario pirgense, ricordato anche dallo Pseudo-Aristotele (Oecon., II, 1349 b. 33-35), viene celebrato da Omero con l’Odissea -  protettrice dei naviganti, e Melicerte, col nome di Palemone,  protettore dei porti.  Pelia e Neleo erano gemelli nati furtivamente da Poseidone  e Tiro, figlia di Eolo. Erano stati perciò esposti  (come Romolo e Remo). Creteo che da Tiro ebbe Esone padre di Giasone fondò Iolco in Tessaglia. Quando Giasone (figlio di Esone e di Alcimede, figlia di Climene, figlia di Minia re di Orcomeno) si presentò a Iolco con un sandalo solo, Pelia, che nel frattempo aveva usurpato il trono, si ricordò dell’oracolo secondo cui sarebbe stato detronizzato dall’uomo con un sandalo solo e gli ordinò di recuperare il vello d’oro della Colchide confidando che sarebbe morto  nell’impresa. Vicino, sui monti del Caucaso, Prometeo sconta la pena per aver dato il fuoco all’umanità. La tradizione fa chiaro riferimento alla Terra Madre della civiltà europea e cioè al Caucaso, dove ritroviamo l’albero (la quercia), il serpente (il drago, nato dal sangue della Terra fecondata dal sangue di Tifone, gigante ctonio ribellatosi a Zeus e da questo fulminato), la mela (il vello), Eva (Medea), Adamo (Giasone), o ancora la punizione del furto dall’albero della scienza del bene e del male (Prometeo/Serpente punito per aver dato il fuoco agli uomini) da parte di Jahvè (Zeus). Prometeo fu liberato poi da Eracle. Anche nella saga degli Argonauti come nella storia di Noè compare la colomba (II, 555ss, che è animale sacro ad Afrodite Urania, che ha assunto su di sé la riuscita dell’impresa, III, 549ss). Fra i compagni di Giasone ci sono i figli di Biante (figlio di Amitaone, figlio di Creteo e Tiro) che desiderava come sposa la figlia del loro zio  Neleo, re di Pilo, il quale la prometteva solo a chi avesse ottenuto i buoi di Ificlo: impresa compiuta da Melampo per conto del fratello, solo dopo un anno di prigionia. Questa storia ricorda quella di Giacobbe che per avere Rachele serve Labano come pastore per quattordici anni. E’ importante stabilire che stando ad Apollonio Rodio l’impresa degli Argonauti si colloca, come è plausibile, fra la guerra dei Sette contro Tebe, XVI sec. a. C., e la guerra di Troia, che Omero colloca verso il  1200 a. C. (Peleo partecipa alla spedizione di Giasone mentre Achille è appena nato, Argonautiche, I, 557-558). E’ un’impresa che la tradizione greca attribuirà ai Pelasgi della Tessaglia. Una trave interna alla carena della nave Argo è ricavata addirittura da una quercia del santuario oracolare della Dodona pelasgica. S’è perso il collegamento fra i Pelasgi/Filistei e la Siria (collegamento che emerge dall’Apoteosi di Radamanto) ma s’è ricordata l’origine più antica dagli indeuropei dal Caucaso. E’ un’impresa quella degli Argonauti da ricondurre in realtà ai Turša (Filistei/Pelasgi) dell’Egeo, popoli del mare che si sono  specializzati nella metallurgia e le cui tradizioni sono legate appunto alla loro attività tesa a procurarsi i metalli con azioni predatorie tipiche anche della tradizione dell’altro Turša o Tirreno dell’Egeo che è Enea troiano con antiche ascendenze samotracie della prima metà dell’VIII sec. a. C. Il suo gentilizio, greco Hylaios, corrisponde all’Holaies che si riscontra sulla stele di Lemno che fa ugualmente riferimento a Focea nella Ionia d’Asia e corrisponde ancora al gentilizio Silvio portato dai dinasti della falsa lista reale di Alba Longa che non a caso vantavano origini troiane; in realtà questo elemento che Dionisio vuol dimostrare essere greco, fu cacciato da Lavinio dai legittimi dinasti locali rappresentati da Faustolo e Romolo fondatori di Roma e si rifugiò in esilio e senza alcun potere regale ad Alba Longa. In cambio del vello d’oro Giasone dice al re Eeta di essere  pronto « a compensarti subito, combattendo per te, se tu desideri sottomettere al tuo scettro i Sauromati, o qualche altro popolo » (Argonautiche, III, 393ss) ed Enea, che aveva fatto « scorrerie nel territorio circostante » per raccogliere materiali « la cui perdita appariva particolarmente molesta a chi li possedeva: ferro, legno, attrezzi agricoli », offrì a Latino in cambio dei materiali detti di mettergli « a disposizione corpi e animi ottimamente educati ad affrontare i pericoli, perché ve ne serviate come volete, difendendo la vostra terra da saccheggi, oppure cooperando con grande ardore alla conquista di quella nemica » (Dion. Hal. I, 57,1 e 58,3).   Gli Argonauti toccano stazioni metallurgiche: Lemno di Efesto (abitata dai Sinti di origine trace dunque indeuropei; vi si parlava il lemnio che la stele di Lemno documenta come unica lingua superstite affine all’etrusco); Samotracia dei Cabiri assistenti di Efesto; la terra dei Bebrici a ovest del Bosforo ricca di ferro (I, 141); il paese dei Calibi estrattori del ferro, oltre Temiscira sul Mar Nero; la Colchide col vello d’oro. La saga degli Argonauti nacque probabilmente (come i poemi omerici e le saghe relative) come saga etrusca  (e indeuropea, perché la lingua etrusca ha una componente di origine indeuropea) tra le più antiche, tanto che il suo scopo è spiegare l’arrivo dei Colchi  (in caccia di Medea) nel paese dei Feaci e cioè in Etruria (« i Colchi… chiesero d’essere accolti in amicizia. Abitarono a lungo nell’isola assieme ai Feaci, fino a quando i Bacchiadi, originari di Efira, la presero a loro sede », Argonautiche, IV, 1206ss) attraverso l’Illiria (« stabilirono la propria dimora… sulle rive del nero profondo fiume d’Illiria, dov’è la tomba di Cadmo ed Armonia, e vi costruirono una fortezza nel paese degli Enchelei; altri ancora vivono sulle montagne che sono dette Ceraunie »,  IV, 513ss; i monti Cerauni sono al confine tra Illiria ed Epiro; dunque nelle isole di Odisseo confluisce la civiltà pelasgo/filistea di Cadmo e preetrusca caucasica, di modo che i  Tarquiniati-Pirgensi e i Romani si possono considerare di origine greco-beota e  Odisseo, civilizzatore della Roma predinastica, di origini preetrusche, il che faciliterà l’opera di Omero cioè convincere i Greci investitori che si potevano considerare in Etruria come a casa loro). Dunque appare lecito indagare se è possibile tradurre almeno un certo numero di vocaboli etruschi con l’armeno (S. Bugge) e lingue caucasiche  (V. Thomsen).  Il viaggio di ritorno degli Argonauti attraverso il Danubio spiega anche la via delle spade ad antenne e degli elmi crestati o pileati etruschi dall’area carpato-danubiana. I figli di Frisso dopo la sua morte vanno ad Orcomeno Minieo per prendere possesso dell’eredità di Atamante, ma non ci vanno col vello d’oro, che quindi non è un segno di riconoscimento del potere stesso (II, 1141ss). Secondo Apollonio Rodio (IV, 1758ss), i Sinti di Lemno furono cacciati dai Tirreni e giunsero a Sparta poi da qui a Tera (Santorini). Ciò serve a spiegare gli elementi spartani che assumono rilievo nell’Iliade come Elena (che è una manifestazione di Afrodite Urania) e i Dioscuri, gli dei protettori del porto di Roma sul Tevere inaugurato da Tulo Ostilio.  E’ interessante notare che gli Ioni Neleidi abitanti di Pilo furono cacciati dal Peloponneso al momento dell’invasione dorica e si stanziarono  a Mileto da dove iniziarono, alla metà del VII sec. a. C., la colonizzazione della Propontide, in cui Cizico fu fondata nel 676  a. C. Gli Ioni vantavano di discendere da Nestore e da Pilo, re e regno trattati con particolare approfondimento da Omero. Il frammento 9 di Mimnermo dice « noi lasciammo Pilo scoscesa città dei Nereidi e giungemmo con le navi in Asia ».  Dunque le più importanti tradizioni greche in Omero, quelle che si formano intorno a Pilo in Messenia (i racconti di Nestore, cui Telemaco fa visita) e a Sparta in Laconia (la guerra di Troia nasce dal rapimento di Elena moglie di Menelao e anche a questo Telemaco fa visita in cerca di notizie di suo padre), sono recepite attraverso l’ambiente eolico e ionico d’Asia prossimo ai Turša dell’Egeo e soprattutto attraverso il padre di Omero. A Cizico, nel Mare di Marmara, Apollonio colloca quelli che Omero chiama i giganti Lestrigoni (I, 989ss), mentre nel territorio di Eraclea Pontica sul Mar Nero è l’ingresso dell’Ade (dove Odisseo arriva partendo dalla residenza di Circe, che dunque si trova nella Colchide e non nel Lazio, dove la pone la tradizione più recente, compreso Apollodoro). Nell’Odissea in realtà tutto lascia pensare che con la nave Odisseo, lungo il Danubio e poi il Reno, pensati come comunicanti, giunga fino alle coste nordoccidentali dell’Europa e qui incontri le anime dei defunti. Apollonio distingue le Simplegadi  che introducono nel Mar Nero dalle Plancte (‘Erranti’) che anche secondo Omero Giasone varca nel viaggio di ritorno dalla Colchide. Sia in Apollonio che in Omero le Erranti sono menzionate insieme a Scilla e Cariddi (lo Stretto di Messina), ma in Omero Odisseo può scegliere se passare attraverso le Erranti, dove è passata solo la nave Argo, oppure attraverso Scilla e Cariddi, dunque, contrariamente a quanto afferma Apollonio, le Erranti e Scilla e Cariddi non si troverebbero (per Omero), sulla stessa rotta. D’altra parte Odisseo passa attraverso Scilla e Cariddi e non attraverso le Plancte perché Apollonio ci spiega che queste si sono richiuse per sempre dopo il passaggio della nave Argo, dunque anche Odisseo non avrebbe potuto passarci (e ciò Omero lo sa bene dicendo che da qui riuscì a passare la sola nave Argo, Od. XII, 66ss). Per la collocazione più verisimile delle Erranti ci viene in soccorso l’episodio della guerra degli Argonauti contro le Arpie e il mutamento di nome delle isole Erranti (Plotai) in Strofadi (II, 296ss), isole a sud di Zacinto, e che dunque Odisseo avrebbe dovuto attraversare, venendo da oriente, poco prima di giungere alla sua Itaca.  Odisseo può scegliere se passare da qui oppure  dallo Stretto di Messina facendo il viaggio di ritorno degli Argonauti al contrario e cioè circumnavigando la penisola italiana (che dunque è un’isola, l’isola dei Feaci; Esiodo nella Teogonia dice appunto che i Tirreni vivono nelle isole sacre, 1015-1016) navigando il Rodano e il Po e giungendo a Itaca da nord, attraverso l’Adriatico. Cosa che non farà perché naufraga in Sardegna e poi sulla Scheria dei  Feaci/Etruschi che lo riaccompagneranno a casa ripercorrendo lo Stretto di Messina. C’è quindi da ritenere che in origine (e cioè in Omero) le Erranti fossero localizzate dove sono ora le Strofadi e successivamente identificate con le Lipari, sede dell’officina di Efesto (in Apollonio). In Omero (contrariamente ad Apollonio) le Sirene si trovano ad oriente dello Stretto di Messina e passato questo, da oriente verso occidente, Odisseo fa tappa in Trinacria/Sicilia, in Sardegna/Ogigia e nella Scheria/Etruria. Si noterà che il viaggio di Odisseo nel Mediterraneo orientale è stato pieno di disavventure: i Ciconi della Tracia, i Lotofagi della Libia, i Ciclopi (in realtà Polifemo  è un pastore e dunque appartiene alla classe sociale dei  Centimani) della Siria, i Lestrigoni della Propontide, la fattucchiera  Circe  della Colchide, le Sirene assassine da qualche parte dello stretto dei Dardanelli. Superato il mostro di Scilla e Cariddi (Stretto di Messina) Odisseo si ritrova nel Mediterraneo occidentale, in teoria  incivile o in via di civilizzazione, eppure qui i suoi guai sarebbero finiti se non fosse per la disobbedienza dei suoi uomini. I buoi  del Sole Iperione sono mansueti e pascolano nei prati di proprietà del santuario (l’episodio è stato adattato da Omero  da qualche saga che si riferiva alle imprese dei pirati Tirreni dell’Egeo nel delta egiziano). Un luogo di pace. E’ solo colpa dei marinai di Odisseo se il dio si vendica perché gli hanno mangiato i buoi sacri.  Quanto a Calipso è vero che tiene prigioniero Odisseo per sette anni (in realtà Odisseo è qui trattenuto dal fatto che deve farsi da solo una nuova imbarcazione per affrontare il mare), ma si tratta di una prigione dorata, nella inutile speranza che Odisseo la sposi ricevendone in cambio l’immortalità. Infine Alcinoo è il migliore di tutti, offrendosi di dare sua figlia in sposa al primo greco naufragato sulla sua terra o di riaccompagnarlo dove vuole,  riempiendolo in ogni caso di doni. Ciò si spiega sempre col fatto che i Greci devono prima di tutto  divertirsi delle trovate  fantastiche di Omero, e poi considerare civilissimi e onestissimi gli Etruschi e sicuro per i loro affari il Mediterraneo occidentale più di quanto non sia quello orientale.  L’identificazione della terra dei Feaci con Corfù (Apollonio) è tarda e nasce dal fatto che i Greci postomerici (in una fase storica antietrusca e comunque di propaganda tesa ad appropriarsi di tutto ciò che è civile) hanno volutamente reinterpretato l’itinerario di Odisseo tacendo le basi non greche e prediligendo l’interpretazione filogreca, in ciò seguiti dai Romani repubblicani, antietruschi. E’ un’interpretazione palesemente contraria al dettato omerico per due motivi semplicissimi, e cioè che i Feaci si sono stabiliti dall’oriente civilizzato all’occidente lontano dagli uomini industri e dunque, poiché Corfù è vicinissima alla Grecia, questa sarebbe, contraddittoriamente,  una terra di uomini incivili, e che Odisseo stesso si presenta ad Alcìnoo e Arete (dunque non si conoscevano prima) dicendo che pur vivendo lontani potranno diventare ospiti. Ulteriore indizio che conferma l’identificazione di Scheria con l’Etruria  è il riferimento alla famiglia dei Bacchiadi di Corinto (IV, 1210ss) che Apollonio conserva dalla tradizione omerica trasferendola a Corfù da  Tarquinia, dove Dionisio d’Alicarnasso fa stabilire il corinzio Demarato della famiglia dei Bacchiadi, padre del primo re etrusco di Roma Lucio Tarquinio Prisco. Corfù fu colonizzata da corinzi guidati da Chersicrate ma non mi risulta che questo fosse della famiglia dei Bacchiadi. La cosmogonia di Omero l’etrusco è diversa da quella del contemporaneo e greco Esiodo, secondo cui tutto origina dal Caos e dalla Terra (si può dire che la cosmogonia di Esiodo si riflette di più nella concezione dell’apeiron di Anassimandro di Mileto, 610-546 a. C.). Omero, secondo il mito di origine orientale, ritiene che gli dèi nascano da Oceano e Teti, cioè da una massa liquida primordiale. E’ la stessa concezione di Talete (624-546 a. C.) di Mileto in Ionia d’Asia, di origine fenicia (anche qualora discenda da una tribù cadmea della Beozia), secondo cui l’acqua è il principio di tutte le cose.  

 

                                                       Fine                                                              

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