Esci

 

Marco G. Corsini

 

L’Antico Testamento

 

 La cacciata dal Paradiso Terrestre,  particolare di formella da una porta bronzea di S. Zeno a Verona

 

 

L’Antico Testamento nel complesso è opera di fervida fantasia anche se inadeguatamente espressa dal punto di vista letterario (ma questo è il giudizio di un occidentale), salvo casi rari fra cui si registrano pezzi davvero poetici, com’è il caso di Qohelet, soprattutto 12,1-8.  Direi che probabilmente  l’ebreo è poeta laddove è naturale e non si propone di far poesia, mentre dove evidentemente ci mette impegno produce qualcosa di mediocre se non addirittura dell’anti-poesia. Ma  la lettura di pezzi rari eppur di pregio che troviamo ci ricompensa della fatica dell’estenuante ricerca e ci fa rimpiangere la perdita della poesia profana ebraica e dei popoli del Vicino Oriente (di cui quel che rimane è anche di minor valore rispetto a quella ebraica).  La poesia ebraica, a giudicare dalla documentazione esistente, è sostanzialmente originale ed ha sostanzialmente irrilevanti rapporti con quella dei popoli vicini, se si prescinde dall’ovvietà dell’esistenza di generi comuni ai vari popoli. Le radici di Omero sono essenzialmente israelitiche e recepite attraverso la tradizione delle fonti dell’A. T.  Per questo motivo non richiamo in questo lavoro perché superflui e marginali anche quei pochi lavori delle letterature del Vicino  Oriente che in un modo o nell’altro potrebbero essere messi in relazione con determinati libri dell’A. T. Che poi la civiltà e la letteratura israelita debba aver recepito modelli dalle  civiltà egizia, babilonese, cananea, filistea, è un altro discorso, ma non vi sono documenti superstiti  migliori o almeno uguali per valore a quelli israeliti.

 

Qualcosa a proposito della fantasia degli Ebrei va detta con riferimento alla eventualità che qualche libro dell’A. T. contenga riferimenti a veri e propri incontri ravvicinati del terzo tipo con extraterrestri, le tre persone del Dio ebraico o Elohim ‘gli dèi’, che possono essere scese sulla terra a parlare con Mosè e a guidarlo in vista della Palestina. Sarei propenso in linea di principio a ricondurre tutto entro l’ambito di puri e semplici miracoli quando si tratta di Elia e Eliseo, di fantasia sulla base di tradizioni più antiche di civiltà assai più evolute ed urbanizzate nel caso del giardino dell’Eden,   ancora di fantasia che cerca di spiegare con fatti straordinari la realtà ostile all’uomo della regione meridionale del Mar Morto, nel caso di Abramo e Lot (nessuno troverà mai perché non esistono le città di Sodoma e Gomorra), ma il caso è differente per quanto riguarda  Mosè (cui si deve la nascita dello stato israelita dopo l’esodo dall’Egitto; sull’argomento vedi su questo sito il Papiro Tulli)  e probabilmente non a caso in quello di Ezechiele, cui si deve la rinascita dello stato di Giuda dopo il secondo esodo (da Babilonia).  L’essere nata la religione mosaica per iniziativa di un intervento alieno fa della Torà, la Legge (divisa in cinque rotoli, il Pentateuco) e più in generale dell’A. T.  una miniera di informazioni tutta da esplorare per ricostruire l’identikit culturale e psicologico degli alieni, fondamentalmente razzisti e con la fobia delle donne e delle contaminazioni di qualsiasi tipo.  Sono essi ancora esistenti (come civiltà ovviamente) ed interessati all’evoluzione delle vicende politiche della loro colonia terrestre? In altre parole, ritorneranno, come hanno promesso più volte?

 

Si tenga presente che se anche qualche brandello di tradizione scritta o solo orale può risalire non oltre Mosè e dunque l’età del movimento dei popoli del mare, nel XIII sec. a. C., la più parte dell’A. T. è stata scritta per la prima volta a cura della classe sacerdotale in età postesilica, dopo il ritorno a Gerusalemme e dunque dopo il 538 a. C. e fino al II-III sec. a. C. La civiltà ebraica è frutto della sua permanenza in Egitto, in Palestina e  in Babilonia. Conserva delle tradizioni che sono comuni anche agli indeuropei, che originano dal Caucaso e dall’Armenia (Eden da cui fluiscono Tigri ed Eufrate; Ararat dell’Arca di Noè; ovviamente entrambe sono solo favole – nessuno troverà mai l’Eden né l’Arca di Noè –  e significative solo in quanto narrano un’origine armena; in realtà è evidente che gli Ebrei quando parlano di Eden hanno in mente l’Egitto, trasformato alla maniera dei giardini pensili di Babilonia).  Per i credenti ebrei e cristiani l’A. T. è la parola di Dio espressa attraverso i profeti da Mosè in poi. Per me che sono ateo è semplicemente il complesso dei libri delle relative religioni storiche con valore culturale (come lo hanno i testi delle religioni egizia, assira, babilonese, e così via) a volte anche di buona letteratura, ciò che a me interessa particolarmente di mettere in luce con riguardo alle origini della poesia omerica.

 

Il Genesi o dal suo incipit  Bereshith, “In principio… ”, è l’apoteosi dell’irrazionalità e dunque della poesia, anche se questa è più nelle sue favolette che nella resa letteraria  delle medesime. Man mano che dalle origini si arriva ai tempi storici recenti la fantasia dell’A. T. decresce progressivamente, ma v’è ancora fantasia nelle visioni dei profeti, fino a Daniele (dove il profeta Àbacuc è preso per i capelli da un angelo e portato in volo fino a Babilonia col cibo destinato a Daniele nella fossa dei leoni; e in ciò richiama alla mente Enea trasportato in volo fuori dai pericoli della battaglia da Poseidone perché da lui discenderà il popolo latino e romano) e Zaccaria, di cui è rimasto alla periferia di Gerusalemme il sepolcro monumentale scavato nella roccia, vicino a quello, più antico, di Assalonne, figlio di Davide. L’antico abitante della Mesopotamia e della Siria, e dunque anche l’Ebreo che ha la medesima origine culturale, si interroga, come tutti, su chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, su perché il serpente non ha zampe ed è costretto a strisciare per terra, perché dopo una tempesta si forma l’arcobaleno,  perché l’uomo è mortale pur avendo un’intelligenza che ritiene (e a buon diritto) divina, perché la donna partorisce (e non l’uomo), perché l’area del Mar Morto sia inospitale per l’uomo e per ogni forma di vita, e a tutto ciò fornisce una spiegazione che non ha il minimo di razionalità, tipico appunto dei popoli primitivi (o di quelli civili che fanno solo poesia, come gli etruschi di Omero), e cosi secondo lui l’Universo è stato creato da Dio, e  in sei giorni, perché il settimo s’è riposato (e questa favoletta è importante per dimostrare che anche Dio ha rispettato il sabato). Dio, cioè Jahvè o Elohim a seconda delle redazioni, lo vedremo meglio dal complesso dell’A. T. e soprattutto nel libro di Giobbe, è null’altro che il dio uranico della tempesta, identificato dalla presenza di nubi allo stesso modo di Zeus che Omero chiama  ‘nube nera’, cioè carica di pioggia, e  del tornado, che gli antichi consideravano il pene del toro celeste che percorre la terra e la feconda con la pioggia. Dove passava il tornado lasciando tracce, là si costruivano santuari. E’ possibile che in questa cornice una serie di discese di extraterrestri abbia concretizzato questa divinità facendola divenire le tre persone (quelle dell’equipaggio dell’astronave) in carne e ossa apparse già ad Abramo (Gn 18,1ss). Per il resto il nome del dio ebraico significherebbe semplicemente « Io sono colui che sono » o più semplicemente « Io sono » (Es 3,14). Pare una presentazione da favoletta, in quanto Dio per definizione non può definirsi e non è singolare come nemmeno può essere plurale. Dicendo Io, presuppongo un Tu e un Voi, e dicendo sono, presuppongo un siete e anche un  non-sono, ecc. La verità è che Mosè ha intuito la necessità di darsi un dio (il dio dei filosofi che ci credono, tanto per intenderci) che proprio perché unico non doveva avere un nome qualsiasi, come Marco o Giovanni, e se ciò è vero Mosè ha dimostrato di essere più intelligente degli uomini del suo tempo. Ma certo  Aton egizio gli ha suggerito  l’idea.

 

Premetto che in questo studio sull’Antico Testamento seguirò  il Canone ebraico e tralascerò di menzionare tutti quei libri di scarso o nullo interesse letterario e soprattutto quelli legati al Medio Giudaismo a cavallo della vita di Cristo perché da questa data comincia un nuovo periodo per la storia e la cultura di Israele e in parte la ritroveremo nello studio del Nuovo Testamento.

 

 

La Toràh o Pentateuco: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio:

 

Genesi. Nel primo giorno Dio  disse: « “ Sia la luce! ” E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona  e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno. » Secondo loro la luce è indipendente dagli astri, perché questi vengono creati da Dio nel secondo giorno: « Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il firmamento, dalle acque che sono sopra il firmamento… Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno. » Ma evidentemente s’è dimenticato della sua creazione e ancora nel quarto giorno: «Dio fece le due luci grandi, il sole per regolare il giorno e la luna per regolare la notte, e le stelle. Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre… E fu sera e fu mattina: quarto giorno. » Se la Bibbia fosse la parola del dio che ha creato il mondo sarebbe un tantino più scientifica e invece è peggio che se il mondo fosse descritto da un bambino che va male a scuola.

Nel Genesi sono giustapposte senza essere armonizzate e fuse fra loro anche due teorie della creazione, delle quali quella che è messa più in evidenza si può definire evoluzionista (con una sequenza che seppure assai imprecisa è quella che conosciamo anche noi: acqua > pesci > anfibi > rettili  > mammiferi > uomo:        « Dio creò l’uomo a sua immagine… maschio e femmina li creò » Gen 1, 27) e non è certo farina del sacco ebreo, bensì probabilmente babilonese,  mentre l’altra è israelita nella fantasia  e babilonese nell’ispirazione ai giardini pensili di Babilonia: « Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata – perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo –; allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare…  Poi il Signore Dio disse: “ Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile. ” Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile. Allora il Signore Dio… gli tolse una delle costole… e  plasmò con la costola… una donna e la condusse all’uomo. » (Gen 2, 4bss) Dunque prima crea l’uomo, poi crea per l’uomo un giardino pieno di delizie in cui vivere, poi gli animali domestici per aiutarlo a lavorare il giardino e infine, per ultima, la donna.

La visione maschilista è evidente, in quanto, contro ogni logica secondo cui semmai è la donna ad essersi evoluta per prima (sempre comunque dallo stesso albero dei primati), costituendo una sofisticata cellula generativa, ciò che l’uomo non è,  Dio avrebbe creato prima Adamo,  e dalla sua costola Eva, la donna vista soprattutto come fonte di guai (i semiti, come i greci,  tengono le donne sottomesse, escluse dal tempio, ai margini della società, nascoste nel loro gineceo, a differenza dei popoli italici ed etruschi in particolare, che invece semmai al contrario registrano una preminenza della donna; noi Italiani siamo il miglior popolo al mondo – o meglio eravamo, perché nel frattempo la fiaccola della civiltà è portata oggi da francesi e tedeschi –  e non dobbiamo mai dimenticarlo come invece facciamo troppo spesso, ad esempio guardando agli USA, che sono un popolo civilizzato dagli ebrei). E infatti Eva mangia la mela dall’albero della conoscenza del bene e del male, ciò che spiega l’intelligenza dell’uomo. Secondo me il dio dell’A. T. vuole un uomo bambolotto che vegeti nel suo giardino senza sporcare e senza far rumore, per il solo piacere di vederselo così piccolo e nudo e giocarci un po’. Al contrario il Serpente ‘cattivo’ vuole che ragioni con la sua testa e così sia capace di creare una civiltà che con tutti i difetti che può avere sarà miliardi di volte meglio di quella del ‘buon selvaggio’. Questo giudizio rovesciato del Bene e del Male nel Genesi era proprio anche di alcuni seguaci dello gnosticismo. Ovviamente il mio è un giudizio sulla filosofia dei sacerdoti ebrei, dei leviti, non sull’esistenza, cui non credo, del loro Dio e  Serpente. L’Ebreo dunque, pur avendo radici culturali comuni in parte con noi indeuropei,  ragiona al contrario di noi, attivi e creatori della  civiltà che domina il mondo e cui tutti, volenti o nolenti si adeguano per i suoi vantaggi indiscutibili. L’Ebreo è il pastore che sarà sempre pastore,  e odia Caino, l’artefice che costruisce la città e la civiltà. L’Ebreo dell’A. T. o meglio il sacerdote levita, non ama lavorare, e preferisce vivere di rendita, con le decime, protestando continuamente che Jahvè, in realtà lui stesso, vuole vittime perfette, mentre il più delle volte gli si danno quelle piene di difetti, e allora lui profetizza sciagure contro Israele perché non si corregge. Ovvio che simili sacerdoti rimpiangessero un mondo del resto mai esistito (salvo in Egitto o a Babilonia, dove il popolo lavorava attivamente per realizzare  il proprio giardino dell’Eden) pieno di delizie a portata di mano di un Adamo che deve fare solo lo sforzo di mangiare. Contrariamente a ciò che vogliono i leviti chi fa bella figura sono invece la donna, Eva, e il Serpente. Dio, venuto a sapere della violazione del suo divieto, punisce Satana il serpente e da quel momento il serpente striscia per terra e morde il calcagno dell’uomo, che a sua volta quando gli capita gli schiaccia il capo col piede (non sarà invece che come Europa/Demetra cavalca la vacca suo animale, Eva proceda sopra il serpente suo attributo indicante l’intelligenza?), punisce Eva e da quel momento tutte le donne partoriranno con dolore e saranno sottomesse all’uomo, e Adamo e con lui gli uomini è punito perché da questo momento dovrà lavorare per mangiare e morirà perché è polvere e in polvere tornerà. Anche partorire è un lavoro, per il levita,  ma a dire delle donne e dello psicologo partorire è bello. Dio maledice per causa di Adamo il suolo e certo la Palestina doveva apparire abbastanza maledetta da Dio agli Ebrei che vi vivevano. Dio allora disse  « “ Ecco l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva sempre! ” Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden…  e pose ad oriente  del giardino di Eden [ovvio dunque che Eden fosse l’Egitto] i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all’albero della vita. » Gen 3, 24) Dunque l’uomo, pur avendo intelligenza eccellente (gli Ebrei direbbero divina), non è anche immortale perché Dio avrebbe cacciato l’uomo dal giardino dell’Eden. Per l’Ebreo la vita bella è quella del paese di Cuccagna, dove il cibo pende dagli alberi e l’unico lavoro che si fa è quello di coglierlo e mangiarlo. Secondo gli Ebrei questo paese di Cuccagna esisteva davvero ed era la fertile valle del Nilo (non  la montuosa e dunque inverosimile Armenia, da cui nascono il Tigri e l’Eufrate, due rami del fiume di Eden) da cui gli Ebrei furono cacciati (come anche Adamo e Abramo) al tempo dell’Esodo sotto la guida di Mosè. La duplicità delle fonti giustapposte malamente e non fuse insieme è palese anche nella discendenza di Set (generato da Adamo dopo l’uccisione di Abele il pastore da parte di Caino l’artigiano; sarà stato semmai il contrario, dato che i nomadi sono dediti alle razzie, mentre i sedentari sono popoli civili, ma gli Ebrei allora erano nomadi e tiravano l’acqua al loro mulino) che è un maldestro duplicato di quella di Caino. Frattanto la vita di ogni singolo uomo era di qualche secolo, ma  Matusalemme li superò tutti (in fantasia), superando la veneranda età di… nove secoli e mezzo, quasi un millennio di vita… complimenti! Anche i capi achei omerici hanno età venerande ma Nestore di Silo, pardon, Pilo, regna sulla terza generazione. 

Finora ho spiegato le favolette ebraiche in senso eziologico, cioè come tentativo di darsi ragione della realtà che cadeva sotto i loro occhi. Da questo momento però Gen 6, 1-4  può rendere necessaria un’interpretazione in senso extraterrestre: « Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. Allora il Signore disse: “ Il mio spirito non resterà sempre nell’uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni. ” C’erano sulla terra i giganti, a quei tempi – e anche dopo – quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi. »  Il termine usato nel Gen e tradotto con giganti è nephilim, i ‘caduti’. Poiché Dio è scritto Elohim ‘gli dèi’, in realtà si tratta di figli degli dèi. Poiché si sono commisti alle terrestri (in una visione razzista, che peraltro è tipica degli Ebrei, non dimentichiamolo mai) essi sono gli angeli caduti, cioè di serie B, rispetto agli altri, guidati dall’arcangelo Michele, che sono rimasti di razza pura e incontaminata. Chi discute  sul sesso degli angeli ragiona a vuoto, in quanto questi sono simili a noi e hanno organi sessuali compatibili. Sarebbe stato per colpa di queste unioni impossibili e dunque presumibilmente per togliere di mezzo gli angeli di serie B e la relativa figliolanza,  perché la loro semidivinità rovinava la reputazione divina degli angeli di serie A, che Dio avrebbe deciso il primo sterminio, per acqua,  dell’umanità.  Ma come non ritenere una favoletta puerile quella dell’arca di Noè inverosimilmente piena di sette coppie di ogni tipo di animale ed uccello, una sola coppia di quelli  immondi? E come scesero i nostri dall’Ararat dopo che le acque defluirono? Per quanto potessero essere dei provetti scalatori non credo che siano riusciti a portar giù se non le capre. D’altra parte non è affatto vero che l’umanità coi suoi giganti fu sterminata eccetto Noè e la sua famiglia, tant’è vero che i giganti li ritroviamo in Palestina ancora al tempo di Davide che con la sua fionda da pastore uccise il celebre gigante Golia filisteo. Per D. H. Lawrence, che di Etruschi ne sapeva assai più di tanti saccenti accademici attuali, la casetta in pietra che insieme al cippo fallico si rinviene presso i grandi tumuli ceretani « ricorda l’Arca di Noè senza la chiglia, lo scatolone-Arca di Noè che avevamo da bambini, tutto pieno di animali. Ed è in realtà proprio questa l’Arca, l’arx, l’utero, il grembo del mondo da cui sono scaturite tutte le creature » (Paesi etruschi, Nuova immagine editrice, II edizione, 1989, p. 42). L’unico significativo elemento della tradizione letteraria che gli Ebrei hanno in comune con la letteratura mesopotamica è quello di Noè che ritroviamo nella celebre Epopea di Gilgamesh. E che dire dell’arcobaleno dopo la tempesta (cioè l’ira di Dio –  da cui l’ira dei personaggi omerici – come segno di riappacificazione fra Dio e il suo popolo; come se l’arcobaleno non comparisse anche sugli altri  paesi del globo)? C’è un bellissimo passo di Omero che identicamente interpreta i temporali non come fenomeno naturale ma come espressione di censura divina dei fatti umani, ma che si tratta di poesia è dimostrato dal fatto che curiosamente Zeus si adira con gli uomini solo in autunno, quando naturalmente piove: « come dalla tempesta tutta la terra nera è gravata in un giorno d’autunno, in cui pioggia violenta rovescia Zeus, se adirato con gli uomini imperversa perché con prepotenza contorte sentenze sentenziano, e scacciano la giustizia, non curano l’occhio dei numi… » (Il. XVI, 384ss). Come fa ad esprimere la sua disapprovazione Dio d’estate, quando temporali non vi sono, mentre la malvagità dell’uomo non conosce riposo? Il fatto è che gli Ebrei cercano delle spiegazioni alla loro sfiga continua che li ha condotti a vivere in un deserto abbandonato da Dio e circondati da nemici, e allora le trovano nei loro peccati. L’ebreo dell’A. T. è un Fantozzi all’ennesima potenza. Dato dove vivono, il popolo più peccatore al mondo è quello ebreo. Perché esistono razze e civiltà e lingue differenti? Ovviamente per colpa dell’uomo, per la sua superbia e presunzione di poter arrivare fino a Dio, o meglio per la presunzione dei Babilonesi, costruttori delle torri a gradini (che servivano anche per adorare gli dèi) o ziqqurat fra cui quella di Babele o Babilonia. Gli Ebrei furono deportati in Babilonia e condannarono le torri a gradini come segni della presunzione umana  punita da Dio con la distruzione (da essi immaginata forse perché videro una ziggurat in rovina?) della torre di Babele e con la diaspora dell’ umanità e la successiva diversificazione di popoli e lingue. Comunque anche in questo caso si rendono conto che la differenza fra loro e Dio è insignificante (costituita dalla sola immortalità) e che Dio ha paura dell’uomo: « Il Signore disse: “ Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto hanno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro. ” Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. » (Gn 11, 6ss).

L’origine della civiltà ebraica è nella Siria settentrionale, in Aram, dove fanno capo a partire da Abramo tutti i patriarchi, che sempre ritornano in Aram quando si tratta di affari importanti, come prendere moglie. Questa del Paese Superiore è anche l’origine più importante delle fonti omeriche. Abramo, come tutti i nomadi, è bugiardo e ladro. In Egitto rischia di vedersi portar via la moglie dal faraone perché l’ha fatta passare per sua sorella (« Di’ dunque che tu sei mia sorella, perché io sia trattato bene per causa tua e io viva per riguardo a te »; se sentissimo parlare così qualcuno lo definiremmo uno sporco sfruttatore). Quando il faraone comprese che per causa di quella donna l’aveva colpito una serie di grandi piaghe, cacciò fuori dall’Egitto lui e la moglie. E’ il primo nucleo di Ebrei che entrano ed escono dall’Egitto verso il 1800 a. C. e si identificano praticamente con gli  Hyksos. Qualche secolo più tardi, al culmine della potenza degli Hyksos questi sono rappresentati da Giuseppe, che prese praticamente in mano le redini dell’Egitto, mentre nella fase di estremo declino degli ultimi residui ancora rimasti in Egitto dopo la cacciata degli Hyksos agli inizi del XVI secolo, alla metà del XIII secolo, abbiamo l’esodo guidato da Mosè. Jahvè riconobbe subito in Abramo il suo degno capostipite della razza ebraica e impose a lui e ai suoi discendenti la circoncisione come segno di appartenenza. Il  disastrato, peggio che  lunare paesaggio del Mar Morto, dove non si trova alcun essere vivente a pagarlo oro, va spiegato, ovviamente, con una punizione divina. Per la verità la storia della distruzione di Sodoma e Gomorra da parte di Dio e dei suoi angeli potrebbe anche essere una rielaborazione di fatti reali non del Mar Morto meridionale, dato che la regione ben difficilmente può essere stata abitata e soprattutto intensamente abitata in passato, bensì delle esperienze dei popoli della Valle dell’Indo e comunque confluite nel Mahabharata e nel Ramayana. Tutto sarebbe avvenuto a causa del mancato rispetto dell’ospite e cioè gli angeli – evidentemente di sesso maschile – di cui i  Sodomiti volevano abusare sessualmente. La violazione del diritto d’ospitalità da parte di Paride che era fuggito con la moglie e la cassa di Menelao giustificò la favola omerica della guerra di Troia, « perché ciascuno tremi, anche degli uomini che saranno, di far del male a un’ospite ch’abbia mostrato amicizia » (Il. III, 353-354). Dio fece piovere  fuoco e zolfo  dal cielo  e la moglie di Lot fu trasformata in statua di sale per non aver tenuto conto dell’avvertimento di non voltarsi a guardare datole dai messaggeri di Dio. Questi angeli possiedono dei poteri che non so fino a che punto la fantasia ebraica avrebbe potuto inventare. Essi colpiscono i nemici con un abbaglio accecante (Gen 19,11) e possiedono armi di distruzione di massa. (Quelle stesse che gli Americani fanno finta di cercare in Iraq e che invece hanno usato due volte sul Giappone in ginocchio.) Il loro sarebbe stato il primo olocausto registrato dalle cronache ebraiche: « Abramo… contemplò dall’alto Sodoma e Gomorra e tutta la distesa della valle e vide che un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace. » (Gen 19,27-28).  Sodoma e Gomorra non sono mai esistite ma se qualcuno le vuol proprio cercare lo deve fare sotto le acque salate della parte meridionale del Mar Morto, la Valle di Siddim. A  Lot fu comandato di abbandonare al più presto la valle e salvarsi sui monti, ed egli si salvò a Zoar (tradotto Segor nelle vecchie edizioni  Paoline).

Ovviamente  Moabiti ed Ammoniti, nemici degli Ebrei, derivano dal rapporto incestuoso fra Lot e le sue figlie, unici superstiti dell’olocausto perpetrato da angeli extraterrestri dotati di armi nucleari.

Abramo era un mentitore nato e ripeté  presso il re Abimelec di Gerar nel deserto del Negheb ciò che aveva fatto in Egitto, presentando Sara sua moglie come sua sorella.  Poiché ricadere nell’errore lo fa apparire piuttosto un preciso modo di agire, ne deriva  che Abramo era d’accordo col suo… dio. Lui se la godeva in un dolce far niente in grazia di sua moglie che concedeva le sue grazie al re locale, poi un bel giorno, con un qualche espediente,  il dio spifferava in un orecchio del re che Sara era la moglie di Abramo e che lui, dio, era arrabbiato (non con Abramo il mentitore, bensì) con il re (gabbato) e gli prospettava l’estinzione del suo popolo se non avesse rilasciato moglie e marito con tante scuse e tante pecore a titolo di risarcimento. Poi uno si domanda come facesse Abramo ad avere un gregge così grande. Tanto di cappello da parte dei più abili  truffatori napoletani! Però anche Abimelec non brillava per intelligenza, perché ricadette nella stessa truffa da parte di Isacco figlio di Abramo, col risultato che Isacco        « divenne ricco e crebbe tanto in ricchezze fino a diventare ricchissimo: possedeva  greggi di piccolo e di grosso bestiame  e numerosi schiavi e i Filistei cominciarono ad invidiarlo. »

Al tempo di Abramo c’erano i sacrifici umani (si pensi ad Ifigenia sacrificata per favorire la partenza della flotta achea da Aulide). Il Dio degli ebrei mise alla prova – prova di cattivo gusto – Abramo chiedendogli di sacrificare il figlio Isacco. Abramo e Sara furono sepolti a Ebron.  Giacobbe, figlio di Isacco, è ancora più bugiardo e truffaldino di suo padre e di suo nonno, e proprio per questo riceve ancor più il favore del suo dio. Anche gli dèi di Omero stravedono per lo scaltro Odisseo. Giacobbe ruba  la primogenitura al fratello Esaù (antenato degli Edomiti) sfruttandone una situazione di bisogno, col famoso piatto di lenticchie. Prima che Isacco muoia, col suggerimento dell’astuta madre, Giacobbe si fa benedire prima di Esaù, il cacciatore, il prediletto di Isacco che ormai non ci vedeva più. Isacco chiede a Esaù di preparargli un piatto a base di cacciagione e quello prende e parte. Rebecca, che ha sentito tutto, dice a Giacobbe di darle due capretti del gregge e li cucina come se fossero cacciagione: « Giacobbe rispose a Rebecca, sua madre: “ Tu sai che mio fratello Esaù è tutto peloso ed io no. Se per caso mio padre mi palpasse, mi crederà un truffatore e  mi  attirerei addosso una maledizione invece della benedizione. ” » (Gn 27,11ss) No, come si potrebbe credere che Giacobbe sia un truffatore! Rebecca ricoprì Giacobbe con gli abiti di Esaù e con le pelli dei capretti gli coprì mani e collo. Isacco si stupì di come Esaù avesse fatto così presto a portargli il piatto di cacciagione e volle tastarlo: « La voce è quella di Giacobbe, ma le mani, son le mani d’Esaù. » E Isacco benedì Giacobbe l’ingannatore di suo  padre e di suo  fratello, che si prese la benedizione destinata ad Esaù. Onestamente, come si fa a credere nella religione di un popolo così ladro? Orbene Rebecca, l’antenata di tutte le bigotte, fu capace di ordire una così grande menzogna solo perché Esaù aveva sposato delle donne ittite; si ribellava all’idea che delle straniere (non era in questione la poligamia perché anche Abramo fu poligamo) inquinassero la razza. Gli Ebrei sono i veri razzisti della storia, razzisti non per cultura, ma di più,  per religione. Giacobbe va in Aram e lavora come pastore al suo servizio  per sette anni per avere Rachele da Labano e quello gli da invece Lia, che era bruttina. Allora lavora per lui altri sette anni e infine ottiene Rachele. Poi scappa con mogli e gregge e i lari e penati di famiglia.

Gli Ebrei sono spregevoli. Giacobbe si stabilì in Canaan presso gli Evei e qui sua figlia Dina fu amata e violentata da Sichem.  Gli Ebrei sono razzisti e la prova eccola qua. Il padre di Sichem, Camor, chiese a Giacobbe di dare Lia in moglie a suo figlio essendo disposto ad unire i due popoli mentre il figlio era disposto a pagare una ricca dote, allora gli Ebrei escogitarono una vile astuzia, sostenendo che solo se si fossero fatti  circoncidere sarebbero stati disposti allo scambio di spose e all’unione dei due popoli dimorando presso i Cananei. Camor e Sichem accettarono, ma quando gli Evei erano al terzo giorno della circoncisione, sofferenti, i due figli di Giacobbe, Simeone e Levi fratelli di Dina « entrarono nella città con sicurezza e uccisero tutti i maschi. Passarono così a fil di spada Camor e suo figlio Sichem, portarono via Dina dalla casa di Sichem e si allontanarono. I figli di Giacobbe si buttarono sui cadaveri e saccheggiarono la città, perché quelli avevano disonorato la loro sorella. Presero così i loro greggi e i loro armenti, i loro asini e quanto era nella città e nella campagna. Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini e le loro donne e saccheggiarono quanto era nelle case. Allora Giacobbe disse a Simeone e a Levi: “ Voi mi avete messo in difficoltà, rendendomi odioso agli abitanti del paese, ai Cananei e ai Perizziti, mentre io ho pochi uomini; essi si raduneranno contro di me, mi vinceranno e io sarò annientato con la mia casa. ” Risposero: “ Si tratta forse la nostra sorella come una prostituta? ” (Gen 34, 1ss). Qualcuno, un po’ rigido, potrebbe giustificare questo comportamento. E sia! Il fatto è che gli Ebrei vedono sempre e solo le cose dal loro punto di vista (come gli Americani, che sono di cultura ebrea) e quando fanno gli stessi errori di Sichem chiudono un occhio e anche tutti e due! Occhio per occhio, dente per dente vale sempre e solo contro i non Ebrei, mai per gli Ebrei stessi.

Giacobbe ebbe dodici figli, che servono a spiegare le dodici tribù di Israele. I fratelli invidiavano Giuseppe e un giorno che erano lontani a pascolare il bestiame lo vendettero a dei mercanti madianiti diretti in Egitto, che a loro volta lo vendettero a Potifar, consigliere del faraone e  comandante delle guardie. Giuseppe fece una bella carriera e diventò visir del Faraone. Durante una carestia da lui predetta (di cui non vi sono tracce nella storia documentata dell’Egitto; ricordiamo sempre che il Genesi non è un documento storico ma una favola nazionale con qualche verosimiglianza storica) tutti chiedono di acquistare le provviste dall’Egitto e Giacobbe manda in Egitto i suoi figli. Giuseppe si rivela a loro e il Faraone li invita a far venire in Egitto anche Giacobbe  perché gli assegnerà un territorio tutto per loro. Giacobbe viene  in Egitto e dopo morto viene sepolto a Ebron, Giuseppe invece alla sua morte fu imbalsamato e sepolto in una tomba in Egitto. Sarebbe interessante ritrovare un giorno la sua tomba (priva del sarcofago). 

La permanenza degli Ebrei in Egitto da Giuseppe a Mosè fu di 400 anni. L’Esodo vuole accreditare l’idea di un’oppressione inverosimile da parte del nuovo faraone. Delle due l’una, o il faraone li voleva espellere dall’Egitto oppure li voleva tenere come schiavi alla costruzione delle sue città. In un caso o nell’altro  è inimmaginabile e controproducente pensare alla verosimiglianza dello sterminio dei primogeniti. Mosè era un trovatello abbandonato davanti alla porta del tempio del quartiere fenicio di Memfi e nulla più (ma il razzismo ebraico arriva ad escogitare che sia stato allattato da sua madre ebrea per conto della figlia del faraone; naturalmente il latte di una nutrice egiziana lo avrebbe… contaminato). Ebbe la fortuna di essere allevato come un perfetto egiziano ma non fu riconoscente. Mosè era “balbuziente” e perciò aveva bisogno di Aronne che traducesse il suo egiziano per poi rivolgersi in ebraico al popolo. Anche i Greci chiamavano barbaroi, cioè balbuzienti, gli stranieri. E’ un classico. Apprese i rudimenti della religione egiziana, anche di quella incipiente di Aton, e se ne volle creare una tutta sua per dominare un popolo e una terra tutti suoi. Io non credo che il faraone trattenesse gli Ebrei contro la loro volontà. Credo piuttosto che volesse cacciarli e in effetti alla fine li cacciò perché erano individui turbolenti e raccogliticci, delle teste calde come Mosè che uccide l’egiziano e poi viene denunciato dai suoi stessi compagni, dei piantagrane a causa della  loro religione (pensiamo ad esempio agli immigrati di religione islamica che cinque volte al giorno devono interrompere il lavoro per rivolgersi alla Mecca e pregare, oppure se mangiano alla mensa aziendale questa deve preparare un menu appositamente per loro, che non mangiano carne di maiale,  mangiano solo carne di animali dissanguati,  non bevono vino, ecc.) che è anche più piena di divieti e prescrizioni di quella islamica, del loro settarismo, che li portava a vivere fra di loro evitando qualsiasi “ contaminazione ” con gli stranieri,  dei lavoratori negligenti (è assurdo pensare che il faraone gli facesse mancare la paglia con cui preparare i mattoni per fabbricare le sue città; per inciso, da questo momento quel minimo di organizzazione che gli Egiziani  diedero agli Ebrei sottoponendoli all’amministrazione di scriba – non scribi – della loro razza, diede luogo alla classe degli Scriba, gli Scribi delle traduzioni della Bibbia), dei predoni, poiché uscirono dall’Egitto dopo averlo razziato (« spogliarono gli Egiziani » Es 12,36), inseguiti dall’esercito del faraone. Le dodici piaghe sono un’invenzione, ma l’ultima, quella della morte dei primogeniti degli Egiziani, suggerisce una realtà probabilmente vera, e cioè che gli Egiziani, colpiti da qualche morìa inesplicabile abbiano avuto, come accade solitamente in queste circostanze, un sussulto di xenofobia, puntando il dito sugli Ebrei, costituenti una setta chiusa in sé, e dunque capaci di chissà quali malefici se non di puro e semplice malaugurio. Sul percorso del deserto che a dire dell’Esodo costeggerebbe la penisola sinaitica c’è da essere abbastanza scettici. Il percorso avrà seguito le vie carovaniere del tempo in una direttrice assai rettilinea e a settentrione, che passava per Suez ed arrivava fino ad Ezion-Geber, vicino a Elat, e poi risaliva passando nei territori degli Edomiti e Moabiti, in Transgiordania. Come l’intendeva lo stesso Giuseppe Flavio, l’Esodo sarà stato l’ultimo strascico della cacciata degli Hyksos dal delta sotto la XVIII dinastia.

Il faraone dell’Esodo è probabilmente Ramesses II, come emerge dal Papiro Tulli (vedi) e dalla stele di suo figlio Merenptah in cui Israele è per la prima volta menzionato. Data la possibilità che nella circostanza ci sia stata una presenza ufologica il passaggio del Mar Rosso nel mezzo delle acque divise, con connessa caduta di quaglie, manna, e probabilmente pesci, potrebbe essere stato determinato dal passaggio radente di dischi volanti extraterrestri e non essere solo il frutto della fervida fantasia ebraica. Ovviamente gli Ebrei ingigantirono un episodio insignificante della storia egiziana e il faraone non morì affatto travolto dalle acque. L’Esodo è narrato nel libro omonimo  o dal suo incipit Weelle shemoth “E questi sono i nomi”. Gli Ebrei « bene armati » (Es 13,18) e portandosi dietro la mummia di Giuseppe, uscirono dall’Egitto, guidati dalla colonna di Jahvè, di nube di giorno e di fuoco di notte, e impiegarono solo tre mesi per arrivare alla punta della penisola del Sinai e al monte omonimo (Es 19,1ss; dunque è inverosimile che abbiano impiegato  40 anni ad arrivare in  Transgiordania). Fin dall’uscita dall’Egitto ovviamente  Mosè divise il suo popolo in tribù, migliaia, centinaia, cinquantine e decine, ponendo a capo di ciascuna unità un responsabile.

Sul Sinai (ma in realtà da qualche altra parte, magari il monte Oreb, dove Jahvè si mostrò a Mosè dal roveto ardente?) Mosè ricevette da Jahvè le Leggi. Dio si manifesta attraverso un temporale: « sul far del mattino, vi furono tuoni, lampi, una nube densa sul monte e un suono fortissimo di tromba: tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore… Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuco  e il suo fumo saliva come il fumo da una fornace: tutto il monte tremava molto. Il suono della tromba diventava sempre più intenso: Mosè parlava e Dio gli rispondeva con voce di tuono… Poi il Signore disse a Mosè: “ Scendi, scongiura il popolo di non irrompere verso il Signore per vedere, altrimenti ne cadrà una moltitudine! Anche i sacerdoti, che si avvicinano al Signore, si tengano in stato di purità, altrimenti il Signore si avventerà contro di loro! ” Mosè disse al Signore: “ Il popolo non può salire al monte Sinai, perché tu stesso ci hai avvertiti dicendo: “ Fissa un limite verso il monte e dichiaralo sacro. ” Il Signore gli disse: “ Va’, scendi, poi salirai tu e Aronne con te. Ma i sacerdoti e il popolo non si precipitino a salire verso il Signore, altrimenti egli si avventerà contro di loro! ” » (Es 19,16ss)

Per chi veda le cose obiettivamente le ipotesi sono due, o Mosè ha architettato una truffa con effetti speciali in occasione di qualche fenomeno naturale (fuoriuscita di gas) in occasione di un temporale, aggiungendovi suoni di tromba ecc., oppure, ed è l’ipotesi nettamente più probabile, si trattò di un vero incontro ravvicinato del terzo tipo con effetti paragonabili ad un temporale e ai prodromi di un’eruzione vulcanica. Quando Mosè e gli altri anziani salirono sul monte videro (e mangiarono e bevvero con) Dio che poggiava su una specie di  « pavimento in lastre di zaffiro, simile in purezza al cielo stesso. » (Es 24,10) E’ pericoloso guardare il volto di dio che consente una prima volta a Mosè di guardarlo solo di spalle (Es 33, 18ss). Successivamente  Mosè parlò con dio faccia a faccia  per 40 giorni per riceverne la Toràh, la Legge, e come conseguenza « la pelle del suo viso era diventata raggiante » (Es 34,28ss), per cui doveva porsi un velo in testa quando parlava coi suoi collaboratori. Io lo interpreto come una luminescenza della pelle effetto dell’esposizione a radiazioni.

Gli dèi (la trinità) di Mosè hanno memoria corta, perché hanno già avvertito Mosè e non se lo ricordano, oppure insistono sulla pericolosità dell’avvicinarsi ovviamente perché nel caso la folla si accalcasse sarebbero costretti a spararle addosso come unico modo per evitare di essere schiacciati. Ovviamente alzarsi in volo su un disco volante non è un’operazione che richieda pochi secondi. C’è sempre una certa ambiguità negli incontri dell’uomo con Dio, ma io propendo per l’ipotesi dell’incontro con extraterrestri. La religione ebraica è nata fondamentalmente per gemmazione da una civiltà extraterrestre, e ciò ne fa una religione essenzialmente disumana sia pure sotto la parvenza di una religione come tante altre terrestri. Ad esempio il Dio degli Ebrei « castiga  la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione », mentre presso tutti i popoli civili della terra  la colpa è personale e uno  paga solo per i suoi  sbagli e non per quelli commessi da altri.

Dio parla per modo di dire, perché il popolo sente solo una « voce di tuono »  fra tuoni e lampi, suono di corno e fumi che salivano dal monte. Le leggi date da Dio a Mosè, che il popolo conosce dalla voce di  Aronne, sono assai più del famoso decalogo. Non starò qui ad analizzarle. C’è da rilevare la prescrizione dello sterminio di coloro che credono a dèi al di fuori di Dio (Es 22,19),  il divieto di molestare o opprimere lo straniero  « perché voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto » (Es 22, 20; 23,9). Queste sono le migliori parole dette a favore dello straniero in tutto l’A. T. D’ora in poi sarà espresso il pensiero che dallo straniero ci si deve tenere alla larga e non avere alcun rapporto nemmeno di affari. Già che parliamo della legge vale la pena anticipare quanto detto negli altri Libri della Torah. Salto a piè pari il Levitico  o Wayyqra  ‘E chiamò’, la legge dei sacerdoti, della tribù di Levi o Leviti. Quanto a Numeri o Wayedabber  ‘E parlò’, menzionerò solo l’ordalia per verificare se la moglie del geloso gli  è infedele, che a mio avviso è l’escamotage degli Ebrei per disfarsi legalmente della moglie, un divorzio… all’italiana degli Ebrei, insomma:

« Se una donna si sarà traviata e avrà commesso una infedeltà verso il marito… ma la cosa è rimasta nascosta agli occhi del marito… e non vi siano testimoni contro di lei perché non è stata colta sul fatto, qualora lo spirito di gelosia si impadronisca del marito… anche se la moglie  non si è contaminata, quell’uomo condurrà la moglie al sacerdote e porterà un’offerta per lei… Il sacerdote farà quindi stare la donna davanti al Signore, le coprirà il capo e porrà nelle mani di lei l’oblazione commemorativa, che è l’oblazione di gelosia, mentre il sacerdote avrà in mano l’acqua amara che porta maledizione. Il sacerdote farà giurare la donna e le dirà: Se nessun uomo ha avuto rapporti disonesti con te… quest’acqua amara, che porta maledizione, non ti faccia danno! Ma se ti sei traviata ricevendo un altro… Allora il sacerdote farà giurare la donna con un’imprecazione; poi dirà alla donna: Il Signore faccia di te un oggetto di maledizione e di imprecazione in mezzo al tuo popolo, facendoti avvizzire i fianchi e gonfiare il ventre; quest’acqua che porta maledizione ti entri nelle viscere… E la donna dirà: Amen [Così sia!], Amen! Poi il sacerdote scriverà queste imprecazioni su un rotolo e le cancellerà con l’acqua amara. Farà bere alla donna quell’acqua amara che porta maledizione… il sacerdote prenderà dalle mani della donna l’oblazione di gelosia… prenderà una manciata di quell’oblazione come memoriale di lei e la brucerà sull’altare; poi farà bere l’acqua alla donna… se essa si è contaminata e ha commesso un’infedeltà contro il marito, l’acqua che porta maledizione entrerà in lei per produrre amarezza; il ventre le si gonfierà e i suoi fianchi avvizziranno e quella donna diventerà un oggetto di maledizione in mezzo al suo popolo. Ma se la donna non si è contaminata ed è pura, sarà riconosciuta innocente e avrà figli… il sacerdote le applicherà questa legge integralmente. Il marito sarà immune da colpa, ma la donna porterà la pena della sua iniquità. » (5,12ss) La magia è  vietata con la pena di morte: « Non si trovi in mezzo a te… chi esercita la divinazione o il sortilegio o l’augurio o la magia; né chi faccia incantesimi, né chi consulti gli spiriti o gli indovini, né chi interroghi i morti, perché chiunque fa queste cose è in abominio al Signore; a causa di questi abomini, il Signore tuo Dio sta per scacciare quelle nazioni davanti a te… » Solo i sacerdoti autorizzati dal  Dio degli Ebrei possono compiere delle magie e fatture come quella di cui abbiamo appena trattato e profetare: « Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto… io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò… Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire… quel profeta dovrà morire… Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non accadrà… l’ha detta il profeta per presunzione; di lui non devi aver paura. » (Dt 18,10ss) Dunque l’unico modo di identificare il vero profeta è vedere se si realizza quanto da lui profetizzato. Ogni  commento è superfluo. L’ultimo libro della Toràh si chiama Deuteronomio e in ebraico Elleh haddevarim  ‘Queste sono le parole’. Nel Deuteronomio è consentito il matrimonio con la prigioniera di guerra (cioè con la straniera; praticamente le uniche straniere che gli Ebrei conoscono sono quelle cui muovono guerra e viceversa) purché le sia  rasa la testa e le si taglino le unghie, e se poi non è più gradita la si può abbandonare a piacimento. E’ solo escluso venderla, certamente perché un altro ebreo non deve prendersi gli scarti di un suo connazionale (Dt 21,10ss).

Non credo minimamente alle leggi scritte da Jahvè su tavole di pietra e poi a quelle che avrebbero scritto su grandi pietre intonacate rizzate sul monte Ebal in Cisgiordania, e ciò per due motivi, perché è tipico delle prime fasi di una comunità che le leggi siano note solo ad una ristretta cerchia di potenti, mentre al popolo esse vengono opposte solo quando fa comodo, e poi perché in Egitto se non prima gli Ebrei avevano imparato a scrivere più comodamente su papiro con il calamo. La Toràh, ovvero la Legge mosaica, in cinque rotoli (o quattro: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri; il Deuteronomio è  postesilico) sarà contenuta nell’Arca dell’alleanza, forse andata distrutta nel 587 a. C. con Gerusalemme, forse nascosta ai piedi del monte Nebo da Geremia e Baruc. E’ interessante che Mosè e i sacerdoti prescrivano agli Ebrei, una volta passato il Giordano di compiere un giuramento composto da una sfilza di maledizioni ad alta voce al cospetto di tutto il popolo, maledizioni che vertono su temi che nulla o  poco hanno a che vedere col famoso decalogo. Al primo punto non si prescrive che sia adorato solo Jahvè (e ovviamente si tratterà di svista dovuta a cattiva formulazione giuridica), bensì che non si faccia alcun idolo: « Maledetto l’uomo che fa un’immagine scolpita o di metallo fuso, abominio per il Signore, lavoro di mano d’artefice, e la pone in luogo occulto! Tutto il popolo risponderà e dirà: Amen » (Dt 27,15), e così via. Degne di menzione sono le seguenti maledizioni, per chi lede il diritto del forestiero, dell’orfano e della vedova; per chi si unisce a qualsiasi bestia (immaginate un po’ di che gente si trattava; e poi ci scandalizziamo di Pasifae, del Toro marino e del Minotauro!);  per chi accetta un regalo per condannare a morte un innocente; per chi non mantiene in vigore le parole di questa legge per metterla in pratica. Questo il popolo doveva sapere, a voce.

Poiché ritardava a scendere dal sacro monte (scusa peregrina) il popolo chiese il Vitello d’Oro e Aronne glielo fece realizzare. Quando Mosè scese dal monte chiamò a sé i Leviti, la casta sacerdotale, e fattili armare fece sterminare  tremila uomini fra gli apostati. Poi Mosè disse ai Leviti: « Oggi voi siete stati  consacrati al servizio del Signore, chi a prezzo del proprio figlio,  e chi del proprio fratello; perciò oggi Egli vi dona la benedizione »  (Es 32,29). Da questo momento le lamentele del popolo o gli ammutinamenti e le ribellioni sono frequenti e si concludono regolarmente con migliaia di morti per cause diverse.

Dopo la morte di Aronne sul monte Or,  Mosè fece il serpente di bronzo come stendardo. Questo era il drago malefico Apep, dio degli  Hyksos di cui alcuni re presero il nome, Apopi o Apopis. La parte transgiordana dell’Esodo è preceduta dall’episodio del (falso) profeta Balaam la cui asina, per intervento divino, si mise a parlare come il cavallo Xanto di Achille (Il. XIX 404ss): « Allora il Signore aprì la bocca all’asina ed essa disse a Balaam: “ Che ti ho fatto perché tu mi percuota già per la terza volta? ” Balaam rispose all’asina: “ Perché ti sei beffata di me! Se avessi una spada in mano ti ammazzerei subito. ” L’asina disse a Balaam: “ Non sono io la tua asina sulla quale hai sempre cavalcato fino ad oggi? Sono forse abituata ad agire così? ” Ed egli rispose: “ No. ” Allora il Signore aprì gli occhi a Balaam ed egli vide l’angelo del Signore, che stava sulla strada con la spada sguainata. » (Nm 22,28ss), e il bello è che né Balaam né Achille si stupirono minimamente del fatto straordinario di un animale parlante. Gli Ebrei non fanno distinzione fra ciò che immaginano nella loro fantasia e ciò che è reale, per loro tutto può essere reale, anche l’asino che vola.  Forse ciò è suggerito dai miraggi del deserto, che fanno vedere l’acqua dove non è (così magari Cristo ci cammina sopra; è solo un’ipotesi buttata là)  o dalla forte escursione termica che cuoce e gela il cervello fino a farlo sragionare; se poi ci aggiungiamo le febbri, i digiuni, l’alimentazione sbilanciata, l’isteria religiosa…

Stando alla Toràh o Pentateuco dovunque incontrano un nemico gli Ebrei lo sterminano. Prima di Gerico non si parla esplicitamente di olocausto, ma nel caso dei Moabiti, ritenuti responsabili della deviazione religiosa degli ebrei (che vennero appesi al palo in 24.000 – cifra sicuramente fantasiosa, in linea con l’A. T. – e la mattanza sarebbe continuata se  Pincas, nipote di Aronne, non avesse avuto l’idea di spegnere la sete di vendetta di Mosè con un gesto plateale con cui sventrò una madianita – una straniera! – di passaggio e con lei il suo accompagnatore ebreo, Nm 25,1ss) verso il culto di Baal-Peor Mosè richiese esplicitamente l’uccisione di tutti,  donne e bambini compresi, salvo le vergini (Nm 31, 11ss). Gli Ebrei amano essere puri, e così dopo questo vile massacro Mosè prescrive che i soldati-macellai  si purifichino stando in quarantena una settimana, i metalli siano purificati passandoli appunto attraverso il fuoco e così via. Poi si ricomincerà daccapo a sporcarsi le mani di sangue.

Dall’alto del monte Nebo, cima del Pisga, di fronte a Gerico,  Mosè vide la terra promessa, ma ormai vecchio e stremato dalle fatiche morì (come la prima generazione che l’aveva seguito) e fu sepolto nella valle ai piedi del monte Nebo, di fronte a Bet-Peor « nessuno fino ad oggi ha saputo dove sia la sua tomba ». Qui potrebbe stare anche l’Arca dell’alleanza.

L’Esodo attribuisce la morte prematura alla mancata fede in Jahvè, e ciò è parzialmente vero, perché oltre a morire per gli stenti di una marcia attraverso un terreno ostile alla vita umana,  i fuoriusciti dall’Egitto non credevano tutti e nemmeno la maggior parte a Jahvè per il semplice motivo che seguivano religioni eterogenee e assai egittizzanti, come abbiamo visto. Mosè fu praticamente il primo dei Giudici di Israele, cioè un sacerdote (un consacrato da Dio) guerriero, duce del suo popolo,  e alla sua morte  il giudicato passò a Giosuè che fece oltrepassare agli Ebrei il Giordano, portandolo in Cisgiordania. Il sacerdos etrusco era la medesima cosa.

 

Profeti anteriori: Giosuè, Giudici, 1-2 Samuele, 1-2 Re:

   

Le imprese di Giosuè sono narrate nel libro omonimo. La fantasia poetica del libro di Giosuè è ancora la stessa del Pentateuco. L’arca è opera di uomo, attribuita all’artigiano Bezaleel, e serviva semplicemente a contenere i rotoli della Legge, però con essa i Leviti compiono le stesse identiche opere miracolose che compiva Dio attraverso la sua colonna di nube e di fuoco al tempo di Mosè, e cioè il passaggio delle acque del Giordano (fiume guadabile in più punti a piedi; e anche il passaggio del Mar Rosso deve essere avvenuto in una fase di secca e in prossimità della costa mediterranea) e la presa di Gerico, girandogli intorno per sette giorni con l’arca avanti preceduta dal suono delle trombe, col crollo delle mura nel settimo. Se dovessimo giudicare dell’intervento extraterrestre dal libro di Giosuè dovremmo negarlo e attribuire tutto alla fantasia ebraica. Nel caso di Gerico per la prima volta una città fu votata  esplicitamente all’olocausto (ovviamente tranne i preziosi, e la prostituta che aveva consentito agli Ebrei di fare una ricognizione dell’area). E fu anche la prima volta che, dopo una successiva sconfitta militare, dovuta, pensavano, certamente alla violazione dell’interdetto di Gerico, con un procedimento  risibile con cui si pretendeva di ottenere da Dio il nome del colpevole, fu ‘scoperto’ uno (sicuramente fra tanti) che aveva nascosto dentro la sua tenda qualche prezioso destinato al ‘tesoro di Jahvè’. Fu così che il povero disgraziato fu sottoposto alla pena dell’olocausto e dato alle fiamme insieme alla sua famiglia e a tutte le sue cose. Dopodiché ovviamente gli Ebrei riuscirono ad entrare ad Ai, misero da parte il bottino e diedero alle fiamme tutto il resto, uomini, donne, vecchi e bambini. Il re di Ai fu appeso al palo, cioè crocifisso, e se ne stette appeso fino al tramonto, dopodiché fu gettato davanti alla porta della città e (probabilmente  perché era ancora vivo) lapidato, cioè preso a sassate tanto da risultare ricoperto da un grande tumulo di pietre. Da questo momento in poi non mi soffermerò più sulla fine delle città conquistate dagli Ebrei perché la prassi fu seguita costantemente. Furono gli Ebrei a inventare l’olocausto? No certamente, perché popoli assai più antichi e civili di loro lo hanno praticato con maggiori dettagli raccapriccianti così come i popoli successivi, prima di tutto i Romani, e popoli che vivono fra noi continuano, oggi, di tanto in tanto, ad applicarlo con la stessa metodicità e ferocia. Nulla è cambiato da allora a oggi, nemmeno, certamente, le norme di diritto internazionale, inefficaci, che condannano lo sterminio di un popolo. Ciò che mi disturba soprattutto è che gli Ebrei vivono di rendita sull’olocauso di cui sono stati vittime perché degli altri sì, solo di loro, strumento dell’unico e vero Dio, non si può fare olocausto.

Come i Romani, gli Etruschi, gli Achei e Troiani di Omero, gli Ebrei traggono gli auspici prima di ogni battaglia per sapere da Dio se la vinceranno o sarà meglio astenersi. Naturalmente se gli auspici sono favorevoli e perdono la battaglia non danno la colpa a Dio, ma ai sacerdoti impuri o a qualcuno che ha commesso impurità fra gli Israeliti, e ovviamente un capro espiatorio lo trovano sempre, inesorabilmente.

Sul monte Ebal Giosuè legge la Legge e fa giurare il popolo sulla sua osservanza con formule di maledizione.

Dio aveva detto che nessun popolo avrebbe dovuto essere risparmiato dentro Israele, ma i Gabaoniti con la loro astuzia degna di Sinone o di Odisseo, gabbarono gli Israeliti e strinsero con essi un’alleanza che gli consentiva di vivere in mezzo ad essi. Finsero di essere giunti da molto lontano, vestendo abiti logori e portando sui loro asini sacchi e otri sdruciti come se fossero stati in viaggio per molto tempo, mentre le loro città distavano solo tre giorni di viaggio. Ovviamente non c’entra nulla la prescrizione di Dio (anche perché altrimenti dovremmo concludere che dormiva mentre Israele si faceva gabbare). Si tratta solo di una favoletta che tenta di dare una spiegazione, dunque  eziologica, del perché in Israele ci fossero anche comunità di stranieri, che del resto sono presi in considerazione e tutelati dalla Legge mosaica. Naturalmente questi Gabaoniti erano destinati ai lavori più umili, portatori d’acqua e taglialegna. Di sterminio in sterminio, di falò in falò, di crocifissione in crocifissione, gli Ebrei conquistarono il sud di Israele e poi il nord. Allora Giosuè cominciò a discutere la spartizione della Cisgiordania fra nove tribù e metà di quella di Manasse (perché  a metà della tribù di Manasse, a Ruben e Gad erano stati assegnati territori in Transgiordania). Silo divenne la città santa federale, dove venne costruito il tabernacolo, e  Sichem la capitale (dove fu sepolta la mummia di Giuseppe), entrambe in quella che fu poi chiamata Samaria. Presso Sichem, poi Sicar, sul monte Garizim sorgeva al tempo di Gesù il tempio dei Samaritani (rivale di quello del monte Sion e dunque di Gerusalemme, Gv 4,20).

Nel libro dei Giudici, anch’esso fitto di imprese ingigantite rispetto alla realtà dei fatti, è narrata la storia di   Israele – il completamento delle guerre di espansione contro Cananei e Filistei –  sotto i giudici. E’ questo un periodo turbolento in cui gli Ebrei ce le presero più che darle (e la colpa fu data al fatto che avevano abbandonato Dio per seguire gli dèi locali) e la storia è ricostruibile in modo frammentario, dal giudice Otniel al giudice Sansone, il più celebre fra tutti. E’ l’epoca veramente eroica della storia di Israele nascente punteggiata di imprese per lo più individuali di uomini e donne coraggiosi.

Dal Canto di Debora veniamo a sapere che i Daniti, che diedero ad Omero lo spunto per i suoi Danai, erano un popolo marinaro (Gdc 5,17) a nord del Mar Morto. A mio modo di vedere ne deriva che i Daniti erano giunti nella regione autonomamente dal gruppo guidato da Giosuè e in tempi anteriori. Tanto è vero che nelle appendici al libro dei Giudici la loro storia è quella di un popolo che ha una sua propria migrazione al di fuori della spartizione effettuata da Giosuè. Anticipo quanto viene detto nelle appendici a proposito della migrazione dei Daniti. Questi avendo mandato esploratori laddove poi si stabiliranno, a nord di Israele, hanno chiesto al sacerdote levita di Mica di interrogare la sua statua d’oro, di getto, di Jahvè se il loro viaggio avrà successo: « “ Andate in pace, il viaggio che fate è sotto lo sguardo del Signore ” ». La storia del santuario di Mica è vergognosa. Mica, disoccupato, aveva rubato dei soldi alla madre e con quelli col consenso di lei che vi aveva lanciato contro una maledizione,  ci montò su un’attività redditizia divenendo gestore di un luogo di culto consacrato a Dio! Si fece fondere la statua di Jahvè, si procurò tutto l’arredo sacro e stipulò un contratto di impiego col  sacerdote levita che gli celebrasse i rituali. Non c’è che una spiegazione nella nascita di un  culto, ed è l’entrata di denaro e il potere, esattamente e più che in tutte le altre attività dell’uomo.  I Daniti, partendo definitivamente per la loro destinazione finale, passarono dunque dal santuario di Mica e gli portarono via statua ed arredi e perfino il sacerdote levita che protestava: « “ Taci, mettiti la mano sulla bocca, vieni con noi… Che cosa è meglio per te, essere sacerdote della casa di un uomo solo oppure  essere sacerdote di una tribù… in Israele? ”  Il sacerdote gioì in cuor suo; prese l’efod, i terafim e la statua scolpita e si unì a quella gente… Quelli dunque… giunsero a Lais, a un popolo che se ne stata tranquillo e sicuro; lo passarono a fil di spada e diedero la città alle fiamme. Nessuno le prestò aiuto, perché era lontana da Sidone e i suoi abitanti non avevano relazioni con altra gente. » (Gdc 18,19ss)

Il santuario di Silo era federale come il Fanum Voltumnae etrusco, il che vuol dire che quando era necessario difendersi dai nemici o di intraprendere una guerra offensiva tra i candidati (provenienti dalle varie tribù) veniva scelto nel santuario da Dio stesso per mezzo del sommo sacerdote il giudice o duce consacrato, latino sacerdos, che traduce il nome etrusco corrispondente del duce della lega etrusca. Abimelech tentò di instaurare la monarchia a Sichem (dove era venerato Baal-Berit, Baal dell’alleanza, che evidentemente gli Ebrei venuti dopo identificavano con Jahvè dell’alleanza, intorno ad una quercia e ad un cippo, Gdc 9,6), ma non ebbe successo.

Sansone è il prototipo di tutti i personaggi esagerati dalle imprese esagerate. Una volta cattura trecento volpi, ne lega due a due a una torcia accesa e le lascia andare pei campi di grano dei Filistei, incendiando i covoni ammassati. Un’altra volta con una mascella d’asino uccide mille Filistei. Un’altra volta ancora fu braccato a Gaza dai Filistei e lui attese mezzanotte e quando quelli dormivano svelse le porte della città e se li portò via. Gli piacevano le straniere (notare bene che era nazireo, cioè consacrato a Dio!) ma per la prima volta ciò non costituisce una censura che metta fuori gioco il nostro personaggio. (La verità è che il libro dei Giudici ci presenta una religione ebraica che emerge poco a poco come del resto apprendiamo da una lettura corretta di Esodo e Giosuè, dove gli unici a credere nella religione ebraica sono i Leviti, mentre il popolo segue divinità egizie e cananee)  Gran chiacchierone con le donne, altro difetto censurabile secondo i canoni della religione ebraica, non contento di cascarci una volta nel tradimento della moglie straniera, ci casca per l’ultima e fatale volta, quando i Filistei lo catturano, gli tagliano i capelli, e ne fanno il loro zimbello. Però i capelli ricrescono e lui, ormai cieco e incatenato nel tempio di Dagon a Gaza, dov’era in corso una festa in cui aveva appena intrattenuto i Filistei con qualche pagliacciata,  si appoggia a due colonne e le spinge da una e dall’altra parte, facendo venir giù tutto l’edificio e facendo morire in quella sola volta più Filistei di quanti aveva ucciso in tutta la sua vita. In quell’occasione pronunciò la celebre frase: « Che io muoia insieme ai Filistei! »

Nelle appendici al libro dei Giudici si narra la storia dei Daniti (di cui abbiamo detto) e dei Beniaminiti. La storia dello sterminio dei Beniaminiti a causa della violenza degli uomini di Gaba non mi convince. E’ una storiella che cerca in modo piuttosto grossolano di travisare la realtà. I Beniaminiti erano probabilmente come i Ramnenses di Romolo, solo giovani guerrieri, magari dei guerrieri mercenari di professione, e per creare un popolo occorrono le donne, che essi rapirono, esattamente come i Romani, durante una festa federale nel santuario di Silo. E oltretutto contrariamente a quanto Giudici vorrebbe far credere i Beniaminiti erano talmente agguerriti che gli altri dovettero accettare il fatto compiuto o comunque se battaglie vi furono i Beniaminiti ne uscirono vincenti. La verità è che Israele è nato non a tavolino come vorrebbero l’Esodo e Giosuè, ma da popoli eterogenei, anche non provenienti dall’Egitto, che si scannarono prima di vivere pacificamente insieme. Anche i Beniaminiti arrivarono in Israele per via diversa dal gruppo guidato da Mosè. Tutto ciò che è scritto nell’A. T. ha uno scopo, anche quando può non sembrare. Se dunque è narrata la storia più antica dei Beniaminiti questi ebbero un ruolo rilevante in Israele, e lo ebbero proprio come guerrieri. Anzi, gli Ebrei in quanto guerrieri sono detti Beniaminiti. E’ un guerriero beniaminita ad avvisare Samuele della sconfitta e dell’Arca rapita dai Filistei. Saul si rivolge al suo esercito in armi e lo chiama « Beniaminiti » (1 Sam 22,7). Il nucleo essenziale di Israele furono i membri di Beniamino e Giuda. Il libro 1 di Samuele, ancora pieno di storie fantasiose, come l’uccisione del gigante Golia da parte del pastorello Davide con un sasso lanciato dalla fionda che gli fracassò la fronte (e la storia potrebbe essere stata suggerita dal ritrovamento di ossa e crani di elefanti), narra del regno di Saul. Dopo Sansone, non sappiamo dopo quanto tempo, giudice di Isreaele fu Eli in questo tempo (1076 a. C. ca.) i Filistei durante uno scontro con gli Ebrei si impossessarono dell’Arca dell’alleanza. I figli di Eli mangiavano direttamente dalla pentola in cui bollivano le carni offerte a Dio, anzi, pretendevano che gli offerenti gli dessero direttamente le carni crude per poi cuocersele con comodo e a piacimento.  Inoltre si univano alle donne che prestavano servizio all’ingresso della tenda di convegno (1 Sam 2,22). Cosa ci facessero queste donne di servizio a Silo lo posso solo intuire: le prostitute sacre, a riprova che il culto a questa data era ancora tipicamente cananeo. A Eli successe Samuele, di Rama (si noti la somiglianza anche etimologica con  Roma), che fu l’ultimo giudice di Israele. Da Mosè a Samuele intercorrono circa 1000 anni. Al tempo di Samuele gli Ebrei chiesero un re e Samuele unse re il gigantesco Saul. Abbiamo qui il primo caso di contrasto fra chiesa e stato, per conflitto di poteri e con la prima che mette in difficoltà (perché quello comunque governa lo stesso) il secondo  scomunicandolo. Tutto il regno  di Saul (si congetturano venti anni dal 1040 a. C. ca.) fu funestato dalla mancanza di favore del sacerdozio di Silo che gli creò un antagonista in quel piccolo e coraggioso pastore Davide che poi diventerà re. A sua volta Davide (entrato a corte dopo l’uccisione del gigante filisteo Golia per placare col canto della cetra la depressione del re) è perseguitato e costretto a fuggire (diventerà perfino vassallo dei Filistei) dal geloso Saul (Davide è fortunato in guerra) che teme di esserne spodestato, fino a che Saul muore. Saul arriverà perfino a interrogare l’anima di Samuele tramite una negromante. Più di Saul è importante la figura di Samuele, uno dei peggiori esaltati della storia. Egli indisse una guerra santa contro gli Amaleciti: « “ Va’ dunque e colpisci Amalek e vota allo sterminio quanto gli appartiene, non lasciarti prendere da compassione per lui, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini ” … Saul colpì Amalek… prese vivo Agag, re di Amalek, e passò a fil di spada tutto il popolo… Allora fu rivolta a Samuele questa parola del Signore. “ Mi pento di aver costituito Saul re, perché si è allontanato da me e non ha messo in pratica la mia parola ” … Samuele raggiunse Saul… “ …Il Signore ti aveva mandato per una spedizione e aveva detto: Va’, vota allo sterminio quei peccatori di Amaleciti… Perché dunque non hai ascoltato la voce del Signore e ti sei attaccato al bottino e hai fatto il male agli occhi del Signore? ” … Poi Samuele disse:            “ Conducetemi Agag, re di Amalek  ” … Poi Samuele trafisse [le Paoline traducono correttamente: fece a pezzi] Agag davanti al Signore in Gàlgala. Samuele andò quindi a Rama…  Né Samuele tornò a rivedere Saul fino al giorno della sua morte. » (1 Sam 15,3ss)

Gli Ebrei e i Palestinesi in genere praticano il taglio della testa, Davide la taglia a Golia, i Filistei a Saul (deposero le sue armi nel tempio di Astarte e appesero il suo corpo alle mura di Bet-San. Gli Ebrei come gli Achei e Troiani di Omero e gli Etruschi praticano l’incinerazione seppellendo poi le ossa calcinate a parte (1 Sam 31,13).

Dal libro secondo di Samuele sappiamo che dopo la morte di Saul su Israele regnarono i suoi discendenti per quasi otto anni, mentre la tribù di Giuda aveva come re Davide e capitale Ebron. Veniamo a sapere che il taglio delle mani e dei piedi era una punizione applicata da Davide (2 Sam 4,12), oltre che dagli Egizi ai popoli del mare e dagli uomini di Odisseo al traditore Melanzio. Davide regna su tutto Israele dal 1010 a. C. ca. Da una lettura appena superficiale dell’A. T. risulta che Davide fu un generale di Saul che eccessivamente imbaldanzito da qualche vittoria decise di aspirare alla corona. Possiamo tranquillamente negare qualsiasi efficacia politica all’unzione da parte di Samuele così come la volontà di  Saul di tenere stretto a sé  Davide concedendogli una figlia in moglie (cf. 1 Sam 18,19; Saul fece credere a Davide che gli avrebbe dato in moglie Mical solo se gli avesse portato i prepuzi di duecento Filistei, nel senso che si attendeva che sarebbe morto nell’impresa, 1 Sam 18,21ss). Della volontà di Davide di ottenere la corona con il lasciapassare del matrimonio con una figlia di Saul (segno che nessun altro merito poteva vantare rispetto ai figli di Saul nei confronti del popolo ebraico) c’è invece da credere, e infatti ad Abner che con il tradimento gli propone di dargli in mano il regno dice espressamente: « Bene! Io farò alleanza con te. Però… non verrai alla mia presenza se prima non mi condurrai davanti Mikal figlia di Saul, quando verrai a vedere il mio volto. » (2 Sam 3,13) Fidarsi è bene, ma Mical avrebbe certamente garantito per la buona fede di Abner. Nello stesso tempo mandò ovviamente senza alcuna speranza di venire accontentato (checché ne dica 2 Sam 3,15) a richiedere Mical allo stesso Is-Baal figlio di Saul e re di Israele. La verità che io credo di intravedere da tutto il falso racconto di 2 Samuele è che Davide, usurpatore del regno e seguito dalla sola tribù di Giuda sguinzagliò i suoi sicari che ammazzarono uno dopo l’altro Abner e lo stesso Is-Baal, fino a raggiungere con tutti i mezzi discutibili possibile il regno su tutta Israele. Il bello è che Davide  poi faceva ammazzare i suoi sicari, così da non avere in futuro testimoni d’accusa nell’eventualità di un tentativo di deporlo dal trono.

Davide conquistò Gerusalemme e ne fece la capitale. Per entrarvi si servì del tunnel dell’acquedotto, metodo classico per penetrare nelle città antiche anche presso i Romani nei confronti delle città etrusche ricche di canalizzazioni. Col che si può capire anche come avrebbe potuto essere presa Troia di Omero. Infatti sappiamo che Odisseo era già entrato in città per un sopralluogo, e ciò fu possibile solo dalla canalizzazione dell’acqua o delle fognature, non certo dalla porta della città. Davide si costruì un palazzo ma si guardò bene dal costruire anche un tempio di Dio vicino al suo palazzo. Addirittura, per un certo tempo stabilì che l’Arca risiedesse fuori Gerusalemme, a Gat. Se non che il clero gli fece sapere che « il Signore ha benedetto la casa  di Obed-Edom e quanto gli appartiene a causa dell’arca di Dio » ciò che vuol dire « Se non prendi l’arca a Gerusalemme ti solleviamo contro un nuovo re », e ancora una volta il monarca dové abbozzare nello scontro minacciato dal clero. E Davide legò il suo successo al favore del clero di Gerusalemme. Il letto di Procuste fu inventato da Davide che aveva prescritto di uccidere tutti i Moabiti che superassero in altezza una determinata misura (2 Sam 8,2).

Davide fu un uomo spregevole, che uccise Uria l’ittita, militante nel suo esercito, per prenderne la moglie. Nonostante ciò le Scritture ritengono Davide il prediletto di Dio e i Cristiani fanno discendere Gesù (non da Salomone, figlio di Davide e di Betsabea vedova di Uria, che allora sarebbe stato un re sicuramente migliore di Davide, noto fra l’altro per la sua proverbiale saggezza, ma)  da Davide. Davide era poligamo.  Il profeta Natan allora scomunicò Davide e gli preannunciò ciò che poi avvenne, la congiura, fallita,  di suo figlio Assalonne. I tre desideri espressi da Aladino al Genio della lampada si trovano per la prima volta nella storia di Davide. Davide decise di fare il censimento dal quale risultarono ottocentomila uomini atti alle armi a Israele e cinquecentomila a Giuda. Allora Dio fece sapere a Davide tramite il profeta Gad che lo avrebbe punito. A lui la scelta tra tre diverse punizioni:  tre anni di carestia, tre mesi  in fuga dai nemici o tre giorni di peste. Davide scelse la peste. Morirono settantamila persone.

Il primo libro dei Re inizia con la salita al trono di Salomone (970 a. C. ca.). Prima di morire Davide, non smentendosi come re mascalzone, gli affida le sue ultime vendette. Così Salomone farà uccidere da Benaia, suo capo dell’esercito, il braccio destro del padre, Ioab, e poi Simei che lo aveva ingiuriato. Adonia suo fratello aveva cercato di usurpargli il trono e Salomone l’aveva perdonato, ma poi Adonia andò da Betsabea a chiedergli di intercedere perché potesse sposare Abisag, la vedova di Davide, al che Salomone, che era intelligente, mentre sua madre Betsabea era scema, le disse: « Perché tu mi chiedi Abisag la Sunnamita per Adonia? Chiedi anche il regno per lui, poiché egli è mio fratello maggiore e per lui parteggiano il sacerdote Ebiatàr e Ioab figlio di Zeruià. » Così Salomone diede ordine a Benaià di uccidere Adonia. Poi allontanò Ebiatàr il sacerdote e al suo posto nominò Sadoc (Zadòc) e diede ordine a Benaià di uccidere Ioab presso l’altare ai cui due corni s’era aggrappato.  A Sadoc si rifanno i Sadoqiti (Sadociti) dei rotoli del Mar Morto.

Salomone erige le mura intorno a Gerusalemme, costruisce il tempio, inaugurato nel 961,  la reggia. Nell’Arca, trasportata nel sancta sanctorum del tempio, erano custodite le leggi mosaiche (1 Re 8,9). Salomone era intelligente e sapiente, sentenzioso e poeta, erborista e zoologo, ma anche un prototipo dello strozzino ebreo, in quanto al povero Hiram di Tiro dopo vent’anni di lavoro delle sue squadre di architetti e l’anticipo dei materiali pregiati, Salomone rifilò in pagamento venti villaggi della Galilea, che Hiram appena li vide bollò come          « Terra di Kabul », come dire robaccia. Tirato com’era si spiega come mai fosse pieno d’oro. Dell’argento non teneva conto come tutti i Trimalchioni del mondo.

Checché ne dica 1 Re per la flotta Salomone si appoggiava ai porti e alle flotte fenici di Hiram, una sul Mar Rosso a Ezion-Gheber, l’altra di Tarshish, che circumnavigava l’Africa in senso antiorario, dal Mediterraneo. Sapiente com’era una sola persona venne a trovarlo, e donna per giunta, il che non è certo un titolo d’onore per uno educato sulla Toràh, una povera beduina, regina per modo di dire, di Saba, capitale di una regione della penisola arabica.

Come la più parte dei re e condottieri ebrei prima di lui Salomone era poligamo (si vantava di avere sposato la figlia del faraone, ma i faraoni non davano le proprie figlie a nessuno straniero e tantomeno al povero piccolo re Salomone; avrà senz’altro sposato una principessa dell’harem) e di conseguenza aperto a tutte le religioni delle sue donne. Va precisato che i migliori re ebrei furono quelli che adorarono gli dèi stranieri come Salomone. E’ un classico che i re cattivi siano quelli malvisti dalla casta che ne scrive la storia. I migliori imperatori romani sono quelli di cui parla male la classe senatoria (che ha lasciato scritti storici) così i migliori re ebrei sono quelli di cui parlano male e quanto più parlano male i leviti. Il clero di Jahvè, ovviamente, gli preannunciò (come punizione dei suoi matrimoni con donne straniere e del culto a dèi stranieri) la secessione dello stato di Israele a nord rispetto a  Giuda (capitale Gerusalemme) a sud e brigò per creare un re antagonista in Geroboamo che però se ne andò  profugo in Egitto.  In ogni caso lo scisma si verificò effettivamente dopo la morte di Salomone (931), quando gli successe il figlio Roboamo re di Giuda, poiché  Israele (le restanti 10 tribù) si separò sotto Geroboamo (tornato dall’Egitto) che stabilì la capitale a Sichem e innalzò due templi ai vitelli d’oro uno a Bet-El e uno a Dan.  Intanto a Gerusalemme Roboamo regnava su un popolo che adorava dèi stranieri. Si ebbero perfino prostituti sacri. Il faraone Sisach  fece un’incursione a Gerusalemme nel 927. Depredò il tempio e la reggia. Roboamo dovette procurarsi una scenografia che riproducesse con materiale scadente ciò che prima arredava questi edifici. E poiché ne aveva una sola con questa faceva la spola fra palazzo e tempio. Insomma la solita triste scena delle famiglie decadute che non lo vogliono ammettere. Non mi propongo di riassumere 1 e 2 Re per quanto riguarda la storia di Giuda e Israele. Si tratta di re e popoli sempre più lontani dai precetti di Jahvè e perciò condannati dal clero e dai profeti. Ad un certo punto finisce l’indipendenza di Israele e poco più tardi anche quella di Giuda. Ciò è visto come la punizione preannunciata da Jahvè.

Dirò invece qualcosa di Elia e del suo discepolo Eliseo di Israele che operarono da Acab (874-853) a Ioas (798-783). I fautori della teoria extraterrestre potrebbero vedere in Elia il depositario di poteri straordinari, che però rientrano semplicemente nei miracoli che altri dopo di lui faranno, risuscitare i morti e moltiplicare il pane e l’olio (Elia moltiplica l’olio; in più fa scendere la pioggia). Dato poi che anche Elia divide le acque di un fiume per passarci attraverso, non so se togliere quel poco di credito che do alla teoria extraterrestre del passaggio del Mar Rosso. Poiché Eliseo è discepolo di Elia neanche lui può essere un extraterrestre, anche se magari riuscì a compiere ciò che compiva il suo maestro e qualcosa di più. Elia salì al cielo in un turbine. Ciò capitò pure a Romolo, che non era un extraterrestre. Viceversa Elia e Eliseo mostrano un animo cattivo che se veramente erano uomini di Dio non ci dicono nulla di buono a suo riguardo. Elia sfidò gli 850 sacerdoti di Baal e Asera a chi pregando sarebbe riuscito a celebrare l’olocausto di un vitello col fuoco inviato dal proprio dio. I primi non vi riuscirono, Elia sì.  Dopo la prova Elia pretese le vite dei  sacerdoti pagani e li sgozzò personalmente. Eliseo con la sua invocazione a Dio manda il fuoco su cento soldati venuti a prenderlo per portarlo a colloquio col re e fa sbranare da due orse quarantadue ragazzi che lo avevano preso in giro per la sua testa pelata.  Comunque all’inizio del secondo libro dei Re vi sono molti episodi della vita di Eliseo piacevoli a leggersi. Eliseo è l’antenato degli eremiti ed ha certo ispirato in gran parte le storie che li riguardano. Con Salmanassar V e Sargon II termina il regno di Israele (721) ormai ridotto alla sola Samaria. Gli Etrusco-Romani cominciano le loro avventure poco prima e dunque è evidente che un certo numero di immigrati qualificati vennero sulle coste italiche piuttosto che cadere nelle mani degli assiri ed essere  deportati in Assiria. La storia di Israele durante la scissione rappresenta bene l’immagine stereotipa del popolo ebreo che piega la schiena ad ogni nemico che lo minacci di invasione o lo invada realmente, sempre disposto a pagare con l’oro la sua indipendenza. Forse è per reagire finalmente a questo stereotipo durato fino alla seconda guerra mondiale che gli Ebrei hanno deciso di cambiare decisamente condotta. Ma il vero nemico di Israele è stato il clero, che con i suoi anatemi e le sue profezie dominava il governo laico. Era facile sostenere che Dio voleva una certa cosa (voluta o non  dal re) per far si che al 99% qualcuno si decidesse ad attuarla allo scopo di ottenere il potere e l’appoggio previo del clero. Era facile ungere re uno – vivendo ancora il re in carica – e che poi questo al 99% avesse pure l’appoggio di quanti lo seguivano per dare la scalata al potere. Del resto negli annali sono finiti solo coloro cha hanno scritto la storia e non vi si parla certo dei milioni di fallimenti di coloro che seguirono senza avere successo gli ordini o le profezie del clero. 

Da 2 Re veniamo a sapere che Ezechia (716-687) di Giuda fu l’unico re a seguire le orme di Davide, facendo a pezzi gli idoli, compreso Nehustan, il serpente di bronzo eretto da Mosè (18,4; Nm 21,8-9), a riprova che questo fu un vero e proprio idolo mosaico. Tempo dopo le stesse cose vengono dette a proposito di Giosia (640-609) al cui tempo fu ritrovato il rotolo della legge (la sezione legislativa del Deuteronomio) di Mosè durante i lavori di ristrutturazione del tempio. In realtà il ritrovamento è una finzione per avvalorare una legge scritta adesso dal clero. Giosia distrusse tutti i luoghi di culto stranieri saliti in grande auge sotto gli ultimi re che avevano praticato anche sacrifici umani a Moloch (ciò che avevano fatto anche gli ultimi re di Israele). Gerusalemme fu presa due volte e la sua popolazione deportata da Nabucodonosor, la prima nel 597 e la seconda, definitiva, nel 587. La città fu depredata e data alle fiamme, e in particolare il tempio, che da tempo aveva subito tali e tante trasformazioni e ruberie e accolto al suo interno le statue di divinità straniere ivi adorate, da non potersi più dire il tempio di Salomone. Furono distrutte anche l’Arca dell’alleanza e il suo contenuto, i rotoli della Toràh, a meno che non siano stati messi in salvo dal sacerdote  Geremia e dal suo discepolo Baruc.

 

 

Profeti posteriori:

 

I Profeti ci interessano esclusivamente per quel poco di poesia che vi si può trarre. Poiché la traduzione delle Paoline è più poetica, salvo indicazioni contrarie mi rifarò sempre ad essa:

 

Proto-Isaia 1-39:

 

             « le figlie di Sion sono divenute superbe

e passeggiano a testa alta,

ammiccano con gli occhi,

vanno camminando a piccoli passi,

facendo risuonare gli anelli dei piedi » (3, 16)

 

« E’ sparita la gioia e l’allegrezza dai frutteti,

nelle vigne non vi è più letizia,

né più risuonano grida festose,

non si pigia più l’uva nello strettoio,

è cessato il canto del vendemmiatore » (16, 10)

 

« Ecco… si gode e si sta allegri,

si sgozzano buoi e si scannano greggi,

si mangia carne e si beve vino:

“Si mangi e si beva, perché domani moriremo! ” » (22, 13; La Bibbia di Gerusalemme)

 

La canzone della prostituta:

 

« Prendi la cetra,

gira per la città, prostituta dimenticata;

suona con abilità,

moltiplica i canti,

perché qualcuno si ricordi di te » (23,16; La Bibbia di Gerusalemme)

 

« E’ cessata l’allegria dei timpani.

E’ finito il chiasso dei festanti,

tace l’armonia della cetra.

Cantando non si beve più vino,

il liquore è amaro a chi lo beve.

Giace in rovine la città di confusione,

ogni casa è chiusa e nessuno può entrarvi.

Si levano lamenti nelle vie

Per la mancanza di vino,

ogni gioia è sparita,

è bandita l’allegria dalla terra.

Nella città non c’è rimasta che solitudine,

e le porte spezzate sono in rovina. » (24,8ss)

 

« tutti i suoi principi spariranno.

Le spine cresceranno nei suoi palazzi,

le ortiche e i rovi nelle sue fortezze,

sarà dimora degli sciacalli

e soggiorno degli struzzi.

Cani e gatti selvaggi vi s’incontreranno

E i satiri vi s’aduneranno.

Anche lilith frequenterà questi luoghi

E vi troverà il suo luogo di riposo.

Là avrà il suo nido la velenosa vipera,

vi deporrà le uova, le coverà e farà schiudere;

là si raduneranno gli avvoltoi,

si troveranno l’uno accanto all’altro » (34,12ss)

 

Geremia:

 

« di nuovo apparirai adorna

dei tuoi tamburelli,

per prender parte alle danze gioconde » (31,4)

 

Amos:

 

« Essi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani

mangiano gli agnelli del gregge

e i vitelli cresciuti nella stalla.

Canterellano al suono dell’arpa,

si pareggiano a David negli strumenti musicali;

devono il vino in larghe coppe

e si ungono con gli unguenti più raffinati… » (6,4ss; trad. Bibbia di Gerusalemme)

 

 

Agiografi: Salmi, Proverbi, Giobbe, Cantico dei Cantici, Qohelet (Ecclesiaste):

                                                                                 (variante meno riuscita)

E si scosse la terra, e sussultò,                          Scossa allor fu la terra e tremò,

dei monti vacillarono le basi,                              sussultaron le basi dei cieli,

tremarono al vampare del suo sdegno:             vacillaron dinanzi al suo sdegno.

ché un fumo usciva dalle sue nari,                     Fumo d’ira dalle sue nari saliva,

e un fuoco vorace dalla sua bocca,         fuoco divoratore dalla sua bocca avvampava

e fiamme ardenti si spandean da lui.                  e carboni ardenti sfavillavan da lui.

E incurvò i cieli e discese,                                    Abbassò i cieli e discese:

e gran buio era sotto ai piedi suoi.                     Densa nube sorreggeva i suoi piedi.

Trasportato sui cherùbi, a volo,                         Si pose sopra un cherubino e volò,

trascorreva sulle ali dei venti,                            si librò sulle ali dei venti.

faceva della tenebra un velame,                         S’avvolse di tenebre come d’un velo;

tutto intorno,  qual suo padiglione,                     lo circondavan, qual padiglione

oscurità di acque e nubi folte,                             cupe acque e densissime nubi.

ma dallo splendore  del suo volto                        Al fulgor ch’irradiava

ardeano le nubi al suo cospetto,                         le sue nubi si sciolsero

e folgori, e fiamme di fuoco.                                In grandine e guizzi di fuoco.

Tuonava dai cieli il Signore,                                  Tuonò dal cielo il Signore,

l’Eccelso con voce sonante.                                 L’Altissimo fe’ sentir la sua voce.

Lanciò le sue saette tutt’intorno,                    Scoccò le sue saette e disperse i nemici,

scagliò le sue folgori a scompiglio.               scagliò i suoi fulmini, e atterriti fuggirono.

Si scopersero i fondi del mare,                   Apparve allo sguardo sino il fondo del mare,

apparvero le basi della terra.                       si reser visibili i sostegni del mondo

 (Salmi o thehillim 18,8ss)                                  (2 Sam 22, 8ss)

 

 

Son pieni di bruciore i lombi miei,

nulla d’intatto è più nella mia carne.

Sono abbattuto, sfinito, schiacciato,

ruggisco per il fremito entro il mio cuore. (Sal 38,8)

 

Si vestono i prati di greggi,

si copron le valli di frumento,

riecheggian di canti giocondi… (Sal 65,14)

 

Come esiste un’etrusca disciplina, nei Proverbi si parla più volte di una (ebraica) disciplina:

 

Attienti alla disciplina, non l’abbandonare

Conservala, perché essa è la tua vita (Proverbi o Mëshalim 4,13)

 

…il comando è una lampada e l’insegnamento una luce

e un sentiero di vita le correzioni della disciplina (Pr 6,23; Bibbia di Gerusalemme)

 

Il birbone, uomo perverso,

cammina, ha la scaltrezza sulle labbra,

ammicca con gli occhi, parla coi piedi,

fa segni con le dita;

mentre nel cuore cova cattivi disegni,

e di continuo suscita discordie. (Pr 6,12ss)

 

Le lusinghe della straniera adultera:

 

Figlio mio, ritieni le mie parole,

e conserva in te i miei comandamenti.

Obbedisci ai miei precetti, e tu vivrai!

Custodiscili, come la pupilla degli occhi tuoi.

Légateli alle dita,

scrivili sul tuo cuore.

Di’ alla sapienza: « Tu sei mia sorella! »

Ama quale unica tua  la sua conoscenza,

per preservarti dalla donna straniera,

dalla sconosciuta che ha dolci parole.

Mentre dalla finestra di casa mia,

dietro le grate, osservando,

guardo in piazza gli ingenui giovanotti,

noto in mezzo a loro uno sbarbatello

privo di senno, che infila una viuzza,

presso l’alloggio d’una straniera:

è diretto a casa sua,

al crepuscolo, sul tramonto del giorno,

sul far della notte, nell’oscurità.

Ed ecco gli va incontro una donna,

dall’aspetto di sgualdrina,

con intenti cattivi.

E’ persona audace e provocante,

non sa tenere i piedi in casa:

ora per la strada, ora sulle piazze,

a ogni angolo sta in agguato.

Ecco, lo prende e lo bacia,

e con disinvoltura, sfacciata gli dice:

« Dovevo offrire delle vittime pacifiche

e proprio oggi ho sciolto il mio voto.

Ecco perché ti sono uscita incontro,

per cercarti e ti ho trovato.

Ho guarnito il mio divano di tappeti,

vi ho steso la fine tela d’Egitto;

ho profumato il mio letto

con mirra, aloe e cinnamomo.

Vieni, inebriamoci di amore fino all’aurora,

e godiamoci le delizie del piacere!

Mio marito non è in casa,

è partito per un lungo viaggio;

ha preso con se molto denaro,

non tornerà che alla luna piena ».

Col moltiplicar le parole essa lo seduce,

con le sue lusinghe lo trascina,

ed egli, turbato, la segue,

come un bue condotto al macello,

come cervo caduto nel laccio,

finché una saetta gli penetra il fegato,

come un uccello che si getta nella rete,

e non sa che vi perde la vita.

Or dunque, figlio mio, ascoltami,

da’ retta alle parole della mia bocca.

Non sviare il tuo cuore dietro tal donna,

né ti smarrire per i suoi sentieri;

perché molti sono stati trafitti da lei,

e numerose sono le vittime sue.

La sua casa è la via del sepolcro,

e la discesa verso il soggiorno dei morti. (Pr 7)

 

…fossa profonda è la donna perduta,

e stretto pozzo l’adultera.

Sì, come un ladro, sta in agguato

E fra gli uomini son molte le vittime sue. (Pr 23,27-28)

 

Invito della Sapienza:

 

Non è forse la Sapienza che chiama,

la prudenza che invita a gran voce?

Sì, sulla vetta dei colli, lungo la via,

ai crocicchi delle strade, si mette,

presso le porte, all’entrata della città,

sulle vie d’accesso, fa udir la sua voce:

« O uomini, siete voi che io chiamo,

o figli dell’uomo, è a voi che mi rivolgo.

O inesperti, imparate la prudenza,

e voi, insensati, diventate ragionevoli!

Date ascolto! Vi devo dire cose elevate,

e dalle mie labbra usciranno rette sentenze.

S’, la mia bocca proclama la verità,

e le mie labbra hanno in orrore l’iniquità.

Tutte le parole della mia bocca son vere,

e nulla v’è in esse di falso e di perverso.

Tutte son chiare per chi le intende,

e rette per chi ne possiede la scienza.

Procuratevi la mia dottrina,

preferitela all’argento,

cercate la mia scienza più che l’oro fino,

perché la Sapienza vale più delle perle,

e superiore a tutti i gioielli è il suo valore. (Pr 8,1ss)

 

Natura e doti della Sapienza:

 

Io, la Sapienza, abito con la prudenza,

e possiedo la scienza più perfetta.

Il timor di Dio è l’odio del male.

Perciò detesto la superbia e l’arroganza,

la mala condotta e la bocca perversa.

Mio è il consiglio

E a me appartiene la sua riuscita,

mie sono l’intelligenza e la forza.

E’ in nome mio che regnano i re,

e i magistrati applicano il diritto;

è in nome mio che comandano i principi,

e i sovrani governano con giustizia la terra.

Io amo quelli che amano me,

e chi mi cerca con cura, mi troverà.

Stanno con me benessere e gloria,

ricchezze stabili e giustizia.

Il mio frutto è più prezioso dell’oro fino,

e i miei prodotti son migliori

dell’argento puro.

Io cammino nelle vie della giustizia,

per i sentieri dell’equità;

largisco i miei beni a quelli che mi amano

e riempio i loro tesori. » (8,12ss)

 

La Sapienza divina creatrice dell’universo:

 

« In Dio ero quale principio degli atti suoi,

esistente prima ancor delle opere sue.

Da tutta l’eternità io fui costituita,

in principio, prima dell’origine della terra.

Quando l’abisso ancor non esisteva,

io fui concepita,

quando ancor non zampillavan le fonti.

Prima che sorgessero le maestose montagne,

prima dei colli, io fui generata;

quando ancor non aveva fatto

né terra, né campi,

né creato i primi elementi

della materia del mondo.

Quando stabiliva i cieli, io ero presente,

quando tracciava un cerchio

sulla faccia dell’abisso;

quando condensava in alto le nubi,

quando distribuiva le sorgenti

nel cuor della terra,

quando circondava d’un termine il mare

_  e le sue acque

non ne varcheranno la sponda, _

quando gettava le fondamenta della terra,

io ero al suo fianco, quale architetto,

e mi compiacevo giorno per giorno,

gioivo di continuo in sua presenza,

mi dilettavo sul globo della terra,

deliziandomi nei figli dell’uomo. » (Pr 8,22ss)

 

Il banchetto della Follia:

 

La signora Follia è frivola,

una sciocca, che non sa niente.

Sta seduta presso la porta di casa sua,

sopra un seggio,

nei punti più elevati della città,

e così invita i viandanti,

che se ne vanno per la loro strada:

« Chi è semplice entri qua! »

A chi è inesperto ella dice:

« Sono dolci le acque rubate

e il pane mangiato di nascosto

è più gustoso ».

Ma egli non sa che là ci stanno

Le ombre dei morti,

e gl’invitati della Follia

stanno nel loro soggiorno all’inferno. (Pr 9,13ss)

 

Da aggiungere alla fraseologia veterotestamentaria in Omero da me identificata nel mio lavoro fondamentale su Omero è il verso seguente dei proverbi, assai meglio elaborato in Omero:

 

Chi disprezza il suo prossimo è privo di senno (Pr 11, 12; Bibbia di Gerusalemme)

 

L’ospite, il supplice, è come un fratello

Per l’uomo che abbia anche solo un poco di senno (Od. VIII 546-547)

 

Quella del rispetto dei confini è una delle norme più sacre per gli Etruschi:

 

Non rimuovere il termine antico

Posto là dai tuoi padri (Pr 22,28)

 

Non spostare il termine antico,

e non invadere il campo degli orfani (Pr 23,10)

 

Il beone:

 

Di chi i guai? Di chi i lai? Di chi i litigi?

Di chi i lamenti?

Di chi le botte per un niente?

Di chi gli occhi torbidi?

Di quelli che si lascian vincere dal vino,

e corrono dietro ai liquori.

Non fissare il vino: come rosseggia!

Come spumeggia nel bicchiere!

Va giù che è un piacere!

Ma alla fine morde come un serpente,

e punge come un aspide.

I tuoi occhi vedrai cose strane,

e la tua bocca farà stravaganti discorsi:

ti parrà d’esser coricato in alto mare

e dormire in cima all’albero d’una nave.

« Mi hanno battuto e non ho sentito male,

mi hanno picchiato e non me ne sono accorto.

Quando mi sveglierò?…

Voglio ancora del vino! » (Pr 23,29ss)

 

Il pigro (24,30ss):                                                  variante (6, 6ss): 

 

Passai vicino al podere d’un pigro,                       Va’ a veder la formica, o pigro!

presso il vigneto d’un privo di senno:                  Mira quello che fa e diventa saggio!

ecco, vi erano cresciute le ortiche,                      Essa non ha né magistrato,

i cardi selvatici coprivano il suolo,                        né ispettore, né capo,

e il recinto di pietre era crollato.                         eppure nell’estate fa le sue provviste,

A quello spettacolo io riflettei,                             al tempo della mietitura

e da quanto osservavo,                                       si raccoglie il suo vitto.

imparai questa lezione:                                        Fino a quando, o pigro,

Un po’ dormire, un po’ sonnecchiare,                  te ne starai a dormire?

un po’ disteso con le braccia incrociate,             Quando ti sveglierai dal tuo sonno?

poi ti arriva la miseria come al vagabondo,         Un po’ dormire, un po’ sonnecchiare,

l’indigenza quale al mendico.                               un po’ lungo sdraiato         

                                                                             con le braccia incrociate;

                                                                             poi ti arriva la miseria come al va-

                                                                             gabondo

                                                                             e l’indigenza quale al mendico.

 

In coda ai Proverbi ci sono le parole di Lemuèl, un fittizio sapiente arabo che esalta un re che non beve vino (al contrario di Alcìnoo e dei dodici anziani della Scheria di Omero)  e una donna che fila la lana e dirige la casa ed è benedetta dai figli come Arete (moglie di Alcinoo) di Omero.

 

Il libro di Giobbe,  pur essendo della fine del VI sec. a. C. e dunque più recente dell’Odissea di quasi due secoli, potrebbe derivare da un prototipo arameo da cui ha tratto ispirazione anche l’Odissea (vedi su questo sito) relativamente alle peripezie del protagonista fino all’arrivo nell’Etruria di Alcinoo.

 

Se l’iniquo Odisseo, rapinatore delle ricchezze altrui,  è perseguitato da Poseidone  (e nel passaggio dello stretto di Messina perde tutti i compagni e i tesori razziati in giro per il Mediterraneo, dimostrando l’assunto degli ebrei conservatori e delle Scritture secondo cui il malvagio prima o poi perde tutto il maltolto con gli interessi), Giobbe (che al contrario è un re-giudice timorato di Dio e giusto) è perseguitato da Satana su istigazione di Dio il quale consente che Satana imperversi su Giobbe sterminandogli i figli e i beni e lasciandolo nudo come un verme (e con la moglie che novella Eva  gli consiglia: « Impreca a Dio e muori! ») e in ciò si comporta con la stessa arroganza da despota orientale di Agamennone quando nel II libro dell’Iliade  mette alla prova l’esercito acheo stremato da dieci anni di guerra, fingendo che s’è deciso di imbarcarsi e tornare a casa.

Lo schema del libro sapienziale è chiaro. Arrivano tre amici di Giobbe e cercano di spiegarsi (ma non riescono a dimostrare)  perché Dio si sia allontanato da Giobbe, e la conclusione è che Giobbe deve aver commesso qualche peccato anche se non se ne rende conto. Per l’ebreo chi sta bene (in tutti i sensi) è amato da Dio perché giusto, mentre chi sta male è odiato da Dio perché ingiusto. Potremmo dire, brutti, sporchi e cattivi. Giobbe dal canto suo si professa innocente e dice di aver sempre compiuto del bene. Egli più volte si augura la morte e impreca contro Dio (cosa che gli aveva proposto la moglie e lui aveva condannato) Una sola verità non viene sviluppata come meriterebbe nel libro di Giobbe, che il bene e il male piovono sull’uomo a caso, tanto che il giusto soffre e l’ingiusto prospera:

 

Se io ci penso, ne sono turbato

e la mia carne è presa da un brivido.

Perché vivono i malvagi,

invecchiano, anzi sono potenti e gagliardi?

La loro prole prospera insieme con essi,

i loro rampolli crescono sotto i loro occhi.

Le loro case sono tranquille e senza timori;

il bastone di Dio non pesa su di loro.

Il loro toro feconda e non falla,

la vacca partorisce e non abortisce.

Mandano fuori, come un gregge, i loro ragazzi

e i loro figli saltano in festa.

Cantano al suono di timpani e di cetre,

si divertono al suono delle zampogne.

Finiscono nel benessere i loro giorni

e scendono tranquilli negli inferi.

Eppure dicevano a Dio: « Allontanati da noi,

non vogliamo conoscere le tue vie.

Chi è l’Onnipotente, perché dobbiamo servirlo?

E che ci giova pregarlo?

Uno muore in piena salute,

tutto tranquillo e prospero;

i suoi fianchi sono coperti di grasso

e il midollo delle sue ossa è ben nutrito.

Un altro muore con l’amarezza in cuore

senza aver mai gustato il bene.

Nella polvere giacciono insieme

e i vermi li ricoprono.

 

… nel giorno della sciagura è risparmiato il malvagio

e nel giorno dell’ira egli scampa.

Chi gli rimprovera in faccia la sua condotta

e di quel che ha fatto chi lo ripaga?

Egli sarà portato al sepolcro,

sul suo tumulo si veglia

e gli sono lievi le zolle della tomba.

Trae dietro di sé tutti gli uomini

e innanzi a sé una folla senza numero. » (Giobbe 21,6ss; Bibbia di Gerusalemme)

 

I malvagi spostano i confini,

guidano al pascolo il gregge rubato.

L’asino degli orfani essi portan via,

prendono in pegno il bove dalla vedova.

Allontanano i poverelli dalla strada,

si debbon tutti nascondere i miseri del paese.

Altri, come onagri nel deserto

escono fuori a procurarsi il vitto,

la steppa dà il nutrimento per i loro figli.

Spigolano di notte nei campi,

racimolano la vigna del malvagio.

Nudi pernottan senza vestito,

né hanno una coperta per il freddo.

Dagli acquazzoni dei monti restano bagnati,

e per mancanza di riparo

abbracciano la rupe.

Involano dalla mammella l’orfano,

e il lattante del povero prendono in pegno.

Nudi se ne vanno senza vesti

e, affamati, portano i covoni.

Alla mola infrangono le olive,

spremono l’uva allo strettoio ed hanno sete.

Dalla città i morenti gemono,

e l’anima dei trafitti grida:

ma Dio non bada alle loro suppliche. (Giobbe 24,2ss)

 

I tre amici e Giobbe discutendo anticipano qua e là la verità sostenuta nel libro di Giobbe, dichiarata dal giovane e saggio Eliu che ha ascoltato in silenzio e ora ritiene di dover intervenire perché ispirato da Dio. Giobbe pecca di presunzione dicendo che è sempre stato giusto. Dio è onnipotente e  onnisapiente e  l’uomo infinitamente piccolo e rispetto a lui sempre peccatore non può sindacare la sua volontà perché non è in grado di conoscere tutti i motivi dell’intervento divino, talmente distante dall’uomo da apparire che se la rida dell’uomo.

 

Se avessi ragione, il mio parlare mi condannerebbe;

se fossi innocente, egli proverebbe che io sono reo.

Sono innocente? Non lo so neppure io,

detesto la mia vita!

Per questo io dico: « E’ la stessa cosa »;

egli fa perire l’innocente e il reo!

Se un flagello uccide all’improvviso

Della sciagura degli innocenti egli ride.

La terra è lasciata in balìa del malfattore:

egli vela il volto dei suoi giudici;

se non lui, chi dunque sarà? (Giobbe 9,20ss; Bibbia di Gerusalemme)

 

Anche Zeus dalla vetta dell’Ida si diverte a veder combattere fra loro Achei e Troiani.

 

Si sostiene nel libro di Giobbe che tutto dipende dalla volontà di Dio, ma non credo che questa verità sia sostenibile da parte di un cristiano e di un ebreo autentici. Alla fine in un turbine scende Dio in persona e mette da parte Eliu che pretende di parlare per lui, ma ciò solo perché Dio è Dio e per i semiti deve darsi un certo tono come tutti i despoti orientali. Per il resto Dio continua il discorso di Eliu con un’elenco di creazioni che ovviamente solo lui è stato capace di fare, lasciando stupiti gli uomini e lo stesso Giobbe, che fa la figura del povero contadinotto analfabeta a colloquio col dottore di città. Giobbe  alla fine capisce ciò che già aveva capito meglio di tutti gli altri, e cioè  che Dio fa ciò che più gli piace e aggrada e non deve rendere conto a nessuno, esattamente come il despota orientale. Allora Giobbe come Odisseo alla corte di Alcinoo si siede fra le ceneri del focolare, si cosparge il capo di cenere e chiude la bocca come segno di sottomissione di fronte a cotanta sapienza. Come manifestazione  del suo potere arbitrario, tanto più stridente in quanto scende a risollevare colui che poco prima ha stritolato sotto il suo immenso potere, Dio reintegra Giobbe raddoppiandogli tutto quello che ha perso (perfino i figli, che però sono altri e non più gli stessi di prima). Allo stesso modo Alcinoo dona a Odisseo assai più di quanto questo aveva razziato da Troia e da altri luoghi e città del Mediterraneo orientale. Ma i compagni, quei compagni, nessuno glie li restituirà mai.

 

Al di là del principio di onnipotenza e insindacabilità di Dio che dunque induce l’ebreo ad una totale rassegnazione come il granello di sabbia spazzato via dal tornado del deserto, emerge in Giobbe una profonda contraddizione, in quanto egli non crede nella immortalità dell’anima e dunque con la morte tutto finisce. Per la verità vi sono dei passi in cui questa verità sembra contraddetta, ma onestamente sono formulati in modo equivoco e la verità fondamentale è quella della mortalità del corpo e dell’anima. Su queste basi uno direbbe: va bene, Dio mi può mandare contro ogni male su questa terra, ma quando sarò morto i miei problemi spariranno. Ciò è abbastanza consolatorio, dopotutto. Invece Giobbe per tutto il tanto o poco che gli rimane da vivere si preoccupa del giudizio di Dio su di lui e vuole discolparsi e vuole che Dio gli sia amico. Direi che tanto Giobbe ama Dio quanto tutto sommato egli ritiene che Dio ami lui. Giobbe cioè si sente, direi, perseguitato, e questa persecuzione la interpreta come attenzione, interesse di Dio nei suoi confronti:

 

Fammi conoscere il mio misfatto e il mio peccato.

Perché mi nascondi la tua faccia

E mi consideri come un nemico?

Vuoi spaventare una foglia dispersa nel vento

E dar la caccia a una paglia secca?

Poiché scrivi contro di me sentenze amare

E mi rinfacci i miei errori giovanili;

tu metti i miei piedi in ceppi,

spii tutti i miei passi

e ti segni le orme dei miei piedi.

Intanto io mi disfò come legno tarlato

O come un vestito corroso da tignola.

L’uomo, nato da donna,

breve di giorni e sazio di inquietudine,

come un fiore spunta e avvizzisce,

fugge come l’ombra e mai si ferma.

Tu, sopra un tal essere tieni aperti i tuoi occhi

E lo chiami a giudizio presso di te?

Chi può trarre il puro dall’immondo? Nessuno (Giobbe 13,23ss; Bibbia di Gerusalemme)

 

Oh, potessi sapere dove trovarlo,

potessi arrivare fino al suo trono!

Esporrei davanti a lui la mia causa

E avrei piene le labbra di ragioni.

Verrei a sapere le parole che mi risponde

E capirei che cosa mi deve dire.

Con sfoggio di potenza discuterebbe con me?

Se almeno mi ascoltasse!

Allora un giusto discuterebbe con lui

E io per sempre sarei assolto dal mio giudice (Giobbe 23,3ss; Bibbia di Gerusalemme).

 

Non ha forse un servizio l’uomo sulla terra?

E non sono i suoi giorni

come i giorni del salariato?

Come lo schiavo anela l’ombra,

e come il mercenario aspetta il suo salario:

così mi furono dati in retaggio

mesi d’afflizione

e nottate di travaglio mi furono assegnate.

Se io mi corico esclamo:

« Quando sarà giorno, onde io sorga? »

Se poi sorgo: « Quando sarà sera? »

E mi sazio d’insonnia

Tormentata fino al crepuscolo.

La mia carne

È ricoperta di marciume e di croste,

la mia pelle si raggrinza e si disfà.

I miei giorni fuggono veloci più che la spola,

e spariscono: non c’è più speranza.

Ricordati che un soffio è la mia vita,

non tornerà l’occhio mio a vedere il bene;

non mi scorgerà l’occhio di chi mi guarda,

gli occhi tuoi saranno su di me

_ ed io non sarò più!

Si consuma la nube e si dilegua:

così chi scende allo Sceol più non risale;

più non torna alla sua casa,

più non lo ravvisa la sua dimora.

Anch’io non tratterrò la mia bocca:

voglio parlare nell’angustia del mio spirito,

voglio lamentarmi

nell’amarezza dell’anima mia.

Son io forse il Mare, o il Mostro,

che tu ponga attorno a me una guardia?

Quando pensavo

Che mi consolerebbe il mio letto,

il mio giaciglio m’allevierebbe l’affanno!

Tu allora m’atterrisci con sogni

E con spettri mi spaventi:

Perciò preferirei lo strangolamento,

e la morte ai miei dolori.

Ma già mi dissolvo,

non già in eterno io vivrò:

lasciami, poiché un soffio sono i miei giorni!

Che mai è l’uomo, che tu ne fai tanto conto

E che tu poni su lui la tua mente?

E tu lo visiti ogni mattina,

e ad ogni istante lo metti alla prova.

Sino a quando ancora

Non distoglierai lo sguardo da me,

non mi lascerai inghiottir la mia saliva?

Se ho peccato,

che cosa ho fatto a te, o pastore di uomini?

Perché mi hai posto come tuo bersaglio,

sì che io sia a me stesso di peso?

E perché non cancelli il mio delitto,

e non rimuovi la mia iniquità?

Ché presto giacerò nella polvere,

mi cercherai ed io non sarò più! (Giobbe 7)

 

Non riesco a comprendere questa mentalità. Dio non lo farà certo resuscitare anche se Giobbe fosse un santo. Dunque  Giobbe non ha contatti con Dio e viceversa durante la sua breve vita e nemmeno dopo la morte. Nonostante tutto si verifica qui il contrario di ciò che si verifica in tutto l’A. T. e cioè Giobbe cerca inutilmente Dio mentre là è Dio che cerca inutilmente Israele. Per quale motivo Giobbe cerca disperatamente Dio? Forse non per motivi spirituali eccelsi. Temo che anche se non espressamente Giobbe cerca Dio  solo perché quando Dio lo favorisce l’uomo è anche ricco e in salute. Insomma l’ebreo contrariamente a quel che si crede ha la vista corta ed è assai  materialista, meschinamente materialista. Che l’ebreo sia straordinariamente attaccato alla vita materiale lo dimostra la perenne ricerca dell’albero dell’immortalità da Adamo ed Eva, mentre l’occidentale Odisseo (sia pure d’origini culturali aramaiche ed ebraiche) significativamente preferisce tornare dalla sua vecchia e mortale Penelope, dal figlio, dai sudditi, nella sua patria, piuttosto che sposare la bella  dea Calipso e vivere in eterno al suo fianco nel suo straordinario ma stucchevole paradiso di Ogigia.

 

Dal Cantico dei cantici o Shir hashshirim (4,1ss):

 

Quanto sei bella, amica mia,

quanto sei bella!

Gli occhi tuoi, di colombi,

entro il tuo velo.

I tuoi riccioli son greggi di capre,

ondulanti sulle pendici di Galaad.

I tuoi denti, qual gregge di tosate,

che risalgon dal bagno:

ciascuna ha due gemellini e nessuna di esse ne è priva.

Quale purpureo nastro, sono le tue labbra,

leggiadra è la tua bocca,

spicchio di melagrana

è la tua guancia dentro il tuo velo.

Come torre di davide è il tuo collo,

edificata a guisa di fortezza,

mille scudi le pendono intorno,

tutti scudi di prodi.

Le tue mammelle son come caprioletti;

gemelli di gazzella,

pascolanti fra i gigli,

mentre la brezza spira,

e s’allungan le ombre,

andrò al monte della mirra,

al colle dell’incenso.

Tutta bella tu sei, amica mia,

e non v’è in te macchia alcuna! 

 

Questo è il pezzo più bello del Cantico dei Cantici e l’ho riportato solo per far giudicare quanto poco valga di fronte alla poesia che lo precede e lo segue, di valore eppur non ricercata.

 

Qohèlet (Ecclesiaste, il ‘Predicatore’) insieme al libro di Giobbe costituisce il meglio, soprattutto poetico, dell’A. T. Risale al III sec. a. C. ed è dunque influenzato dalla filosofia ellenistica ma non riesce a trarne vantaggio. Ha degli spunti epicurei ma da orientale è preso dalla  soggezione a Dio  aderendo piuttosto allo stoicismo propugnatore dell’inazione e dunque alla mentalità più tipica anche dei cristiani autentici. Ne traggo l’inizio e  parti della fine (8,14ss):

 

Parole di Qohelet, figlio di Davide, re di Gerusalemme.

Vanità delle vanità, dice Cohelet,

vanità delle vanità, il tutto è vanità.

Che resta all’uomo di tutto il suo affanno

In cui s’affanna sotto il sole?

Generazione che va, generazione che viene

E la terra nel suo ciclo rimane.

E sorge il sole e il sole tramonta,

anelando al suo luogo dov’egli risorge.

Soffia a mezzogiorno poi gira a tramontana

E volgendo, volgendo il vento se ne va

E sopra le sue spire ritorna il vento.

Tutti i  fiumi se ne vanno al mare

E il mare non si piena:

là donde scorrono i fiumi,

là essi ritornano a scorrere.

Ogni parola vien meno

Né sa l’uomo parlarne:

non si sazia l’occhio di guardare

né mai l’orecchio è pieno di udire.

Ciò che è stato è quello che sarà

E ciò che s’è fatto è quello che si farà:

niente di nuovo avviene sotto il sole.

C’è forse qualcosa di cui si possa dire: « Ecco, questa è nuova »? Proprio questa è già stata nei secoli prima di noi. Non c’è più ricordo delle cose passate, come non ci sarà delle cose avvenire presso coloro che dopo verranno (I 1ss).

Ma sulla terra si ha però questa delusione: vi sono dei giusti ai quali avviene secondo le opere degli empi, e vi sono degli empi ai quali avviene secondo le opere dei giusti. Perciò io dico che questa è una delusione!

E allora, viva l’allegria: perché l’uomo non ha altra felicità al mondo che mangiare e bere e stare allegro! Sia questa la sua compagnia nelle fatiche, durante i giorni di vita che Dio gli concede di vivere quaggiù.

Mi son dato poi a conoscere la sapienza, considerando il travaglio continuo che si ha sulla terra, per cui l’uomo non vede riposo né giorno né notte. Ho osservato tutta l’opera di Dio e ho veduto che l’uomo non può arrivare a scoprire tutta l’opera che si compie sotto il sole, per il fatto stesso che pena nella ricerca e non arriva. E se un savio dicesse di sapere, non ci arriva (8,14ss).

Questo di male vi è in tutto quello che avviene sotto il sole: che una sorte comune tocchi a tutti quanti. E così il cuore dei mortali è pieno d’infelicità e concepiscono follie nel loro cuore mentre sono in vita, poi se ne vanno fra i morti.

Per chi è congiunto ancora a tutti i viventi c’è speranza, perché « Meglio un cane vivo che un leone morto ». I vivi sanno che morranno, ma i morti non sanno più nulla; non c’è più mercede per loro; anche il loro ricordo è obliato. Il loro amore, il loro odio, l’invidia, tutto è finito, non hanno più parte col mondo per quel che succede quaggiù.

Va’, mangia con gioia il tuo pane,

bevi con cuore allegro il tuo vino,

che Dio ha già gradito le opere tue.

In ogni tempo le tue vesti sacre bianche

E l’olio sul tuo capo non manchi.

Godi la vita con la donna che ami, per tutti i giorni della vita d’illusione che Dio ti dà sotto il sole. Tutto quello che ti occorre di fare, fallo mentre sei in vita, perché non ci sarà più né attività, né pensiero, né conoscenza, né sapienza giù nel soggiorno dei morti, dove stai per andare.

Di nuovo io vedo sotto il sole che non è degli agili la corsa, né dei forti la vittoria, e neppure dei sapienti il pane e dei calcolatori la ricchezza, e nemmeno degli accorti il favore, perché il tempo e il caso si frappongono a tutto. L’uomo non conosce la sua ora: simile ai pesci che rimangono nella rete fatale, agli uccelli presi al laccio, l’uomo è sorpreso dalla sventura che improvvisa si abbatte su lui… (9,3ss)

Anche se per molti anni vive l’uomo,

tutti se li goda,

e pensi ai giorni tenebrosi,

che saranno molti:

tutto ciò che viene poi è vanità.

Godi, o giovane, nella tua giovinezza

E ti sia lieto il cuore

Ne’ giorni di tua gioventù.

Segui pure le vie del tuo cuore

E i desideri dei tuoi occhi.

Sappi però che per tutto questo

Iddio ti chiamerà al giudizio.

Caccia la malinconia dal tuo cuore,

allontana dal tuo corpo il dolore,

ché giovinezza e adolescenza

sono come un soffio (11,8ss).

Ricordati del tuo creatore

Nei giorni di tua gioventù,

prima che vengano i giorni di tristezza

e giungano gli anni in cui dovrai dire:

« Non ci ho più gusto! »

prima che si oscuri il sole,

la luce, la luna e le stelle,

e ritornin le nubi dopo la pioggia;

quando tremeranno i custodi della casa

e si curveranno i gagliardi

e cesseranno le macinatrici,

perché rimaste poche,

e si offuscheranno quelle che guardano dalle finestre;

e si chiuderanno i due battenti

della porta di fuori,

e mentre si abbasserà il rumore della mola

e s’abbasserà il cinguettio degli uccelli

e si affievoliranno tutte le figlie del canto,

quando si avrà timore dei luoghi elevati

e degli spauracchi della strada,

e fiorirà il mandorlo

e diventerà grave la locusta

e il cappero non avrà più effetto,

poiché l’uomo se ne va

alla casa di sua eternità

e s’aggireranno per la strada le piangenti;

prima che il filo d’argento s’allenti,

la lampada d’oro s’infranga,

si rompa la secchia alla fonte,

si spezzi la carrucola al pozzo,

e ritorni la polvere alla terra, com’era,

e lo spirito torni a Dio, che l’ha dato.

Vanità delle vanità, dice Cohelet,

il tutto è vanità (12,1-8).

 

Ho omesso tutti quei libri storici, sapienziali e profetici che appartengono all’esilio e all’età postesilica nel senso che furono scritti in questa età per documentarla. Il quadro postesilico è succintamente il seguente:

Il persiano Ciro II conquista Babilonia   e nel suo primo anno di regno come re di Babilonia (538; perché come re di Persia regna dal 559) con un editto ordina il ritorno dei giudei in Palestina sotto la guida del governatore Zorobabele e del sommo sacerdote Giosuè che sostenuti dai profeti Aggeo e Zaccaria  danno inizio alla costruzione del (secondo) tempio di Gerusalemme, inaugurato nel 515 sotto Dario I.                                                                                           

Il sacerdote Ezra (Esdra) torna a Gerusalemme nel 458 per decreto di Artaserse I raccoglie e fonde in un unico libro in 5 rotoli tre o quattro redazioni preesistenti della Torah, la (J) jahvista di Giuda IX sec., la (E) elohista di Israele VIII sec.,  la (D) deuteronomista, esilica, la (P,  priestercodex) sacerdotale di Ezechiele e sacerdoti, pure esilica, letta a Gerusalemme nel 444 da Ezra. Ezra dopo essersi teatralmente stracciate le vesti impone ai giudei pena l’ostracismo lo scioglimento dei matrimoni misti con donne straniere. E’ bello sapere che non tutti accettarono, e che alcuni si opposero, fra cui anche un levita.

Neemia su autorizzazione di Artaserse I nel 445 va a Gerusalemme, riedifica le mura della città, impone sotto pena di ostracismo la remissione dei debiti agli ebrei che prima erano sfruttati dai connazionali e la cacciata di tutti gli stranieri.

 

Merita di essere detto che tutte le profezie di sciagura minacciate dai profeti e dalle Scritture in genere dopo la distruzione di Gerusalemme nel 587 a. C. ebbero in quell’evento la loro conclusione. Posteriormente alla ricostruzione della città e del (secondo) tempio sotto Zorobabele si collocano altre previsioni di sciagura e maledizioni con cui si conclude l’A. T. A leggere Malachia si comprende bene che le maledizioni sono direttamente proporzionali al non versamento della decima al tempio e ai sacrifici scadenti. Insomma, quello del prete è un lavoro come un altro e se non viene ben pagato anche il servizio lascia a desiderare o al limite viene esercitato in rappresaglia. C’è chi per il potere fa il politico, chi il sindacalista, chi il giudice e chi il prete, ma il prete si preoccupa solo di riempirsi il ventre e per far questo spaccia menzogne e induce alla vigliaccheria. E’ il peggior mestiere del mondo. Salvo eccezioni, che però sono poche e sono le stesse in tutti i mestieri del mondo. E purtroppo  le eccezioni sono colpevoli di mantenere moniliticamente incrollabile il mestiere. Queste previsioni si concludono con la distruzione di Gerusalemme e del (terzo) tempio sotto l’impreatore Tito nel 70 d. C. Entro questa data si colloca anche tutta la letteratura del Nuovo Testamento. Ciò vuol dire che nessuna ulteriore profezia di sciagura vale per i tempi successivi al 70 d. C. e a maggior ragione per i nostri tempi. Anche  le profezie  del Nuovo Testamento non si sono verificate entro quella data e dunque non c’è più motivo di credere che si verifichino a distanza di due millenni.

 

Fine

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