(la Vita
di Omero ombreggiata dai suoi poemi)
Monte
Cavo, il Monte Albano su cui sorgeva il santuario di Giove Laziare
Normalmente
la biografia di un autore precede
l'analisi delle sue opere come presupposto per comprenderne la genesi, i
contenuti, la forma, ecc. Viceversa nel caso di Omero è dalla lettura dei suoi
poemi che possiamo farci un'idea della sua vita e personalità. Gli stessi
Greci, che conobbero i poemi omerici ma non il loro autore, vissuto e morto a
Roma, quando, nella migliore delle ipotesi, furono in buona fede (cioè quando
non emerse l'interesse a presentare Omero come nato e vissuto in Grecia quasi
padre della patria), presentarono come autentica biografia quella che era solo
un tentativo di derivarla dallo stesso contenuto dei poemi. E' ciò che possiamo
fare anche noi, con migliori strumenti ermeneutici, anche se più modestamente
la chiameremo " L'orizzonte di Omero " a ricordarci che si tratta di
uno schizzo tutto basato su congetture.
Non
sarà mai matematicamente certo fino a che non troveremo un documento originale
che ce lo provi, come una iscrizione sul sepolcro di Omero a Roma o nell'Alba
Longa rifondata sotto Castelgandolfo, ma sarà perfettibile con l'approfondirsi
dello studio sui poemi da me impostato e comunque sarà scientifica e non
inventata di sana pianta come quelle che ci hanno tramandato i Greci.
Il
punto di partenza per il tratteggio dell'Orizzonte di Omero è quanto ho già
dimostrato nei lavori fondamentali sul mio sito. Omero, che possiamo immaginare
nato nell'anno di morte di Romolo primo re di Roma, nel 714 a. C., cantò (aveva
circa 39 anni) nella spianata del santuario di Ino Leucothea a Pyrgi intorno al
675 a. C. (da questo momento compaiono le raffigurazioni vascolari di Polifemo,
il personaggio più di successo del Viaggio d'Odisseo) il Viaggio d'Odisseo
commissionatogli dal corinzio Demarato esponente – prima ancora di stabilirsi
definitivamente a Tarquinia se quelle raffigurazioni vascolari vanno datate al
675 a. C. ca. – della casta dirigente di Tarquinia per celebrare in greco
l'inaugurazione del santuario-banca medesimo con cui i tarquiniati si
sbarazzavano del precedente monopolio commerciale degli euboico-calcidesi di
Ischia e Cuma. Sono certo dovuti alla permanenza a Pyrgi, nella Maremma
laziale, i riferimenti omerici alla vegetazione e fauna maremmana.
Ornamento in bronzo del 540-530 a.
C. raffigurante Odisseo legato all'ariete (quando esce dalla caverna di
Polifemo) proveniente dal santuario di Apollo a Delphi, Museo Archeologico
Distrutta
Albalonga, l'albano Tullo Ostilio terzo re di Roma commissionò a Omero un poema
che analogamente celebrasse in greco l'inaugurazione del santuario-banca di
Mater Matuta-Ino Leucothea (o Venere/Rea Silvia e Cabiri/Dioscuri/Gemelli) sul
Tevere e la pacificazione dell'elemento albano inglobato nella popolazione di
Roma, e Omero cantò nel 649 a. C. (aveva circa 65 anni) di fronte al santuario
medesimo l'Ira d'Achille (in circa 10.000 versi come poi di 11000 versi circa
sarà l'Odissea omerica che si chiude col libro 23 al verso 246), sul cui sfondo
c'è la distruzione di Troia ispirata alla distruzione di Albalonga. E' infatti
Albalonga la città distrutta da poco quando Omero scrisse l'Ira d'Achille e che
ispirò al divino poeta la guerra di Troia e la distruzione di Ilio, altro nome
della città, da cui Iliade. Successivamente,
ormai ricco e famoso, stabilitosi definitivamente a Roma, gli viene
commissionato da Tullo Ostilio il seguito del Viaggio d'Odisseo, e cioè
l’Odissea (la Telemachia, la strage dei pretendenti e il riconoscimento di
Penelope), ispirato alla riconquista del potere su Lavinio da parte di Romolo
(nome dietro il quale si cela probabilmente l'antenato stesso di Tullo
Ostilio), estromesso temporaneamente dagli usurpatori greci guidati da uno
pseudo Enea. L'Iliade come ci è pervenuta è il frutto dell'accrescimento dovuto
ad un omerida al servizio di Fidone d'Argo che alla metà del VII secolo
ricordava la grandezza di Agamennone, imponendo il suo dominio su Argo (da qui
l'accento sugli Argivi e sul loro campione Diomede) e su una vasta porzione del
Peloponneso e s'era appropriato dell'organizzazione dei giochi olimpici.
L’omerida al soldo di Pisistrato d’Atene diede gli ultimi ritocchi alle
manipolazioni non solo dell'Iliade ma anche dell'Odissea, celebrando
l'altrimenti ignorato da Omero popolo di Atene e addirittura sminuendo quello
etrusco celato dietro al divino popolo dei Feaci. Pisistrato (il cui eroe era
Eracle malissimamente trattato da Omero) utilizzò come propaganda della sua
politica tesa a fare di Atene un centro religioso internazionale incentrato sul
culto di Atena soprattutto l'Iliade che sembrava fatta apposta per celebrare la
sua conquista di Sigeo sull'Ellesponto, una riedizione in miniatura della
guerra di Troia. A seconda che gli attribuiamo 70 o 80 anni Omero avrebbe avuto
tutto il tempo di terminare l'Odissea e morire nel 644 o 634 a. C. durante il
regno di Tullo Ostilio o di Anco Marcio. E' logico pensare che dall'Ira
d'Achille in poi Omero si sia stabilito definitivamente a Roma dove visse fino
alla morte. Fu certamente onorato con un bel sepolcro dallo stesso re Tullo o
dal successore Anco Marcio. Se qualcosa rimane del sepolcro non mancherà di
essere riportato alla luce un giorno o l’altro. Omero era ben noto e amato a
corte ma cadde nell'oblio in patria a causa della sua poesia in lingua greca,
incomprensibile alla stragrande maggioranza dei Latini. Inoltre con
l'instaurarsi della repubblica, antietrusca e antiellenizzante, Omero subì
probabilmente una damnatio memoriae che potrebbe aver colpito perfino il suo
sepolcro. A Itaca e a Troia che aveva reso celebri con i suoi poemi Omero non
andò mai. Se Omero fosse greco e comunque avendo scritto in greco per i Greci
di lui dovrebbe essere attestata la tomba o un culto al poeta nazionale, cosa
che parimenti non è documentata e se lo è si tratta di un falso. I Greci avevano tutto l'interesse a
cancellare le tracce della sua origine almeno parzialmente straniera e
presentarlo come autore greco e tuttavia in generale senza mai amarlo anzi
criticandone di continuo l'ideologia, soprattutto per quanto riguarda
l'irriverenza verso gli dèi.
Coi
miei ultimi lavori rimane in piedi l'ipotesi che la madre di Omero fosse
etrusca e legata alla nobiltà di Tarquinia e ciò spiega perché Omero fu
chiamato dal corinzio Demarato ricco mercante stabilitosi appunto a Tarquinia
che fece decollare come potenza marittima sfruttando il porto di Pyrgi legato
alle ricchezze minerarie della Tolfa. Rimane anche in piedi l'origine
alto-siriana o rasennia della madre di Omero legata alla casta dei Ciclopi.
Rimane anche in piedi l'ipotesi che il padre di Omero fosse greco, cipriota,
della stessa area culturale della madre di Omero (l’Iperea o Levante), ipotesi
che facemmo per spiegare come mai Omero conoscesse il greco. Ma i poemi furono
commissionati in greco non solo perché il primo ad avere l'idea di
commissionare a Omero un'opera in greco era egli stesso greco (Demarato) e
perché il greco era una lingua internazionale e perché greci erano i
capitalisti destinatari del messaggio. Furono commissionati in greco perché il
greco costituiva la lingua colta di corte sia a Tarquinia sia ad Albalonga da
cui (in senso lato) proveniva Tullo Ostilio, sia a Roma dove Tullo Ostilio era
re. Se i Romani andavano nelle città etrusche a studiare la lingua e la cultura etrusche, gli Etruschi
conservavano la tradizione linguistica pelasgica e si tenevano aggiornati
frequentando le comunità greche dei principali empori etruschi di cui
assorbivano la cultura. Dall'archeologia sappiamo quanto la civiltà etrusca
dipenda, esteriormente, dall'arte e dalla cultura greca, essendo gli Etruschi
dei maniaci d'opere d'arte sia acquistate dalla Grecia sia fabbricate da
artisti greci immigrati in Etruria. Analogamente, alla corte di Albalonga si
parlava greco, tanto più che gli Albani pretendevano di discendere dai "
Greci " di Enea scampato alla distruzione di Troia o da Odisseo o ancora
da altri eroi greci della guerra di Troia. Probabilmente e anzi certamente era
solo un vanto di chi voleva crearsi un passato nobile, una nobiltà letteraria
creata dalla fantasia di Omero e per il resto inconsistente, ma forse Albalonga
più di Tarquinia e di Roma poteva vantare una forte comunità greca sia perché
non è inverosimile che Albalonga fosse la punta più avanzata della
colonizzazione greca nell'VIII secolo come testa di ponte attraverso l'Aventino
sul Tevere (la tradizione romana rende evidente lo scontro fra comunità locali
ed etrusche e comunità straniere che potrebbero logicamente essere state greche
e rappresentate dagli usurpatori greci appunto di Enea e Ascanio sulle comunità
latino-etrusche di Laurento, Lavinio, Albalonga, Aventino, mentre la resistenza
indigena si arroccava sul Palatino) sia perché ho motivo di credere che Omero
stesso sia nato se non proprio ad Albalonga certo sulle pendici di Monte Cavo
dove attualmente sorge Rocca di Papa. Poiché Omero deve aver appreso l'arte da
qualche cantore prima di lui Albalonga potrebbe reclamare il primato non solo
della poesia epica che avrà avuto i suoi antenati nei canti orali in latino in
verso saturnio, ma anche dell'applicazione del saturnio alla lingua greca e
della creazione dei primi rudimentali strumenti di lavoro poi utilizzati da
Omero per i suoi poemi immortali.
La poesia omerica nasce fuori dalla Grecia e viene importata in Grecia.
L'aver immaginato Omero nato l'anno di morte di Romolo è solo un'ipotesi pratica, che ci
consente di osservare che Omero era nato in un tempo in cui le gesta di Romolo
erano ancora vive nel ricordo della gente. (Se vogliamo è un'ipotesi limite,
perché se non è nato l'anno di morte di Romolo è ovvio che Omero è nato quando
Romolo era ancora vivo.) L'epica che si avvaleva della lingua latina e del
verso saturnio s'era già impadronita delle gesta del fondatore di Roma e cominciava a trasfigurarne la persona
in un dio nato da vergine e assunto in cielo durante una tempesta, figura che richiama
quelle israelitiche di Elia e Gesù. E' difficile che un cantore eccelso come
Omero non abbia avuto maestri. Forse Omero apprese l'arte da un cantore che
conobbe Romolo, un cantore la cui
vita fu risparmiata da Romolo (come quella di Femio fu risparmiata da Odisseo)
al momento dell'assalto al palazzo di Lavinio, perché questo cantore lavorava
costretto alla corte dell'usurpatore. Se immaginiamo che i greci come Dionisio
d’Alicarnasso abbiano ragione sull'origine greca di Enea e della corte albana (e
un conflitto fra etruschi e greci sul Tevere oltre che sul Tirreno è fuor di
dubbio) allora potremmo perfino azzardare che fosse usanza alla corte di
Lavinio e sull'Aventino, sotto gli usurpatori greci, cantare in greco. Ciò
spiegherebbe meglio la scelta del greco come lingua internazionale per la
celebrazione della grandezza etrusco-romana operata non solo dal corinzio
Demarato ma anche dall'albano Tullo Ostilio. Ciò spiegherebbe meglio perché
Omero era in grado di esprimersi in greco
e cioè per averlo appreso insieme all'arte da un cantore greco di corte.
Il padre di Omero poteva discendere da quelle famiglie di greci (i "
Troiani " di " Enea ") che avevano tentato non riuscendovi la
colonizzazione del Lazio fino al Tevere rimanendo poi relegate ad Albalonga e
latinizzandosi pur mantenendo le proprie tradizioni e la propria lingua. Il
greco cantato nelle corti occidentali tirreniche sarebbe così evidentemente
tipico e spiegherebbe l’incomprensione di alcuni vocaboli da parte dei
successivi omeridi responsabili della stesura definitiva dell’Iliade. E'
evidente che la critica dell'Iliade si appunta proprio sui libri che chi scrive
ritiene non omerici (il 5, dall'8 al 13 compresi, il 19), ed è qui che
all'incompetenza tecnica si aggiungono i fraintendimenti del greco omerico,
cioè del greco e basta. Infine si spiega bene la corrispondenza fra il dialetto eolico parlato dai
gloriosi (così li definisce Omero) Pelasgi a Roma (e nella provincia), che
faceva uso del digamma, ad esempio nel nome della Felia, Velia, Ouelia, la
palude, eleia, in Roma (Dion. Hal. 1, 20, 2-3), e quello omerico inizialmente
redatto con l'uso del digamma come dimostrato dal filologo Richard
Bentley. La civiltà omerica, greca
di lingua e siriana di contenuti, è pervenuta in Italia in età minoico-micenea ed è riferibile ai Pelasgi,
che erano di lingua greca. Ai Pelasgi (che ritornano in Siria come Filistei
dopo l'eruzione del Thera e il crollo della civiltà minoico-micenea) va
ricondotto il sillabario del Disco di Festo (in cui è presente la serie
sillabica Fa, Fe, Fi, Fo/u) ovvero Apoteosi di Radamanto e Radamanto appunto
insieme a Minosse (menzionato anche nell'Apoteosi) è menzionato in Omero come
raccordo fra la Fenicia e Creta e la Grecia e fra i personaggi più antichi cui
giunga la storiografia omerica.
Sulla base della
Storia di Roma arcaica di Dionisio d’Alicarnasso e del libro I della Storia di
Roma di Livio, sappiamo che Tullo Ostilio assunse il regno dopo la morte del
sabino Numa Pompilio nel 670 a. C. e fu un re guerriero. Nacque a Medullia,
città albana conquistata da Romolo e suo nonno, un Ostilio, fu compagno di
imprese di Romolo e aveva sposato niente di meno che Ersilia, la sabina che
aveva guidato l’interposizione delle sabine fra Romani e Sabini, donna cui si
doveva la pacificazione fra i due popoli. Questo fatto mi fa sospettare che
Romolo, nome derivato da quello della città da lui fondata, occulti proprio
quello di Ostilio (un individuo della gens degli Hostilii, da un prototipo
etrusco Hustile attestato indirettamente da una Hustileia di Vulci degli inizi
del VII secolo) originario di Medullia (e sposo di una donna chiamata Ersilia
dal nome della della gens di provenienza) che potrebbe essere il vero fondatore
di Roma e cui appartiene la tomba di Romolo col lapis niger (vedi sul mio
sito). Secondo Livio Ersilia era la moglie di Romolo (I, 11). Dunque è facile
che Romolo e Ostilio siano la stessa persona. E’ più facile che creata una
dinastia questa si mantenga al potere direttamente o indirettamente come è
avvenuto per i Tarquini. Del resto Tullo Ostilio è legato a Romolo come Anco
Marcio a Numa Pompilio.
Fregio affrescato da una camera sepolcrale
con l'abbandono di Romolo e Remo in una cesta nelle acque del Tevere. Roma,
Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme.
Se
il fondatore di Roma noto come Romolo è l'antenato di Tullo Ostilio possiamo
meglio comprendere il suo interesse a commissionare l'Ira d'Achille per il
centenario della fondazione della città eterna e il completamento dell'Odissea
sulla falsariga dell'epopea romulea. All’inizio del regno di Tullo Ostilio in
circostanze poco chiare (comunque, scrive Livio, « Gli Albani scesero in campo
per primi e invasero il territorio romano con un massiccio schieramento di
forze. Pongono l’accampamento a non più di cinque miglia da Roma e lo
circondano con un fossato (cui, per alcuni secoli, rimase il nome di fossa di
Cluilio da quello del comandante, finché, col passare del tempo, scomparvero
fossato e nome). » I, 23; torna alla memoria la lamentela di Poseidone secondo
cui gli Achei senza nemmeno onorare gli dèi hanno creato un vallo a difesa
delle navi, e cioè del loro accampamento, tanto bello e grande che farà
dimenticare le mura di Troia costruite dal medesimo Poseidone e da Apollo,
lamentela cui risponde Zeus autorizzandolo a distruggere il vallo dopo che
Troia sarà distrutta e gli Achei partiti per le loro case: Il. VII, 445ss; le
Fosse Cluilie erano al IV miglio della via Latina, presso l’odierna Via del
Quadraro) avvenne l’unificazione fra romani e latini come già sotto Romolo era
avvenuta quella fra romani e sabini. E’ certo una favola quella del rapimento
delle sabine e del conflitto, e della fine del conflitto così a lieto fine, e
non è meno una favola quella dell’assoggettamento di Albalonga a Roma (ma
poteva andare al contrario) sulla base della vittoria dei trigemini Orazi sui
cugini trigemini Curiazi avvenuta quando dittatore di Albalonga era un tale
Mezio Fufezio. I combattimenti in forma di duello fra nobili mentre l’esercito
in armi assiste in seconda fila sono caratteristici dell’Iliade. La pena subita
dall’Orazio superstite di passare sotto l’antenata delle forche caudine ha
l’aspetto di un rito di espiazione per aver ucciso gente dello stesso sangue.
La guerra " di Troia " vera e propria fu quella di Roma contro
Fidenati e Veienti (il cavallo di Troia, certo macchina da guerra a metà fra
ariete e testuggine o torre, ha degli omologhi nella storia romana, come la
conquista di Veio attraverso una galleria scavata sotto le mura che poteva aver
sfruttato il percorso di una canalizzazione tipo Cloaca Massima) in cui Mezio
Fufezio tradì senza successo. La conseguenza della vittoria romana fu
ovviamente che l’Orazio superstite ebbe il comando dell’esercito incaricato
della distruzione totale di Albalonga e della deportazione della popolazione a
Roma suddivisa in determinate nuove tribù. M. Orazio entrò in Albalonga da alleato
e dunque gli aprirono le porte della città, ma una volta entrato fece radere al
suolo la città che, come dice Dionisio, è rimasta deserta fino ad oggi. Il
generale alleato e traditore Mezio Fufezio dopo che gli furono strappate le
vesti e che fu flagellato come il suo derivato Gesù, fu legato con cinghie mani
e piedi a due quadrighe lanciate in corsa in opposta direzione più o meno come
Ettore, finendo smembrato. A proposito delle fonti omeriche e dunque romane
arcaiche di Gesù è interessante il passo di Livio che descrive la punizione cui
sarebbe stato condannato l’Orazio superstite per aver ucciso la propria sorella
se non avesse fatto appello all’assemblea popolare. Il testo della legge
prevedeva per i delitti di lesa maestà (solo il re poteva condannare a morte un
traditore, nel caso specifico la sorella dell’Orazio) che il condannato, a capo
coperto, fosse legato ad un albero stecchito (arbor infelix) e fustigato dentro
e fuori il pomerio fino alla morte. Rapimenti di donne che possano aver
suggerito il personaggio di Elena, che fra l’altro è personificazione della dea
dell’amore e del matrimonio Venere, non mancano nella storia romana dove
proprio Ersilia la bisavola di Tullio può aver suggerito il personaggio della
bella spartana. Tullo Ostilio, di origini albane e committente dell’Ira
d’Achille poi Iliade, sentì certamente l’esigenza di cantare Albalonga la città
(secondo latini e greci) madre di Roma la cui distruzione recente tanta
commozione aveva suscitato in area tirrenica e non solo. Nella descrizione di
Livio par di assistere agli ultimi giorni di Troia: « Frattanto, vennero
mandati ad Alba dei cavalieri per trasferire a Roma la popolazione. A essi
seguirono poi le legioni per distruggere la città. Quando ne superarono le
porte, non ci fu, a dire il vero, quel fuggi fuggi terrorizzato che è classico
delle città conquistate, quando il nemico fa breccia negli ingressi, abbatte le
mura a colpi d’ariete, assalta la cittadella e poi dilaga per le strade
mettendo ogni cosa a ferro e fuoco in un boato di urla e di armi. Niente di
tutto questo: solo un lugubre silenzio e un dolore senza voce. Tutti erano così
depressi che, in balia della paura, non avevano più la lucidità di decidere
cosa abbandonare lì e cosa portarsi dietro e si interpellavano a vicenda ora
immobili di fronte alle porte, ora in un abulico vagare dentro le case che
avrebbero visto per l’ultima volta. Poi, quando ormai i cavalieri gli urlavano
di sbrigarsi a uscire, quando già si iniziava a sentire il fragore delle prime
case demolite nei sobborghi e il polverone dei crolli nei quartieri lontani
aveva coperto ogni cosa come una nuvola bassa e diffusa, allora ciascuno
cercava di afferrare ciò che poteva uscendo dalla casa in cui era nato e
cresciuto e in cui doveva lasciare lari e penati. Subito le strade si
riempirono di una fila interminabile di sfollati i quali, specchiandosi nello
stato miserando dei propri consanguinei, ricominciarono a piangere e urla
strazianti di dolore (erano soprattutto donne) si levarono quando passarono
davanti ai templi piantonati dai soldati armati, in quanto sembrò loro di
lasciare le divinità in mano al nemico. I Romani fanno uscire gli Albani dalla
città e poi radono al suolo tutti gli edifici, pubblici e privati, e in un’ora
soltanto azzerano i quattrocento anni di storia che Alba aveva alle spalle.
L’unica cosa risparmiata, secondo le disposizioni del re, furono i templi. »
(I, 29)
Dalla
storia di Roma Omero e i suoi seguaci poterono cogliere a piene mani le
situazioni da adattare alla fittizia guerra di Troia. Per citare solo qualche
spunto che traggo dalla lettura della vita di Romolo di Plutarco, vi si accenna
ad un oracolo di Teti (la madre di Achille era la dea Teti) localizzato in
Etruria forse a Cere e alla punizione delle figlie di Tarchezio che per non
aver adempiuto all’oracolo furono condannate dal padre a sposarsi solo dopo
aver tessuto una tela che però lui di nascosto faceva stessere di notte (Vite
parallele, Romolo, 2), e ancora la segnalazione alle navi achee riparate dietro
Tenedo che potevano tornare visto che i Troiani dormivano ubriachi e le porte
erano aperte può venire dall’analogo stratagemma ideato dalla schiava Filotide
o Tutola che, entrata con altre schiave nell’accampamento dei latini, tenendo
di notte una fiaccola sollevata sopra un caprifico - si ricordi il famoso
caprifico delle porte Scee - avvisò i romani che, usciti dalla città assalirono
e sconfissero i nemici (Vite parallele, Romolo, 29). Va approfondito lo studio
sul fuoco (custodito dalle Vestali) fecondatore di Rea Silvia, della serva di
Tarchezio da cui sarebbero nati i gemelli, della madre serva di Servio Tullio.
Il fuoco, collegato al Sole, è la divinità che genera il re fecondandone la
madre. Tutto sommato, dagli esempi disponibili, si direbbe che il dio
preferisse rendere incinte le donne di nobili origini ma cadute in disgrazia o
divenute schiave. Probabilmente la verità è che il fuoco stando nel palazzo del
re era di norma il re a fecondare le donne che vi si trovavano, vestali e
schiave comprese. Nel caso di Servio Tullio si potrebbe parlare di fenomeni di
aureola osservati attorno al medesimo che interpretati secondo le norme
divinatorie etrusche lo indicavano come prescelto dalla divinità, ma la verità
più semplice è che costui si trovò al momento giusto al posto giusto per
succedere a Tarquinio I mentre Tarquinio II era ancora troppo giovane per
succedergli. Cioè si faceva il re come meglio si credeva e poi si attribuiva la
scelta e la paternità del medesimo al dio del fuoco. Ma, c'è da scommetterci,
sicuramente il re non gradito al clero (ricco e pancione) non sarà mai stato
ritenuto figlio del fuoco. Anche
in questo caso la storia nostrana è alle fonti del cristianesimo perché anche
Maria come Rea Silvia fu fecondata dal dio senza alcun intervento umano.
Dalle
ceneri di Albalonga nasceva ancora più grande Roma, e sangue albano continuava
a scorrere nelle vene romane. (Ben cinquanta famiglie vantavano sangue troiano
e ne aveva scritto Varrone in De Familiis Troianis. Dunque, bisogna
sottolinearlo, gli Albani non entrarono a Roma come fondatori con Romolo, e
tantomeno con Remo, ma solo al tempo di Tullo Ostilio, esuli dalla distrutta
Albalonga.) Questo il messaggio augurale dell’Iliade attraverso la
riappacificazione fra Achille e Priamo sul cadavere di Ettore restituito al
padre per essere pianto dai familiari e dal popolo tutto. Omero non viaggiò mai
oltre o troppo oltre la provincia di Roma e Viterbo e come Salgari trasfigurò
persone e paesaggi locali in persone e paesaggi esotici di cui aveva notizie
solo indirette, da resoconti di viaggi ecc. Sapevo che il suo Olimpo, il suo
Ida, si dovevano trovare da qualche parte in Etruria meridionale. Osservando
Monte Cavo su cui sorge il mio paese natale di Rocca di Papa non si può non
pensare che certo lassù fra la nebbia dove la montagna si confonde col cielo
l’uomo primitivo doveva credere risiedessero gli dèi e infatti lassù sorgeva il
tempio di Giove Laziare cioè la sede della lega latina. Fu all’ombra di Monte
Cavo, l’Ida nostrano, che Omero concepì e cantò la più bella storia di tutti i
tempi, trasferendola a Troia sullo stretto dei Dardanelli perché gli Albani si
dicevano discendenti dei Troiani. Precisando il concetto, una Troia esisté
davvero e l'ha scoperta Schliemann, pare che abbia subito un incendio per
l’invasione di traci più o meno intorno al 1150 a. C., che vi si trovavano
stanziati, ma dal XIV secolo a. C., gli Ahhiyawa/Achei il che poteva anche
corrispondere all'esito di una invasione, ma soprattutto i Latini vantavano (a
torto o a ragione) di discendere da Troia e soprattutto questa era l'opinione
dei Greci posteriori ad Omero. Orbene quel che precede è per lo più frutto di
accostamenti casuali. Solo una cosa è certa, che fu la distruzione di Albalonga
a suggerire l'Iliade, che il poema era rivolto ai Greci per motivi
prevalentemente economici e dunque doveva interessarli e riempirli di orgoglio,
così dopo avrebbero allentato i cordoni della borsa, che la colonizzazione
greca aveva l'aspetto di un'invasione della Troade, che i Latini da pacificare
pretendevano di originare da quelle parti e comunque di essere " Greci
", dunque Omero ebbe la strada spianata a scrivere l'Iliade come la
scrisse senza mai recarsi in Troade e probabilmente ignorando perfino per via
indiretta i dati archeologici che del tutto casualmente davano l'apparenza che
questa fosse davvero avvenuta più o meno come la immaginò Omero trasfigurandola
dalla " guerra di Troia " dei Colli Albani. Dunque la mia intuizione
iniziale dell’origine italica della divina ispirazione che creò gli immortali
poemi omerici viene di continuo confermata da sempre nuovi dettagli. Sono
contento di poter riportare alla mia terra natale iure sanguinis l’Etruria e
iure soli i Castelli Romani, le fonti ispiratrici della poesia omerica. Oggi,
come si addice ad una realtà mitica che sconfina nella favola, della città che
ha ispirato l'Iliade non si sa più nulla e Albalonga, la vera ed autentica
Troia omerica, attende da quasi tremila anni il suo Schliemann. Quanto a Monte
Cavo, sovrastato da una selva di antenne e ripetitori di tutte le fogge e
dimensioni, oltre a qualche masso –
oltretutto spostato dalla sua sede originaria – della base del tempio di
Giove, rimangono i versi immortali di Omero: « Dicendo così, aggiogò al carro i
cavalli piedi di bronzo, rapido volo, ch'anno criniere d'oro; oro vestì lui
stesso sul corpo, e prese la frusta d'oro, ben fatta, e salì sul suo carro e
frustò per andare; quelli volarono ardenti a mezzo fra la terra e il cielo
stellato. E venne all'Ida, ricca di fonti, madre di fiere, alla cima del
Gàrgaro, dov'è il suo sacro recinto, l'altare odoroso. Qui fermò i cavalli il
padre [Ju-piter, Zeus pater, Latiaris] dei numi e degli uomini, e li sciolse
dal carro, versò molta nebbia intorno. Egli sopra le vette si assise,
splendente di gloria, guardando alla città dei Troiani, alle navi achee. » (Il.
VIII, 41ss)
Quanto
alla localizazione di Albalonga, trovo per lo più scritto che si troverebbe
sotto l'odierna Castelgandolfo, ma certo si tratta di errore in quanto sia
Livio che Dionisio d'Alicarnasso, che si sono occupati della materia da vicino,
ci dicono che Albalonga si trovava sotto Monte Cavo ovvero Monte Albano (Livio,
1, 3) e fra il Monte e il Lago Albano (Dionisio, 1, 66). Se un'Albalonga si
trova dalla parte di qua del Lago Albano sulla Via Appia (antica) è per la
stessa ragione che una nuova Volsinii/Bolsena è stata edificata sulla Via
Cassia, e cioè per essere sotto immediato controllo delle legioni romane.
Nella
foto è visibile in primo piano il Monte Cavo, un vulcano spento, alle cui
pendici sorge Rocca di Papa, che se corrispondesse esattamente ad Albalonga si
troverebbe più a nord di quanto ci si aspetterebbe dalla descrizione degli
antichi. Fra
Monte Cavo e il Lago Albano (un più grande vulcano spento), visibile nello
sfondo, si trovava dunque Albalonga, ma io non escludo che in base alla
testimonianza dei due autori anche Rocca di Papa vada bene come localizzazione
di Albalonga. Per lo meno una parte di Rocca di Papa attuale potrebbe sorgere
su una rocca della stessa Albalonga o dipendente da Albalonga a guardia della
Via sacra e del santuario di Giove Laziare, che da ultimo è stato trasformato
in monastero e poi in albergo. Il percorso della Via Sacra (che da Monte Cavo
scendeva verso Ariccia tenendosi a oriente del Lago Albano), databile al VII
secolo, e che doveva necessariamente passare vicino ad Albalonga, la città
latina più antica, sede della Lega latina (percorso su cui in seguito si
sovrappose la Via Appia dalla quale oggi risulta derivare), è un indizio
importante per la localizzazione di Albalonga. Infatti ne abbiamo l'ultimo
tratto di circa tre chilometri (dalla Guardianona, casale sulla Via dei Laghi,
alla sommità di Monte Cavo) che passa vicino a Rocca di Papa. Ritengo che Omero
non si sia mai allontanato dalla provincia di Roma per cui i riferimenti
topografici del tutto generici a Troia e Itaca gli derivano in primo luogo da
descrizioni di viaggiatori. E' però più che probabile che Omero attribuisca in
parte a Troia e Itaca elementi topografici di Monte Cavo e Albalonga.
Se
ho ragione si potrebbe ad esempio ritenere che l'odierna fontana in Piazza
della Repubblica a Rocca di Papa sia la discendente in linea retta -
trasformazione dopo trasformazione - della fonte di Itaca prossima al borgo e
al palazzo, circondata da un boschetto di pioppi e costituita da un'alta roccia
(da dove sgorgava l'acqua) con sopra murata un'ara sacra alle Ninfe cui i
passanti facevano offerte (Od. 17, 204ss). Oggi in cima alla fontana,
insolitamente alta, c'è solo la vasca a forma di coppa sorretta da quella che ha
tutt'oggi la forma di un'ara.
Se
ho ragione, da questa fontana Melanzio... andò avanti, e molto in fretta giunse
al palazzo del re... Infatti dall'odierna Piazza della Repubblica con la
fontana delle ex Ninfe si prende l'odierno Viale della Costituente, sede del
centro politico della città a partire dall'ufficio del Sindaco. C'è da supporre
che invece l'attuale Via San Francesco che porta a Piazza Garibaldi si
sovrappone al sentiero che conduceva al borgo. Il sottoscritto è nato in una
casa sull'odierno Viale della Costituente, dunque a pochi passi dal – se non proprio sul – palazzo di Odisseo o meglio il palazzo
del signore del luogo che ispirò a Omero la sua Itaca e la sua Troia.
Secondo
altri Albalonga era situata presso l'odierno convento di Palazzolo.
Dopo
aver dimostrato che Omero inserì nei suoi poemi riferimenti alla storia romana
(nello sfondo dell'Ira d'Achille la distruzione di Albalonga/Troia e nella seconda parte dell'Odissea la
guerra di Romolo per la ripresa del potere su Lavinio) occorre concludere che
vi sono abbondanti elementi per cominciare a sostenere che Omero fosse romano e
più probabilmente latino di Albalonga.
Il
fatto che la sua prima opera sia stata commissionata da Demarato signore di
Tarquinia può confermarci nella nostra ipotesi che la madre di Omero fosse
etrusca di Roma e che tramite le conoscenze per via di madre nobile Omero sia stato
noto e invitato a scrivere il Viaggio d'Odisseo. Probabilmente se Omero non
fosse stato in parte etrusco non avrebbe esaltato gli Etruschi/Feaci da farne
un popolo divino. Il riferimento nell'Odissea agli stranieri che vengono
invitati a corte fra cui i cantori (17, 382-385) potrebbe appoggiare l'ipotesi
di Omero straniero (nonostante di cultura anche etrusca) chiamato a operare a
Tarquina. Possiamo così comprendere meglio che gli elementi culturali
genericamente etruschi individuati nel bagaglio culturale di Omero sono più
precisamente romano-latini. Basti qui accennare al concetto ripetuto di
continuo della donna destinata a filare mentre occupazioni dell'uomo sono
praticamente tutte le altre. Ciò può essere tipico solo della donna romana,
relegata in casa ma anche dell’emancipata Tanaquilla in quanto regina romana.
Tutte le donne omeriche sono elaborate sull'immagine della donna romana, che
fila vicino al fuoco. Solo la regina Arete e sua figlia Nausicaa sono donne
autonome e indipendenti in quanto etrusche. Dunque Omero è etrusco-romano, cioè
la sua etruscità è insita nel suo essere figlio di madre romana. Si comprende
anche meglio adesso la conoscenza da parte di Omero delle istituzioni politiche
romane come i luoghi di rifugio e il santuario federale che Roma ha in comune
con gli Ebrei e i Beniaminiti in particolare. Poi va segnalata la straordinaria
coincidenza con la situazione romana della divisione dell'esercito per tribù
(phyle) e quartieri o curie (fratria) suggerita da Nestore ad Agamennone
(Iliade, 2, 362), così come confermatoci da Dionisio d'Alicarnasso (2, 7, 2-3).
Infine si noterà un accenno alla testuggine romana laddove i Troiani sono ormai
chiusi dentro le mura e i gli Achei
si apprestano all'assedio che si concluderà con la presa e l'incendio
della città:
«
il fumo salendo arriva al vasto cielo da una città incendiata,
l'ira
dei numi vi soffia: e a tutti dà pena,
su
molti getta il cordoglio » (Il. 21, 522ss)
Dunque
mentre i Troiani guardavano appoggiati ai parapetti delle mura, « gli Achei
giunsero sotto le mura, poggiando gli scudi alle spalle » (Il. 22, 4-5). Tenendo presente che Omero conosce lo
schieramento oplitico è evidente che analogamente gli Achei si dispongono a
testuggine sotto le mura di Troia. Cf. anche 11, 593.
A
questo punto si può pensare di fare un passo ulteriore e ipotizzare che Omero fosse
addirittura di Albalonga. Scoprire che Omero fu un mio concittadino (cioè nato
su Monte Cavo dove oggi c’è solo Rocca di Papa) ante litteram mi riempirebbe
d'orgoglio.
Se
Omero fosse nato ad Albalonga o fosse comunque un latino, poco prima dell'Ira d'Achille
la sua casa natale sarebbe stata distrutta dai Romani con la città e la nazione. La sua esperienza di una città
distrutta, e proprio quella città distrutta, sarebbe personale e così gli
sarebbe stato più facile esprimere tutto il dolore della catastrofe, cosa che
gli è riuscita alla perfezione. Nel completamento dell'Odissea con la lotta di
Romolo per il ritorno al potere su Lavinio Omero continuerebbe a trattare
secondo questo punto di vista materia albana piuttosto che romana. Si
tratterebbe ancora di analizzare il mito non citato direttamente di Ifigenia legato al tempio di Diana di
Nemi (con altari dedicati a Mercurio e Apollo; oltre ad Apollo anche Mercurio è
importante per Omero: nell'Ira d'Achille guida Priamo da Achille per
richiederne il corpo di Ettore; nell'Odissea è il dio protettore della famiglia
d'Odisseo e a lui è dedicata la collina che sovrasta il borgo di Itaca), la
presenza di animali locali come il lupo che a Rocca di Papa fece ancora parlare
di sé nella celebre nevicata del '56, e del mulo, che ancora oggi è il miglior
mezzo di trasporto su Monte Cavo.
Il
riesame che ho condotto sull'Iliade rileggendo separatamente prima i libri più
sicuramente omerici e poi quelli più sicuramente non omerici o fortemente
interpolati mi ha chiarito che i secondi (il 5, dall'8 al 13 inclusi, il 19),
attribuibili a omeridi al servizio di re greci in Grecia, sono dominati dalla
presenza di leoni e in minor misura di pantere e sciacalli, cioè animali feroci
tratti dall'iconografia micenea (via l'Oriente) e sostituiti al lupo nostrano
emblema di Roma. Inoltre è proprio in questi libri manipolati che compaiono i
riferimenti al mondo miceneo, come il libro 8, dove l'arciere Teucro si nasconde dietro al guerriero armato
di scudo a torre Aiace Telamonio, come in una scena di una caccia al leone su
lamina bronzea di pugnale dal sepolcro IV del cerchio A di Micene, o il libro
10, dove troviamo l'accenno all'archeologicamente noto elmo coperto con zanne
di cinghiale che Merione da a Odisseo.
Si
può ancora aggiungere la similitudine fra la coppa di Nestore nel libro 11 e un
simile bicchiere in oro sempre dal sepolcro IV cui è stato dato lo stesso nome.
Ancora nel libro 9 che certo casualmente non ha accenni al leone è nominata
Tebe egizia dalle cento porte, anche questo un elemento che deriva dalla
tradizione micenea. E' evidente che giunti in mano ai Greci i poemi omerici
furono sottoposti a integrazione (Iliade) e a manipolazione (Iliade e Odissea)
cercando di farli meglio passare come opera greca e dunque, con una vera
operazione archeologica inserendo gli elementi sia archeologici sia della
tradizione che risalivano ad età micenea, età che Omero aveva solo immaginato
con la sua fervida fantasia alla Salgari, proiettando nell'età micenea la
civiltà etrusca-italica che aveva sotto gli occhi e da quella derivava in modo
mediato. Viceversa i leoni nella seconda parte dell'Odissea non implicano
manipolazione perché possono essere stati ispirati allo stesso Omero dai leoni
che aveva inserito come animali esotici nel Viaggio. L'aver individuato con
maggior sicurezza i libri non omerici o interpolati mi consente anche di
supporre che se proprio in questi libri compare la stragrande maggioranza degli
accenni alle alte cime montane (che si potrebbero in un primo momento
identificare con gli Appennini) allora è assai probabile che anche l'accenno in
Il. 16, 297ss (Come quando dall'alta vetta d'una grande montagna Zeus adunatore
di folgori scosta una nuvola spessa, e appaiono tutte le cime, i picchi alti, e
le valli, ché s'è squarciato l'etere immenso in cielo... ) sia interpolato. Gli
altri accenni sono in: Il. 5, 522ss: come nuvole che il Cronide raduna durante
una calma sopra alti monti, immote fino che dorma la furia di Borea e degli
altri venti selvaggi, che le nuvole ombrose disperdono soffiando con raffiche
stridenti... ; Il. 8, 555ss: Come le stelle in cielo, intorno alla luna lucente
brillano ardendo, se l'aria è priva di venti; si scoprono tutte le cime e gli
alti promontori e le valli; nel cielo s'è rotto l'etere immenso, si vedono
tutte le stelle; gioisce il cuore del pastore... ; Il. 12, 278ss: come le falde
di neve cadono fitte in un giorno d'inverno, che il saggio Zeus si leva a
nevicare; e agli uomini mostra quali son le sue armi; i venti addormenta, e
versa e versa, fino che copre le cime dei monti alti e i picchi elevati e le
pianure erbose e i grassi arati degli uomini; perfino in riva del mare canuto
cadon le falde, sui golfi e le punte, e l'onda dove lambisce le ferma; ma tutto
il resto è coperto e nascosto, quando s'abbatte la tormenta di Zeus...
Ne
deriva che i riferimenti di Omero sono circoscritti ai monti sì, ma di modeste
dimensioni dei Colli Albani, come Monte Cavo (948 m), M. Iano (938 m), M.
Péschio (939 m), M. Artemisio (891 m), Maschio di Faete (956 m), ecc.:
Come
su vette di monti il Noto versa la nebbia, non cara ai pastori, migliore della
notte pel ladro, di tanto uno spinge lo sguardo, di quanto tira una pietra...
Il. 3, 10ss; Come uno, veduto un serpente, fa un balzo indietro fra gole di
monti, gli prende il tremore ai ginocchi, e fugge e il pallore gli invade le
guance... Il. 3, 33ss; Come vede nube talvolta dalla vetta un capraio, venir
per il mare, sotto l'urlo di Zefiro, a lui, lontano, nerissima come la pece
appare, venendo pel mare, porta grande tempesta; rabbrividisce a vederla, sotto
la grotta conduce la greggia... Il. 4, 275ss; Così due torrenti, talvolta, dai
monti precipitando, urtano al confluente l'acqua rabbiosa delle fonti
abbondanti dentro cavo dirupo; ode il rombo lontano, fra le montagne, il
pastore... Il. 4, 452ss; come un pioppo cresciuto nell'umido prato di grande palude,
liscio, e i rami in cima gli spuntano; questo col ferro lucido un fabbricatore
di carri tagliò, a curvar cerchio di ruota per qualche bel carro; ed esso giace
a seccare lungo la riva del fiume... Il. 4,482ss (l'esempio è plausibilmente
tratto dalla maremma laziale ma il facocchio, il costruttore di carri, è
attestato come antico mestiere di Rocca di Papa e Omero descrive il taglio di
legna sui monti); quando il taglialegna
si dà a preparare il suo pasto tra le gole del monte, poi che ha saziato
la mano a tagliar grandi piante, stanchezza gli è entrata nell'animo, e
desiderio di cibo soave il cuore gli prende... Il. 11, 86ss; Come fuoco crudele
si abbatte su folta foresta e da
ogni parte lo spinge il vento che turbina, i tronchi piombano giù divelti sotto
l'assalto del fuoco... Il. 11, 155ss; Come quando scende alla piana un fiume
gonfio, un torrente dai monti, le piogge di Zeus lo accompagnano, e molte aride
querce e molti pini trascina, e getta molto fango nel mare... Il. 11, 492ss;
come cade una quercia o un pioppo
o un pino alto che i falegnami sui monti tagliano con scuri affilate per farne
chiglia di nave... Il. 16, 482ss; come s'innalza il tumulto dei boscaioli tra
le gole del monte, lontano arriva il rimbombo... Il. 16, 633ss; come lupi
divoratori di carne, che intorno al cuore hanno forza indicibile, sbranato sui
monti un gran cervo ramoso, lo divorano, e tutti hanno il muso rosso di sangue,
poi vanno in branco a una sorgente acqua bruna, l'acqua scura a lambire con le
lingue sottili a pelo, ruttando il sangue dell'ucisione; nel petto l'animo è
intrepido, il loro ventre è disteso... Il. 16, 156ss; Come lupi rapitori tra agnelli e capretti si gettano,
strappandoli di sotto alle pecore, che su pei monti si sono sperdute per follia
del pastore: e quelli vedendoli subito li rapiscono, ché hanno debole cuore...
Il. 16, 352ss; Come Euro e Noto gareggiano fra loro tra le gole del monte a
squassare una selva profonda, quercia e faggio e corniolo larga corteccia, ed
essi fra loro scagliano i lunghi rami con stormire infinito, schiacciano i rami
infranti... Il. 16, 765ss; come muli che forza gagliarda han vestito, lungo
roccioso sentiero trascinano giù dal monte un tronco o una trave grande,
navale; e il cuore dei faticanti è oppresso da affanno e sudore... Il. 17,
742ss; Ma quando fu lontano quanto s'allungano i solchi delle mule - queste son
molto migliori dei bovi a tirare nel fondo maggese l'aratro connesso - ... Il.
10, 351ss; Come un nuvolo di cornacchie o stornelli fugge gridando rovina, se
vedon venire il nibbio, che porta strage ai piccoli uccelli... Il. 17, 755ss;
Come quando le falde della neve di Zeus volteggiano fitte, gelide, sotto il
soffio di Borea figlio dell'Etere... Il. 19, 357ss; Come incendio pauroso infuria nella gola profonda d'un arido monte, arde la cupa foresta;
il vento, rombando, fa turbinare da ogni parte la fiamma... Il. 20, 490ss; Come
serpente montano attende l'uomo sopra il suo buco, mali veleni ha mangiato, lo
penetra collera atroce, guarda fisso, terribile, arrotolato sopra il suo
buco... Il. 22, 93ss.
Se
mi posso permettere una scommessa io scommetto su Omero nato ad Albalonga
perché la sua fantasia si può essere davvero sviluppata nascendo e vivendo
l'infanzia nei Colli Albani più che in qualsiasi altra parte del mondo. Come
non vi sono in Omero specifici accenni all'Etruria che pure interessa Pyrgi
così non ve ne sono a Roma. Viceversa
Rocca di Papa (l'unico centro abitato esistente che sia oggi in rapporto
con Monte Cavo come un tempo Albalonga) si può definire ventosa come Ilio
(Omero definisce ventoso anche il caprifico alle porte Scee) e a causa di
secoli di caccia spietata e della cementificazione che ha interrotto il
collegamento con l'Appennino sono scomparsi tre animali noti a Omero, il lupo,
l'orso e l'aquila reale (l'animale di Zeus di cui invia i messaggi agli
uomini), presenti invece nell'Appennino. Il lupo si avvistava almeno fino nel
1956. Probabilmente l'orso, citato una sola volta da Omero in un passo non
significativo, era al suo tempo in
via di estinzione su Monte Cavo come il lupo dei tempi moderni. Ancora molto
citato da Omero è il falco, nunzio d'Apollo. L'animale simbolo di Rocca di Papa
è invece il mulo che Omero ha celebrato come mezzo di trasporto regale
facendogli trainare il carro di Priamo a Troia e di Nausicaa a Pyrgi. Si può anche osservare che tuttavia
Omero conosce bene l'Etruria perché non gli è sfuggito un accenno alle
canalizzazioni per il drenaggio delle acque in cui gli Etruschi erano maestri:
Come un uomo che scava fossi, da una fonte acqua bruna verso piantate o
giardini, guida il flusso dell'acqua con una zappa in mano, fuori dal fosso gli
impedimenti gettando, sotto l'acqua, che scorre, tutta quanta la ghiaia rotola,
l'acqua scorrendo rapidamente sul terreno in pendio, precede chi la conduce...
Il. 21, 257ss.
Omero
mostra di conoscere profondamente i boschi montani e la relativa fauna vivendo
presso i taglialegna e i pastori e, a valle, gli allevatori di mandrie di
vacche e cavalli. Quanto alla caccia, se l'arco che sta al centro dell'Odissea
è un'arma antiquata al tempo di Omero, è invece ideale per la caccia e Omero
conosce anche la fionda oppure la più pericolosa caccia ravvicinata con la
lancia. Accenna alla costruzione di una casa alta in montagna: « come le
capriate d'un'alta casa, che famoso architetto ha incastrato, temendo la forza
del vento... » (Il. 23, 712-713); questa casa corrisponde alla casa d'Odisseo
che è la casa di un boscaiolo, costruita a partire da un tronco d'olivo su cui
è stato fatto il letto; (Odisseo) « Si mise a sedere sulla soglia di frassino,
di qua dalla porta, contro lo stipite di cipresso, che ad arte polì il
costruttore, e lo squadrava a livella » (Od. 17, 339ss). Penelope va a prendere l'arco salendo
le scale fino al solaio, tutto in legno, dove era il " tesoro " di
Odisseo, Od. 21, 42ss: « Ora, come arrivò alla stanza la donna bellissima, e la
soglia di quercia salì, che l'artefice levigò ad arte, e la squadrava a
livella, e sopra drizzò gli stipiti, vi adattò porte splendenti... »
Ecco
perché le donne di Omero sono virili, perché sono derivate dalle donne dei
boscaioli, che fanno una vita rude come e più dei loro mariti. Si ricorderà la
figura di Nausicaa che “ balzò ” sul carro tirato da mule come un qualsiasi
maschiaccio. Nel passo appena citato Penelope prende la chiave per aprire il
tesoro nella “ mano robusta ”. Queste osservazioni, unite alla conoscenza che
Omero ha della vita dei porcari, che bevono in boccali scavati nel legno, mi
rafforza nell'idea che Omero avendo vissuto da boscaiolo una generazione dopo
Romolo poté facilmente entrare in contatto con lo stesso ambiente in cui Romolo
visse la sua vita clandestina, nei boschi del Palatino, e raccogliere dalle
fonti bene informate tutte le notizie più autentiche sulla vita del fondatore
di Roma.
Per
la descrizione di una spedizione di taglialegna si veda Il. 24, 109ss: « Brillò
Aurora dita rosate, che piangevano ancora intorno al misero morto. Ma il forte
Agamennone spinse uomini e mule a raccogliere legna, fuori da tutte le tende;
un nobile eroe li incitava, Merione, scudiero dell'animoso Idomeneo. Partirono,
dunque, con scuri da abbattere le selve e corde ben intrecciate; le mule
andavano avanti, e camminarono molto, in su, in giù, di traverso, di lato. E
quando furono sulle balze dell'Ida ricca di fonti, là querce alta chioma col
bronzo affilato abbattevano in fretta; quelle con grande fragore cadevano;
allora gli Achei le facevano in pezzi e le legavano dietro alle mule, che
divoravano il suolo, bramando la piana in mezzo ai folti macchioni. I
taglialegna inoltre portavano un tronco ciascuno: così comandava Merione,
scudiero dell'animoso Idomeneo... » A Rocca di Papa/Albalonga un personaggio
importante è il fabbro, prima di tutto perché ferra i muli, poi perché produce
le asce con cui i taglialegna abbattono gli alberi, e tutto il materiale di cui
abbisognano i carpentieri per fabbricare le case in legno. Non è un caso che
Melantò, la serva infedele, accusi Odisseo mendico di vivere a palazzo fra i
principi e di non accontentarsi di dormire in qualche bottega di fabbro o sotto
una loggia qualunque (Od. 18, 328-329) ed Eumeo fra i mestieranti apprezzati
che si invitano anche da fuori menzioni artigiani e carpentieri (Od. 17,
382ss).
Quanto
alla vita dei pastori ricorderò che Omero per la caverna di Polifemo, ricca di
latte e formaggi, e la " tenda " di Achille, s'è ispirato alle
capanne dei pastori. Ricordiamo la " tenda " di Achille, Il. 24, 449:
alta, che al sire avevano fatto i Mirmìdoni, tagliando travi d'abete, e sopra
avevano messo un tetto di frasche, dai prati ammassandole, e intorno avevano
fatto una gran corte al signore, con pali fitti, e chiudeva la porta un'unica
sbarra d'abete, ma tre achei la mettevano e tre la toglievano, la gran sbarra
della sua porta, tre degli altri, Achille la metteva anche da solo...
Queste
capanne, che analogamente si erigevano in Maremma, sono state ricostruite a
Rocca di Papa dall'associazione "La Macchia di Rocca" sita in Rocca
di Papa, Via Rocca Priora 73, che si prefigge lo scopo di riscoprire le origini
culturali di Rocca di Papa:
http://www.lamacchiadirocca.it/
Ebbene,
appena un secolo fa, i Rocchigiani vivevano immersi praticamente nello stesso
identico orizzonte di Omero, in
villaggi composti da capanni di varia fattura costruiti con materiali
presenti all'interno del patrimonio boschivo del luogo (legno di castagno,
ginestra, scopiglia e giunco) e comprendenti le carbonare che producevano
carbone, la fucina del fabbro maniscalco, il ricovero dei mulattieri che
trasportavano il legno tagliato dai tagliaboschi e il dormitorio dei pastori.
Fra i giochi tradizionali c'era il tiro alla fune (e in Omero è frequente
l'accenno ai grossi cavi utilizzati
anche per tenere insieme la legna sui muli), l'albero della cuccagna, ecc.
Omero
deve poi essersi trasferito prima a Tarquinia e Pyrgi, poi a Roma, ben prima
della distruzione di Albalonga, e allora ha acquisito per la prima volta esperienza se non del fiume certo del mare
e della Maremma laziale. Il sentimento che lo lega alla città eterna non è lo
stesso che lo lega ad Albalonga trasfigurata in Troia. Omero partecipa assai
più al destino tragico di Albalonga che a quello luminoso di Roma signora del
mondo. Quando Demodoco il cantore cieco dei Feaci canta il cavallo, astuzia che
avrebbe causato il crollo della rocca di Troia, Odisseo piange (« e Odisseo si
commosse e le lacrime bagnavano le guance sotto le ciglia. Come donna, su lui
gettandosi, piange lo sposo che cadde davanti alla città e ai suoi guerrieri,
per difendere i figli e la rocca dal giorno fatale, e lei, che l'ha visto
annaspare e morire, gli s'abbandona sopra, alto singhiozza: i nemici dietro con
l'aste la schiena e le spalle pungendole, la traggono schiava, ad aver pianto e
travaglio, e le sue guance si scavano in uno strazio angoscioso, così Odisseo
sotto le ciglia pianto angoscioso versava » Od. 8, 523ss). Perché? Non c'è
dubbio che viceversa dovrebbe essere orgoglioso e felice della sua geniale
trovata che ha messo fine alla decennale guerra di Troia che tante vittime
aveva fatto fra gli Achei. E' vero che abbiamo dimostrato che Odisseo è un
morto " reincarnato " e dunque può giustamente piangere per la sua
morte, ma questa verità è afferrabile solo da chi ha raggiunto una conoscenza
troppo approfondita dell'opera omerica e la stragrande maggioranza del
pubblico, a meno che non conoscesse appunto questa verità, non avrebbe
compreso. Un motivo inconfessabile per il dolore di Odisseo è che Omero era
nato a Troia, ovvero nella città che aveva suscitato l'idea della guerra e
della fine di Troia, Albalonga.
Se
poi si potesse dimostrare che al centro dell'Ira d'Achille è, sia pure dietro
le quinte, la dea Aurora di Albalonga (Alba da Alba, Aurora, etrusco Thesan,
greco Ino Leucothea) come la dea Aurora di Pyrgi è al centro del Viaggio
d'Odisseo e dell'Odissea, allora i poemi sarebbero più da attribuire
all'iniziativa omerica che non a
quella dei suoi mecenati e pertanto ne dovremmo concludere un profondo legame di
Omero con Albalonga romano-latina (a causa dei ricchi riferimenti alla vita di
montagna) prima che con Pyrgi
etrusca, sul mare della maremma laziale. A proposito della religione omerica mi
pare che preminenti nel suo pantheon siano divinità che restano tutto sommato
dietro le quinte pur essendo al centro dei poemi. Si tratta dei tre figli di
Iperione e Thia: Aurora, Sole e Luna, sotto i nuovi nomi di Ino Leucothea al
centro dall'inizio del Viaggio d'Odisseo alla fine dell'Odissea omerica, quando
sotto il nome di Aurora ferma il tempo
(Od. 23, 241-246); Apollo al centro dalla peste nel campo acheo che apre
l'Iliade alla gara dell'arco che da la svolta finale all'Odissea; e Artemide
(cui Odisseo paragona Nausicaa incarnazione di Ino Leucothea) che forse viene
assimilata ad Aurora avendo dunque al centro dei poemi i due figli di Letho.
Aurora/Leucothea si può definire la dea dell'Odissea, mentre Apollo si può
definire il dio dell'Ira d'Achille. Tutti dèi troiani e Aurora/Ino Leucothea e
Apollo anche dei Feaci.
La
descrizione omerica di Troia/Albalonga o meglio della sola rocca sede della
reggia e del tempio di Atena (ma, ci scommetteremo, in origine di Ino
Leucothea/Aurora), è abbastanza semplice e simbolica per chi conoscesse la
città. Omero descrive semplicemente una torre di guardia accanto al muro di
cinta della rocca dove sono aperte le due porte scee ovvero oblique, dalle cui
feritoie gli assediati colpivano i nemici assalitori di fianco. Qui presso era
un caprifico (o una quercia nelle versioni interpolate ma che comunque vedono
giustamente la derivazione dalla civiltà indeuropea comune) che segnava il
punto più debole delle mura della rocca, e da questa parte passava una via
carraia (Il. 22, 145-146).
Con
questo lavoro spero di aver tenuto
fede al mio proposito di occuparmi con un buon lavoro della storia di Rocca di
Papa. E l'ho fatto gettando le basi per tre ipotesi di ricerca di importanza
eccezionale: 1) Rocca di Papa sorge (anche solo in parte) sulle rovine di
Albalonga; 2) Omero se non nacque ad Albalonga nacque nella rocca da essa dipendente a guardia del santuario di
Giove Laziale; 3) Omero si ispirò alla distruzione di Albalonga e alla rocca su
Monte Cavo (e ciò rende probabile l'identità Rocca di Papa/Albalonga) per
immaginare Troia, il Monte Ida, e Itaca.