La
cacciata dal Paradiso Terrestre, particolare
di formella da una porta bronzea di S. Zeno a Verona
L’Antico Testamento
nel complesso è opera di fervida fantasia anche se inadeguatamente espressa
dal punto di vista letterario (ma questo è il giudizio di un occidentale),
salvo casi rari fra cui si registrano pezzi davvero poetici, com’è il caso
di Qohelet, soprattutto 12,1-8. Direi
che probabilmente l’ebreo è
poeta laddove è naturale e non si propone di far poesia, mentre dove
evidentemente ci mette impegno produce qualcosa di mediocre se non addirittura
dell’anti-poesia. Ma la lettura
di pezzi rari eppur di pregio che troviamo ci ricompensa della fatica dell’estenuante
ricerca e ci fa rimpiangere la perdita della poesia profana ebraica e dei
popoli del Vicino Oriente (di cui quel che rimane è anche di minor valore
rispetto a quella ebraica). La
poesia ebraica, a giudicare dalla documentazione esistente, è sostanzialmente
originale ed ha sostanzialmente irrilevanti rapporti con quella dei popoli
vicini, se si prescinde dall’ovvietà dell’esistenza di generi comuni ai
vari popoli. Le radici di Omero sono essenzialmente israelitiche e recepite
attraverso la tradizione delle fonti dell’A. T. Per questo motivo non richiamo in questo lavoro perché
superflui e marginali anche quei pochi lavori delle letterature del Vicino
Oriente che in un modo o nell’altro potrebbero essere messi in
relazione con determinati libri dell’A. T. Che poi la civiltà e la
letteratura israelita debba aver recepito modelli dalle
civiltà egizia, babilonese, cananea, filistea, è un altro discorso,
ma non vi sono documenti superstiti migliori
o almeno uguali per valore a quelli israeliti.
Qualcosa a
proposito della fantasia degli Ebrei va detta con riferimento alla
eventualità che qualche libro dell’A. T. contenga riferimenti a veri e
propri incontri ravvicinati del terzo tipo con extraterrestri, le tre persone
del Dio ebraico o Elohim ‘gli dèi’, che possono essere scese sulla terra
a parlare con Mosè e a guidarlo in vista della Palestina. Sarei propenso in
linea di principio a ricondurre tutto entro l’ambito di puri e semplici
miracoli quando si tratta di Elia e Eliseo, di fantasia sulla base di
tradizioni più antiche di civiltà assai più evolute ed urbanizzate nel caso
del giardino dell’Eden, ancora
di fantasia che cerca di spiegare con fatti straordinari la realtà ostile all’uomo
della regione meridionale del Mar Morto, nel caso di Abramo e Lot (nessuno
troverà mai perché non esistono le città di Sodoma e Gomorra), ma il caso
è differente per quanto riguarda Mosè
(cui si deve la nascita dello stato israelita dopo l’esodo dall’Egitto;
sull’argomento vedi su questo sito il Papiro Tulli)
e probabilmente non a caso in quello di Ezechiele, cui si deve la
rinascita dello stato di Giuda dopo il secondo esodo (da Babilonia).
L’essere nata la religione mosaica per iniziativa di un intervento
alieno fa della Torà, la Legge (divisa in cinque rotoli, il Pentateuco) e
più in generale dell’A. T. una
miniera di informazioni tutta da esplorare per ricostruire l’identikit
culturale e psicologico degli alieni, fondamentalmente razzisti e con la fobia
delle donne e delle contaminazioni di qualsiasi tipo.
Sono essi ancora esistenti (come civiltà ovviamente) ed interessati
all’evoluzione delle vicende politiche della loro colonia terrestre? In
altre parole, ritorneranno, come hanno promesso più volte?
Si tenga
presente che se anche qualche brandello di tradizione scritta o solo orale
può risalire non oltre Mosè e dunque l’età del movimento dei popoli del
mare, nel XIII sec. a. C., la più parte dell’A. T. è stata scritta per la
prima volta a cura della classe sacerdotale in età postesilica, dopo il
ritorno a Gerusalemme e dunque dopo il 538 a. C. e fino al II-III sec. a. C.
La civiltà ebraica è frutto della sua permanenza in Egitto, in Palestina e
in Babilonia. Conserva delle tradizioni che sono comuni anche agli
indeuropei, che originano dal Caucaso e dall’Armenia (Eden da cui fluiscono
Tigri ed Eufrate; Ararat dell’Arca di Noè; ovviamente entrambe sono solo
favole – nessuno troverà mai l’Eden né l’Arca di Noè –
e significative solo in quanto narrano un’origine armena; in realtà
è evidente che gli Ebrei quando parlano di Eden hanno in mente l’Egitto,
trasformato alla maniera dei giardini pensili di Babilonia).
Per i credenti ebrei e cristiani l’A. T. è la parola di Dio espressa
attraverso i profeti da Mosè in poi. Per me che sono ateo è semplicemente il
complesso dei libri delle relative religioni storiche con valore culturale
(come lo hanno i testi delle religioni egizia, assira, babilonese, e così
via) a volte anche di buona letteratura, ciò che a me interessa
particolarmente di mettere in luce con riguardo alle origini della poesia
omerica.
Il Genesi o dal suo
incipit Bereshith, “In
principio… ”, è l’apoteosi dell’irrazionalità e dunque della poesia,
anche se questa è più nelle sue favolette che nella resa letteraria delle medesime. Man mano che dalle origini si arriva ai tempi
storici recenti la fantasia dell’A. T. decresce progressivamente, ma v’è
ancora fantasia nelle visioni dei profeti, fino a Daniele (dove il profeta
Àbacuc è preso per i capelli da un angelo e portato in volo fino a Babilonia
col cibo destinato a Daniele nella fossa dei leoni; e in ciò richiama alla
mente Enea trasportato in volo fuori dai pericoli della battaglia da Poseidone
perché da lui discenderà il popolo latino e romano) e Zaccaria, di cui è
rimasto alla periferia di Gerusalemme il sepolcro monumentale scavato nella
roccia, vicino a quello, più antico, di Assalonne, figlio di Davide. L’antico
abitante della Mesopotamia e della Siria, e dunque anche l’Ebreo che ha la
medesima origine culturale, si interroga, come tutti, su chi siamo, da dove
veniamo, dove andiamo, su perché il serpente non ha zampe ed è costretto a
strisciare per terra, perché dopo una tempesta si forma l’arcobaleno, perché
l’uomo è mortale pur avendo un’intelligenza che ritiene (e a buon
diritto) divina, perché la donna partorisce (e non l’uomo), perché l’area
del Mar Morto sia inospitale per l’uomo e per ogni forma di vita, e a tutto
ciò fornisce una spiegazione che non ha il minimo di razionalità, tipico
appunto dei popoli primitivi (o di quelli civili che fanno solo poesia, come
gli etruschi di Omero), e cosi secondo lui l’Universo è stato creato da
Dio, e in sei giorni, perché il
settimo s’è riposato (e questa favoletta è importante per dimostrare che
anche Dio ha rispettato il sabato). Dio, cioè Jahvè o Elohim a seconda delle
redazioni, lo vedremo meglio dal complesso dell’A. T. e soprattutto nel
libro di Giobbe, è null’altro che il dio uranico della tempesta,
identificato dalla presenza di nubi allo stesso modo di Zeus che Omero chiama
‘nube nera’, cioè carica di pioggia, e
del tornado, che gli antichi consideravano il pene del toro celeste che
percorre la terra e la feconda con la pioggia. Dove passava il tornado
lasciando tracce, là si costruivano santuari. E’ possibile che in questa
cornice una serie di discese di extraterrestri abbia concretizzato questa
divinità facendola divenire le tre persone (quelle dell’equipaggio dell’astronave)
in carne e ossa apparse già ad Abramo (Gn 18,1ss). Per il resto il nome del
dio ebraico significherebbe semplicemente « Io sono colui che sono » o più
semplicemente « Io sono » (Es 3,14). Pare una presentazione da favoletta, in
quanto Dio per definizione non può definirsi e non è singolare come nemmeno
può essere plurale. Dicendo Io, presuppongo un Tu e un Voi, e dicendo sono,
presuppongo un siete e anche un non-sono,
ecc. La verità è che Mosè ha intuito la necessità di darsi un dio (il dio
dei filosofi che ci credono, tanto per intenderci) che proprio perché unico
non doveva avere un nome qualsiasi, come Marco o Giovanni, e se ciò è vero
Mosè ha dimostrato di essere più intelligente degli uomini del suo tempo. Ma
certo Aton egizio gli ha suggerito
l’idea.
Premetto che in questo
studio sull’Antico Testamento seguirò il Canone ebraico e tralascerò di menzionare tutti quei
libri di scarso o nullo interesse letterario e soprattutto quelli legati al
Medio Giudaismo a cavallo della vita di Cristo perché da questa data comincia
un nuovo periodo per la storia e la cultura di Israele e in parte la
ritroveremo nello studio del Nuovo Testamento.
La Toràh o
Pentateuco: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio:
Genesi. Nel primo
giorno Dio disse: « “ Sia la
luce! ” E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona
e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre
notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno. » Secondo loro la luce è
indipendente dagli astri, perché questi vengono creati da Dio nel secondo
giorno: « Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il
firmamento, dalle acque che sono sopra il firmamento… Dio chiamò il
firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno. » Ma evidentemente
s’è dimenticato della sua creazione e ancora nel quarto giorno: «Dio fece
le due luci grandi, il sole per regolare il giorno e la luna per
regolare la notte, e le stelle. Dio le pose nel firmamento del cielo per
illuminare la terra e per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle
tenebre… E fu sera e fu mattina: quarto giorno. » Se la Bibbia fosse la
parola del dio che ha creato il mondo sarebbe un tantino più scientifica e
invece è peggio che se il mondo fosse descritto da un bambino che va male a
scuola.
Nel Genesi sono
giustapposte senza essere armonizzate e fuse fra loro anche due teorie della
creazione, delle quali quella che è messa più in evidenza si può definire
evoluzionista (con una sequenza che seppure assai imprecisa è quella che
conosciamo anche noi: acqua > pesci > anfibi > rettili
> mammiferi > uomo: « Dio creò l’uomo a sua immagine…
maschio e femmina li creò » Gen 1, 27) e non è certo farina del sacco
ebreo, bensì probabilmente babilonese, mentre
l’altra è israelita nella fantasia e babilonese nell’ispirazione ai giardini pensili di
Babilonia: « Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, nessun cespuglio
campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata – perché il
Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo
–; allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò
nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. Poi il
Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che
aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi
graditi alla vista e buoni da mangiare…
Poi il Signore Dio disse: “ Non è bene che l’uomo sia solo: gli
voglio fare un aiuto che gli sia simile. ” Allora il Signore Dio plasmò dal
suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li
condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo
avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome.
Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo
e a tutte le bestie selvatiche, ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse
simile. Allora il Signore Dio… gli tolse una delle costole… e plasmò
con la costola… una donna e la condusse all’uomo. » (Gen 2, 4bss) Dunque
prima crea l’uomo, poi crea per l’uomo un giardino pieno di delizie in cui
vivere, poi gli animali domestici per aiutarlo a lavorare il giardino e
infine, per ultima, la donna.
La visione maschilista
è evidente, in quanto, contro ogni logica secondo cui semmai è la donna ad
essersi evoluta per prima (sempre comunque dallo stesso albero dei primati),
costituendo una sofisticata cellula generativa, ciò che l’uomo non è,
Dio avrebbe creato prima Adamo, e
dalla sua costola Eva, la donna vista soprattutto come fonte di guai (i
semiti, come i greci, tengono le
donne sottomesse, escluse dal tempio, ai margini della società, nascoste nel
loro gineceo, a differenza dei popoli italici ed etruschi in particolare, che
invece semmai al contrario registrano una preminenza della donna; noi Italiani
siamo il miglior popolo al mondo – o meglio eravamo, perché nel frattempo
la fiaccola della civiltà è portata oggi da francesi e tedeschi – e non dobbiamo mai dimenticarlo come invece
facciamo troppo spesso, ad esempio guardando agli USA, che sono un popolo
civilizzato dagli ebrei). E infatti Eva mangia la mela dall’albero della
conoscenza del bene e del male, ciò che spiega l’intelligenza dell’uomo.
Secondo me il dio dell’A. T. vuole un uomo bambolotto che vegeti nel suo
giardino senza sporcare e senza far rumore, per il solo piacere di vederselo
così piccolo e nudo e giocarci un po’. Al contrario il Serpente ‘cattivo’
vuole che ragioni con la sua testa e così sia capace di creare una civiltà
che con tutti i difetti che può avere sarà miliardi di volte meglio di
quella del ‘buon selvaggio’. Questo giudizio rovesciato del Bene e del
Male nel Genesi era proprio anche di alcuni seguaci dello gnosticismo.
Ovviamente il mio è un giudizio sulla filosofia dei sacerdoti ebrei, dei
leviti, non sull’esistenza, cui non credo, del loro Dio e
Serpente. L’Ebreo dunque, pur avendo radici culturali comuni in parte
con noi indeuropei, ragiona al contrario di noi, attivi e creatori della
civiltà che domina il mondo e cui tutti, volenti o nolenti si adeguano
per i suoi vantaggi indiscutibili. L’Ebreo è il pastore che sarà sempre
pastore, e odia Caino, l’artefice
che costruisce la città e la civiltà. L’Ebreo dell’A. T. o meglio il
sacerdote levita, non ama lavorare, e preferisce vivere di rendita, con le
decime, protestando continuamente che Jahvè, in realtà lui stesso, vuole
vittime perfette, mentre il più delle volte gli si danno quelle piene di
difetti, e allora lui profetizza sciagure contro Israele perché non si
corregge. Ovvio che simili sacerdoti rimpiangessero un mondo del resto mai
esistito (salvo in Egitto o a Babilonia, dove il popolo lavorava attivamente
per realizzare il proprio
giardino dell’Eden) pieno di delizie a portata di mano di un Adamo che deve
fare solo lo sforzo di mangiare. Contrariamente a ciò che vogliono i leviti
chi fa bella figura sono invece la donna, Eva, e il Serpente. Dio, venuto a
sapere della violazione del suo divieto, punisce Satana il serpente e da quel
momento il serpente striscia per terra e morde il calcagno dell’uomo, che a
sua volta quando gli capita gli schiaccia il capo col piede (non sarà invece
che come Europa/Demetra cavalca la vacca suo animale, Eva proceda sopra il
serpente suo attributo indicante l’intelligenza?), punisce Eva e da quel
momento tutte le donne partoriranno con dolore e saranno sottomesse all’uomo,
e Adamo e con lui gli uomini è punito perché da questo momento dovrà
lavorare per mangiare e morirà perché è polvere e in polvere tornerà.
Anche partorire è un lavoro, per il levita,
ma a dire delle donne e dello psicologo partorire è bello. Dio
maledice per causa di Adamo il suolo e certo la Palestina doveva apparire
abbastanza maledetta da Dio agli Ebrei che vi vivevano. Dio allora disse
« “ Ecco l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza
del bene e del male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero
della vita, ne mangi e viva sempre! ” Il Signore Dio lo scacciò dal
giardino di Eden… e pose ad
oriente del giardino di Eden [ovvio dunque che Eden fosse l’Egitto]
i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all’albero
della vita. » Gen 3, 24) Dunque l’uomo, pur avendo intelligenza eccellente
(gli Ebrei direbbero divina), non è anche immortale perché Dio avrebbe
cacciato l’uomo dal giardino dell’Eden. Per l’Ebreo la vita bella è
quella del paese di Cuccagna, dove il cibo pende dagli alberi e l’unico
lavoro che si fa è quello di coglierlo e mangiarlo. Secondo gli Ebrei questo
paese di Cuccagna esisteva davvero ed era la fertile valle del Nilo (non
la montuosa e dunque inverosimile Armenia, da cui nascono il Tigri e l’Eufrate,
due rami del fiume di Eden) da cui gli Ebrei furono cacciati (come anche Adamo
e Abramo) al tempo dell’Esodo sotto la guida di Mosè. La duplicità delle
fonti giustapposte malamente e non fuse insieme è palese anche nella
discendenza di Set (generato da Adamo dopo l’uccisione di Abele il pastore
da parte di Caino l’artigiano; sarà stato semmai il contrario, dato che i
nomadi sono dediti alle razzie, mentre i sedentari sono popoli civili, ma gli
Ebrei allora erano nomadi e tiravano l’acqua al loro mulino) che è un
maldestro duplicato di quella di Caino. Frattanto la vita di ogni singolo uomo
era di qualche secolo, ma Matusalemme
li superò tutti (in fantasia), superando la veneranda età di… nove secoli
e mezzo, quasi un millennio di vita… complimenti! Anche i capi achei omerici
hanno età venerande ma Nestore di Silo, pardon, Pilo, regna sulla terza
generazione.
Finora ho spiegato le
favolette ebraiche in senso eziologico, cioè come tentativo di darsi ragione
della realtà che cadeva sotto i loro occhi. Da questo momento però Gen 6,
1-4 può rendere necessaria un’interpretazione
in senso extraterrestre: « Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi
sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli
uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. Allora il Signore
disse: “ Il mio spirito non resterà sempre nell’uomo, perché egli è
carne e la sua vita sarà di centoventi anni. ” C’erano sulla terra i
giganti, a quei tempi – e anche dopo – quando i figli di Dio si univano
alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli
eroi dell’antichità, uomini famosi. »
Il termine usato nel Gen e tradotto con giganti è nephilim, i ‘caduti’.
Poiché Dio è scritto Elohim ‘gli dèi’, in realtà si tratta di figli
degli dèi. Poiché si sono commisti alle terrestri (in una visione razzista,
che peraltro è tipica degli Ebrei, non dimentichiamolo mai) essi sono gli
angeli caduti, cioè di serie B, rispetto agli altri, guidati dall’arcangelo
Michele, che sono rimasti di razza pura e incontaminata. Chi discute
sul sesso degli angeli ragiona a vuoto, in quanto questi sono simili a
noi e hanno organi sessuali compatibili. Sarebbe stato per colpa di queste
unioni impossibili e dunque presumibilmente per togliere di mezzo gli angeli
di serie B e la relativa figliolanza, perché
la loro semidivinità rovinava la reputazione divina degli angeli di serie A,
che Dio avrebbe deciso il primo sterminio, per acqua,
dell’umanità. Ma come non ritenere una favoletta puerile quella dell’arca
di Noè inverosimilmente piena di sette coppie di ogni tipo di animale ed
uccello, una sola coppia di quelli immondi?
E come scesero i nostri dall’Ararat dopo che le acque defluirono? Per quanto
potessero essere dei provetti scalatori non credo che siano riusciti a portar
giù se non le capre. D’altra parte non è affatto vero che l’umanità coi
suoi giganti fu sterminata eccetto Noè e la sua famiglia, tant’è vero che
i giganti li ritroviamo in Palestina ancora al tempo di Davide che con la sua
fionda da pastore uccise il celebre gigante Golia filisteo. Per D. H. Lawrence,
che di Etruschi ne sapeva assai più di tanti saccenti accademici attuali, la
casetta in pietra che insieme al cippo fallico si rinviene presso i grandi
tumuli ceretani « ricorda l’Arca di Noè senza la chiglia, lo
scatolone-Arca di Noè che avevamo da bambini, tutto pieno di animali. Ed è
in realtà proprio questa l’Arca, l’arx, l’utero, il grembo del mondo da
cui sono scaturite tutte le creature » (Paesi etruschi, Nuova immagine
editrice, II edizione, 1989, p. 42). L’unico significativo elemento della
tradizione letteraria che gli Ebrei hanno in comune con la letteratura
mesopotamica è quello di Noè che ritroviamo nella celebre Epopea di
Gilgamesh. E che dire dell’arcobaleno dopo la tempesta (cioè l’ira di Dio
– da cui l’ira dei personaggi
omerici – come segno di riappacificazione fra Dio e il suo popolo; come se l’arcobaleno
non comparisse anche sugli altri paesi del globo)? C’è un bellissimo passo di Omero che
identicamente interpreta i temporali non come fenomeno naturale ma come
espressione di censura divina dei fatti umani, ma che si tratta di poesia è
dimostrato dal fatto che curiosamente Zeus si adira con gli uomini solo in autunno,
quando naturalmente piove: « come dalla tempesta tutta la terra nera
è gravata in un giorno d’autunno, in cui pioggia violenta rovescia Zeus, se
adirato con gli uomini imperversa perché con prepotenza contorte sentenze
sentenziano, e scacciano la giustizia, non curano l’occhio dei numi… »
(Il. XVI, 384ss). Come fa ad esprimere la sua disapprovazione Dio d’estate,
quando temporali non vi sono, mentre la malvagità dell’uomo non conosce
riposo? Il fatto è che gli Ebrei cercano delle spiegazioni alla loro sfiga
continua che li ha condotti a vivere in un deserto abbandonato da Dio e
circondati da nemici, e allora le trovano nei loro peccati. L’ebreo dell’A.
T. è un Fantozzi all’ennesima potenza. Dato dove vivono, il popolo più
peccatore al mondo è quello ebreo. Perché esistono razze e civiltà e lingue
differenti? Ovviamente per colpa dell’uomo, per la sua superbia e
presunzione di poter arrivare fino a Dio, o meglio per la presunzione dei
Babilonesi, costruttori delle torri a gradini (che servivano anche per adorare
gli dèi) o ziqqurat fra cui quella di Babele o Babilonia. Gli Ebrei furono
deportati in Babilonia e condannarono le torri a gradini come segni della
presunzione umana punita da Dio
con la distruzione (da essi immaginata forse perché videro una ziggurat in
rovina?) della torre di Babele e con la diaspora dell’ umanità e la
successiva diversificazione di popoli e lingue. Comunque anche in questo caso
si rendono conto che la differenza fra loro e Dio è insignificante
(costituita dalla sola immortalità) e che Dio ha paura dell’uomo: « Il
Signore disse: “ Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua
sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto hanno in progetto di
fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro
lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro. ” Il
Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la
città. » (Gn 11, 6ss).
L’origine
della civiltà ebraica è nella Siria settentrionale, in Aram, dove fanno capo
a partire da Abramo tutti i patriarchi, che sempre ritornano in Aram quando si
tratta di affari importanti, come prendere moglie. Questa del Paese Superiore
è anche l’origine più importante delle fonti omeriche. Abramo, come tutti
i nomadi, è bugiardo e ladro. In Egitto rischia di vedersi portar via la
moglie dal faraone perché l’ha fatta passare per sua sorella (« Di’
dunque che tu sei mia sorella, perché io sia trattato bene per causa tua e io
viva per riguardo a te »; se sentissimo parlare così qualcuno lo definiremmo
uno sporco sfruttatore). Quando il faraone comprese che per causa di quella
donna l’aveva colpito una serie di grandi piaghe, cacciò fuori dall’Egitto
lui e la moglie. E’ il primo nucleo di Ebrei che entrano ed escono dall’Egitto
verso il 1800 a. C. e si identificano praticamente con gli
Hyksos. Qualche secolo più tardi, al culmine della potenza degli
Hyksos questi sono rappresentati da Giuseppe, che prese praticamente in mano
le redini dell’Egitto, mentre nella fase di estremo declino degli ultimi
residui ancora rimasti in Egitto dopo la cacciata degli Hyksos agli inizi del
XVI secolo, alla metà del XIII secolo, abbiamo l’esodo guidato da Mosè.
Jahvè riconobbe subito in Abramo il suo degno capostipite della razza ebraica
e impose a lui e ai suoi discendenti la circoncisione come segno di
appartenenza. Il disastrato,
peggio che lunare paesaggio del
Mar Morto, dove non si trova alcun essere vivente a pagarlo oro, va spiegato,
ovviamente, con una punizione divina. Per la verità la storia della
distruzione di Sodoma e Gomorra da parte di Dio e dei suoi angeli potrebbe
anche essere una rielaborazione di fatti reali non del Mar Morto meridionale,
dato che la regione ben difficilmente può essere stata abitata e soprattutto
intensamente abitata in passato, bensì delle esperienze dei popoli della
Valle dell’Indo e comunque confluite nel Mahabharata e nel Ramayana. Tutto
sarebbe avvenuto a causa del mancato rispetto dell’ospite e cioè gli angeli
– evidentemente di sesso maschile – di cui i
Sodomiti volevano abusare sessualmente. La violazione del diritto d’ospitalità
da parte di Paride che era fuggito con la moglie e la cassa di Menelao
giustificò la favola omerica della guerra di Troia, « perché ciascuno
tremi, anche degli uomini che saranno, di far del male a un’ospite ch’abbia
mostrato amicizia » (Il. III, 353-354). Dio fece piovere
fuoco e zolfo dal cielo
e la moglie di Lot fu trasformata in statua di sale per non aver tenuto
conto dell’avvertimento di non voltarsi a guardare datole dai messaggeri di
Dio. Questi angeli possiedono dei poteri che non so fino a che punto la
fantasia ebraica avrebbe potuto inventare. Essi colpiscono i nemici con un
abbaglio accecante (Gen 19,11) e possiedono armi di distruzione di massa.
(Quelle stesse che gli Americani fanno finta di cercare in Iraq e che invece
hanno usato due volte sul Giappone in ginocchio.) Il
loro sarebbe stato il primo olocausto registrato dalle cronache ebraiche: «
Abramo… contemplò dall’alto Sodoma e Gomorra e tutta la distesa della
valle e vide che un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace. » (Gen
19,27-28). Sodoma e Gomorra non
sono mai esistite ma se qualcuno le vuol proprio cercare lo deve fare sotto le
acque salate della parte meridionale del Mar Morto, la Valle di Siddim. A
Lot fu comandato di abbandonare al più presto la valle e salvarsi sui
monti, ed egli si salvò a Zoar (tradotto Segor nelle vecchie edizioni
Paoline).
Ovviamente
Moabiti ed Ammoniti, nemici degli Ebrei, derivano dal rapporto
incestuoso fra Lot e le sue figlie, unici superstiti dell’olocausto
perpetrato da angeli extraterrestri dotati di armi nucleari.
Abramo era un
mentitore nato e ripeté presso
il re Abimelec di Gerar nel deserto del Negheb ciò che aveva fatto in Egitto,
presentando Sara sua moglie come sua sorella.
Poiché ricadere nell’errore lo fa apparire piuttosto un preciso modo
di agire, ne deriva che Abramo
era d’accordo col suo… dio. Lui se la godeva in un dolce far niente in
grazia di sua moglie che concedeva le sue grazie al re locale, poi un bel
giorno, con un qualche espediente, il
dio spifferava in un orecchio del re che Sara era la moglie di Abramo e che
lui, dio, era arrabbiato (non con Abramo il mentitore, bensì) con il re
(gabbato) e gli prospettava l’estinzione del suo popolo se non avesse
rilasciato moglie e marito con tante scuse e tante pecore a titolo di
risarcimento. Poi uno si domanda come facesse Abramo ad avere un gregge così
grande. Tanto di cappello da parte dei più abili
truffatori napoletani! Però anche Abimelec non brillava per
intelligenza, perché ricadette nella stessa truffa da parte di Isacco figlio
di Abramo, col risultato che Isacco « divenne ricco e crebbe tanto in
ricchezze fino a diventare ricchissimo: possedeva
greggi di piccolo e di grosso bestiame
e numerosi schiavi e i Filistei cominciarono ad invidiarlo. »
Al tempo di Abramo c’erano
i sacrifici umani (si pensi ad Ifigenia sacrificata per favorire la partenza
della flotta achea da Aulide). Il Dio degli ebrei mise alla prova – prova di
cattivo gusto – Abramo chiedendogli di sacrificare il figlio Isacco. Abramo
e Sara furono sepolti a Ebron. Giacobbe, figlio di Isacco, è ancora più bugiardo e
truffaldino di suo padre e di suo nonno, e proprio per questo riceve ancor più
il favore del suo dio. Anche gli dèi di Omero stravedono per lo scaltro
Odisseo. Giacobbe ruba la
primogenitura al fratello Esaù (antenato degli Edomiti) sfruttandone una
situazione di bisogno, col famoso piatto di lenticchie. Prima che Isacco
muoia, col suggerimento dell’astuta madre, Giacobbe si fa benedire prima di
Esaù, il cacciatore, il prediletto di Isacco che ormai non ci vedeva più.
Isacco chiede a Esaù di preparargli un piatto a base di cacciagione e quello
prende e parte. Rebecca, che ha sentito tutto, dice a Giacobbe di darle due
capretti del gregge e li cucina come se fossero cacciagione: « Giacobbe
rispose a Rebecca, sua madre: “ Tu sai che mio fratello Esaù è tutto
peloso ed io no. Se per caso mio padre mi palpasse, mi crederà un truffatore
e mi
attirerei addosso una maledizione invece della benedizione. ” » (Gn
27,11ss) No, come si potrebbe credere che Giacobbe sia un truffatore! Rebecca
ricoprì Giacobbe con gli abiti di Esaù e con le pelli dei capretti gli
coprì mani e collo. Isacco si stupì di come Esaù avesse fatto così presto
a portargli il piatto di cacciagione e volle tastarlo: « La voce è quella di
Giacobbe, ma le mani, son le mani d’Esaù. » E Isacco benedì Giacobbe l’ingannatore
di suo padre e di suo
fratello, che si prese la benedizione destinata ad Esaù. Onestamente,
come si fa a credere nella religione di un popolo così ladro? Orbene Rebecca,
l’antenata di tutte le bigotte, fu capace di ordire una così grande
menzogna solo perché Esaù aveva sposato delle donne ittite; si ribellava all’idea
che delle straniere (non era in questione la poligamia perché anche Abramo fu
poligamo) inquinassero la razza. Gli Ebrei sono i veri razzisti della storia,
razzisti non per cultura, ma di più, per
religione. Giacobbe va in Aram e lavora come pastore al suo servizio
per sette anni per avere Rachele da Labano e quello gli da invece Lia,
che era bruttina. Allora lavora per lui altri sette anni e infine ottiene
Rachele. Poi scappa con mogli e gregge e i lari e penati di famiglia.
Gli
Ebrei sono spregevoli. Giacobbe si stabilì in Canaan presso gli Evei e qui
sua figlia Dina fu amata e violentata da Sichem.
Gli Ebrei sono razzisti e la prova eccola qua. Il padre di Sichem,
Camor, chiese a Giacobbe di dare Lia in moglie a suo figlio essendo disposto
ad unire i due popoli mentre il figlio era disposto a pagare una ricca dote,
allora gli Ebrei escogitarono una vile astuzia, sostenendo che solo se si
fossero fatti circoncidere
sarebbero stati disposti allo scambio di spose e all’unione dei due popoli
dimorando presso i Cananei. Camor e Sichem accettarono, ma quando gli Evei
erano al terzo giorno della circoncisione, sofferenti, i due figli di
Giacobbe, Simeone e Levi fratelli di Dina « entrarono nella città con
sicurezza e uccisero tutti i maschi. Passarono così a fil di spada Camor e
suo figlio Sichem, portarono via Dina dalla casa di Sichem e si allontanarono.
I figli di Giacobbe si buttarono sui cadaveri e saccheggiarono la città,
perché quelli avevano disonorato la loro sorella. Presero così i loro greggi
e i loro armenti, i loro asini e quanto era nella città e nella campagna.
Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini e le
loro donne e saccheggiarono quanto era nelle case. Allora Giacobbe disse a
Simeone e a Levi: “ Voi mi avete messo in difficoltà, rendendomi odioso
agli abitanti del paese, ai Cananei e ai Perizziti, mentre io ho pochi uomini;
essi si raduneranno contro di me, mi vinceranno e io sarò annientato con la
mia casa. ” Risposero: “ Si tratta forse la nostra sorella come una
prostituta? ” (Gen 34, 1ss). Qualcuno, un po’ rigido, potrebbe
giustificare questo comportamento. E sia! Il fatto è che gli Ebrei vedono
sempre e solo le cose dal loro punto di vista (come gli Americani, che sono di
cultura ebrea) e quando fanno gli stessi errori di Sichem chiudono un occhio e
anche tutti e due! Occhio per occhio, dente per dente vale sempre e solo
contro i non Ebrei, mai per gli Ebrei stessi.
Giacobbe
ebbe dodici figli, che servono a spiegare le dodici tribù di Israele. I
fratelli invidiavano Giuseppe e un giorno che erano lontani a pascolare il
bestiame lo vendettero a dei mercanti madianiti diretti in Egitto, che a loro
volta lo vendettero a Potifar, consigliere del faraone e
comandante delle guardie. Giuseppe fece una bella carriera e diventò
visir del Faraone. Durante una carestia da lui predetta (di cui non vi sono
tracce nella storia documentata dell’Egitto; ricordiamo sempre che il Genesi
non è un documento storico ma una favola nazionale con qualche
verosimiglianza storica) tutti chiedono di acquistare le provviste dall’Egitto
e Giacobbe manda in Egitto i suoi figli. Giuseppe si rivela a loro e il
Faraone li invita a far venire in Egitto anche Giacobbe
perché gli assegnerà un territorio tutto per loro. Giacobbe viene
in Egitto e dopo morto viene sepolto a Ebron, Giuseppe invece alla sua
morte fu imbalsamato e sepolto in una tomba in Egitto. Sarebbe interessante
ritrovare un giorno la sua tomba (priva del sarcofago).
La
permanenza degli Ebrei in Egitto da Giuseppe a Mosè fu di 400 anni. L’Esodo
vuole accreditare l’idea di un’oppressione inverosimile da parte del nuovo
faraone. Delle due l’una, o il faraone li voleva espellere dall’Egitto
oppure li voleva tenere come schiavi alla costruzione delle sue città. In un
caso o nell’altro è
inimmaginabile e controproducente pensare alla verosimiglianza dello sterminio
dei primogeniti. Mosè era un trovatello abbandonato davanti alla porta del
tempio del quartiere fenicio di Memfi e nulla più (ma il razzismo ebraico
arriva ad escogitare che sia stato allattato da sua madre ebrea per conto
della figlia del faraone; naturalmente il latte di una nutrice egiziana lo
avrebbe… contaminato). Ebbe la fortuna di essere allevato come un perfetto
egiziano ma non fu riconoscente. Mosè era “balbuziente” e perciò aveva
bisogno di Aronne che traducesse il suo egiziano per poi rivolgersi in ebraico
al popolo. Anche i Greci chiamavano barbaroi, cioè balbuzienti, gli
stranieri. E’ un classico. Apprese i rudimenti della religione egiziana,
anche di quella incipiente di Aton, e se ne volle creare una tutta sua per
dominare un popolo e una terra tutti suoi. Io non credo che il faraone
trattenesse gli Ebrei contro la loro volontà. Credo piuttosto che volesse
cacciarli e in effetti alla fine li cacciò perché erano individui turbolenti
e raccogliticci, delle teste calde come Mosè che uccide l’egiziano e poi
viene denunciato dai suoi stessi compagni, dei piantagrane a causa della
loro religione (pensiamo ad esempio agli immigrati di religione
islamica che cinque volte al giorno devono interrompere il lavoro per
rivolgersi alla Mecca e pregare, oppure se mangiano alla mensa aziendale
questa deve preparare un menu appositamente per loro, che non mangiano carne
di maiale, mangiano solo carne di
animali dissanguati, non bevono
vino, ecc.) che è anche più piena di divieti e prescrizioni di quella
islamica, del loro settarismo, che li portava a vivere fra di loro evitando
qualsiasi “ contaminazione ” con gli stranieri,
dei lavoratori negligenti (è assurdo pensare che il faraone gli
facesse mancare la paglia con cui preparare i mattoni per fabbricare le sue
città; per inciso, da questo momento quel minimo di organizzazione che gli
Egiziani diedero agli Ebrei
sottoponendoli all’amministrazione di scriba – non scribi – della
loro razza, diede luogo alla classe degli Scriba, gli Scribi delle
traduzioni della Bibbia), dei predoni, poiché uscirono dall’Egitto dopo
averlo razziato (« spogliarono gli Egiziani » Es 12,36), inseguiti dall’esercito
del faraone. Le dodici piaghe sono un’invenzione, ma l’ultima, quella
della morte dei primogeniti degli Egiziani, suggerisce una realtà
probabilmente vera, e cioè che gli Egiziani, colpiti da qualche morìa
inesplicabile abbiano avuto, come accade solitamente in queste circostanze, un
sussulto di xenofobia, puntando il dito sugli Ebrei, costituenti una setta
chiusa in sé, e dunque capaci di chissà quali malefici se non di puro e
semplice malaugurio. Sul percorso del deserto che a dire dell’Esodo
costeggerebbe la penisola sinaitica c’è da essere abbastanza scettici. Il
percorso avrà seguito le vie carovaniere del tempo in una direttrice assai
rettilinea e a settentrione, che passava per Suez ed arrivava fino ad
Ezion-Geber, vicino a Elat, e poi risaliva passando nei territori degli
Edomiti e Moabiti, in Transgiordania. Come l’intendeva lo stesso Giuseppe
Flavio, l’Esodo sarà stato l’ultimo strascico della cacciata degli Hyksos
dal delta sotto la XVIII dinastia.
Il faraone dell’Esodo è probabilmente Ramesses II, come emerge dal Papiro Tulli (vedi) e dalla stele di suo figlio Merenptah in cui Israele è per la prima volta menzionato. Data la possibilità che nella circostanza ci sia stata una presenza ufologica il passaggio del Mar Rosso nel mezzo delle acque divise, con connessa caduta di quaglie, manna, e probabilmente pesci, potrebbe essere stato determinato dal passaggio radente di dischi volanti extraterrestri e non essere solo il frutto della fervida fantasia ebraica. Ovviamente gli Ebrei ingigantirono un episodio insignificante della storia egiziana e il faraone non morì affatto travolto dalle acque. L’Esodo è narrato nel libro omonimo o dal suo incipit Weelle shemoth “E questi sono i nomi”. Gli Ebrei « bene armati » (Es 13,18) e portandosi dietro la mummia di Giuseppe, uscirono dall’Egitto, guidati dalla colonna di Jahvè, di nube di giorno e di fuoco di notte, e impiegarono solo tre mesi per arrivare alla punta della penisola del Sinai e al monte omonimo (Es 19,1ss; dunque è inverosimile che abbiano impiegato 40 anni ad arrivare in Transgiordania). Fin dall’uscita dall’Egitto ovviamente Mosè divise il suo popolo in tribù, migliaia, centinaia, cinquantine e decine, ponendo a capo di ciascuna unità un responsabile.
Sul
Sinai (ma in realtà da qualche altra parte, magari il monte Oreb, dove Jahvè
si mostrò a Mosè dal roveto ardente?) Mosè ricevette da Jahvè le Leggi.
Dio si manifesta attraverso un temporale: « sul far del mattino, vi furono
tuoni, lampi, una nube densa sul monte e un suono fortissimo di tromba: tutto
il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore… Il monte Sinai
era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuco
e il suo fumo saliva come il fumo da una fornace: tutto il monte
tremava molto. Il suono della tromba diventava sempre più intenso: Mosè
parlava e Dio gli rispondeva con voce di tuono… Poi il Signore disse a Mosè:
“ Scendi, scongiura il popolo di non irrompere verso il Signore per vedere,
altrimenti ne cadrà una moltitudine! Anche i sacerdoti, che si avvicinano al
Signore, si tengano in stato di purità, altrimenti il Signore si avventerà
contro di loro! ” Mosè disse al Signore: “ Il popolo non può salire al
monte Sinai, perché tu stesso ci hai avvertiti dicendo: “ Fissa un limite
verso il monte e dichiaralo sacro. ” Il Signore gli disse: “ Va’,
scendi, poi salirai tu e Aronne con te. Ma i sacerdoti e il popolo non si
precipitino a salire verso il Signore, altrimenti egli si avventerà contro di
loro! ” » (Es 19,16ss)
Per
chi veda le cose obiettivamente le ipotesi sono due, o Mosè ha architettato
una truffa con effetti speciali in occasione di qualche fenomeno naturale
(fuoriuscita di gas) in occasione di un temporale, aggiungendovi suoni di
tromba ecc., oppure, ed è l’ipotesi nettamente più probabile, si trattò
di un vero incontro ravvicinato del terzo tipo con effetti paragonabili ad un
temporale e ai prodromi di un’eruzione vulcanica. Quando Mosè e gli altri
anziani salirono sul monte videro (e mangiarono e bevvero con) Dio che
poggiava su una specie di «
pavimento in lastre di zaffiro, simile in purezza al cielo stesso. » (Es
24,10) E’ pericoloso guardare il volto di dio che consente una prima volta a
Mosè di guardarlo solo di spalle (Es 33, 18ss). Successivamente
Mosè parlò con dio faccia a faccia
per 40 giorni per riceverne la Toràh, la Legge, e come conseguenza «
la pelle del suo viso era diventata raggiante » (Es 34,28ss), per cui doveva
porsi un velo in testa quando parlava coi suoi collaboratori. Io lo interpreto
come una luminescenza della pelle effetto dell’esposizione a radiazioni.
Gli
dèi (la trinità) di Mosè hanno memoria corta, perché hanno già avvertito
Mosè e non se lo ricordano, oppure insistono sulla pericolosità dell’avvicinarsi
ovviamente perché nel caso la folla si accalcasse sarebbero costretti a
spararle addosso come unico modo per evitare di essere schiacciati. Ovviamente
alzarsi in volo su un disco volante non è un’operazione che richieda pochi
secondi. C’è sempre una certa ambiguità negli incontri dell’uomo con
Dio, ma io propendo per l’ipotesi dell’incontro con extraterrestri. La
religione ebraica è nata fondamentalmente per gemmazione da una civiltà
extraterrestre, e ciò ne fa una religione essenzialmente disumana sia pure
sotto la parvenza di una religione come tante altre terrestri. Ad esempio il
Dio degli Ebrei « castiga la
colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione », mentre
presso tutti i popoli civili della terra
la colpa è personale e uno paga
solo per i suoi sbagli e non per
quelli commessi da altri.
Dio
parla per modo di dire, perché il popolo sente solo una « voce di tuono »
fra tuoni e lampi, suono di corno e fumi che salivano dal monte. Le
leggi date da Dio a Mosè, che il popolo conosce dalla voce di
Aronne, sono assai più del famoso decalogo. Non starò qui ad
analizzarle. C’è da rilevare la prescrizione dello sterminio di coloro che
credono a dèi al di fuori di Dio (Es 22,19),
il divieto di molestare o opprimere lo straniero
« perché voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto » (Es 22,
20; 23,9). Queste sono le migliori parole dette a favore dello straniero in
tutto l’A. T. D’ora in poi sarà espresso il pensiero che dallo straniero
ci si deve tenere alla larga e non avere alcun rapporto nemmeno di affari.
Già che parliamo della legge vale la pena anticipare quanto detto negli altri
Libri della Torah. Salto a piè pari il Levitico
o Wayyqra ‘E
chiamò’, la legge dei sacerdoti, della tribù di Levi o Leviti. Quanto a
Numeri o Wayedabber ‘E
parlò’, menzionerò solo l’ordalia per verificare se la moglie del geloso
gli è infedele, che a mio avviso
è l’escamotage degli Ebrei per disfarsi legalmente della moglie, un
divorzio… all’italiana degli Ebrei, insomma:
«
Se una donna si sarà traviata e avrà commesso una infedeltà verso il marito…
ma la cosa è rimasta nascosta agli occhi del marito… e non vi siano
testimoni contro di lei perché non è stata colta sul fatto, qualora lo
spirito di gelosia si impadronisca del marito… anche se la moglie non
si è contaminata, quell’uomo condurrà la moglie al sacerdote e porterà un’offerta
per lei… Il sacerdote farà quindi stare la donna davanti al Signore, le
coprirà il capo e porrà nelle mani di lei l’oblazione commemorativa, che
è l’oblazione di gelosia, mentre il sacerdote avrà in mano l’acqua amara
che porta maledizione. Il sacerdote farà giurare la donna e le dirà: Se
nessun uomo ha avuto rapporti disonesti con te… quest’acqua amara, che
porta maledizione, non ti faccia danno! Ma se ti sei traviata ricevendo un
altro… Allora il sacerdote farà giurare la donna con un’imprecazione; poi
dirà alla donna: Il Signore faccia di te un oggetto di maledizione e di
imprecazione in mezzo al tuo popolo, facendoti avvizzire i fianchi e gonfiare
il ventre; quest’acqua che porta maledizione ti entri nelle viscere… E la
donna dirà: Amen [Così sia!], Amen! Poi il sacerdote scriverà queste
imprecazioni su un rotolo e le cancellerà con l’acqua amara. Farà bere
alla donna quell’acqua amara che porta maledizione… il sacerdote prenderà
dalle mani della donna l’oblazione di gelosia… prenderà una manciata di
quell’oblazione come memoriale di lei e la brucerà sull’altare; poi farà
bere l’acqua alla donna… se essa si è contaminata e ha commesso un’infedeltà
contro il marito, l’acqua che porta maledizione entrerà in lei per produrre
amarezza; il ventre le si gonfierà e i suoi fianchi avvizziranno e quella
donna diventerà un oggetto di maledizione in mezzo al suo popolo. Ma se la
donna non si è contaminata ed è pura, sarà riconosciuta innocente e avrà
figli… il sacerdote le applicherà questa legge integralmente. Il marito
sarà immune da colpa, ma la donna porterà la pena della sua iniquità. »
(5,12ss) La magia è vietata con
la pena di morte: « Non si trovi in mezzo a te… chi esercita la divinazione
o il sortilegio o l’augurio o la magia; né chi faccia incantesimi, né chi
consulti gli spiriti o gli indovini, né chi interroghi i morti, perché
chiunque fa queste cose è in abominio al Signore; a causa di questi abomini,
il Signore tuo Dio sta per scacciare quelle nazioni davanti a te… » Solo i
sacerdoti autorizzati dal Dio
degli Ebrei possono compiere delle magie e fatture come quella di cui abbiamo
appena trattato e profetare: « Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo
a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto… io
susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le
mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò… Ma il profeta che
avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato
di dire… quel profeta dovrà morire… Quando il profeta parlerà in nome
del Signore e la cosa non accadrà… l’ha detta il profeta per presunzione;
di lui non devi aver paura. » (Dt 18,10ss) Dunque l’unico modo di
identificare il vero profeta è vedere se si realizza quanto da lui
profetizzato. Ogni commento è
superfluo. L’ultimo libro della Toràh si chiama Deuteronomio e in ebraico Elleh
haddevarim ‘Queste sono le
parole’. Nel Deuteronomio è consentito il matrimonio con la prigioniera di
guerra (cioè con la straniera; praticamente le uniche straniere che gli Ebrei
conoscono sono quelle cui muovono guerra e viceversa) purché le sia rasa la testa e le si taglino le unghie, e se poi non è più
gradita la si può abbandonare a piacimento. E’ solo escluso venderla,
certamente perché un altro ebreo non deve prendersi gli scarti di un suo
connazionale (Dt 21,10ss).
Non
credo minimamente alle leggi scritte da Jahvè su tavole di pietra e poi a
quelle che avrebbero scritto su grandi pietre intonacate rizzate sul monte
Ebal in Cisgiordania, e ciò per due motivi, perché è tipico delle prime
fasi di una comunità che le leggi siano note solo ad una ristretta cerchia di
potenti, mentre al popolo esse vengono opposte solo quando fa comodo, e poi
perché in Egitto se non prima gli Ebrei avevano imparato a scrivere più
comodamente su papiro con il calamo. La Toràh, ovvero la Legge mosaica, in
cinque rotoli (o quattro: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri; il Deuteronomio è
postesilico) sarà contenuta nell’Arca dell’alleanza, forse andata
distrutta nel 587 a. C. con Gerusalemme, forse nascosta ai piedi del monte
Nebo da Geremia e Baruc. E’ interessante che Mosè e i sacerdoti prescrivano
agli Ebrei, una volta passato il Giordano di compiere un giuramento composto
da una sfilza di maledizioni ad alta voce al cospetto di tutto il popolo,
maledizioni che vertono su temi che nulla o
poco hanno a che vedere col famoso decalogo. Al primo punto non si
prescrive che sia adorato solo Jahvè (e ovviamente si tratterà di svista
dovuta a cattiva formulazione giuridica), bensì che non si faccia alcun
idolo: « Maledetto l’uomo che fa un’immagine scolpita o di metallo fuso,
abominio per il Signore, lavoro di mano d’artefice, e la pone in luogo
occulto! Tutto il popolo risponderà e dirà: Amen » (Dt 27,15), e così via.
Degne di menzione sono le seguenti maledizioni, per chi lede il diritto del
forestiero, dell’orfano e della vedova; per chi si unisce a qualsiasi bestia
(immaginate un po’ di che gente si trattava; e poi ci scandalizziamo di
Pasifae, del Toro marino e del Minotauro!);
per chi accetta un regalo per condannare a morte un innocente; per chi
non mantiene in vigore le parole di questa legge per metterla in pratica.
Questo il popolo doveva sapere, a voce.
Poiché
ritardava a scendere dal sacro monte (scusa peregrina) il popolo chiese il
Vitello d’Oro e Aronne glielo fece realizzare. Quando Mosè scese dal monte
chiamò a sé i Leviti, la casta sacerdotale, e fattili armare fece sterminare
tremila uomini fra gli apostati. Poi Mosè disse ai Leviti: « Oggi voi
siete stati consacrati al
servizio del Signore, chi a prezzo del proprio figlio,
e chi del proprio fratello; perciò oggi Egli vi dona la benedizione »
(Es 32,29). Da questo momento le lamentele del popolo o gli
ammutinamenti e le ribellioni sono frequenti e si concludono regolarmente con
migliaia di morti per cause diverse.
Dopo
la morte di Aronne sul monte Or, Mosè
fece il serpente di bronzo come stendardo. Questo era il drago malefico Apep,
dio degli Hyksos di cui alcuni re
presero il nome, Apopi o Apopis. La parte transgiordana dell’Esodo è
preceduta dall’episodio del (falso) profeta Balaam la cui asina, per
intervento divino, si mise a parlare come il cavallo Xanto di Achille (Il. XIX
404ss): « Allora il Signore aprì la bocca all’asina ed essa disse a Balaam:
“ Che ti ho fatto perché tu mi percuota già per la terza volta? ” Balaam
rispose all’asina: “ Perché ti sei beffata di me! Se avessi una spada in
mano ti ammazzerei subito. ” L’asina disse a Balaam: “ Non sono io la
tua asina sulla quale hai sempre cavalcato fino ad oggi? Sono forse abituata
ad agire così? ” Ed egli rispose: “ No. ” Allora il Signore aprì gli
occhi a Balaam ed egli vide l’angelo del Signore, che stava sulla strada con
la spada sguainata. » (Nm 22,28ss), e il bello è che né Balaam né Achille
si stupirono minimamente del fatto straordinario di un animale parlante. Gli
Ebrei non fanno distinzione fra ciò che immaginano nella loro fantasia e ciò
che è reale, per loro tutto può essere reale, anche l’asino che vola.
Forse ciò è suggerito dai miraggi del deserto, che fanno vedere l’acqua
dove non è (così magari Cristo ci cammina sopra; è solo un’ipotesi
buttata là) o dalla forte
escursione termica che cuoce e gela il cervello fino a farlo sragionare; se
poi ci aggiungiamo le febbri, i digiuni, l’alimentazione sbilanciata, l’isteria
religiosa…
Stando
alla Toràh o Pentateuco dovunque incontrano un nemico gli Ebrei lo
sterminano. Prima di Gerico non si parla esplicitamente di olocausto, ma nel
caso dei Moabiti, ritenuti responsabili della deviazione religiosa degli ebrei
(che vennero appesi al palo in 24.000 – cifra sicuramente fantasiosa, in
linea con l’A. T. – e la mattanza sarebbe continuata se
Pincas, nipote di Aronne, non avesse avuto l’idea di spegnere la sete
di vendetta di Mosè con un gesto plateale con cui sventrò una madianita –
una straniera! – di passaggio e con lei il suo accompagnatore ebreo, Nm
25,1ss) verso il culto di Baal-Peor Mosè richiese esplicitamente l’uccisione
di tutti, donne e bambini
compresi, salvo le vergini (Nm 31, 11ss). Gli Ebrei amano essere puri, e così
dopo questo vile massacro Mosè prescrive che i soldati-macellai
si purifichino stando in quarantena una settimana, i metalli siano
purificati passandoli appunto attraverso il fuoco e così via. Poi si
ricomincerà daccapo a sporcarsi le mani di sangue.
Dall’alto
del monte Nebo, cima del Pisga, di fronte a Gerico,
Mosè vide la terra promessa, ma ormai vecchio e stremato dalle fatiche
morì (come la prima generazione che l’aveva seguito) e fu sepolto nella
valle ai piedi del monte Nebo, di fronte a Bet-Peor « nessuno fino ad oggi ha
saputo dove sia la sua tomba ». Qui potrebbe stare anche l’Arca dell’alleanza.
L’Esodo
attribuisce la morte prematura alla mancata fede in Jahvè, e ciò è
parzialmente vero, perché oltre a morire per gli stenti di una marcia
attraverso un terreno ostile alla vita umana, i fuoriusciti dall’Egitto non credevano tutti e nemmeno la
maggior parte a Jahvè per il semplice motivo che seguivano religioni
eterogenee e assai egittizzanti, come abbiamo visto. Mosè fu praticamente il
primo dei Giudici di Israele, cioè un sacerdote (un consacrato da Dio)
guerriero, duce del suo popolo, e
alla sua morte il giudicato
passò a Giosuè che fece oltrepassare agli Ebrei il Giordano, portandolo in
Cisgiordania. Il sacerdos etrusco era la medesima cosa.
Profeti
anteriori: Giosuè, Giudici, 1-2 Samuele, 1-2 Re:
Le
imprese di Giosuè sono narrate nel libro omonimo. La fantasia poetica del
libro di Giosuè è ancora la stessa del Pentateuco. L’arca è opera di
uomo, attribuita all’artigiano Bezaleel, e serviva semplicemente a contenere
i rotoli della Legge, però con essa i Leviti compiono le stesse identiche
opere miracolose che compiva Dio attraverso la sua colonna di nube e di fuoco
al tempo di Mosè, e cioè il passaggio delle acque del Giordano (fiume
guadabile in più punti a piedi; e anche il passaggio del Mar Rosso deve
essere avvenuto in una fase di secca e in prossimità della costa
mediterranea) e la presa di Gerico, girandogli intorno per sette giorni con l’arca
avanti preceduta dal suono delle trombe, col crollo delle mura nel settimo. Se
dovessimo giudicare dell’intervento extraterrestre dal libro di Giosuè
dovremmo negarlo e attribuire tutto alla fantasia ebraica. Nel caso di Gerico
per la prima volta una città fu votata esplicitamente
all’olocausto (ovviamente tranne i preziosi, e la prostituta che aveva
consentito agli Ebrei di fare una ricognizione dell’area). E fu anche la
prima volta che, dopo una successiva sconfitta militare, dovuta, pensavano,
certamente alla violazione dell’interdetto di Gerico, con un procedimento
risibile con cui si pretendeva di ottenere da Dio il nome del
colpevole, fu ‘scoperto’ uno (sicuramente fra tanti) che aveva nascosto
dentro la sua tenda qualche prezioso destinato al ‘tesoro di Jahvè’. Fu
così che il povero disgraziato fu sottoposto alla pena dell’olocausto e
dato alle fiamme insieme alla sua famiglia e a tutte le sue cose. Dopodiché
ovviamente gli Ebrei riuscirono ad entrare ad Ai, misero da parte il bottino e
diedero alle fiamme tutto il resto, uomini, donne, vecchi e bambini. Il re di
Ai fu appeso al palo, cioè crocifisso, e se ne stette appeso fino al
tramonto, dopodiché fu gettato davanti alla porta della città e
(probabilmente perché era ancora
vivo) lapidato, cioè preso a sassate tanto da risultare ricoperto da un
grande tumulo di pietre. Da questo momento in poi non mi soffermerò più
sulla fine delle città conquistate dagli Ebrei perché la prassi fu seguita
costantemente. Furono gli Ebrei a inventare l’olocausto? No certamente,
perché popoli assai più antichi e civili di loro lo hanno praticato con
maggiori dettagli raccapriccianti così come i popoli successivi, prima di
tutto i Romani, e popoli che vivono fra noi continuano, oggi, di tanto in
tanto, ad applicarlo con la stessa metodicità e ferocia. Nulla è cambiato da
allora a oggi, nemmeno, certamente, le norme di diritto internazionale,
inefficaci, che condannano lo sterminio di un popolo. Ciò che mi disturba
soprattutto è che gli Ebrei vivono di rendita sull’olocauso di cui sono
stati vittime perché degli altri sì, solo di loro, strumento dell’unico e
vero Dio, non si può fare olocausto.
Come
i Romani, gli Etruschi, gli Achei e Troiani di Omero, gli Ebrei traggono gli
auspici prima di ogni battaglia per sapere da Dio se la vinceranno o sarà
meglio astenersi. Naturalmente se gli auspici sono favorevoli e perdono la
battaglia non danno la colpa a Dio, ma ai sacerdoti impuri o a qualcuno che ha
commesso impurità fra gli Israeliti, e ovviamente un capro espiatorio lo
trovano sempre, inesorabilmente.
Sul
monte Ebal Giosuè legge la Legge e fa giurare il popolo sulla sua osservanza
con formule di maledizione.
Dio aveva detto che nessun popolo avrebbe dovuto essere risparmiato dentro Israele, ma i Gabaoniti con la loro astuzia degna di Sinone o di Odisseo, gabbarono gli Israeliti e strinsero con essi un’alleanza che gli consentiva di vivere in mezzo ad essi. Finsero di essere giunti da molto lontano, vestendo abiti logori e portando sui loro asini sacchi e otri sdruciti come se fossero stati in viaggio per molto tempo, mentre le loro città distavano solo tre giorni di viaggio. Ovviamente non c’entra nulla la prescrizione di Dio (anche perché altrimenti dovremmo concludere che dormiva mentre Israele si faceva gabbare). Si tratta solo di una favoletta che tenta di dare una spiegazione, dunque eziologica, del perché in Israele ci fossero anche comunità di stranieri, che del resto sono presi in considerazione e tutelati dalla Legge mosaica. Naturalmente questi Gabaoniti erano destinati ai lavori più umili, portatori d’acqua e taglialegna. Di sterminio in sterminio, di falò in falò, di crocifissione in crocifissione, gli Ebrei conquistarono il sud di Israele e poi il nord. Allora Giosuè cominciò a discutere la spartizione della Cisgiordania fra nove tribù e metà di quella di Manasse (perché a metà della tribù di Manasse, a Ruben e Gad erano stati assegnati territori in Transgiordania). Silo divenne la città santa federale, dove venne costruito il tabernacolo, e Sichem la capitale (dove fu sepolta la mummia di Giuseppe), entrambe in quella che fu poi chiamata Samaria. Presso Sichem, poi Sicar, sul monte Garizim sorgeva al tempo di Gesù il tempio dei Samaritani (rivale di quello del monte Sion e dunque di Gerusalemme, Gv 4,20).
Nel
libro dei Giudici, anch’esso fitto di imprese ingigantite rispetto alla
realtà dei fatti, è narrata la storia di
Israele – il completamento delle guerre di espansione contro Cananei
e Filistei – sotto i giudici. E’
questo un periodo turbolento in cui gli Ebrei ce le presero più che darle (e
la colpa fu data al fatto che avevano abbandonato Dio per seguire gli dèi
locali) e la storia è ricostruibile in modo frammentario, dal giudice Otniel
al giudice Sansone, il più celebre fra tutti. E’ l’epoca veramente eroica
della storia di Israele nascente punteggiata di imprese per lo più
individuali di uomini e donne coraggiosi.
Dal
Canto di Debora veniamo a sapere che i Daniti, che diedero ad Omero lo spunto
per i suoi Danai, erano un popolo marinaro (Gdc 5,17) a nord del Mar Morto. A
mio modo di vedere ne deriva che i Daniti erano giunti nella regione
autonomamente dal gruppo guidato da Giosuè e in tempi anteriori. Tanto è
vero che nelle appendici al libro dei Giudici la loro storia è quella di un
popolo che ha una sua propria migrazione al di fuori della spartizione
effettuata da Giosuè. Anticipo quanto viene detto nelle appendici a proposito
della migrazione dei Daniti. Questi avendo mandato esploratori laddove poi si
stabiliranno, a nord di Israele, hanno chiesto al sacerdote levita di Mica di
interrogare la sua statua d’oro, di getto, di Jahvè se il loro viaggio
avrà successo: « “ Andate in pace, il viaggio che fate è sotto lo sguardo
del Signore ” ». La storia del santuario di Mica è vergognosa. Mica,
disoccupato, aveva rubato dei soldi alla madre e con quelli col consenso di
lei che vi aveva lanciato contro una maledizione,
ci montò su un’attività redditizia divenendo gestore di un luogo di
culto consacrato a Dio! Si fece fondere la statua di Jahvè, si procurò tutto
l’arredo sacro e stipulò un contratto di impiego col sacerdote levita che gli celebrasse i rituali. Non c’è che
una spiegazione nella nascita di un culto,
ed è l’entrata di denaro e il potere, esattamente e più che in tutte le
altre attività dell’uomo. I
Daniti, partendo definitivamente per la loro destinazione finale, passarono
dunque dal santuario di Mica e gli portarono via statua ed arredi e perfino il
sacerdote levita che protestava: « “ Taci, mettiti la mano sulla bocca,
vieni con noi… Che cosa è meglio per te, essere sacerdote della casa di un
uomo solo oppure essere sacerdote
di una tribù… in Israele? ” Il
sacerdote gioì in cuor suo; prese l’efod, i terafim e la statua scolpita e
si unì a quella gente… Quelli dunque… giunsero a Lais, a un popolo che se
ne stata tranquillo e sicuro; lo passarono a fil di spada e diedero la città
alle fiamme. Nessuno le prestò aiuto, perché era lontana da Sidone e i suoi
abitanti non avevano relazioni con altra gente. » (Gdc 18,19ss)
Il
santuario di Silo era federale come il Fanum Voltumnae etrusco, il che vuol
dire che quando era necessario difendersi dai nemici o di intraprendere una
guerra offensiva tra i candidati (provenienti dalle varie tribù) veniva
scelto nel santuario da Dio stesso per mezzo del sommo sacerdote il giudice o
duce consacrato, latino sacerdos, che traduce il nome etrusco corrispondente
del duce della lega etrusca. Abimelech tentò di instaurare la monarchia a
Sichem (dove era venerato Baal-Berit, Baal dell’alleanza, che evidentemente
gli Ebrei venuti dopo identificavano con Jahvè dell’alleanza, intorno ad
una quercia e ad un cippo, Gdc 9,6), ma non ebbe successo.
Sansone
è il prototipo di tutti i personaggi esagerati dalle imprese esagerate. Una
volta cattura trecento volpi, ne lega due a due a una torcia accesa e le
lascia andare pei campi di grano dei Filistei, incendiando i covoni ammassati.
Un’altra volta con una mascella d’asino uccide mille Filistei. Un’altra
volta ancora fu braccato a Gaza dai Filistei e lui attese mezzanotte e quando
quelli dormivano svelse le porte della città e se li portò via. Gli
piacevano le straniere (notare bene che era nazireo, cioè consacrato a Dio!)
ma per la prima volta ciò non costituisce una censura che metta fuori gioco
il nostro personaggio. (La verità è che il libro dei Giudici ci presenta una
religione ebraica che emerge poco a poco come del resto apprendiamo da una
lettura corretta di Esodo e Giosuè, dove gli unici a credere nella religione
ebraica sono i Leviti, mentre il popolo segue divinità egizie e cananee)
Gran chiacchierone con le donne, altro difetto censurabile secondo i
canoni della religione ebraica, non contento di cascarci una volta nel
tradimento della moglie straniera, ci casca per l’ultima e fatale volta,
quando i Filistei lo catturano, gli tagliano i capelli, e ne fanno il loro
zimbello. Però i capelli ricrescono e lui, ormai cieco e incatenato nel
tempio di Dagon a Gaza, dov’era in corso una festa in cui aveva appena
intrattenuto i Filistei con qualche pagliacciata,
si appoggia a due colonne e le spinge da una e dall’altra parte,
facendo venir giù tutto l’edificio e facendo morire in quella sola volta
più Filistei di quanti aveva ucciso in tutta la sua vita. In quell’occasione
pronunciò la celebre frase: « Che io muoia insieme ai Filistei! »
Nelle
appendici al libro dei Giudici si narra la storia dei Daniti (di cui abbiamo
detto) e dei Beniaminiti. La storia dello sterminio dei Beniaminiti a causa
della violenza degli uomini di Gaba non mi convince. E’ una storiella che
cerca in modo piuttosto grossolano di travisare la realtà. I Beniaminiti
erano probabilmente come i Ramnenses di Romolo, solo giovani guerrieri, magari
dei guerrieri mercenari di professione, e per creare un popolo occorrono le
donne, che essi rapirono, esattamente come i Romani, durante una festa
federale nel santuario di Silo. E oltretutto contrariamente a quanto Giudici
vorrebbe far credere i Beniaminiti erano talmente agguerriti che gli altri
dovettero accettare il fatto compiuto o comunque se battaglie vi furono i
Beniaminiti ne uscirono vincenti. La verità è che Israele è nato non a
tavolino come vorrebbero l’Esodo e Giosuè, ma da popoli eterogenei, anche
non provenienti dall’Egitto, che si scannarono prima di vivere pacificamente
insieme. Anche i Beniaminiti arrivarono in Israele per via diversa dal gruppo
guidato da Mosè. Tutto ciò che è scritto nell’A. T. ha uno scopo, anche
quando può non sembrare. Se dunque è narrata la storia più antica dei
Beniaminiti questi ebbero un ruolo rilevante in Israele, e lo ebbero proprio
come guerrieri. Anzi, gli Ebrei in quanto guerrieri sono detti Beniaminiti. E’
un guerriero beniaminita ad avvisare Samuele della sconfitta e dell’Arca
rapita dai Filistei. Saul si rivolge al suo esercito in armi e lo chiama «
Beniaminiti » (1 Sam 22,7). Il nucleo essenziale di Israele furono i membri
di Beniamino e Giuda. Il libro 1 di Samuele, ancora pieno di storie
fantasiose, come l’uccisione del gigante Golia da parte del pastorello
Davide con un sasso lanciato dalla fionda che gli fracassò la fronte (e la
storia potrebbe essere stata suggerita dal ritrovamento di ossa e crani di
elefanti), narra del regno di Saul. Dopo Sansone, non sappiamo dopo quanto
tempo, giudice di Isreaele fu Eli in questo tempo (1076 a. C. ca.) i Filistei
durante uno scontro con gli Ebrei si impossessarono dell’Arca dell’alleanza.
I figli di Eli mangiavano direttamente dalla pentola in cui bollivano le carni
offerte a Dio, anzi, pretendevano che gli offerenti gli dessero direttamente
le carni crude per poi cuocersele con comodo e a piacimento.
Inoltre si univano alle donne che prestavano servizio all’ingresso
della tenda di convegno (1 Sam 2,22). Cosa ci facessero queste donne di
servizio a Silo lo posso solo intuire: le prostitute sacre, a riprova che il
culto a questa data era ancora tipicamente cananeo. A Eli successe Samuele, di
Rama (si noti la somiglianza anche etimologica con
Roma), che fu l’ultimo giudice di Israele. Da Mosè a Samuele
intercorrono circa 1000 anni. Al tempo di Samuele gli Ebrei chiesero un re e
Samuele unse re il gigantesco Saul. Abbiamo qui il primo caso di contrasto fra
chiesa e stato, per conflitto di poteri e con la prima che mette in
difficoltà (perché quello comunque governa lo stesso) il secondo
scomunicandolo. Tutto il regno di
Saul (si congetturano venti anni dal 1040 a. C. ca.) fu funestato dalla
mancanza di favore del sacerdozio di Silo che gli creò un antagonista in quel
piccolo e coraggioso pastore Davide che poi diventerà re. A sua volta Davide
(entrato a corte dopo l’uccisione del gigante filisteo Golia per placare col
canto della cetra la depressione del re) è perseguitato e costretto a fuggire
(diventerà perfino vassallo dei Filistei) dal geloso Saul (Davide è
fortunato in guerra) che teme di esserne spodestato, fino a che Saul muore.
Saul arriverà perfino a interrogare l’anima di Samuele tramite una
negromante. Più di Saul è importante la figura di Samuele, uno dei peggiori
esaltati della storia. Egli indisse una guerra santa contro gli Amaleciti: «
“ Va’ dunque e colpisci Amalek e vota allo sterminio quanto gli
appartiene, non lasciarti prendere da compassione per lui, ma uccidi uomini e
donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini ” … Saul colpì
Amalek… prese vivo Agag, re di Amalek, e passò a fil di spada tutto il
popolo… Allora fu rivolta a Samuele questa parola del Signore. “ Mi pento
di aver costituito Saul re, perché si è allontanato da me e non ha messo in
pratica la mia parola ” … Samuele raggiunse Saul… “ …Il Signore ti
aveva mandato per una spedizione e aveva detto: Va’, vota allo sterminio
quei peccatori di Amaleciti… Perché dunque non hai ascoltato la voce del
Signore e ti sei attaccato al bottino e hai fatto il male agli occhi del
Signore? ” … Poi Samuele disse:
“ Conducetemi Agag, re di Amalek
” … Poi Samuele trafisse [le Paoline traducono correttamente: fece
a pezzi] Agag davanti al Signore in Gàlgala. Samuele andò quindi a Rama…
Né Samuele tornò a rivedere Saul fino al giorno della sua morte. »
(1 Sam 15,3ss)
Gli
Ebrei e i Palestinesi in genere praticano il taglio della testa, Davide la
taglia a Golia, i Filistei a Saul (deposero le sue armi nel tempio di Astarte
e appesero il suo corpo alle mura di Bet-San. Gli Ebrei come gli Achei e
Troiani di Omero e gli Etruschi praticano l’incinerazione seppellendo poi le
ossa calcinate a parte (1 Sam 31,13).
Dal
libro secondo di Samuele sappiamo che dopo la morte di Saul su Israele
regnarono i suoi discendenti per quasi otto anni, mentre la tribù di Giuda
aveva come re Davide e capitale Ebron. Veniamo a sapere che il taglio delle
mani e dei piedi era una punizione applicata da Davide (2 Sam 4,12), oltre che
dagli Egizi ai popoli del mare e dagli uomini di Odisseo al traditore Melanzio.
Davide regna su tutto Israele dal 1010 a. C. ca. Da una lettura appena
superficiale dell’A. T. risulta che Davide fu un generale di Saul che
eccessivamente imbaldanzito da qualche vittoria decise di aspirare alla
corona. Possiamo tranquillamente negare qualsiasi efficacia politica all’unzione
da parte di Samuele così come la volontà di
Saul di tenere stretto a sé Davide
concedendogli una figlia in moglie (cf. 1 Sam 18,19; Saul fece credere a
Davide che gli avrebbe dato in moglie Mical solo se gli avesse portato i
prepuzi di duecento Filistei, nel senso che si attendeva che sarebbe morto
nell’impresa, 1 Sam 18,21ss). Della volontà di Davide di ottenere la corona
con il lasciapassare del matrimonio con una figlia di Saul (segno che nessun
altro merito poteva vantare rispetto ai figli di Saul nei confronti del popolo
ebraico) c’è invece da credere, e infatti ad Abner che con il tradimento
gli propone di dargli in mano il regno dice espressamente: « Bene! Io farò
alleanza con te. Però… non verrai alla mia presenza se prima non mi
condurrai davanti Mikal figlia di Saul, quando verrai a vedere il mio volto.
» (2 Sam 3,13) Fidarsi è bene, ma Mical avrebbe certamente garantito per la
buona fede di Abner. Nello stesso tempo mandò ovviamente senza alcuna
speranza di venire accontentato (checché ne dica 2 Sam 3,15) a richiedere
Mical allo stesso Is-Baal figlio di Saul e re di Israele. La verità che io
credo di intravedere da tutto il falso racconto di 2 Samuele è che Davide,
usurpatore del regno e seguito dalla sola tribù di Giuda sguinzagliò i suoi
sicari che ammazzarono uno dopo l’altro Abner e lo stesso Is-Baal, fino a
raggiungere con tutti i mezzi discutibili possibile il regno su tutta Israele.
Il bello è che Davide poi faceva
ammazzare i suoi sicari, così da non avere in futuro testimoni d’accusa
nell’eventualità di un tentativo di deporlo dal trono.
Davide
conquistò Gerusalemme e ne fece la capitale. Per entrarvi si servì del
tunnel dell’acquedotto, metodo classico per penetrare nelle città antiche
anche presso i Romani nei confronti delle città etrusche ricche di
canalizzazioni. Col che si può capire anche come avrebbe potuto essere presa
Troia di Omero. Infatti sappiamo che Odisseo era già entrato in città per un
sopralluogo, e ciò fu possibile solo dalla canalizzazione dell’acqua o
delle fognature, non certo dalla porta della città. Davide si costruì un
palazzo ma si guardò bene dal costruire anche un tempio di Dio vicino al suo
palazzo. Addirittura, per un certo tempo stabilì che l’Arca risiedesse
fuori Gerusalemme, a Gat. Se non che il clero gli fece sapere che « il
Signore ha benedetto la casa di
Obed-Edom e quanto gli appartiene a causa dell’arca di Dio » ciò che vuol
dire « Se non prendi l’arca a Gerusalemme ti solleviamo contro un nuovo re
», e ancora una volta il monarca dové abbozzare nello scontro minacciato dal
clero. E Davide legò il suo successo al favore del clero di Gerusalemme. Il
letto di Procuste fu inventato da Davide che aveva prescritto di uccidere
tutti i Moabiti che superassero in altezza una determinata misura (2 Sam 8,2).
Davide
fu un uomo spregevole, che uccise Uria l’ittita, militante nel suo esercito,
per prenderne la moglie. Nonostante ciò le Scritture ritengono Davide il
prediletto di Dio e i Cristiani fanno discendere Gesù (non da Salomone,
figlio di Davide e di Betsabea vedova di Uria, che allora sarebbe stato un re
sicuramente migliore di Davide, noto fra l’altro per la sua proverbiale
saggezza, ma) da Davide. Davide
era poligamo. Il profeta Natan
allora scomunicò Davide e gli preannunciò ciò che poi avvenne, la congiura,
fallita, di suo figlio Assalonne.
I tre desideri espressi da Aladino al Genio della lampada si trovano per la
prima volta nella storia di Davide. Davide decise di fare il censimento dal
quale risultarono ottocentomila uomini atti alle armi a Israele e
cinquecentomila a Giuda. Allora Dio fece sapere a Davide tramite il profeta
Gad che lo avrebbe punito. A lui la scelta tra tre diverse punizioni:
tre anni di carestia, tre mesi in
fuga dai nemici o tre giorni di peste. Davide scelse la peste. Morirono
settantamila persone.
Il
primo libro dei Re inizia con la salita al trono di Salomone (970 a. C. ca.).
Prima di morire Davide, non smentendosi come re mascalzone, gli affida le sue
ultime vendette. Così Salomone farà uccidere da Benaia, suo capo dell’esercito,
il braccio destro del padre, Ioab, e poi Simei che lo aveva ingiuriato. Adonia
suo fratello aveva cercato di usurpargli il trono e Salomone l’aveva
perdonato, ma poi Adonia andò da Betsabea a chiedergli di intercedere perché
potesse sposare Abisag, la vedova di Davide, al che Salomone, che era
intelligente, mentre sua madre Betsabea era scema, le disse: « Perché tu mi
chiedi Abisag la Sunnamita per Adonia? Chiedi anche il regno per lui, poiché
egli è mio fratello maggiore e per lui parteggiano il sacerdote Ebiatàr e
Ioab figlio di Zeruià. » Così Salomone diede ordine a Benaià di uccidere
Adonia. Poi allontanò Ebiatàr il sacerdote e al suo posto nominò Sadoc (Zadòc)
e diede ordine a Benaià di uccidere Ioab presso l’altare ai cui due corni s’era
aggrappato. A Sadoc si rifanno i
Sadoqiti (Sadociti) dei rotoli del Mar Morto.
Salomone
erige le mura intorno a Gerusalemme, costruisce il tempio, inaugurato nel 961,
la reggia. Nell’Arca, trasportata nel sancta sanctorum del tempio,
erano custodite le leggi mosaiche (1 Re 8,9). Salomone era intelligente e
sapiente, sentenzioso e poeta, erborista e zoologo, ma anche un prototipo
dello strozzino ebreo, in quanto al povero Hiram di Tiro dopo vent’anni di
lavoro delle sue squadre di architetti e l’anticipo dei materiali pregiati,
Salomone rifilò in pagamento venti villaggi della Galilea, che Hiram appena
li vide bollò come « Terra di Kabul », come dire robaccia. Tirato com’era
si spiega come mai fosse pieno d’oro. Dell’argento non teneva conto come
tutti i Trimalchioni del mondo.
Checché
ne dica 1 Re per la flotta Salomone si appoggiava ai porti e alle flotte
fenici di Hiram, una sul Mar Rosso a Ezion-Gheber, l’altra di Tarshish, che
circumnavigava l’Africa in senso antiorario, dal Mediterraneo. Sapiente com’era
una sola persona venne a trovarlo, e donna per giunta, il che non è certo un
titolo d’onore per uno educato sulla Toràh, una povera beduina, regina per
modo di dire, di Saba, capitale di una regione della penisola arabica.
Come
la più parte dei re e condottieri ebrei prima di lui Salomone era poligamo
(si vantava di avere sposato la figlia del faraone, ma i faraoni non davano le
proprie figlie a nessuno straniero e tantomeno al povero piccolo re Salomone;
avrà senz’altro sposato una principessa dell’harem) e di conseguenza
aperto a tutte le religioni delle sue donne. Va precisato che i migliori re
ebrei furono quelli che adorarono gli dèi stranieri come Salomone. E’ un
classico che i re cattivi siano quelli malvisti dalla casta che ne scrive la
storia. I migliori imperatori romani sono quelli di cui parla male la classe
senatoria (che ha lasciato scritti storici) così i migliori re ebrei sono
quelli di cui parlano male e quanto più parlano male i leviti. Il clero di
Jahvè, ovviamente, gli preannunciò (come punizione dei suoi matrimoni con
donne straniere e del culto a dèi stranieri) la secessione dello stato di
Israele a nord rispetto a Giuda
(capitale Gerusalemme) a sud e brigò per creare un re antagonista in
Geroboamo che però se ne andò profugo
in Egitto. In ogni caso lo scisma
si verificò effettivamente dopo la morte di Salomone (931), quando gli
successe il figlio Roboamo re di Giuda, poiché
Israele (le restanti 10 tribù) si separò sotto Geroboamo (tornato
dall’Egitto) che stabilì la capitale a Sichem e innalzò due templi ai
vitelli d’oro uno a Bet-El e uno a Dan.
Intanto a Gerusalemme Roboamo regnava su un popolo che adorava dèi
stranieri. Si ebbero perfino prostituti sacri. Il faraone Sisach
fece un’incursione a Gerusalemme nel 927. Depredò il tempio e la
reggia. Roboamo dovette procurarsi una scenografia che riproducesse con
materiale scadente ciò che prima arredava questi edifici. E poiché ne aveva
una sola con questa faceva la spola fra palazzo e tempio. Insomma la solita
triste scena delle famiglie decadute che non lo vogliono ammettere. Non mi
propongo di riassumere 1 e 2 Re per quanto riguarda la storia di Giuda e
Israele. Si tratta di re e popoli sempre più lontani dai precetti di Jahvè e
perciò condannati dal clero e dai profeti. Ad un certo punto finisce l’indipendenza
di Israele e poco più tardi anche quella di Giuda. Ciò è visto come la
punizione preannunciata da Jahvè.
Dirò
invece qualcosa di Elia e del suo discepolo Eliseo di Israele che operarono da
Acab (874-853) a Ioas (798-783). I fautori della teoria extraterrestre
potrebbero vedere in Elia il depositario di poteri straordinari, che però
rientrano semplicemente nei miracoli che altri dopo di lui faranno,
risuscitare i morti e moltiplicare il pane e l’olio (Elia moltiplica l’olio;
in più fa scendere la pioggia). Dato poi che anche Elia divide le acque di un
fiume per passarci attraverso, non so se togliere quel poco di credito che do
alla teoria extraterrestre del passaggio del Mar Rosso. Poiché Eliseo è
discepolo di Elia neanche lui può essere un extraterrestre, anche se magari
riuscì a compiere ciò che compiva il suo maestro e qualcosa di più. Elia
salì al cielo in un turbine. Ciò capitò pure a Romolo, che non era un
extraterrestre. Viceversa Elia e Eliseo mostrano un animo cattivo che se
veramente erano uomini di Dio non ci dicono nulla di buono a suo riguardo.
Elia sfidò gli 850 sacerdoti di Baal e Asera a chi pregando sarebbe riuscito
a celebrare l’olocausto di un vitello col fuoco inviato dal proprio dio. I
primi non vi riuscirono, Elia sì. Dopo
la prova Elia pretese le vite dei sacerdoti
pagani e li sgozzò personalmente. Eliseo con la sua invocazione a Dio manda
il fuoco su cento soldati venuti a prenderlo per portarlo a colloquio col re e
fa sbranare da due orse quarantadue ragazzi che lo avevano preso in giro per
la sua testa pelata. Comunque all’inizio
del secondo libro dei Re vi sono molti episodi della vita di Eliseo piacevoli
a leggersi. Eliseo è l’antenato degli eremiti ed ha certo ispirato in gran
parte le storie che li riguardano. Con Salmanassar V e Sargon II termina il
regno di Israele (721) ormai ridotto alla sola Samaria. Gli Etrusco-Romani
cominciano le loro avventure poco prima e dunque è evidente che un certo
numero di immigrati qualificati vennero sulle coste italiche piuttosto che
cadere nelle mani degli assiri ed essere
deportati in Assiria. La storia di Israele durante la scissione
rappresenta bene l’immagine stereotipa del popolo ebreo che piega la schiena
ad ogni nemico che lo minacci di invasione o lo invada realmente, sempre
disposto a pagare con l’oro la sua indipendenza. Forse è per reagire
finalmente a questo stereotipo durato fino alla seconda guerra mondiale che
gli Ebrei hanno deciso di cambiare decisamente condotta. Ma il vero nemico di
Israele è stato il clero, che con i suoi anatemi e le sue profezie dominava
il governo laico. Era facile sostenere che Dio voleva una certa cosa (voluta o
non dal re) per far si che al 99%
qualcuno si decidesse ad attuarla allo scopo di ottenere il potere e l’appoggio
previo del clero. Era facile ungere re uno – vivendo ancora il re in carica
– e che poi questo al 99% avesse pure l’appoggio di quanti lo seguivano
per dare la scalata al potere. Del resto negli annali sono finiti solo coloro
cha hanno scritto la storia e non vi si parla certo dei milioni di fallimenti
di coloro che seguirono senza avere successo gli ordini o le profezie del
clero.
Da
2 Re veniamo a sapere che Ezechia (716-687) di Giuda fu l’unico re a seguire
le orme di Davide, facendo a pezzi gli idoli, compreso Nehustan, il serpente
di bronzo eretto da Mosè (18,4; Nm 21,8-9), a riprova che questo fu un vero e
proprio idolo mosaico. Tempo dopo le stesse cose vengono dette a proposito di
Giosia (640-609) al cui tempo fu ritrovato il rotolo della legge (la sezione
legislativa del Deuteronomio) di Mosè durante i lavori di ristrutturazione
del tempio. In realtà il ritrovamento è una finzione per avvalorare una
legge scritta adesso dal clero. Giosia distrusse tutti i luoghi di culto
stranieri saliti in grande auge sotto gli ultimi re che avevano praticato
anche sacrifici umani a Moloch (ciò che avevano fatto anche gli ultimi re di
Israele). Gerusalemme fu presa due volte e la sua popolazione deportata da
Nabucodonosor, la prima nel 597 e la seconda, definitiva, nel 587. La città
fu depredata e data alle fiamme, e in particolare il tempio, che da tempo
aveva subito tali e tante trasformazioni e ruberie e accolto al suo interno le
statue di divinità straniere ivi adorate, da non potersi più dire il tempio
di Salomone. Furono distrutte anche l’Arca dell’alleanza e il suo
contenuto, i rotoli della Toràh, a meno che non siano stati messi in salvo
dal sacerdote Geremia e dal suo
discepolo Baruc.
Profeti
posteriori:
I
Profeti ci interessano esclusivamente per quel poco di poesia che vi si può
trarre. Poiché la traduzione delle Paoline è più poetica, salvo indicazioni
contrarie mi rifarò sempre ad essa:
Proto-Isaia
1-39:
« le figlie di Sion sono divenute superbe
e
passeggiano a testa alta,
ammiccano
con gli occhi,
vanno
camminando a piccoli passi,
facendo
risuonare gli anelli dei piedi » (3, 16)
«
E’ sparita la gioia e l’allegrezza dai frutteti,
nelle
vigne non vi è più letizia,
né
più risuonano grida festose,
non
si pigia più l’uva nello strettoio,
è
cessato il canto del vendemmiatore » (16, 10)
«
Ecco… si gode e si sta allegri,
si
sgozzano buoi e si scannano greggi,
si
mangia carne e si beve vino:
“Si
mangi e si beva, perché domani moriremo! ” » (22, 13; La Bibbia di
Gerusalemme)
La
canzone della prostituta
«
Prendi la cetra,
gira
per la città, prostituta dimenticata;
suona
con abilità,
moltiplica
i canti,
perché
qualcuno si ricordi di te » (23,16; La Bibbia di Gerusalemme)
«
E’ cessata l’allegria dei timpani.
E’
finito il chiasso dei festanti,
tace
l’armonia della cetra.
Cantando
non si beve più vino,
il
liquore è amaro a chi lo beve.
Giace
in rovine la città di confusione,
ogni
casa è chiusa e nessuno può entrarvi.
Si
levano lamenti nelle vie
Per
la mancanza di vino,
ogni
gioia è sparita,
è
bandita l’allegria dalla terra.
Nella
città non c’è rimasta che solitudine,
e
le porte spezzate sono in rovina. » (24,8ss)
«
tutti i suoi principi spariranno.
Le
spine cresceranno nei suoi palazzi,
le
ortiche e i rovi nelle sue fortezze,
sarà
dimora degli sciacalli
e
soggiorno degli struzzi.
Cani
e gatti selvaggi vi s’incontreranno
E
i satiri vi s’aduneranno.
Anche
lilith frequenterà questi luoghi
E
vi troverà il suo luogo di riposo.
Là
avrà il suo nido la velenosa vipera,
vi
deporrà le uova, le coverà e farà schiudere;
là
si raduneranno gli avvoltoi,
si
troveranno l’uno accanto all’altro » (34,12ss)
Geremia:
«
di nuovo apparirai adorna
dei
tuoi tamburelli,
per
prender parte alle danze gioconde » (31,4)
Amos:
«
Essi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani
mangiano
gli agnelli del gregge
e
i vitelli cresciuti nella stalla.
Canterellano
al suono dell’arpa,
si
pareggiano a David negli strumenti musicali;
devono
il vino in larghe coppe
e
si ungono con gli unguenti più raffinati… » (6,4ss; trad. Bibbia di
Gerusalemme)
Agiografi: Salmi,
Proverbi, Giobbe, Cantico dei Cantici, Qohelet (Ecclesiaste):
(variante meno riuscita)
E
si scosse la terra, e sussultò,
Scossa allor fu la terra e tremò,
dei
monti vacillarono le basi,
sussultaron le basi dei cieli,
tremarono
al vampare del suo sdegno:
vacillaron dinanzi al suo sdegno.
ché
un fumo usciva dalle sue nari,
Fumo d’ira dalle sue nari saliva,
e
un fuoco vorace dalla sua bocca,
fuoco divoratore dalla sua bocca avvampava
e
fiamme ardenti si spandean da lui.
e carboni ardenti sfavillavan da lui.
E
incurvò i cieli e discese,
Abbassò i cieli e discese:
e
gran buio era sotto ai piedi suoi.
Densa nube sorreggeva i suoi piedi.
Trasportato
sui cherùbi, a volo,
Si pose sopra un cherubino e volò,
trascorreva
sulle ali dei venti,
si librò sulle ali dei venti.
faceva
della tenebra un velame,
S’avvolse di tenebre come d’un velo;
tutto
intorno, qual suo padiglione,
lo
circondavan, qual padiglione
oscurità
di acque e nubi folte,
cupe acque e densissime nubi.
ma
dallo splendore del suo volto
Al fulgor ch’irradiava
ardeano
le nubi al suo cospetto, le
sue nubi si sciolsero
e
folgori, e fiamme di fuoco.
In grandine e guizzi di fuoco.
Tuonava
dai cieli il Signore,
Tuonò dal cielo il Signore,
l’Eccelso
con voce sonante.
L’Altissimo fe’ sentir la sua voce.
Lanciò
le sue saette tutt’intorno,
Scoccò le sue saette e disperse i nemici,
scagliò
le sue folgori a scompiglio.
scagliò i suoi fulmini, e atterriti fuggirono.
Si
scopersero i fondi del mare,
Apparve allo sguardo sino il fondo del mare,
apparvero
le basi della terra.
si reser visibili i sostegni del mondo
(Salmi
o thehillim 18,8ss)
(2 Sam 22, 8ss)
Son
pieni di bruciore i lombi miei,
nulla
d’intatto è più nella mia carne.
Sono
abbattuto, sfinito, schiacciato,
ruggisco
per il fremito entro il mio cuore. (Sal 38,8)
Si
vestono i prati di greggi,
si
copron le valli di frumento,
riecheggian
di canti giocondi… (Sal 65,14)
Come
esiste un’etrusca disciplina, nei Proverbi si parla più volte di una
(ebraica) disciplina:
Attienti
alla disciplina, non l’abbandonare
Conservala,
perché essa è la tua vita (Proverbi o Mëshalim 4,13)
…il
comando è una lampada e l’insegnamento una luce
e
un sentiero di vita le correzioni della disciplina (Pr 6,23; Bibbia di
Gerusalemme)
Il
birbone, uomo perverso,
cammina,
ha la scaltrezza sulle labbra,
ammicca
con gli occhi, parla coi piedi,
fa
segni con le dita;
mentre
nel cuore cova cattivi disegni,
e
di continuo suscita discordie. (Pr 6,12ss)
Le lusinghe della
straniera adultera:
Figlio mio, ritieni le
mie parole,
e conserva in te i
miei comandamenti.
Obbedisci ai miei
precetti, e tu vivrai!
Custodiscili, come la
pupilla degli occhi tuoi.
Légateli alle dita,
scrivili sul tuo
cuore.
Di’ alla sapienza:
« Tu sei mia sorella! »
Ama quale unica tua
la sua conoscenza,
per preservarti dalla
donna straniera,
dalla sconosciuta che
ha dolci parole.
Mentre dalla finestra
di casa mia,
dietro le grate,
osservando,
guardo in piazza gli
ingenui giovanotti,
noto in mezzo a loro
uno sbarbatello
privo di senno, che
infila una viuzza,
presso l’alloggio d’una
straniera:
è diretto a casa sua,
al crepuscolo, sul
tramonto del giorno,
sul far della notte,
nell’oscurità.
Ed ecco gli va
incontro una donna,
dall’aspetto di
sgualdrina,
con intenti cattivi.
E’ persona audace e
provocante,
non sa tenere i piedi
in casa:
ora per la strada, ora
sulle piazze,
a ogni angolo sta in
agguato.
Ecco, lo prende e lo
bacia,
e con disinvoltura,
sfacciata gli dice:
« Dovevo offrire
delle vittime pacifiche
e proprio oggi ho
sciolto il mio voto.
Ecco perché ti sono
uscita incontro,
per cercarti e ti ho
trovato.
Ho guarnito il mio
divano di tappeti,
vi ho steso la fine
tela d’Egitto;
ho profumato il mio
letto
con mirra, aloe e
cinnamomo.
Vieni, inebriamoci di
amore fino all’aurora,
e godiamoci le delizie
del piacere!
Mio marito non è in
casa,
è partito per un
lungo viaggio;
ha preso con se molto
denaro,
non tornerà che alla
luna piena ».
Col moltiplicar le
parole essa lo seduce,
con le sue lusinghe lo
trascina,
ed egli, turbato, la
segue,
come un bue condotto
al macello,
come cervo caduto nel
laccio,
finché una saetta gli
penetra il fegato,
come un uccello che si
getta nella rete,
e non sa che vi perde
la vita.
Or dunque, figlio mio,
ascoltami,
da’ retta alle
parole della mia bocca.
Non sviare il tuo
cuore dietro tal donna,
né ti smarrire per i
suoi sentieri;
perché molti sono
stati trafitti da lei,
e numerose sono le
vittime sue.
La sua casa è la via
del sepolcro,
e la discesa verso il
soggiorno dei morti. (Pr 7)
…fossa
profonda è la donna perduta,
e
stretto pozzo l’adultera.
Sì,
come un ladro, sta in agguato
E
fra gli uomini son molte le vittime sue. (Pr 23,27-28)
Invito
della Sapienza:
Non
è forse la Sapienza che chiama,
la
prudenza che invita a gran voce?
Sì,
sulla vetta dei colli, lungo la via,
ai
crocicchi delle strade, si mette,
presso
le porte, all’entrata della città,
sulle
vie d’accesso, fa udir la sua voce:
«
O uomini, siete voi che io chiamo,
o
figli dell’uomo, è a voi che mi rivolgo.
O
inesperti, imparate la prudenza,
e
voi, insensati, diventate ragionevoli!
Date
ascolto! Vi devo dire cose elevate,
e
dalle mie labbra usciranno rette sentenze.
S’,
la mia bocca proclama la verità,
e
le mie labbra hanno in orrore l’iniquità.
Tutte
le parole della mia bocca son vere,
e
nulla v’è in esse di falso e di perverso.
Tutte
son chiare per chi le intende,
e
rette per chi ne possiede la scienza.
Procuratevi
la mia dottrina,
preferitela
all’argento,
cercate
la mia scienza più che l’oro fino,
perché
la Sapienza vale più delle perle,
e
superiore a tutti i gioielli è il suo valore. (Pr 8,1ss)
Natura
e doti della Sapienza:
Io,
la Sapienza, abito con la prudenza,
e
possiedo la scienza più perfetta.
Il
timor di Dio è l’odio del male.
Perciò
detesto la superbia e l’arroganza,
la
mala condotta e la bocca perversa.
Mio
è il consiglio
E
a me appartiene la sua riuscita,
mie
sono l’intelligenza e la forza.
E’
in nome mio che regnano i re,
e
i magistrati applicano il diritto;
è
in nome mio che comandano i principi,
e
i sovrani governano con giustizia la terra.
Io
amo quelli che amano me,
e
chi mi cerca con cura, mi troverà.
Stanno
con me benessere e gloria,
ricchezze
stabili e giustizia.
Il
mio frutto è più prezioso dell’oro fino,
e
i miei prodotti son migliori
dell’argento
puro.
Io
cammino nelle vie della giustizia,
per
i sentieri dell’equità;
largisco
i miei beni a quelli che mi amano
e
riempio i loro tesori. » (8,12ss)
La
Sapienza divina creatrice dell’universo:
«
In Dio ero quale principio degli atti suoi,
esistente
prima ancor delle opere sue.
Da
tutta l’eternità io fui costituita,
in
principio, prima dell’origine della terra.
Quando
l’abisso ancor non esisteva,
io
fui concepita,
quando
ancor non zampillavan le fonti.
Prima
che sorgessero le maestose montagne,
prima
dei colli, io fui generata;
quando
ancor non aveva fatto
né
terra, né campi,
né
creato i primi elementi
della
materia del mondo.
Quando
stabiliva i cieli, io ero presente,
quando
tracciava un cerchio
sulla
faccia dell’abisso;
quando
condensava in alto le nubi,
quando
distribuiva le sorgenti
nel
cuor della terra,
quando
circondava d’un termine il mare
_
e le sue acque
non
ne varcheranno la sponda, _
quando
gettava le fondamenta della terra,
io
ero al suo fianco, quale architetto,
e
mi compiacevo giorno per giorno,
gioivo
di continuo in sua presenza,
mi
dilettavo sul globo della terra,
deliziandomi
nei figli dell’uomo. » (Pr 8,22ss)
Il
banchetto della Follia:
La
signora Follia è frivola,
una
sciocca, che non sa niente.
Sta
seduta presso la porta di casa sua,
sopra
un seggio,
nei
punti più elevati della città,
e
così invita i viandanti,
che
se ne vanno per la loro strada:
«
Chi è semplice entri qua! »
A
chi è inesperto ella dice:
«
Sono dolci le acque rubate
e
il pane mangiato di nascosto
è
più gustoso ».
Ma
egli non sa che là ci stanno
Le
ombre dei morti,
e
gl’invitati della Follia
stanno
nel loro soggiorno all’inferno. (Pr 9,13ss)
Da
aggiungere alla fraseologia veterotestamentaria in Omero da me identificata
nel mio lavoro fondamentale su Omero è il verso seguente dei proverbi, assai
meglio elaborato in Omero:
Chi
disprezza il suo prossimo è privo di senno (Pr 11, 12; Bibbia di Gerusalemme)
L’ospite,
il supplice, è come un fratello
Per
l’uomo che abbia anche solo un poco di senno (Od. VIII 546-547)
Quella
del rispetto dei confini è una delle norme più sacre per gli Etruschi:
Non
rimuovere il termine antico
Posto
là dai tuoi padri (Pr 22,28)
Non
spostare il termine antico,
e
non invadere il campo degli orfani (Pr 23,10)
Il
beone:
Di
chi i guai? Di chi i lai? Di chi i litigi?
Di
chi i lamenti?
Di
chi le botte per un niente?
Di
chi gli occhi torbidi?
Di
quelli che si lascian vincere dal vino,
e
corrono dietro ai liquori.
Non
fissare il vino: come rosseggia!
Come
spumeggia nel bicchiere!
Va
giù che è un piacere!
Ma
alla fine morde come un serpente,
e
punge come un aspide.
I
tuoi occhi vedrai cose strane,
e
la tua bocca farà stravaganti discorsi:
ti
parrà d’esser coricato in alto mare
e
dormire in cima all’albero d’una nave.
«
Mi hanno battuto e non ho sentito male,
mi
hanno picchiato e non me ne sono accorto.
Quando
mi sveglierò?…
Voglio
ancora del vino! » (Pr 23,29ss)
Il
pigro (24,30ss):
variante (6, 6ss):
Passai
vicino al podere d’un pigro,
Va’ a veder la formica, o pigro!
presso
il vigneto d’un privo di senno:
Mira quello che fa e diventa saggio!
ecco,
vi erano cresciute le ortiche,
Essa non ha né magistrato,
i
cardi selvatici coprivano il suolo,
né ispettore, né capo,
e
il recinto di pietre era crollato.
eppure nell’estate fa le sue provviste,
A
quello spettacolo io riflettei,
al tempo della mietitura
e
da quanto osservavo,
si raccoglie il suo vitto.
imparai
questa lezione:
Fino a quando, o pigro,
Un
po’ dormire, un po’ sonnecchiare,
te ne starai a dormire?
un
po’ disteso con le braccia incrociate,
Quando ti sveglierai dal tuo sonno?
poi
ti arriva la miseria come al vagabondo,
Un po’ dormire, un po’ sonnecchiare,
l’indigenza
quale al mendico.
un po’ lungo sdraiato
con
le braccia incrociate;
poi ti arriva la miseria come al va-
gabondo
e
l’indigenza quale al mendico.
In
coda ai Proverbi ci sono le parole di Lemuèl, un fittizio sapiente arabo che
esalta un re che non beve vino (al contrario di Alcìnoo e dei dodici anziani
della Scheria di Omero) e una
donna che fila la lana e dirige la casa ed è benedetta dai figli come Arete
(moglie di Alcinoo) di Omero.
Il
libro di Giobbe, pur essendo
della fine del VI sec. a. C. e dunque più recente dell’Odissea di quasi due
secoli, potrebbe derivare da un prototipo arameo da cui ha tratto ispirazione
anche l’Odissea (vedi su questo sito) relativamente alle peripezie del
protagonista fino all’arrivo nell’Etruria di Alcinoo.
Se
l’iniquo Odisseo, rapinatore delle ricchezze altrui, è perseguitato da Poseidone
(e nel passaggio dello stretto di Messina perde tutti i compagni e i
tesori razziati in giro per il Mediterraneo, dimostrando l’assunto degli
ebrei conservatori e delle Scritture secondo cui il malvagio prima o poi perde
tutto il maltolto con gli interessi), Giobbe (che al contrario è un
re-giudice timorato di Dio e giusto) è perseguitato da Satana su istigazione
di Dio il quale consente che Satana imperversi su Giobbe sterminandogli i
figli e i beni e lasciandolo nudo come un verme (e con la moglie che novella
Eva gli consiglia: « Impreca a
Dio e muori! ») e in ciò si comporta con la stessa arroganza da despota
orientale di Agamennone quando nel II libro dell’Iliade
mette alla prova l’esercito acheo stremato da dieci anni di guerra,
fingendo che s’è deciso di imbarcarsi e tornare a casa.
Lo
schema del libro sapienziale è chiaro. Arrivano tre amici di Giobbe e cercano
di spiegarsi (ma non riescono a dimostrare)
perché Dio si sia allontanato da Giobbe, e la conclusione è che
Giobbe deve aver commesso qualche peccato anche se non se ne rende conto. Per
l’ebreo chi sta bene (in tutti i sensi) è amato da Dio perché giusto,
mentre chi sta male è odiato da Dio perché ingiusto. Potremmo dire, brutti,
sporchi e cattivi. Giobbe dal canto suo si professa innocente e dice di aver
sempre compiuto del bene. Egli più volte si augura la morte e impreca contro
Dio (cosa che gli aveva proposto la moglie e lui aveva condannato) Una sola
verità non viene sviluppata come meriterebbe nel libro di Giobbe, che il bene
e il male piovono sull’uomo a caso, tanto che il giusto soffre e l’ingiusto
prospera:
Se
io ci penso, ne sono turbato
e
la mia carne è presa da un brivido.
Perché
vivono i malvagi,
invecchiano,
anzi sono potenti e gagliardi?
La
loro prole prospera insieme con essi,
i
loro rampolli crescono sotto i loro occhi.
Le
loro case sono tranquille e senza timori;
il
bastone di Dio non pesa su di loro.
Il
loro toro feconda e non falla,
la
vacca partorisce e non abortisce.
Mandano
fuori, come un gregge, i loro ragazzi
e
i loro figli saltano in festa.
Cantano
al suono di timpani e di cetre,
si
divertono al suono delle zampogne.
Finiscono
nel benessere i loro giorni
e
scendono tranquilli negli inferi.
Eppure
dicevano a Dio: « Allontanati da noi,
non
vogliamo conoscere le tue vie.
Chi
è l’Onnipotente, perché dobbiamo servirlo?
E
che ci giova pregarlo?
…
Uno
muore in piena salute,
tutto
tranquillo e prospero;
i
suoi fianchi sono coperti di grasso
e
il midollo delle sue ossa è ben nutrito.
Un
altro muore con l’amarezza in cuore
senza
aver mai gustato il bene.
Nella
polvere giacciono insieme
e
i vermi li ricoprono.
…
nel giorno della sciagura è risparmiato il malvagio
e
nel giorno dell’ira egli scampa.
Chi
gli rimprovera in faccia la sua condotta
e
di quel che ha fatto chi lo ripaga?
Egli
sarà portato al sepolcro,
sul
suo tumulo si veglia
e
gli sono lievi le zolle della tomba.
Trae
dietro di sé tutti gli uomini
e
innanzi a sé una folla senza numero. » (Giobbe 21,6ss; Bibbia di
Gerusalemme)
I malvagi spostano i confini,
guidano
al pascolo il gregge rubato.
L’asino
degli orfani essi portan via,
prendono
in pegno il bove dalla vedova.
Allontanano
i poverelli dalla strada,
si
debbon tutti nascondere i miseri del paese.
Altri,
come onagri nel deserto
escono
fuori a procurarsi il vitto,
la
steppa dà il nutrimento per i loro figli.
Spigolano
di notte nei campi,
racimolano
la vigna del malvagio.
Nudi
pernottan senza vestito,
né
hanno una coperta per il freddo.
Dagli
acquazzoni dei monti restano bagnati,
e
per mancanza di riparo
abbracciano
la rupe.
Involano
dalla mammella l’orfano,
e
il lattante del povero prendono in pegno.
Nudi
se ne vanno senza vesti
e,
affamati, portano i covoni.
Alla
mola infrangono le olive,
spremono
l’uva allo strettoio ed hanno sete.
Dalla
città i morenti gemono,
e
l’anima dei trafitti grida:
ma
Dio non bada alle loro suppliche. (Giobbe 24,2ss)
I
tre amici e Giobbe discutendo anticipano qua e là la verità sostenuta nel
libro di Giobbe, dichiarata dal giovane e saggio Eliu che ha ascoltato in
silenzio e ora ritiene di dover intervenire perché ispirato da Dio. Giobbe
pecca di presunzione dicendo che è sempre stato giusto. Dio è onnipotente e
onnisapiente e l’uomo infinitamente piccolo e rispetto a lui sempre
peccatore non può sindacare la sua volontà perché non è in grado di
conoscere tutti i motivi dell’intervento divino, talmente distante dall’uomo
da apparire che se la rida dell’uomo.
Se
avessi ragione, il mio parlare mi condannerebbe;
se
fossi innocente, egli proverebbe che io sono reo.
Sono
innocente? Non lo so neppure io,
detesto
la mia vita!
Per
questo io dico: « E’ la stessa cosa »;
egli
fa perire l’innocente e il reo!
Se
un flagello uccide all’improvviso
Della
sciagura degli innocenti egli ride.
La
terra è lasciata in balìa del malfattore:
egli
vela il volto dei suoi giudici;
se
non lui, chi dunque sarà? (Giobbe 9,20ss; Bibbia di Gerusalemme)
Anche
Zeus dalla vetta dell’Ida si diverte a veder combattere fra loro Achei e
Troiani.
Si
sostiene nel libro di Giobbe che tutto dipende dalla volontà di Dio, ma non
credo che questa verità sia sostenibile da parte di un cristiano e di un
ebreo autentici. Alla fine in un turbine scende Dio in persona e mette da
parte Eliu che pretende di parlare per lui, ma ciò solo perché Dio è Dio e
per i semiti deve darsi un certo tono come tutti i despoti orientali. Per il
resto Dio continua il discorso di Eliu con un’elenco di creazioni che
ovviamente solo lui è stato capace di fare, lasciando stupiti gli uomini e lo
stesso Giobbe, che fa la figura del povero contadinotto analfabeta a colloquio
col dottore di città. Giobbe alla
fine capisce ciò che già aveva capito meglio di tutti gli altri, e cioè
che Dio fa ciò che più gli piace e aggrada e non deve rendere conto a
nessuno, esattamente come il despota orientale. Allora Giobbe come Odisseo
alla corte di Alcinoo si siede fra le ceneri del focolare, si cosparge il capo
di cenere e chiude la bocca come segno di sottomissione di fronte a cotanta
sapienza. Come manifestazione del
suo potere arbitrario, tanto più stridente in quanto scende a risollevare
colui che poco prima ha stritolato sotto il suo immenso potere, Dio reintegra
Giobbe raddoppiandogli tutto quello che ha perso (perfino i figli, che però
sono altri e non più gli stessi di prima). Allo stesso modo Alcinoo dona a
Odisseo assai più di quanto questo aveva razziato da Troia e da altri luoghi
e città del Mediterraneo orientale. Ma i compagni, quei compagni, nessuno
glie li restituirà mai.
Al
di là del principio di onnipotenza e insindacabilità di Dio che dunque
induce l’ebreo ad una totale rassegnazione come il granello di sabbia
spazzato via dal tornado del deserto, emerge in Giobbe una profonda
contraddizione, in quanto egli non crede nella immortalità dell’anima e
dunque con la morte tutto finisce. Per la verità vi sono dei passi in cui
questa verità sembra contraddetta, ma onestamente sono formulati in modo
equivoco e la verità fondamentale è quella della mortalità del corpo e dell’anima.
Su queste basi uno direbbe: va bene, Dio mi può mandare contro ogni male su
questa terra, ma quando sarò morto i miei problemi spariranno. Ciò è
abbastanza consolatorio, dopotutto. Invece Giobbe per tutto il tanto o poco
che gli rimane da vivere si preoccupa del giudizio di Dio su di lui e vuole
discolparsi e vuole che Dio gli sia amico. Direi che tanto Giobbe ama Dio
quanto tutto sommato egli ritiene che Dio ami lui. Giobbe cioè si sente,
direi, perseguitato, e questa persecuzione la interpreta come attenzione,
interesse di Dio nei suoi confronti:
Fammi
conoscere il mio misfatto e il mio peccato.
Perché
mi nascondi la tua faccia
E
mi consideri come un nemico?
Vuoi
spaventare una foglia dispersa nel vento
E dar la caccia a una paglia secca?
Poiché
scrivi contro di me sentenze amare
E
mi rinfacci i miei errori giovanili;
tu
metti i miei piedi in ceppi,
spii
tutti i miei passi
e
ti segni le orme dei miei piedi.
Intanto
io mi disfò come legno tarlato
O
come un vestito corroso da tignola.
L’uomo,
nato da donna,
breve
di giorni e sazio di inquietudine,
come
un fiore spunta e avvizzisce,
fugge
come l’ombra e mai si ferma.
Tu,
sopra un tal essere tieni aperti i tuoi occhi
E
lo chiami a giudizio presso di te?
Chi
può trarre il puro dall’immondo? Nessuno (Giobbe 13,23ss; Bibbia di
Gerusalemme)
Oh,
potessi sapere dove trovarlo,
potessi
arrivare fino al suo trono!
Esporrei
davanti a lui la mia causa
E
avrei piene le labbra di ragioni.
Verrei
a sapere le parole che mi risponde
E
capirei che cosa mi deve dire.
Con
sfoggio di potenza discuterebbe con me?
Se
almeno mi ascoltasse!
Allora
un giusto discuterebbe con lui
E
io per sempre sarei assolto dal mio giudice (Giobbe 23,3ss; Bibbia di
Gerusalemme).
Non
ha forse un servizio l’uomo sulla terra?
E
non sono i suoi giorni
come
i giorni del salariato?
Come
lo schiavo anela l’ombra,
e
come il mercenario aspetta il suo salario:
così
mi furono dati in retaggio
mesi
d’afflizione
e
nottate di travaglio mi furono assegnate.
Se
io mi corico esclamo:
«
Quando sarà giorno, onde io sorga? »
Se
poi sorgo: « Quando sarà sera? »
E
mi sazio d’insonnia
Tormentata
fino al crepuscolo.
La
mia carne
È
ricoperta di marciume e di croste,
la
mia pelle si raggrinza e si disfà.
I
miei giorni fuggono veloci più che la spola,
e
spariscono: non c’è più speranza.
Ricordati
che un soffio è la mia vita,
non
tornerà l’occhio mio a vedere il bene;
non
mi scorgerà l’occhio di chi mi guarda,
gli
occhi tuoi saranno su di me
_
ed io non sarò più!
Si
consuma la nube e si dilegua:
così
chi scende allo Sceol più non risale;
più
non torna alla sua casa,
più
non lo ravvisa la sua dimora.
Anch’io
non tratterrò la mia bocca:
voglio
parlare nell’angustia del mio spirito,
voglio
lamentarmi
nell’amarezza
dell’anima mia.
Son
io forse il Mare, o il Mostro,
che
tu ponga attorno a me una guardia?
Quando
pensavo
Che
mi consolerebbe il mio letto,
il
mio giaciglio m’allevierebbe l’affanno!
Tu
allora m’atterrisci con sogni
E
con spettri mi spaventi:
Perciò
preferirei lo strangolamento,
e
la morte ai miei dolori.
Ma
già mi dissolvo,
non
già in eterno io vivrò:
lasciami,
poiché un soffio sono i miei giorni!
Che
mai è l’uomo, che tu ne fai tanto conto
E
che tu poni su lui la tua mente?
E
tu lo visiti ogni mattina,
e
ad ogni istante lo metti alla prova.
Sino
a quando ancora
Non
distoglierai lo sguardo da me,
non
mi lascerai inghiottir la mia saliva?
Se
ho peccato,
che
cosa ho fatto a te, o pastore di uomini?
Perché
mi hai posto come tuo bersaglio,
sì
che io sia a me stesso di peso?
E
perché non cancelli il mio delitto,
e
non rimuovi la mia iniquità?
Ché
presto giacerò nella polvere,
mi
cercherai ed io non sarò più! (Giobbe 7)
Non
riesco a comprendere questa mentalità. Dio non lo farà certo resuscitare
anche se Giobbe fosse un santo. Dunque Giobbe
non ha contatti con Dio e viceversa durante la sua breve vita e nemmeno dopo
la morte. Nonostante tutto si verifica qui il contrario di ciò che si
verifica in tutto l’A. T. e cioè Giobbe cerca inutilmente Dio mentre là è
Dio che cerca inutilmente Israele. Per quale motivo Giobbe cerca
disperatamente Dio? Forse non per motivi spirituali eccelsi. Temo che anche se
non espressamente Giobbe cerca Dio solo
perché quando Dio lo favorisce l’uomo è anche ricco e in salute. Insomma l’ebreo
contrariamente a quel che si crede ha la vista corta ed è assai
materialista, meschinamente materialista. Che l’ebreo sia
straordinariamente attaccato alla vita materiale lo dimostra la perenne
ricerca dell’albero dell’immortalità da Adamo ed Eva, mentre l’occidentale
Odisseo (sia pure d’origini culturali aramaiche ed ebraiche)
significativamente preferisce tornare dalla sua vecchia e mortale Penelope,
dal figlio, dai sudditi, nella sua patria, piuttosto che sposare la bella
dea Calipso e vivere in eterno al suo fianco nel suo straordinario ma
stucchevole paradiso di Ogigia.
Dal
Cantico dei cantici o Shir hashshirim (4,1ss):
Quanto
sei bella, amica mia,
quanto
sei bella!
Gli
occhi tuoi, di colombi,
entro
il tuo velo.
I
tuoi riccioli son greggi di capre,
ondulanti
sulle pendici di Galaad.
I
tuoi denti, qual gregge di tosate,
che
risalgon dal bagno:
ciascuna
ha due gemellini e nessuna di esse ne è priva.
Quale
purpureo nastro, sono le tue labbra,
leggiadra
è la tua bocca,
spicchio
di melagrana
è la tua guancia dentro il tuo velo.
Come
torre di davide è il tuo collo,
edificata
a guisa di fortezza,
mille
scudi le pendono intorno,
tutti
scudi di prodi.
Le
tue mammelle son come caprioletti;
gemelli
di gazzella,
pascolanti
fra i gigli,
mentre
la brezza spira,
e
s’allungan le ombre,
andrò
al monte della mirra,
al
colle dell’incenso.
Tutta
bella tu sei, amica mia,
e
non v’è in te macchia alcuna!
Questo
è il pezzo più bello del Cantico dei Cantici e l’ho riportato solo per far
giudicare quanto poco valga di fronte alla poesia che lo precede e lo segue,
di valore eppur non ricercata.
Qohèlet
(Ecclesiaste, il ‘Predicatore’) insieme al libro di Giobbe costituisce il
meglio, soprattutto poetico, dell’A. T. Risale al III sec. a. C. ed è
dunque influenzato dalla filosofia ellenistica ma non riesce a trarne
vantaggio. Ha degli spunti epicurei ma da orientale è preso dalla soggezione a Dio aderendo
piuttosto allo stoicismo propugnatore dell’inazione e dunque alla mentalità
più tipica anche dei cristiani autentici. Ne traggo l’inizio e
parti della fine (8,14ss):
Parole
di Qohelet, figlio di Davide, re di Gerusalemme.
Vanità
delle vanità, dice Cohelet,
vanità
delle vanità, il tutto è vanità.
Che
resta all’uomo di tutto il suo affanno
In
cui s’affanna sotto il sole?
Generazione
che va, generazione che viene
E
la terra nel suo ciclo rimane.
E
sorge il sole e il sole tramonta,
anelando
al suo luogo dov’egli risorge.
Soffia
a mezzogiorno poi gira a tramontana
E
volgendo, volgendo il vento se ne va
E
sopra le sue spire ritorna il vento.
Tutti
i fiumi se ne vanno al mare
E
il mare non si piena:
là
donde scorrono i fiumi,
là
essi ritornano a scorrere.
Ogni
parola vien meno
Né
sa l’uomo parlarne:
non
si sazia l’occhio di guardare
né mai l’orecchio
è pieno di udire.
Ciò che è stato è
quello che sarà
E ciò che s’è
fatto è quello che si farà:
niente di nuovo
avviene sotto il sole.
C’è forse qualcosa
di cui si possa dire: « Ecco, questa è nuova »? Proprio questa è già
stata nei secoli prima di noi. Non c’è più ricordo delle cose passate,
come non ci sarà delle cose avvenire presso coloro che dopo verranno (I 1ss).
Ma sulla terra si ha
però questa delusione: vi sono dei giusti ai quali avviene secondo le opere
degli empi, e vi sono degli empi ai quali avviene secondo le opere dei giusti.
Perciò io dico che questa è una delusione!
E allora, viva l’allegria:
perché l’uomo non ha altra felicità al mondo che mangiare e bere e stare
allegro! Sia questa la sua compagnia nelle fatiche, durante i giorni di vita
che Dio gli concede di vivere quaggiù.
Mi son dato poi a
conoscere la sapienza, considerando il travaglio continuo che si ha sulla
terra, per cui l’uomo non vede riposo né giorno né notte. Ho osservato
tutta l’opera di Dio e ho veduto che l’uomo non può arrivare a scoprire
tutta l’opera che si compie sotto il sole, per il fatto stesso che pena
nella ricerca e non arriva. E se un savio dicesse di sapere, non ci arriva
(8,14ss).
Questo di male vi è
in tutto quello che avviene sotto il sole: che una sorte comune tocchi a tutti
quanti. E così il cuore dei mortali è pieno d’infelicità e concepiscono
follie nel loro cuore mentre sono in vita, poi se ne vanno fra i morti.
Per chi è congiunto
ancora a tutti i viventi c’è speranza, perché « Meglio un cane vivo che
un leone morto ». I vivi sanno che morranno, ma i morti non sanno più nulla;
non c’è più mercede per loro; anche il loro ricordo è obliato. Il loro
amore, il loro odio, l’invidia, tutto è finito, non hanno più parte col
mondo per quel che succede quaggiù.
Va’, mangia con
gioia il tuo pane,
bevi con cuore allegro
il tuo vino,
che Dio ha già
gradito le opere tue.
In ogni tempo le tue
vesti sacre bianche
E l’olio sul tuo
capo non manchi.
Godi la vita con la
donna che ami, per tutti i giorni della vita d’illusione che Dio ti dà
sotto il sole. Tutto quello che ti occorre di fare, fallo mentre sei in vita,
perché non ci sarà più né attività, né pensiero, né conoscenza, né
sapienza giù nel soggiorno dei morti, dove stai per andare.
Di nuovo io vedo sotto
il sole che non è degli agili la corsa, né dei forti la vittoria, e neppure
dei sapienti il pane e dei calcolatori la ricchezza, e nemmeno degli accorti
il favore, perché il tempo e il caso si frappongono a tutto. L’uomo non
conosce la sua ora: simile ai pesci che rimangono nella rete fatale, agli
uccelli presi al laccio, l’uomo è sorpreso dalla sventura che improvvisa si
abbatte su lui… (9,3ss)
Anche se per molti
anni vive l’uomo,
tutti se li goda,
e pensi ai giorni
tenebrosi,
che saranno molti:
tutto ciò che viene
poi è vanità.
Godi, o giovane, nella
tua giovinezza
E ti sia lieto il
cuore
Ne’ giorni di tua
gioventù.
Segui pure le vie del
tuo cuore
E i desideri dei tuoi
occhi.
Sappi però che per
tutto questo
Iddio ti chiamerà al
giudizio.
Caccia la malinconia
dal tuo cuore,
allontana dal tuo
corpo il dolore,
ché giovinezza e
adolescenza
sono come un soffio
(11,8ss).
Ricordati del tuo
creatore
Nei giorni di tua
gioventù,
prima che vengano i
giorni di tristezza
e giungano gli anni in
cui dovrai dire:
« Non ci ho più
gusto! »
prima che si oscuri il
sole,
la luce, la luna e le
stelle,
e ritornin le nubi
dopo la pioggia;
quando tremeranno i
custodi della casa
e si curveranno i
gagliardi
e cesseranno le
macinatrici,
perché rimaste poche,
e si offuscheranno
quelle che guardano dalle finestre;
e si chiuderanno i due
battenti
della porta di fuori,
e mentre si abbasserà
il rumore della mola
e s’abbasserà il
cinguettio degli uccelli
e si affievoliranno
tutte le figlie del canto,
quando si avrà timore
dei luoghi elevati
e degli spauracchi
della strada,
e fiorirà il mandorlo
e diventerà grave la
locusta
e il cappero non avrà
più effetto,
poiché l’uomo se ne
va
alla casa di sua
eternità
e s’aggireranno per
la strada le piangenti;
prima che il filo d’argento
s’allenti,
la lampada d’oro s’infranga,
si rompa la secchia
alla fonte,
si spezzi la carrucola
al pozzo,
e ritorni la polvere
alla terra, com’era,
e lo spirito torni a
Dio, che l’ha dato.
Vanità delle vanità,
dice Cohelet,
il tutto è vanità
(12,1-8).
Ho omesso tutti quei
libri storici, sapienziali e profetici che appartengono all’esilio e all’età
postesilica nel senso che furono scritti in questa età per documentarla. Il
quadro postesilico è succintamente il seguente:
Il persiano Ciro II
conquista Babilonia e nel
suo primo anno di regno come re di Babilonia (538; perché come re di Persia
regna dal 559) con un editto ordina il ritorno dei giudei in Palestina sotto
la guida del governatore Zorobabele e del sommo sacerdote Giosuè che
sostenuti dai profeti Aggeo e Zaccaria danno
inizio alla costruzione del (secondo) tempio di Gerusalemme, inaugurato nel
515 sotto Dario I.
Il sacerdote Ezra
(Esdra) torna a Gerusalemme nel 458 per decreto di Artaserse I raccoglie e
fonde in un unico libro in 5 rotoli tre o quattro redazioni preesistenti della
Torah, la (J) jahvista di Giuda IX sec., la (E) elohista di Israele VIII sec.,
la (D) deuteronomista, esilica, la (P,
priestercodex) sacerdotale di Ezechiele e sacerdoti, pure esilica,
letta a Gerusalemme nel 444 da Ezra. Ezra dopo essersi teatralmente stracciate
le vesti impone ai giudei pena l’ostracismo lo scioglimento dei matrimoni
misti con donne straniere. E’ bello sapere che non tutti accettarono, e che
alcuni si opposero, fra cui anche un levita.
Neemia su
autorizzazione di Artaserse I nel 445 va a Gerusalemme, riedifica le mura
della città, impone sotto pena di ostracismo la remissione dei debiti agli
ebrei che prima erano sfruttati dai connazionali e la cacciata di tutti gli
stranieri.
Merita di essere detto
che tutte le profezie di sciagura minacciate dai profeti e dalle Scritture in
genere dopo la distruzione di Gerusalemme nel 587 a. C. ebbero in quell’evento
la loro conclusione. Posteriormente alla ricostruzione della città e del
(secondo) tempio sotto Zorobabele si collocano altre previsioni di sciagura e
maledizioni con cui si conclude l’A. T. A leggere Malachia si comprende bene
che le maledizioni sono direttamente proporzionali al non versamento della
decima al tempio e ai sacrifici scadenti. Insomma, quello del prete è un
lavoro come un altro e se non viene ben pagato anche il servizio lascia a
desiderare o al limite viene esercitato in rappresaglia. C’è chi per il
potere fa il politico, chi il sindacalista, chi il giudice e chi il prete, ma
il prete si preoccupa solo di riempirsi il ventre e per far questo spaccia
menzogne e induce alla vigliaccheria. E’ il peggior mestiere del mondo.
Salvo eccezioni, che però sono poche e sono le stesse in tutti i mestieri del
mondo. E purtroppo le eccezioni
sono colpevoli di mantenere moniliticamente incrollabile il mestiere. Queste
previsioni si concludono con la distruzione di Gerusalemme e del (terzo)
tempio sotto l’impreatore Tito nel 70 d. C. Entro questa data si colloca
anche tutta la letteratura del Nuovo Testamento. Ciò vuol dire che nessuna
ulteriore profezia di sciagura vale per i tempi successivi al 70 d. C. e a
maggior ragione per i nostri tempi. Anche
le profezie del Nuovo
Testamento non si sono verificate entro quella data e dunque non c’è più
motivo di credere che si verifichino a distanza di due millenni.
Fine