Lastra dal tempio della rocca di Veio con guerriero e auriga di tipo omerico (Roma, Museo di Villa Giulia)
rovinosa,
che infiniti dolori inflisse agli Achei,
gettò
in preda all’Ade molte vite gagliarde
d’eroi,
ne fece il bottino dei cani,
di
tutti gli uccelli – consiglio di Zeus si compiva –
da
quando prima si divisero contendendo
l’Atride
signore d’eroi e Achille glorioso »
(Proemio
dell’Iliade, trad. di Rosa Calzecchi Onesti)
L’Ira
d’Achille di Omero,
(Preliminare a questo lavoro è l’Introduzione all’Iliade e all’Odissea su questo sito).
Così
inizia l’Iliade e iniziava l’Ira
d’Achille omerica. Dunque Iliade,
il nome attuale dopo le aggiunte degli omeridi al soldo di Fidone d’Argo e
Pisistrato d’Atene, non corrisponde al suo contenuto. Infatti non narra nella
sua interezza la guerra di Ilio o Troia, ma
una serie di avvenimenti
– l’uscita di Achille,
colonna degli Achei, dalla guerra, la ritirata
degli Achei alle navi e la morte di Patroclo, il ritorno di Achille e
la morte di Ettore, colonna della difesa di Troia – svoltisi in pochi giorni
nell’ultimo anno della inventata da Omero ‘guerra di Troia’. Omero
scrisse solo l’Ira d’Achille (la cui redazione
dové aggirarsi, come l’Odissea, dai circa 6.000 versi iniziali ai 9-10.000 finali dopo l’inserimento dei flash back grosso modo dal
libro II al VII tranne il V e le parti ad esso connesse) e infatti l’introduzione dell’Iliade è
rimasta la stessa dell’Ira d’Achille: « Canta, o dea, l’ira d’Achille
Pelide ».
L’antefatto
causa della lite fra Achille e Agamennone
è la peste che Apollo
Sminteo, dei ‘topi’, invia nel campo acheo esaudendo la preghiera del suo
sacerdote Crise di Crisa, nella Troade, il quale s’è
recato al campo acheo e ha chiesto ad Agamennone la restituzione della
figlia Criseide fatta prigioniera dagli Achei, e cioè prima di tutto da
Achille, e assegnata come bottino di guerra ad Agamennone capo della
coalizione achea. Costui non solo s’è rifiutato di restituire la donna, ma,
irato, ha anche malamente offeso il sacerdote di Apollo:
« “ Mai te colga, vecchio, presso le navi concave,
non adesso a indugiare, non in futuro a tornare,
che non dovesse servirti più nulla lo scettro, la benda del dio!
Io non la libererò: prima la coglierà vecchiaia
Nella mia casa, in Argo, lontano dalla patria,
mentre va e viene al telaio e accorre al mio letto.
Ma vattene, non m’irritare, perché sano e salvo tu parta. ”
Disse così, tremò il vecchio, obbedì al comando,
e si avviò in silenzio lungo la riva del mare urlante;
ma poi, venuto in disparte, molto il vegliardo pregò
il sire Apollo…
“ Ascoltami, Arco d’argento, che Crisa proteggi,
e Cilla divina, e regni sovrano su Tènedo,
Sminteo, se mai qualche volta un tempio gradito t’ho eretto,
e se mai t’ho bruciato cosce pingui
di tori o capre, compimi questo voto:
paghino i Danai le lacrime mie coi tuoi dardi. ”
Disse così pregando: e Febo Apollo l’udì,
e scese giù dalle cime d’Olimpo, irato in cuore,
l’arco avendo a spalla, e la faretra chiusa sopra e sotto:
le frecce sonavano sulle spalle dell’irato
al suo muoversi; egli scendeva come la notte.
Si postò dunque lontano dalle navi, lanciò una freccia,
e fu pauroso il ronzìo dell’arco d’argento.
I muli colpiva in principio e i cani veloci,
ma poi mirando sugli uomini la freccia acuta
lanciava; e di continuo le pire dei morti ardevano, fitte » (I, 43-52)
L'Ira d'Achille s'apre sul decimo giorno che infierisce il morbo e che ardono le pire degli Achei morti. E il decimo giorno Achille convoca l’assemblea e interroga l’indovino Calcante sulle cause del morbo e Calcante le manifesta solo dopo essersi assicurata la protezione di Achille quando Agamennone, che è colpevole di fronte al sacerdote di Apollo, certamente si adirerà...
« ... s'alzò fra loro
l'eroe figlio d'Atreo, il molto potente Agamennone,
infuriato; d'ira tremendamente i neri precordi
erano gonfi, gli occhi parevano fuoco lampeggiante;
subito guardando male Calcante gridò:
" Indovino di mali, mai per me il buon augurio tu dici,
sempre malanni t'è caro al cuore predire,
buona parola mai dici, mai la compisci!
E adesso in mezzo ai Danai annunci profetando
che proprio per questo dà loro malanni il dio che saetta,
perch'io della giovane Criseide il ricco riscatto
non ho volto accettare: molto io desidero
averla in casa, la preferisco a Clitemnestra davvero...
Ma anche così consento a renderla, se questo è meglio...
Però un dono, subito, preparate per me; non io solo
degli Argivi resti indonato, non è conveniente... » (I, 68-119)
Agamennone non è certo uno
stinco di santo. Acconsente a restituire Criseide ma vuole subito una
sostituta, che per forza di cose dovrà essere tolta a uno degli Achei perché
il bottino è già stato spartito. Achille glielo fa notare con veemenza
dicendogli di aspettare per il suo risarcimento la conquista di Troia.
Ma Agamennone è irremovibile e arrogante nella sua posizione di capo della
spedizione. Il fatto è che Achille ha da vuotar
fuori un sacco pieno di rancore accumulato in tanti anni di guerra in
cui ha rischiato in prima persona in tutte le imprese mentre Agamennone
spartendo la torta del bottino si teneva la parte più grossa.
Questo atteggiamento è naturalmente perdente, perché Agamennone è
comunque il capo indiscusso della spedizione, mentre Achille, per quanto
valoroso, è sostituibile insieme ai suoi Mirmidoni:
« Ma guardandolo bieco Achille piede rapido disse:
“ Ah vestito di spudoratezza, avido di guadagno,
come può volentieri obbedirti un acheo…
Davvero non pei Troiani bellicosi io sono venuto
a combattere qui, non contro di me son colpevoli:
mai le mie vacche han rapito o i cavalli,
mai a Ftia dai bei campi, nutrice d’eroi,
han distrutto il raccolto…
Ma te, o del tutto sfrontato, seguimmo, perché tu gioissi,
cercando soddisfazione per Menelao, per te, brutto cane,
da parte dei Trioiani; e tu questo non pensi, non ti preoccupi,
anzi, minacci che verrai a togliermi il dono
pel quale ho molto sudato, i figli degli Achei me l’han dato.
Però un dono pari a te non ricevo, quando gli Achei
gettano a terra un borgo ben popolato dei Troiani;
ma il più della guerra tumultuosa
le mani mie lo governano; se poi si venga alle parti
a te spetta il dono più grosso. Io un dono piccolo e caro
mi porto indietro alle navi, dopo che peno a combattere.
Ma ora andrò a Ftia, perché certo è molto meglio
andarsene in patria sopra le concave navi. Io non intendo per te,
restando qui umiliato, raccoglier beni e ricchezze. ”
Lo ricambiò allora il sire d’eroi Agamennone…
“ Vattene a casa con le te navi, coi tuoi compagni,
regna sopra i Mirmidoni: di te non mi preoccupo,
non ti temo adirato; anzi questo dichiaro:
poi che Criseide mi porta via Febo Apollo,
io lei con la mia nave e con i miei compagni
rimanderò; ma mi prendo Briseide guancia graziosa,
andando io stesso alla tenda, il tuo dono, sì, che tu sappia
quanto son più forte di te, e tremi anche un altro
di parlarmi alla pari, o di levarmisi a fronte. ” » (I, 148-187)
Achille, al colmo della rabbia,
sta per estrarre la spada con l’intenzione di ammazzare Agamennone quando
Era gli invia Atena per calmarlo e questa lo prende per i lunghi capelli,
invisibile a tutti tranne a lui, e lo invita a limitarsi alle parole, perché
un giorno sarà risarcito tre volte tanto per questa violenza. Achille da
ascolto alla dea:
« Così sull’elsa d’argento trattenne la mano pesante,
spinse indietro nel fodero la grande spada, non disobbedì
alla parola d’Atena…
Di nuovo allora il Pelide con parole ingiuriose
investì l’Atride e non trattenne il corruccio:
“ Ubriacone, occhi di cane, cuore di cervo,
mai vestir corazza con l’esercito in guerra
né andare all’agguato coi più forti degli Achei
osa il tuo cuore: questo ti sembra morte.
E certo è molto più facile nel largo campo degli Achei
strappare i doni a chi a faccia a faccia ti parla,
re mangiatore del popolo, perché a buoni a niente comandi;
se no davvero, Atride, ora per l’ultima volta offendevi!
Ma io ti dico e giuro gran giuramento:
sì, per questo scettro, che mai più foglie o rami
metterà, poi che ha lasciato il tronco sui monti…
… e ora i figli degli Achei
che fanno giustizia lo portano in mano: essi le leggi
in nome di Zeus mantengono salde. Questo sarà il giuramento.
Certo un giorno rimpianto d’Achille prenderà i figli degli Achei,
tutti quanti, e allora tu in nulla potrai, benché afflitto,
aiutarli, quando molti per mano d’Ettore massacratore
cadranno morenti; e tu dentro lacererai il cuore,
rabbioso che non ripagasti il più forte degli Achei. ”
Disse così il Pelide e scagliò in terra lo scettro
disseminato di chiodi d’oro. Poi egli sedette » (I, 219-246)
Già l’Ira d’Achille (e più ancora l'Iliade, terminata da omeridi greci) era venata da una sottile ironia che colpiva gli Achei e gli dèi che combattevano dalla parte di questi. Abbiamo così già nel libro I degli episodi comici. Prima di tutto Agamennone e Achille se ne dicono di tutti i colori arrivando quasi alle mani e sembrano due pupi siciliani. Questi elementi di comicità (si tenga presente che Achille ha statura gigantesca) in parte sono anche frutto della cultura etrusca (che è come una natura che germoglia esplosiva in forme fantasiose e primitive) di Omero quanto della sua non raggiunta perfezione nel gestire una materia oggettivamente difficile da rappresentare.
Nel libro I Nestore è persona seria, che forte della sua anzianità si inserisce nella lite per cercare di metter pace con le sue sagge parole. Non riesce nell’intento perché i due mantengono le rispettive posizioni. L’assemblea viene sciolta e Achille torna dai suoi alle sue tende, mentre Odisseo su ordine di Agamennone riporta su una nave Criseide dal padre. Gli araldi, sempre su ordine di Agamennone, vanno alla tenda di Achille a prelevare Briseide con cui Agamennone si risarcisce della perdita di Criseide. (Briseide proviene, secondo Omero, inverosimilmente da Lirnesso, in Cilicia, dove, a Tebe Ipoplacia, Achille ha ucciso il re Eezione, padre di Andromaca moglie di Ettore (I, 366ss; VI, 395ss, 414ss). Il rapporto fra Achille e Briseide è poco chiaro. E' poco credibile che nella versione omerica i due fossero innamorati, per il semplice fatto che Omero ha realizzato con Achille-Patroclo la coppia omossessuale (o se vogliamo bisessuale) greca (ispirata alla coppia di amici Davide-Gionata), tanto prevalente sulla prima da giustificare le parole di disprezzo per Briseide (la donna riposo del guerriero), causa del litigio fra lui e Agamennone, messe in bocca ad Achille dall'autore della riconciliazione) Achille va in riva al mare e sconsolato prega sua madre Teti, che accorre immediatamente...
« Diceva così versando lacrime: l'udì la dea madre,
seduta negli abissi del mare, vicino al padre vegliardo:
subito emerse dal mare canuto, come nebbia,
e si mise a sedere vicino a lui che piangeva,
lo carezzò con la mano e disse parole, diceva:
" Creatura mia perché piangi? che pena ha colpito il tuo cuore?
parla, non la nascondere, perché tutti e due la sappiamo! "
E a lei, con grave gemito, Achille piede rapido disse:
" Lo sai! perché devo dirlo a te, che sai già tutto quanto?... " » (I, 357-365)
Poetico l'inizio alla maniera dell'Odissea. Comico il finale, soprattutto per la sottolineatura del fatto che se gli dèi sanno tutto la madre gli ha fatto una domanda scema.
...di dargli soddisfazione, dato che Zeus è in debito con lei che lo ha difeso quando altri dèi tentarono di rovesciarlo. Teti, la madre d’Achille, anch’essa inverosimilmente figlia di Nereo il dio della Naharina, la regione dei fiumi siriana e inverosimilmente vivente nelle acque etrusche fra Lemno e Imbro, assicura al figlio che non appena Zeus sarà tornato dalla sua tournée di dodici giorni presso gli Etiopi gli chiederà soddisfazione:
« Lo ricambiò Teti allora versando lacrime:
Ah! creatura mia, perché t'ho allevato, misera madre?
Almeno presso le navi senza lacrime, senza dolore
fossi, dopo che hai sorte breve, non lunga!
Ora votato a rapida morte e ricco di pene fra tutti
tu sei, ché a mala sorte ti generai nel palazzo.
Per dire questa parola a Zeus signore del tuono,
andrò io stessa all'Olimpo nevoso, se voglia ascoltare...
... verso l'Oceano, verso gli Etiopi...
ieri partì...
al dodicesimo giorno ritornerà sull'Olimpo,
e allora t'andrò alla casa di Zeus, dalla soglia di bronzo,
lo supplicherò e penso che potrò pesuaderlo » (I, 413-427)
Intanto Odisseo giunge a Crisa e consegna Criseide al padre, fanno un’ecatombe ad Apollo e Crise prega Apollo, che lo esaudisce, di far cessare la peste nel campo acheo. Allora Odisseo e i suoi tornano al campo acheo...
« Quando il sole discese e venne giù l'ombra,
allora dormirono lungo i bordi della nave;
e quando figlia di luce brillò l'Aurora dita rosate,
allora facevan ritorno al largo campo degli Achei;
vento propizio ad essi manda il liberatore Apollo;
ed essi, rizzando l'albero, vi stesero le vele bianche;
il vento gonfiò il telo nel mezzo e l'onda spumosa
intorno alla chiglia molto urla, mentre la nave va:
correva essa sull'onda compiendo il cammino.
Ma quando giunsero al campo largo degli Achei,
spinsero la nave nera sopra la spiaggia asciutta,
in su, sopra la sabbia, e sotto lunghe travi disposero;
poi si dispersero fra le tende e le navi » (I, 475-487)
...mentre Achille se ne sta sempre ozioso alle tende lontano dalla guerra.
Questo sviluppo a intreccio risulta logicamente posteriore a quello sequenziale del Viaggio d'Odisseo. Un analogo sviluppo a intreccio è nel libro XVIII.
L'ira d'Achille, ovvero il poema che creava di sana pianta una tradizione che legava Romani e Greci in un tempo mitico (verso il 1200 a. C.) intorno al matrimonio mediante rapimento (voluto dalla dea sira Afrodite Urania) di Elena spartana (personificazione della dea) e Paride o Alessandro troiano, fu commissionato a Omero da Tullo Ostilio, terzo re di Roma, per celebrare nel 649 a. C. il centenario dalla fondazione di Roma (753 a. C.) e soprattutto le festività dei giochi secolari (i Consualia, da condere = fondare, del settembre; più precisamente tre giorni di festa, verisimilmente a partire dal 13, giorno in cui veniva conficcato il chiodo annuale) del santuario panetrusco di Poseidone/Vertumno al Foro Romano istituiti (nel 749 a. C.) dallo stesso Romolo (Dionisio d’Alicarnasso, II, 31,1). Durante i Consualia del 749 a. C. i Ramnenses, la tribù romulea, avevano rapito le latine! (e sabine) proprio durante i giochi federali etruschi cui erano stati invitati i popoli vicini. Tullo Ostilio chiese ad Omero di ricordare l’avvenimento nel poema celebrativo perché attraverso il rapimento s’era creato un legame di sangue fra romani e latini e adesso Tullo Ostilio voleva che questo legame fosse rinnovato fra romani e latini (che si ritenevano greci) per raggiungere la pacificazione fra i due popoli dopo che lui, Tullio, di origini latine, aveva raso al suolo la capitale Alba Longa deportando a Roma la popolazione (egli aveva anche raso al suolo la sua città natale di Medullia), e fra romani e greci, in particolare i mercanti, invitati a depositare nel santuario di Mater Matuta-Ino Leucothea (vedi Prisciano: GLK II, 76, 18ss ‘matutinus’ a Matuta, quae significat Auroram vel, ut quidam, Λευκοθέαν; cf. Cicerone, Tusc. I, 18) valori a garanzia degli scambi commerciali con la città tiberina. Si può ritenere in analogia col Viaggio d'Odisseo che questa prima versione breve del poema si aggirasse sui 6000 versi.
Nella seconda redazione dell’Ira
d’Achille Omero riempì lo spazio dei dodici giorni di assenza di Zeus
presso gli Etiopi per inserirvi un insieme di avvenimenti omogenei (che nell’Odissea
sono compresi fra l’inizio del poema e l’arrivo di Odisseo in vista di
Scheria, cioè lo scalo finale
prima dell’agognata Itaca), una serie di falsi flash back (perché si tratta
di avvenimenti attuali ma che ricalcano quelli che furono gli eventi dei primi
anni di guerra riepilogandoli; da qui la giustificazione parziale per il nome
di Iliade dato al poema omerico) e l’incontro di Ettore e Andromaca poco
prima della morte di Ettore per mano d’Achille. La forza realistica di
questi episodi inseriti (Tersite e Catalogo delle navi, libro II, duello fra
Paride e Menelao, libro III, rassegna di Agamennone, libro IV – la Diomedea
non è omerica ma di un omerida al soldo di Fidone d’Argo, e dunque va
escluso il libro V e le parti connesse negli altri libri – l’incontro fra
Ettore e Andromaca e cioè il libro VI –
tranne la prima riga e l’episodio di
Diomede e Glauco –
il duello fra Ettore e Aiace Telamonio, e la costruzione del
vallo a protezione delle navi, libro VII) mi spinge a dirli opera omerica.
L’attuale invio del Sogno cattivo da Zeus ad Agamennone non è omerico. La redazione omerica è facile da ricostruire. Poiché Achille s’era ritirato dalla guerra Agamennone radunava l’esercito, lo metteva al corrente del fatto, chiedeva l’adesione all’impresa essendone mutate le condizioni, e otteneva come risposta una fuga letterale degli Achei alle navi per tornarsene a casa:
« Disse così; a quelli balzò il cuore nel petto,
a tutti in mezzo alla folla, quanti udirono il piano;
l'assemblea fu sconvolta, come onde grandi del mare,
del mare Icario, che l'Euro o il Noto sollevano
balzando giù del padre Zeus dalle nubi;
o come quando Zefiro giunge e l'alte messi sconvolge,
violento avventandosi, e le spighe si piegano;
così l'intera assemblea si sconvolse: con grida...
balzarono verso le navi, a tirarle nel mare divino;
e pulivano i fossi, giungeva al cielo l'urlo
degli impazienti: già di sotto alle chiglie toglievano i travi.
E allora, contro il destino, sarebbe avvenuto il ritorno,
se non avesse Era parlato parole ad Atena:
" Ahi!, creatura di Zeus egìoco, Infaticabile,
così dunque a casa, alla loro terra patria,
fuggiranno gli Argivi sul dorso largo del mare,
e lasceranno a Priamo e ai Troiani, motivo di gloria,
l'argiva Elena, per cui tanti Achei
perirono a Troia, lontano dalla patria?
Ma va' subito al campo degli Achei chitoni di bronzo,
con le tue blande parole trattieni ognuno degli uomini,
non lasciare che tirino in mare le navi ricurve » (II, 142-165)
Questa lettura s’accorda perfettamente con un popolo libero come quello greco, mentre il Sogno cattivo dell’omerida al soldo di Fidone d’Argo ha trasformato Agamennone in un despota orientale che tiranneggia abusivamente un esercito che da nove anni sopporta le peggiori pene (vedi ad esempio Giobbe, 1,8ss e 2,3ss) con una sola voce contraria, quella omerica del brutto ma intelligente Tersite, voce del popolo che comincia timidamente a dire la sua (identica al pensiero di Achille, ma non con altrettanta fortuna) al tramonto delle monarchie. A riprova che i Greci non hanno capito Omero e non erano affatto quella civiltà occidentale che si crede con troppa presunzione. Odisseo si sarebbe allora incaricato su invito di Atena di trattenere l’esercito e convincerlo con le buone o con le cattive a restare.
Arringando la truppa
Agamennone ha un attacco di nostalgia:
« Ormai nove anni del grande Zeus sono andati,
e delle navi il legno è muffito, son lente le funi;
le nostre spose coi figli balbettanti
siedono nelle case, bramose; e a noi l’opera
è ancora incompiuta per cui
venimmo qua… » (II, 134-138)
Si noti la comicità di questi figli
balbettanti che evidentemente le madri hanno avuto dai loro amanti nell’assenza
ormai novennale dei loro mariti. Questa nostalgia, continuata da quella di
Odisseo (« e per noi il nono anno sta
compiendosi ormai da che siamo qui »)
che invita a non tornare indietro a mani vuote, a restare ancora per
vedere se si compiono i presagi favorevoli alla presa di Troia individuati da Calcante
al momento della partenza della flotta da Aulide...
« era il domani o il dopodomani, che in Aulide le navi degli Achei
s’adunarono, male a Priamo e ai Troiani portando.
E noi intorno a una fonte, vicino ai sacri altari
offrivamo agli eterni ecatombi perfette,
sotto un bel platano, da cui scorreva lucida l’acqua.
E qui apparve gran segno: un serpe, scarlatto sopra la schiena,
pauroso, che appunto l’Olimpio fece venire alla luce,
balzando di sotto l’altare, si avventò al platano.
Qui era un nido di passeri, tenere creature,
sul ramo più alto, nascosti sotto le foglie,
otto, e nona la madre che fece le creature;
e il serpe divorò i piccoli, pigolanti pietosamente;
volava intorno la madre, piangendo le sue creature;
quello s’arrotola, scatta, l’afferra per l’ala, che pigola.
Ma quando ebbe ingoiato i piccoli della passera e lei,
lo annientò il dio, che lo fece apparire,
pietra lo fece a un tratto il figlio di Crono pensiero complesso.
Noi ammiravamo immobili quel ch’era accaduto:
come prodigi tremendi dei numi l’ecatombe interruppero.
Ma subito Calcante spiegò il responso divino:
“ Perché senza voce restate, Achei dai lunghi capelli?
A noi tal prodigio ha mostrato il sapientissimo Zeus,
tardo, lento a avverarsi, ma non perirà la sua fama.
Come questo ha ingoiato i piccoli della passera e lei,
otto, e nona la madre che fece le creature,
così, appunto, tanti anni noi dovremo combattere,
ma al decimo prenderemo la
spaziosa città! ” » (II, 303-329)
...serve, molto vagamente,
ad introdurre gli episodi (non tutti in sequenza cronologica) dal libro
II al libro VII che in un qualche modo rievocano la passata guerra (e anche
antefatti, come il primo incontro fra Paride e Elena) e dunque ci consentono
di comprendere il contesto in cui si inserisce il litigio fra Agamennone e
Achille e l’ira del secondo. Abbiamo così, ristabilendo l’ordine, il
primo incontro di Paride e Elena a Sparta:
« Poi [Afrodite] andò per chiamare Elena: la trovò
sopra la torre alta; e le Troiane in folla l’erano intorno;
con la mano afferrando il velo nettareo, lo scosse,
e le parlò, sembrando vecchia antica
filatrice, che quando viveva a Lacedèmone
filò per lei belle lane e grandemente l’amava.
Questa sembrando, parlò la luminosa Afrodite:
“ Vieni! Alessandro ti dice di tornare a casa:
è là nel talamo, sopra il lucido letto,
raggiante di vesti e bellezza; tu non potresti dire
che torna dal duello con un eroe, ma che a danza
muove o, dalla danza or ora tornato, riposa. ”
Disse così: a quella il cuore balzava in petto;
e certo, quando la bella gola della dea riconobbe
e il petto amabile e gli occhi lucenti,
restò sbigottita e disse parole, e parlò così:
“ Ah sciagurata, perché voi sedurmi?
Certo ancora più avanti fra le città popolose
o della Frigia o della Meonia amabile mi spingerai,
se anche laggiù c’è qalcuno a te caro fra gli uomini…
Perché adesso Menelao, il divino Alessandro
avendo battuto, me, l’odiosa, vuol ricondurre a casa,
per questo tu proprio adesso sei qui, meditando inganni?
Va’, siedi vicino a lui, lascia le strade dei numi,
non ritornare coi piedi tuoi sull’Olimpo,
soffri sempre intorno a lui, custodiscilo,
fino a quando ti faccia sua sposa, anzi schiava!
No, io non andrò là, sarebbe odioso,
per servire il suo letto! Dietro di me le Troiane
tutte faranno biasimo: pene indicibili ho in cuore. ”
Ma le rispose irata Afrodite divina:
“ Vile, non provocarmi, ch’io non m’offenda e ti lasci!
Tanto ti posso odiare, quanto finora t’amai fuor di modo,
odio funesto manderò fra i due popoli,
fra Troiani e Danai; e tu avrai mala fine. ”
Disse così: Elena, figlia di Zeus, tremò
E si mosse coprendosi col velo bianco, splendente,
in silenzio, e sfuggì a tutte
le Troiane; la dea precedeva » (III, 383-420)
Abbiamo già citato l’episodio
del prodigio a Aulide nel libro II.
La fuga precipitosa degli Achei alle navi viene fermata dall’intervento di Atena su quello che nell'Ira è diventato un Azzeccagarbugli, Odisseo, dalla cui bocca, secondo Elena, escono « parole simili ai fiocchi di neve d’inverno », ma che nel libro II fa le sue arringhe a suon di randellate (con « lo scettro avito, indistruttibile sempre » di Agamennone) a destra e a manca...
(Il brutto dell’Odissea, Efesto, non fa poi tanto ridere, perché è un eccezionale inventore e artigiano e perché si vendica del tradimento di Afrodite con Ares prendendoli nella rete e esponendoli al riso degli dèi raccolti intorno. Così non fa poi tanto ridere l’altro brutto, dell’Iliade, Tersite, che pur essendo un povero soldato semplice, oltretutto deforme (dunque da riformare, altro che combattere a Troia!), ha il coraggio di dire quel che pensa ad alta voce, e di dirlo bene (« Solo Tersite vociava ancora smodato, che molte parole sapeva in cuore… per sparlare dei re: quello che a lui sembrava che per gli Argivi sarebbe buffo » II, 213ss; « Tersite, lingua confusa, per quanto arguto oratore, smetti e non osare, tu, di offendere i re » gli dice Odisseo, II, 246-247), tanto che paga prendendosi le randellate di Odisseo e suscitando il riso fra la soldataglia. Tersite è più facilmente opera dell’etrusco Omero che non di un greco educato alla banale perfezione geometrica secondo cui tutti dovevano essere belli, pieni di muscoli e magari anche stupidi. Anche fra gli strati bassi della popolazione c’era chi sapeva ragionare con la propria testa. Anche Achille ha fatto le stesse accuse ad Agamennone, ma gigantesco, forzuto, e con ampio seguito com’è s’è guardato bene dal trarne le conseguenze eliminandolo fisicamente, preferendo vigliaccamente ritirarsi dall’impresa. Insomma, i brutti e deformi d’Omero non sono per questo anche degli idioti, anche se devono soccombere spesso in una società di vecchio stampo villanoviano cioè di tipo celto-germanico, dove prevalgono i violenti guerrieri.)
...fino a che gli Achei sono di nuovo desiderosi di combattere...
« ... come innumerevoli schiere d’uccelli alati,
d’oche o di gru o di cigni lungo collo,
nei prati d’Asia, sulle correnti del Caístro,
qua e là volteggiano, sbattendo l’ali con gioia,
e mentre con gridi si posano la prateria risuona –
così innumerevoli schiere di questi dalle navi e dalle tende
si riversavano nella pianura Scamandria... » (II, 459-465)
...e schierati nel Catalogo delle Navi.
Il Catalogo delle Navi è una panoramica
della flotta panellenica sbarcata lungo la costa dell’Ellesponto. Ne citeremo un brano per
evidenziare la poeticità
di questa che, in mano a chiunque diverso da Omero, sarebbe stata quello che è
in origine, un’arido elenco di
città, popoli, uomini e navi:
« Dei Beoti Penèleo e Leito erano a capo,
e Arcesìlao e Clonìo e Protènore,
Irìa abitavano alcuni ed Aulide petrosa,
e Scheno e Scolo, e il ricco di vette Eteone,
e Tespia e Graia e Micalesso spaziosa;
altri abitavano intorno ad Arma, a Ilisio, a Eritra;
avevano altri Eleone ed Ile e Peteone,
Ocalea e Medeone, borgo ben costruito,
Cope, Eùtresi e Tisbe dalle molte colombe;
altri Coronea e Alìarto erbosa,
e altri avevan Plàtea, e abitavan Glisanto,
e avevano Ipotebe, borgo ben costruito,
e Onchesto sacra, recinto nobile di Poseidone;
altri avevano Arne ricca di grappoli, e Mìdea
e Nisa divina e la lontana Antedone;
vennero di costoro cinquanta navi, in ognuna
centoventi giovani dei Beoti
eran saliti » (II, 494-510)
...La descrizione da parte di
Elena a Priamo
sulla torre delle porte Scee dei capi achei sbarcati nella pianura di fronte a Troia:
« E i compagni di Priamo, e Pàntoo e Timete,
e Lampo e Clitio e Icetàone rampollo d’Ares,
Ucalègonte e Antènore, l’uno e l’altro prudenti,
sedevano – gli Anziani – presso le porte Scee:
per la vecchiaia avevano smesso la guerra, ma parlatori
nobili erano, simili alle cicale, che in mezzo al bosco
stando sopra una pianta mandano voce fiorita:
così sedevano i capi dei Troiani presso la torre.
Essi dunque videro Elena venire verso la torre,
e a bassa voce l’un l’altro dicevano parole fugaci:
“ Non è vergogna che i Troiani e gli Achei schinieri robusti,
per una donna simile soffrano a lungo dolori:
terribilmente, a vederla, somiglia elle dee immortali!
Ma pur così, pur essendo sì bella, vada via sulle navi,
non ce la lascino qui, danno per noi e pei figli anche dopo! ”
Dicevano appunto così: e Priamo chiamò Elena a voce alta:
“ Vieni qui, figlia mia, siedi vicino a me, gli dèi son colpevoli,
essi mi han mosso contro la triste guerra degli Achei;
vieni a dirmi il nome di quel guerriero mirabile;
chi è colui, quell’eroe
acheo forte e grande?… ” » (III, 146-167)
...Il duello fra Paride e Menelao,
che doveva essere celebrato da subito come sostitutivo della guerra:
« I due si fermarono vicini, nello spazio misurato,
scuotendo l’aste, irati l’un contro l’altro;
e prima Alessandro scagliò l’asta ombra lunga,
e colpì lo scudo dell’Atride tutto tondo.
Ma il bronzo non lo stracciò, si piegò la sua punta
Dentro il valido scudo; allora si levò col bronzo
L’Atride Menelao…
… e palleggiandola scagliò l’asta ombra lunga,
colpì lo scudo rotondo del figlio di Priamo;
passò l’asta greve traverso allo scudo lucente,
nella corazza lavorata s’infisse
e lungo il fianco, diritta, stracciò la tunica
l’asta; ma quello, chinandosi, fuggì la Moira nera.
L’Atride allora, traendo la spada a borchie d’argento,
l’alzò, colpì il frontale dell’elmo, ma intorno all’elmo
infranta in tre o quattro pezzi, la spada gli cadde di mano.
L’Atride…
… l’afferrò con un balzo per l’elmo chiomato,
lo rigirò, si mise a tirarlo verso gli Achei schinieri robusti;
e lo stringeva alla tenera gola il cinghio trapunto,
teso sotto il mento, sbarra dell’elmo chiomato.
Ormai riusciva a tirarlo, e gloria infinita acquistava,
se pronta non lo vedeva la figlia di Zeus Afrodite,
che spezzò la correggia, cuoio di bove abbattuto.
Vuoto, dunque, l’elmo seguì la mano gagliarda,
e l’eroe fra gli Achei schinieri robusti
lo gettò roteandolo; i fidi compagni lo presero.
Egli si volse subito, impaziente d’ucciderlo
con la lancia di bronzo; ma lo sottrasse Afrodite,
agevolmente, come una dea! E lo nascose in molta nebbia,
e lo posò nel talamo odoroso di balsami » (III, 344-382)
Merita d'essere citato il rimprovero di Ettore a Paride che rifugge in un primo tempo dal duello:
« Ma Ettore lo assalì, ché lo vide, con parole infamanti:
" Paride maledetto, bellimbusto, donnaiuolo, seduttore,
ah non fossi mai nato, o morto senza nozze!
sì, vorrei proprio questo, questo sarebbe meglio,
piuttosto ch'esser così, vergogna e obbrobrio degli altri...
Ah! certo sghignazzano gli Achei dai lunghi capelli:
credevan che fosse gagliardo il capo, perché bellezza
è nell'aspetto, ma forza in cuore non c'è, non valore.
E tu così vile, s navi che vanno pel mare,
fatto viaggio per mare, raccolti compagni fedeli,
vissuto fra stranieri, portavi via bella donna
da una terra lontana, nuora d'uomini bellicosi,
al padre tuo grave danno e alla città e a tutto il popolo,
e godimento ai nemici, e infamia per te?
E non affronterai Menelao caro ad Ares?
Almeno saprai di che uomo hai la sposa fiorente!
E non ti salveranno la cetra e i doni d'Afrodite,
la chioma e la bellezza, quando rootolerai nella polvere.
Ma sono molto paurosi i Troiani, o da tempo
vestivi chitone di pietre per tutto il male che hai fatto! » (III, 38-57)
Il " chitone di pietre " è il tumulo sotto il quale Paride sarebbe rimasto sepolto dopo la lapidazione, altro uso semitico.
Merita ancora d'essere citato un passo dell'episodio dell'arciere Pandaro che su istigazione della perfida Atena inviata da Zeus rompe i patti ferendo Menelao:
« Disse così Atena; persuase il cuor dello stolto;
subito afferrò l'arco ben levigato di capro balzante...
Egli allora lo tese, lo posò in terra con cura,
inclinandolo; e due valorosi compagni tenevan gli scudi davanti,
che non balzassero su prima i figli guerrieri degli Achei,
prima che fosse colpito Menelao guerriero, figlio d'Atreo.
Egli intanto afferrò il coperchio della faretra, scelse una freccia
mai lanciata, volante, fardello di neri dolori;
e presto sopra il nervo adattò il dardo amaro,
e prometteva ad Apollo Liceo, illustre arciero,
di fare eletta ecatombe d'agnelli primi nati,
se ritornasse a casa, alla rocca della sacra Zelea.
Tirò, prendendo insieme la cocca e il nervo di bue:
il nervo avvicinò alla mammella, all'arco la punta di ferro.
E quando ebbe teso in tondo cerchio il grande arco,
l'arco sonò, ronzò cupa la corda, scoccò il dardo
dalla punta acuta, bramando volar tra la folla.
Ma non di te, Menelao, si scordarono i nmi beati,
immortali, e per prima la figlia di Zeus, la predatrice:
ella, ferma davanti a te, scartò il dardo acuto.
Ella lo allontanò dal tuo corpo, tanto quanto una madre
allontana una mosca dal figlio, che in dolce sonno riposa;
e lo spinse ove i ganci della cintura
s'agganciavano, aurei, si offriva doppia corazza,
la freccia amara cadde sopra la stretta cintura,
entrò nella cintura ben lavorata,
si infisse nella corazza adorna e nella fascia
ch'egli portava, difesa del corpo e riparo dai dardi...
... ma attraversò anche quella,
anzi, scalfì, la freccia, alto alto la pelle dell'uomo:
e subito spiccò sangue nero dalla ferita » (IV, 104-140)
...
Le proposte di transazione – restituzione del maltolto più un risarcimento ulteriore,
ma non di Elena – da parte dei Troiani:
« All’alba Ideo andò alle navi curve;
e li trovò in assemblea, i Danai servi d’Ares,
presso la poppa [la poppa della nave] d’Agamennone; a loro
dritto nel mezzo parlò sonoro l’araldo:
“ Atridi, e voi tutti, principi degli Achei,
Priamo mi manda e gli altri nobili Troiani,
a dire, se a voi caro e gradito tornasse,
parola d’Alessandro, per cui nacque la guerra:
i beni quanti Alessandro sopra le navi curve
portò a Troia – ma fosse morto prima! –
tutti consente a renderli, e dare altro del suo.
La legittima sposa di Menelao glorioso
Dice che non darà: eppure i Troiani lo spingono.
E comandarono d’aggiungere questo, se voi volete
fermare la guerra funesta fino che i morti
bruciamo; poi lotteremo di nuovo, fino che un dio
ci divida e conceda agli uni o
agli altri vittoria » (VII, 381-397)
...L’accordo non si fa ma gli
Achei approfittano della tregua per seppellire i morti per costruire il vallo
a difesa delle navi achee che logicamente dové avvenire nel primo anno di
guerra:
« E il sole di nuovo colpiva le campagne,
su dal profondo Oceano che scorre quietamente,
salendo verso il cielo, ed essi s’incontrarono.
Era allora difficile conoscere ogni guerriero,
ma lavati con acqua i grumi sanguinosi,
versando lacrime calde li alzavano sui carri.
Vietò il compianto il gran Priamo; e in silenzio
accatastavano i morti sui roghi, afflitti in cuore,
poi li bruciarono col fuoco e alle navi curve tornarono.
Non era ancora l’aurora, ma notte appena schiarita,
quando s’accolse schiera eletta d’Achei intorno alla pira,
e, portando la terra, un unico tumulo versarono sopra,
là dove fu nella piana; e alzarono un muro a ridosso,
torri alte, riparo per le navi e per loro;
e fecero in esso porte ben aggiustate,
che vi passasse una strada da carri;
accosto, di fuori, scavarono un fosso profondo,
grande, largo, e vi piantarono pali.
Così dunque sudavano gli Achei lunghi capelli;
e i numi, seduti intorno a Zeus che il fulmine scaglia,
guardavano il gran lavoro degli Achei chitoni di bronzo.
Prese a dire fra loro Poseidone che scuote la terra:
“ Padre Zeus, c’è qualche mortale sopra la terra infinita
ch’apra ancora la mente e il pensiero agli eterni?
Non vedi? Ecco, gli Achei dai lunghi capelli
fabbricarono un muro a protegger le navi, e un fossato
vi condussero intorno, ma non offrirono ai numi scelte ecatombi.
E la gloria di questo sarà vasta, quanto si stende l’Aurora.
Orsù, quando gli Achei lunghi capelli indietro
Se n’andran con le navi, alla lor patria terra,
diroccando quel muro tutto rovescialo in mare,
copri di nuovo la grande riva di sabbia,
e così sia distrutto il gran muro degli Achei. ”
Così tra loro queste cose dicevano,
e il sole andava sotto, l’opera degli Achei era finita » (VII, 421-465)
Dunque le scene che si susseguono sono per lo più del tempo presente – e infatti si ricorda spesso che Achille, irato, è assente dalla battaglia – ma sono simili e dunque riflettono quelle antiche che sintetizzano i primi nove anni di guerra e ne costituiscono una specie di flash back.
Alla fine del libro VII invece della vittoria dei Troiani come promesso da Zeus a Teti (nel libro I dall’omerida argolico) abbiamo al contrario l’esito del massimo avanzamento degli Achei (anche senza le performances di Diomede argolico) che si conclude con la proposta troiana di restituire il tesoro sottratto a Menelao e la costruzione del muro a difesa delle navi da parte degli Achei. Se vogliamo è proprio questa allusione ai primi anni di guerra (nei quali il sopravvento era dei Greci, che assediavano Troia) che in parte giustifica e rende meno stridente la palese vittoria dei Greci (voluta dall’omerida argolico nei libri successivi, non omerici, da VIII a XIII) contro il giuramento di Zeus a Teti (posto nel I libro dallo stesso omerida) di dar la vittoria ai Troiani.
Nell'Ira d'Achille, tornato dalla tournée di
dodici giorni presso gli Etiopi, Teti chiede a Zeus soddisfazione per suo
figlio umiliato e questo, con promessa immutabile, un tuono tremendo che fa
tremare l’Olimpo, gliela assicura:
« Ma quando arrivò la dodicesima aurora...
tornarono all'Olimpo gli dèi che vivono eterni,
... e Teti non scordò la preghiera
del figlio; ella emerse dall'onda del mare,
salì all'alba verso il gran cielo, all'Olimpo;
trovò il Cronide vasta voce seduto in disparte dagli altri
sopra la vetta più alta dell'Olimpo ricco di cime;
e dunque vicino a lui sedette, abbracciò le ginocchia
con la sinistra, e con la destra sotto il mento porendendolo,
parlò supplichevole al sire Zeus, figliuolo di Crono:
" Zeus padre, se mai t'ho aiutato fra gli immortali,
o con parola o con fatto, compimi questo voto:
da' onore al figlio mio, che morte precoce fra tutti
ebbe in sorte; e ora il signore di genti Agamennone
l'ha offeso, gli ha preso e si tiene il suo dono: gliel'ha strappato.
Dàgli tu gloria, dunque, olimpio saggio Zeus,
da' la vittoria ai Troiani, fin quando gli Achei
onorino il figlio mio, lo riempiano di gloria! "
Disse così, e a lei non rispose Zeus che radna le nubi,
ma silenzioso sedeva; e Teti, come abbracciò le giniocchia,
così le teneva strette, pregò ancora una volta:
" Dammi promessa verace, fa' cenno,
oppure rifiuta – non hai da avere paura – ché sappia
quanto fra tutti son la dea più spregiata. "
Allora le disse molto irato Zeus che aduna le nubi:
" Ah! maledetta cosa! tu m'indurrai a litigio
con Era, quando mi provochi con parole ingiuriose.
Ella anche senza motivo sempre tra i numi immortali
lotta con me, sostiene che i Troiani aiuto in battaglia.
Ma ora tu allontànati, che non se ne accorga
Era: io avrò a cuore qesto fino a compirlo.
Ecco: farò col capo il cenno perché tu creda:
questo da parte mia fra gli immortali è il massimo
segno; non torna più indietro, non può ingannare,
non resta incompiuto, quanto io abbia promesso accennando. ”
Disse e con le nere sopracciglia il Cronide accennò;
le chiome ambrosie del sire si scompigliarono
sul capo immortale: scosse tutto l’Olimpo.
I due, deciso così, si lasciarono: ed ella
saltò nel mare profondo dall'Olimpo radioso:
Zeus andò alla sua casa... » (I, 493-532)
Ovviamente l'alterco fra Zeus e Era che ha assistito al colloquio del primo con Teti non è omerico, come non lo è l'episodio tipicamente non etrusco dell'artista zoppo che si affatica intorno ai tavoli a mescere il vino agli dèi guerrieri che lo deridono, come ancora non lo è il riappacificamento inspiegato fra Era e Zeus che si mettono a letto come se niente fosse accaduto.
Tornando all'Ira, Era ha assistito non vista al
colloquio e, immaginando che Zeus darà la vittoria ai Troiani, idea l’inganno
a Zeus, ora nel libro XIV:
«
Allora Era divina grandi occhi esitò, cercando
come
potesse ingannare la mente di Zeus egioco:
questo
infine le parve nell’animo il piano migliore
andare
sull’Ida, dopo aver bene ornato se stessa,
se mai
Zeus bramasse d’abbandonarsi in amore
contro
il suo corpo, e un sonno caldo e tranquillo
potesse
versargli sopra le palpebre e nei pensieri prudenti.
E mosse
per andare nel talamo…
Ella,
giuntavi, chiuse le porte splendenti.
E con
ambrosia prima dal corpo desiderabile
tolse
ogni sozzura, si unse poi d’olio grasso,
ambrosio,
soave, che profumò lei stessa…
Unto
con quello il bel corpo e pettinate le chiome,
intrecciò
di sua mano le trecce lucenti,
belle,
ambrosie, che pendono giù dal corpo immortale.
E
indosso vestì veste ambrosia, che Atena
le
lavorò e ripulì, vi mise molti ornamenti;
con
fibbie d’oro se l’affibbiò sopra il petto.
Cinse
poi la cintura, bella di cento frange,
nei
lobi ben bucati infilò gli orecchini
a tre
perle, grossi come una mora; molta grazia ne splende.
D’un
velo coperse il capo la dea luminosa,
nuovo e
bello; ed era candido come un sole.
Sotto i
morbidi piedi legò i sandali belli.
Poi,
dopo che tutti mise gli ornamenti sul corpo,
uscì
dal talamo e chiamando Afrodite
in
disparte dagli altri dèi, le disse parola:
“ Ora
m’ascolterai, figlia cara, in quello ch’io dico… ”
E le
rispose la figlia di Zeus Afrodite:
“
Era, dea veneranda, figlia del grande Crono,
di’
pure quello che pensi, a farlo il cuore mi spinge,
se
posso farlo o se, forse, è cosa già fatta. ”
E
meditando inganni le disse Era divina:
“
Dammi dunque l’amore, l’incanto, con cui tutti
vinci
gli eterni e gli uomini mortali.
Vado a
vedere i confini della terra feconda,
l’Oceano,
principio dei numi, e la madre Teti,
che
nelle case loro mi nutrirono e crebbero,
affidata
da Rea, quando Zeus vasta voce
Crono
cacciò sotto la terra e il mare inseminato.
Questi
vado a vedere, scioglierò loro litigio infinito;
perché
da molto tempo stanno lontani
dall’amore
e dal letto… ”
Le
disse di nuovo Afrodite che ama il sorriso:
“ Non
si può, non è degno opporre un rifiuto al tuo verbo,
ché
tra le braccia tu giaci dell’altissimo Zeus. ”
Disse,
e sciolse dal petto la fascia ricamata,
a vivi
colori, dove stan tutti gli incanti:
lì v’è
l’amore e il desiderio e l’incontro,
la
seduzione, che ruba il senno anche ai saggi.
Questa
le pose in mano e disse parola, parlò così:
“
Ecco! Mettiti in seno questa mia fascia
a vivi
colori, in mezzo c’è tutto: e ti dico
non
lascerai a mezzo ciò che brami nel cuore. ”
Disse:
Era divina grandi occhi sorrise,
e
sorridendo se la pose in seno.
Ed ella
entrò in casa, la figlia di Zeus Afrodite,
ma Era
d’un balzo lasciò la vetta d’Olimpo,
venne
giù nella Pieria, nell’amabile Ematia,
si
slanciò verso le cime nevose dei Traci che allevan cavalli,
vette
altissime: coi piedi non toccava la terra.
Dall’Atos
si buttò verso l’ondoso mare,
e
giunse a Lemno, città del divino Tòante.
Qui al
Sonno si fece incontro, fratello della Morte,
e lo
prese per mano e disse parola, parlò così:
“
Sonno, signore degli dèi tutti, degli uomini tutti,
sempre
la mia parola ascoltasti: ora di nuovo
obbediscimi,
te ne avrò grazia per sempre.
Sotto
le ciglia addormentami gli occhi lucenti di Zeus,
di
colpo, appena con lui mi sarò stesa in amore:
ti
darò in dono… ”
Ma
rispondendole disse il Sonno soave:
“
Era, dea veneranda, figlia del grande Crono,
un
altro dei numi che vivono eterni io di certo
l’addormenterei
senza pena, sia pur le correnti del fiume
Oceano,
che a tutti i numi fu origine.
Ma non
voglio appressarmi a Zeus figlio di Crono,
né
addormentarlo, quando lui non me l’ordini… ”
Riprese
dunque a dirgli Era divina grandi occhi…
“ Ma
via, una delle giovani Grazie
io ti
darò in matrimonio, ché sia detta tua sposa,
Pasìtea;
sempre tu ne sei innamorato. ”
Parlò
così: gioì il Sonno e rispondendo le disse:
“
Giura dunque per l’inviolabile acqua di Stige…
che tu
mi darai una delle giovani Grazie,
Pasìtea;
io sempre ne sono innamorato. ”
Disse
così, non rifiutò la dea Era braccio bianco,
giurò
come volle…
Ma
quando ebbe giurato, perfetto il giuramento,
mossero,
lasciando la città d’Imbro e di Lemno,
vestiti
d’aria, compiendo in fretta il cammino.
Raggiunsero
l’Ida ricca di vene, madre di fiere,
e il
Lecto: qui lasciarono il mare e sopra la terra
andavano,
si piegavano sotto i piedi le cime dei boschi.
Ma qui s’arrestò il Sonno, prima che gli occhi di Zeus lo vedessero,
montando sul
pino più alto che mai sopra l’Ida,
cresciuto
gigante, per l’aria salisse nell’etere:
qui s’appollaiò,
nascosto dai rami del pino,
sembrando
l’uccello canoro che nelle selve
càlcide
chiaman gli dèi, e gli uomini ciminde.
Era velocemente raggiunse la cima del Gàrgaro
nell’Ida eccelsa; e Zeus la vide, che le nubi raccoglie.
Come la vide, così la brama avvolse il suo cuore prudente,
come allora che d’amore la prima volta s’unirono
entrando nel letto, dei cari parenti all’oscuro.
E le fu accanto, le disse parola, parlò così:
“ Era, che cosa vieni a cercare quaggiù dall’Olimpo?… ”
E meditando inganni Era augusta rispose:
“ Vado a vedere i confini della terra feconda… ”
Ma le rispose Zeus che le nubi raccoglie:
“ Era, laggiù puoi ben andare più tardi:
vieni ora, stendiamoci e diamoci all’amore.
Mai così desiderio di dea o di donna mortale
mi vinse, spandendomi dappertutto nel petto…
tanto ti bramo ora, il desiderio dolce mi vince! ”
E meditando inganni gli rispose Era augusta:
“ Terribile Cronide, che parola hai detto?
Se tu ora brami abbandonarti all’amore
sulle cime dell’Ida, e tutto è in piena luce,
che sarà se qualcuno dei numi che vivono eterni
ci veda a dormire e andando in mezzo agli dèi
lo dica a tutti?…
Ma se tu vuoi, e questo è caro al cuore,
hai il talamo…
Andiamo a stenderci là, poi che il letto ti piace. ”
… afferrò tra le braccia la sposa:
e sotto di loro la terra divina produsse erba tenera,
e loto rugiadoso e croco e giacinto
morbido e folto, che della terra di sotto era schermo:
su questa si stesero, si coprirono di una nuvola
bella, d’oro: gocciava rugiada lucente.
Così tranquillo il padre dormì, sulla cima del Gàrgaro,
vinto dall’amore e dal sonno, e stringeva la sposa.
Ma il Sonno balzò
correndo verso le navi degli Achei… » (XIV, 159-354).
Doveva essere inserito più o
meno come ora al libro VI, nell’ambito dei flash back, oppure da queste
parti dell’inganno a Zeus, quando i Greci erano al massimo della loro
avanzata verso Troia, il
colloquio fra Ettore e Andromaca in cui si presagiva la fine imminente di
Ettore:
« …Ettore si slanciò fuori di casa,
per la medesima via, giù per le strade ben fatte.
E quando, attraversata la gran città, giunse alle porte
Scee, da cui doveva uscir nella piana,
qui la sposa ricchi doni gli venne incontro correndo,
Andromaca, figliuola d’Eezìone magnanimo,
Eezìone, che sotto il Placo selvoso abitava
Tebe Ipoplacia, signore di genti cilice…
Dunque gli venne incontro, e con lei andava l’ancella,
portando in braccio il bimbo, cuore ingenuo, piccino,
il figlio d’Ettore amato, simile a vaga stella.
Ettore lo chiamava Scamandrio, ma gli altri
Astianatte, perché Ettore salvava Ilio lui solo.
Egli, guardando il bambino, sorrise in silenzio:
ma Andromaca gli si fece vicino piangendo,
e gli prese la mano, disse parole, parlò così:
“ Misero, il tuo coraggio t’ucciderà, tu non hai compassione
del figlio così piccino, di me sciagurata, che vedova presto
sarò, presto t’uccideranno gli Achei,
balzandoti contro tutti: oh, meglio per me
scendere sotto terra, priva di te; perché nessun’altra
dolcezza, se tu soccombi al destino, avrò mai,
solo pene! Il padre non l’ho, non ho la madre.
Il padre mio Achille glorioso l’ha ucciso,
e la città ben fatta dei Cilici ha atterrato,
Tebe alte porte; egli uccise Eezìone…
Ettore, tu sei per me padre e nobile madre
e fratello, tu sei il mio sposo fiorente;
ah, dunque, abbi pietà, rimani qui sulla torre,
non fare orfano il figlio, vedova la sposa;
ferma l’esercito presso il caprifico, là dove è molto
facile assalir la città, più accessibile il muro;
per tre volte venendo in questo luogo l’hanno tentato i migliori… ”
E allora Ettore grande, elmo abbagliante, le disse:
“ Donna, anch’io, sì, penso a tutto questo, ma ho troppo
rossore dei Troiani, delle Troiane lungo peplo,
se resto come un vile lontano dalla guerra.
Né lo vuole il mio cuore, peché ho appreso a esser forte
sempre, a combattere in mezzo ai primi Troiani,
al padre procurando grande gloria e a me stesso.
Io lo so bene qesto dentro l’anima e il cuore:
giorno verrà che Ilio sacra perisca,
e Priamo, e la gente di Priamo buona lancia:
ma non tanto dolore io ne avrò pe i Troiani,
non per la stessa Ecuba, non per il sire Priamo,
e non per i fratelli, che molti e gagliardi
cadranno nella polvere per mano dei nemici,
quanto per te, che qualche acheo chitone di bronzo,
trascinerà via piangente, libero giorno togliendoti:
allora, vivendo in Argo, dovrai per altra tessere tela,
e portar acqua di Messeìde e Iperea,
costretta a tutto: grave destino sarà su di te.
E dirà qualcuno che ti vedrà lacrimosa:
“ Ecco la sposa d’Ettore, ch’era il più forte a combattere
fra i Troiani domatori di cavalli, quando lottavan per Ilio! ”
Così dirà allora qualcuno; sarà strazio nuovo per te,
priva dell’uomo che schiavo giorno avrebbe potuto tenerti lontano.
Morto, però, m’imprigioni la terra su me riversata,
prima ch’io le te grida, il tuo rapimento conosca! ”
E dicendo così, tese al figlio le braccia Ettore illustre:
ma indietro il bambino, sl petto della balia bella cintura
si piegò con un grido, atterrito all’aspetto del padre,
spaventato dal bronzo e dal cimiero chiomato,
che vedeva ondeggiare terribile in cima all’elmo.
Sorrise il caro padre, e la nobile madre,
e subito Ettore illustre si tolse l’elmo di testa,
e lo posò scintillante per terra;
e poi baciò il caro figlio, lo sollevò fra le braccia,
e disse, supplicando a Zeus e agli altri numi…
Dopo che disse così, mise in braccio alla sposa
il figlio suo; ed ella lo strinse al seno odoroso,
sorridendo fra il pianto; s’intenerì lo sposo a guardarla,
l’accarezzò con la mano, le disse parole, parlò così:
“ Misera, non t’affliggere troppo nel cuore!
Nessuno contro il destino potrà gettarmi nell’Ade;
ma la Moira, ti dico, non c’è uomo che possa evitarla,
sia valoroso o vile, dal momento ch’è nato…
Su, torna a casa…
Parlando così, Ettore illustre riprese l’elmo
Chiomato; si mosse la sposa sua verso casa,
ma voltandosi indietro, versando molte lacrime… » (VI, 390-496)
Dunque nella parte finale del libro XIV gli Achei avanzavano (ma non dietro a Poseidone, che nella versione omerica proteggeva i Troiani) al massimo e Aiace Telamonio con una pietra colpiva e metteva a terra Ettore.
Ma Zeus si risvegliava in tempo per ordinare ad Apollo di guidare l’assalto troiano al vallo e alle navi:
« … Ed ecco Zeus si destò
sulle cime dell’Ida, accanto a Era bel trono,
e balzò in piedi, e vide i Troiani e gli Achei,
gli uni sconvolti, gli altri che li incalzavano dietro,
gli Argivi, e in mezzo a questi il sire Poseidone.
E vide Ettore steso nella pianura: intorno i compagni
stavano; egli era in preda a terribile affanno, fuori dai sensi,
sputando sangue, ché non il più fiacco degli Achei lo colpì.
N’ebbe pietà, vedendolo, il padre dei numi e degli uomini,
e terribile, guardando bieco Era, parlò:
“ Ah! L’inganno tuo tristo, Era ostinata,
Ettore glorioso fermò nella lotta, sconvolse l’esercito.
Eppure non so se dell’insopportabile frode
tu per prima non colga il frutto, io non ti frusti.
Ricordi quando t’appesi in alto…
Io ti ricordo questo, perché tu smetta le frodi,
e veda bene se può salvarti il letto e l’amore
con cui mi t’unisti lontano dai numi, e fu inganno. ”
Parlò così: Era augusta grandi occhi ebbe un brivido,
e rispondendo disse parole fuggenti:
“ Sappia dunque la Terra e il Cielo vasto di sopra,
e l’onda scorrente di Stige – questo è giuramento
grande e tremendo fra i numi beati –
e il tuo sacro capo e il nostro letto
legittimo, pel quale non vorrò mai spergiurare,
non per mio incitamento Poseidone enosictono
malmena Ettore e i Troiani, e soccorre gli Achei… ”
Parlò così: sorrise il padre dei numi e degli uomini,
e rispondendole disse parole fuggenti:
“ Ah! Se tu, Era augusta grandi occhi,
concordemente pensando con me sedessi fra gli immortali,
allora sì Poseidone – abbia pure altra brama –
subito cambierebbe pensiero, secondo il tuo e il mio volere!
Ma se davvero tu parli schietto e leale,
va’ tra le stirpi dei numi e comanda che qui
vengano Iri e Apollo arco glorioso… ”
Disse così; non fu sorda la dea Era braccio bianco,
e mosse dalle cime dell’Ida verso l'Olimpo vasto.
Come quando si slancia la mente d’un uomo,
che molta terra percorse, e pensa nei suoi pensieri sottili
“ qui sono stato e qui! ” e molte cose ricorda,
così velocemente volò bramosa Era augusta;
e giunse all’Olimpo rupestre e si portò fra gli dèi
immortali, raccolti nella casa di Zeus; essi vedendola
balzarono tutti in piedi, le offersero le coppe.
Ma ella lasciò gli altri, da Temi guancia bella
prese la coppa, che prima le venne incontro correndo
e la voce le volse e disse parole fugaci:
“ Era, perché sei qui? Tu sembri sconvolta.
Certo t’ha molto impaurita il figlio di Crono, il tuo sposo ”.
E la dea Era braccio bianco rispose:
“ Non chiedere questo, dea Temi, tu sai bene
quanto il suo cuore è superbo e implacabile.
Comincia il banchetto dei numi, uguale per tutti, dentro la sala
e insieme con gli altri immortali udirai
quanti malanni Zeus ci promette: io son certa
che a tutti ugualmente il cuore dorrà: ai mortali
e ai numi, se ancora qualcuno lieto banchetta ”.
Dicendo così, la dea Era braccio bianco sedette:
i numi eran sdegnati nella casa di Zeus; ella rise
con le labbra, ma sopra dei sopraccigli neri la fronte
non s’allietò; parlò in mezzo a tutti con ira:
“ Poveri pazzi, che contro Zeus congiuriamo
e forse speriamo ancora d’affrontarlo e fermarlo
o con parole o per forza! Ma lui sedendo in disparte non se ne cura…
Perciò tenetevi il male che manda a ciascuno:
per Ares – credo – è già pronto lo strazio,
è morto in battaglia il suo figlio, l’uomo più caro per lui,
Ascàlafo, che suo il forte Ares proclama ”.
Disse così: Ares si batté le due cosce
col palmo della mano e gridò con un gemito:
“ Non v’adirate con me…
se corro alle navi achee a vendicare la morte del figlio,
fosse pur mio destino, colpito dal fuoco di Zeus,
giacere in mezzo ai cadaveri tra la polvere e il sangue ”.
Disse così e comandò a Terrore e Disfatta che gli aggiogassero
i cavalli e prese a vestire l’armi raggianti.
Allora anche maggiore, ancor più terribile e nuova
ira e corruccio di Zeus contro i numi nasceva,
ma Atena, temendo per tutti gli dèi,
balzò verso il vestibolo, lasciando il trono in cui stava,
e dalla testa gli strappò l’elmo e dalle spalle lo scudo…
… e con parole investì Ares ardente:
“ Pazzo imbecille! Hai perso la testa. Davvero
gli orecchi ce l’hai per udire, ma morto è il giudizio e il rispetto.
Non senti che cosa dice la dea Era braccio bianco,
che or ora dal fianco di Zeus Olimpio ritorna?
Oppure vuoi, tutti i mali colmando, tu stesso
tornartene per forza con dolore all’Olimpo,
e seminare per tutti gli altri gran danno?
Perché subito i Troiani superbi e gli Achei
lascerà Zeus e verrà sull’olimpo a scacciarci,
tutti ci afferrerà, chi ne ha colpa e chi no.
Perciò ti consiglio di tralasciare l’ira del figlio:
già guerriero migliore di lui per forza e per braccio
venne ucciso e sarà ancora ucciso: è difficile
di tutti gli uomini salvare il sangue e la stirpe ”.
Dicendo così, fece sedere sul trono Ares ardente;
ma Era chiamò fuori della sala Apollo
ed Iri, che è nunzia dei numi immortali… » (XV, 4-144)
Confronta « Come quando si slancia la mente d’un uomo, che molta terra percorse, e pensa nei suoi pensieri sottili “ qui sono stato e qui! ” » con « Chi ha viaggiato sa molte cose… Molte cose ho veduto nei miei viaggi, ed ho compreso più di quanto possa ridire » (Siracide, 34,9ss).
Come ho già detto Poseidone non era dalla parte dei Greci, bensì dei Troiani e perciò va depennato dal testo omerico originario.
Dunque nella prima stesura dell’Ira, venuti a sapere che colui che faceva pendere la bilancia dalla loro parte (Achille) s’era ritirato dalla guerra, gli Achei si davano a fuga precipitosa alle navi, e allora per la prima volta i Troiani, guidati da Ettore e da Apollo, osavano uscire fuori dalle mura protettive di Troia, caricando contro il vallo, e incendiando le prime navi achee (libro XV, 220 circa fino all’inizio di XVI). Nella seconda stesura dell'Ira l’attacco troiano al vallo è voluta da Zeus dopo il suo risveglio dal Sonno ingannatore. Il programma è chiaramente espresso in XV, 59-68 (e 592ss):
« Ettore alla battaglia Febo Apollo (ri)desti,
gli infonda... vigore…
...e invece gli Achei
respinga... susciti fuga codarda;
e fuggendo si gettino sopra le navi multiremi
d’Achille Pelide; egli allora manderà il suo compagno
Patroclo; ed Ettore luminoso l’ucciderà
davanti a Ilio…
e furibondo per lui, Achille glorioso ucciderà Ettore »
E così Apollo stesso guida Ettore e i Troiani all'assalto delle navi:
« gli Achei
precipitandosi verso la fossa scavata ed i pali
fuggivano in disordine, passavano il muro, costretti.
Ed Ettore spronò i Troiani gridando:
" Alle navi!...
Dicendo così con la frusta levata spinse i cavalli...
... e Apollo davanti
con l’egida venerata abbatté il muro degli Achei
senza fatica, come un bimbo la sabbia sulla riva del mare,
che dopo aver costruito i suoi giochi infantili,
di nuovo coi piedi e le mani rovescia tutto giocando...
... e il saggio Zeus tuonò forte...
Ma come i Troiani sentirono il tuono di Zeus egìoco
corsero, assetati di lotta, ancora di più sugli Argivi.
Come una grossa ondata del mare ampia distesa
s'abbatte sulle murate d'una nave, quando la spinge
la violenza del vento, che gonfia flutti enormi;
così con alto grido i Troiani
s'abbatteron sul muro... » (XV, 343-384)
Ettore è il prototipo dell'eroico cittadino in armi per cui è bello morire per la patria:
« Ettore...
spronò i Lici e i Troiani gridando:
" Teucri e Lici e Dardani, bravi nel corpo a corpo,
siate uomini, o cari, memori di forza ardente
tra le concave navi!...
Su, combattete contro le navi; e chi fra di voi
ferito o colpito ha da trovare destino di morte,
muoia; bello per lui, difendendo la patria,
morire: e salva la sposa sarà e i figli in futuro
e intatti i beni e la casa, quando gli Achei
fuggiran con le navi alla terra paterna » (XV, 484-499).
E alla fine Ettore riesce ad incendiare una nave nei pressi di quelle di Achille:
« I Troiani intanto, come leoni divoratori di carne,
attaccaron le navi: di Zeus compivano il piano...
Perché il suo cuore voleva dar gloria a Ettore,
al figlio di Priamo, finché alle navi concave il fuoco terribile
indomito avesse gettato, e la preghiera funesta di Teti
fosse tutta esaudita...
Questo volendo, eccitò contro le navi curve
Ettore figlio di Priamo...
Egli dunque voleva spezzare le file d'armati, tentandole
dove più fitta vedeva la folla e migliori le armi.
Ma non poteva spezzarle, per quanto bramoso:
resistevano stretti a muraglia, come uno scoglio
dirupato, grande, posto in riva al mare canuto,
sostiene l'impetoso assalto dei venti fischianti
e l'onde gonfie, che gli s'infrangono contro:
così i Danai sostenevano i Troiani e non fuggivano.
Ed egli, tutto lampeggiante di fuoco, balzò tra il folto,
e s'abbatté, come quando l'onda su rapida nave s'abbatte
violenta, nutrita di vento sotto le nuvole: tutta la nave
scompare sotto la schiuma; il soffio tremendo del vento
mugola nella vela, tremano in cuore atterriti
i marinai, ché per poco non son travolti da morte.
Così si spezzava il cuore nel petto agli Achei...
E i Troiani giunsero in faccia alle navi: avevano intorno l'ultima fila
di navi, le prime che trassero in secco: e le circondarono.
Gli Argivi si trassero indietro dalle navi, per forza...
Ettore dunque afferrò la poppa d'una nave marina
bella e veloce, quella che Protesìlao portò
a Troia, ma non lo condusse di nuovo alla patria...
Ettore, da ch'ebbe afferrato la poppa, non la lasciava,
stringendone l'aplustre, e incitava i Troiani:
" Portate il fuoco e tutti insieme destate la lotta!... " » (XV, 592-718)
Per comprendere la furia di Ettore bisogna sapere che fin dall’inizio della guerra s’era dovuto scontrare con la tattica difensiva degli anziani:
« Zeus ci dà ora un giorno che tutti gli altri compensa:
prender le navi, che contro il volere dei numi venute,
molti mali ci fecero, per la viltà degli Anziani,
i quali me, che volevo combattere presso le poppe,
impedivano sempre, tenevano indietro l’esercito;
ma se allora Zeus vasta voce accecava le menti
nostre, ora egli stesso ci spinge e ci desta » (XV, 719-725).
Soprattutto dopo il rientro in guerra di Achille Ettore si scontra col parere contrario di Polidamante, altro capo dei Troiani, e lo mette in minoranza:
« E prese a parlare fra loro il savio Polidàmante,
figlio di Pàntoo; egli solo guardava al prima e al dopo:
era compagno d’Ettore, nati nella medesima notte,
ma uno con le parole, l’altro con l’asta eccelleva.
Egli saggio pensando parlò fra loro e disse:
“ Amici, guardate bene le cose da tutte le parti; io vi consiglio
di andare adesso in città, di non attender l’aurora luminosa
qui nella piana presso le navi…
Ma del Pelide rapido piede, ora, ho terribilmente paura…
Andiamo alla rocca
...se qui ci trova accampati
domani, quando moverà armato, troppo qualcuno
dovrà capirlo: raggiungerà con gioia Ilio sacra
chi avrà potuto fuggire, ma molti i cani e gli avvoltoi divoreranno
fra i Troiani… ”
Ma guardandolo bieco parlò Ettore elmo lucente:
“ Polidàmante, tu certo non dici cose a me care,
tu che consigli di andare di nuovo a chiuderci nella rocca:
non siete sazi, dunque, di star chiusi dentro i bastioni?
Prima i mortali la città del re Priamo
chiamavan tutti ricca d’oro, ricca di bronzo,
ma i ricchi tesori dei nostri palazzi ora sono periti,
e molte nella Frigia e nella Peonia amabile
vanno vendute ricchezze, dacché è irato il gran Zeus.
Ora, mentre a me diede il figlio di Crono pensiero complesso
d’acquistar gloria presso le navi, respingere al mare gli Achei,
stolto, tali consigli non devi aprire fra il popolo,
nessuno t’obbedirà dei Troiani, io non vorrò… ”
Ettore parlò così, i Troiani acclamarono:
stolti! Il senno tolse loro Pallade Atena:
tutti approvarono Ettore che mal consigliava,
nessuno Polidàmante che aveva esposto un buon piano » (XVIII, 249-313)
I Troiani sfondano il muro e minacciano col fuoco le prime navi dalla parte dove si trova schierato Achille, che invia Patroclo che glie lo chiede, commosso per la sorte degli Achei, rivestito della sua armatura...
« Così lottavano quelli intorno alle navi buoni scalmi.
E Patroclo giunse da Achille pastore d'eserciti,
versando lacrime calde, come una polla acqua bruna,
che versa l'acqua scura da una roccia scoscesa.
Vedendolo n'ebbe pietà Achille glorioso, piede veloce,
e a lui si volse e gli disse parole fuggenti:
" Perché sei in pianto, Patroclo, come una bimba piccina,
che dietro la madre correndo, la forza a prenderla in braccio,
le afferra la veste, la tira mentre cammina,
la guarda piangendo per essere presa in braccio?
Simile a questa, Patroclo, spandi tenere lacrime;
forse annunci qualcosa ai Mirmidoni o a me?...
E tu con gemito grave dicesti, Patroclo cavaliere:
" O Achille, figlio di Peleo, il più forte degli Achei,
non adirarti, tanta pena ha raggiunto gli Achei!
Tutti coloro ch'erano prima i più forti
giacciono fra le navi o colpiti o feriti...
... e tu sei insensibile, Achille.
Mai tale ira mi prenda quale tu la conservi,
distruttore! che bene avrà un altro da te, anche un tardo nipote,
se non difendi gli Argivi dalla rovina obbrobriosa?
Spietato, a te non fu padre Peleo cavaliere,
non madre Teti: il glauco mare t'ha partorito
o i dirupi rocciosi, tanto è do il tuo animo.
Se vaticinio cerchi d'evitare nel cuore,
te ne ha predetto qualcuno la madre augusta da parte di Zeus,
manda me almeno, subito, fa' che mi segua l'esercito
dei Mirmìdoni...
Permetti ch'io vesta l'armi tue sulle spalle
e credendomi te fuggano dalla battaglia
i Troiani, respirino i figli guerrieri degli Achei
sfiniti...
Facilmente noi, freschi, uomini stanchi di lotta
respingeremmo in città, via dalle navi e dalle tende. " » (XVI, 1-45)
Mentre ancora stanno parlando Aiace Telamonio, che finora aveva tenuto lontano Ettore, soccombe e i Troiani
« gettarono il fuoco instancabile
contro la rapida nave: subito si diffuse l'inestinguibile vampa.
Così il fuoco invase la poppa. E Achille
gridò a Patroclo, battendosi le cosce:
" Presto, divino Patroclo, guidatore di cavalli,
vedo presso le navi ardere il fuoco spietato:
ah che non le distruggano e noi non abbiamo più scampo!
Vesti l'armi in fretta, io ti raccolgo l'esercito. " » (XVI, 122-129)
...contro i Troiani, che ripiegano fin sotto le mura. Omero, forse anche per l'oggettiva complessità del soggetto più difficile da trattare dell'Odissea (il fatto è che Patroclo deve morire perché Achille possa vendicarne la morte uccidendo Ettore, il vero protagonista del poema), rasenta spesso la comicità tratteggiando i personaggi e le situazioni. E' difficile dire se ciò fosse voluto o fosse sempre voluto. Io propenderei per la negativa, attribuendo i risultati alla incoerenza di fondo dell'arte etrusca come ci appare dall'arte figurativa, e anche alla tecnica di Omero ancora imperfetta rispetto alla perfezione raggiunta nell'Odissea. Certo è che i Greci colsero questo aspetto comico (che riguardava solo gli Achei e i loro dèi) e lo accentuarono nell'Iliade. Achille ha giurato di tornarsene a casa ma si intrattiene ozioso a Troia. Ha giurato che non interverrà in guerra a sostegno degli Achei. Se adesso il fuoco minaccia di estendersi alle sue navi ordini di metterle in mare le navi, e magari di partire finalmente per Ftia. Se ha fatto pace con gli Achei scenda lui in battaglia. Invece, vigliaccamente, e con senso del ridicolo, manda allo sbaraglio Patroclo, che gli faceva da auriga, da scudiero. Abbiamo visto Patroclo piangere come una femminuccia, ma anch'egli – non a caso ne veste agevolmente l'armatura – è un gigante di statura e come e più di Achille è un guerriero feroce del vecchio stampo, villanoviano, celto-germanico, che Omero vuole sostituire col nuovo modello etrusco-romano di Ettore (l'umanità omerica è espressa da Odisseo, che rimprovera Euriclea dopo la strage dei pretendenti: « In cuore, balia, godi, ma frènati, non esultare: non è pietà su uomini uccisi far festa. Costoro la Moira dei numi travolse, e le azioni malvage; perché nessuno onoravano degli uomini in terra, né il tristo, né il buono, chi arrivasse tra loro: così, pel loro folle orgoglio, turpe fine trovarono » Od. XXII, 411ss):
« Aiaci, adesso caro vi sia vendicarvi…
Giace l’uomo che traversò per primo il muro degli Achei,
Sarpedone: prendiamolo e malmeniamolo,
spogliamo l’armi dalle sue spalle, e qualche compagno,
che lo venga a difendere, col bronzo spietato ammazziamo » ( XVI, 556-561)
« ... colpì l’auriga d’Ettore,
Cebrione, figlio bastardo di Priamo glorioso
che dei cavalli reggeva le redini, in fronte col sasso puntuto.
Sfondò i due sopraccigli la pietra, non resistette
l’osso, gli occhi per terra caddero nella polvere
davanti ai suoi piedi; simile a un tuffatore
piombò giù dal carro, lasciò l’ossa la vita.
E tu, deridendolo, questo dicesti, Patroclo cavaliere:
“ Oh l’agile uomo, come facilmente volteggia!
Ma se venisse anche sul mare pescoso,
questi cercando ostriche, sazierebbe parecchi,
gettandosi dalla nave, pur col mare cattivo,
come ora nel piano volteggia facilmente dal cocchio:
anche fra i Troiani, dunque, ci son tuffatori! ” » (XVI, 737-750).
Patroclo è un mostro. «
E tu, deridendolo,
questo dicesti (tòn d'epikertoméōn
Merita di essere citata la preghiera di Achille a Zeus Pelasgico subito dopo la partenza di Patroclo per la battaglia mortale:
« Achille intanto
entrò nella tenda e aprì il coperchio d'un cofano
bello, ornato, che Teti piede d'argento gli pose
nella nave, da portar vie, dopo che l'ebbe riempito di tuniche,
di mantelli riparo dai venti, e di molli coperte.
Qui aveva una coppa ben fatta, e nessun altro
eroe beveva da quella il vino colore di fiamma:
e pregò, ritto in mezzo al recinto, libò il vino
guardando su al cielo: e non sfuggì a Zeus che vibra le folgori:
" Signore Zeus, Dodoneo, Pelasgico, che vivi lontano,
su Dodona regni dalle male tempeste: e intorno i Selli
vivono, interpreti tuoi, che mai lavano i piedi, e dormono in terra;
come ascoltasti una volta la voce del mio pregare,
dandomi gloria, molto punisti l'esercito acheo;
così anche ora compimi questo voto:
io resto in mezzo al gruppo delle mie navi,
ma l'amico mio mando con molti Mirmìdoni
a battersi; donagli gloria, Zeus vasta voce,
rafforzagli il cuore in petto, e così Ettore
vedrà se sa battesi anche da solo
il mio scudiero...
Appena però dalle navi avrà allontanato l'urlo e la lotta,
fa' che mi ritorni salvo alle rapide navi... "
Disse così pregando, e l'udì il saggio Zeus;
e una cosa concesse il padre, l'altra negò:
che dalle navi allontanasse la guerra e la lotta
concesse, negò che tornasse dalla battaglia salvo... » (XVI, 220-252)
Ettore uccide Patroclo, che immemore degli avvertimenti di Achille s'è spinto troppo vicino alle mura di Troia...
« Patroclo a capo dei Danai furibondo inseguiva, rovina
minacciando ai troiani, e quelli con urlo e spavento riempivano
tutte le strade, dispersi; in alto una procella di polvere
fumava sotto le nubi, galoppavano i cavalli zoccoli solidi
indietro, in città, lontano dalle navi e dalle tende...
... sotto le ruote dei carri
cadevano uomini, i carri si rovesciavano...
E come dalla tempesta tutta la terra è gravata
in un giorno d'autunno, in cui pioggia violenta rovescia
Zeus, se adirato con gli umani imperversa
perché con prepotenza contorte sentenze sentenziano,
e scacciano la giustizia, non curano l'occhio dei numi;
ed ecco i loro fiumi si riempiono tutti, scorrendo,
e molte pendici i torrenti dilavano,
gemono forte, correndo verso il livido mare
a capofitto dai monti; devastano le fatiche degli uomini;
così le cavalle troiane gemevano forte correndo... » (XVI, 372-393)
... e si impossessa dell’armatura di Achille (libro XVI), che allora ha una nuova armatura fabbricatagli da Efesto.
Un aspetto del mondo fiabesco omerico è quello della robotica, che dà vita alle cose, con quell’inventore straordinario, una specie di Leonardo da Vinci, che è il fabbro siriano Efesto, cui si devono tutte le creazioni fantastiche nei poemi omerici, dai cani immortali a guardia del palazzo e ai tedofori che illuminano i banchetti di Alcinoo, alle sue navi che « sanno da sole il pensiero e l’intendimento degli uomini », ai tripodi per gli dèi e alle sue (di Efesto) ancelle semoventi e soprattutto alla sua officina, dove comunque la sua manodopera di artista rimane insostituibile:
« E Teti piedi d'argento giunse alla casa d'Efesto...
E lo trovò sudante, che girava tra i mantici,
indaffarato...
Mentre a questo attendeva con l'abile mente,
ecco s'avvicinò la dea Teti piede d'argento.
La vide, e si fece avanti, Charis velo splendente,
la bella, che il glorioso Storpio aveva sposato;
e le prese la mano e disse parola, parlò così:
" Perché, Teti lungo peplo, vieni alla nostra casa,
o veneranda e cara?... "
Così dicendo la guidò avanti la dea luminosa
e la fece sedere sul trono a borchie d'argento...
E chiamò Efesto l'inclito fabbro e disse parola:
" Efesto, vieni qua, Teti ha bisogno di te. "
Allora parlò lo storpio glorioso:
" Ah! terribile nume e venerando m'è in casa,
che mi salvò, quando lo strazio mi possedeva, caduto da lungi...
... e avrei patito strazi nell'animo,
se Eurinome e Teti non m'accoglievano nel seno del mare...
Ella viene ora nella mia casa; è grande dovere
pagare a Teti riccioli belli tutto il compenso!
Tu, dunque, ponile accanto bei doni ospitali,
io mantici e attrezzi metterò tutti in ordine. "
Disse, e il mostro ansante si scostò dall'incudine
zoppicando; s'affrettarono, sotto, le gambe sottili.
Pose i mantici fuori dal fuoco, e tutti gli attrezzi
con cui lavorava raccolse nella cassa d'argento;
con una spugna si asciugò il viso e le mani
e il collo robusto e il petto peloso,
vestì la tunica, prese il suo grosso bastone e venne fuori
zoppicando; due ancelle si affaticavano a sostenere il signore,
auree, simili a fanciulle vive,
avevano mente nel petto e avevano voce
e forza, sapevano l'opere...
... egli con stento
avvicinandosi, là dov'era Teti, sedette sul trono splendente,
e le prese la mano e disse parola, diceva:
" Perché, Teti lungo peplo, vieni alla nostra casa,
o veneranda e cara? prima non ci venivi...
E Teti, versando lacrime, lo ricambiava:
" Efesto, forse qualcuna, qante son dee dell'Olimpo,
sopporta altrettante pene tristi nel cuore
quanti dolori mi diede Zeus Cronide fra tutte?
Me, fra le dee marine, assoggettò a un uomo,
a Peleo...
... ora di trista vecchiaia
nella casa egli è preda; ma io ho ancora altri mali.
Un figlio mi diede da generare e nutrire,
eccelso tra i forti; e m'è cresciuto come germoglio;
io l'ho allevato come pianta in conca di vigna,
e l'ho mandato a Ilio sopra le navi curve
a combattere i Troiani; ma non lo riavrò
di ritorno in patria nella casa di Peleo.
E mentre ancora l'ho vivo, mi vede la luce del sole,
è afflitto, e io non posso, anche andando, aiutarlo...
Lottarono tutto il giorno presso le porte Scee;
e certo quel giorno distruggevan la rocca, se Apollo
il forte figlio di Menezio [cioè Patroclo], che molti mali faceva,
non uccideva fra i primi, dava a Ettore gloria.
Così vengo ora ai tuoi ginocchi, se vuoi
pel figlio dal breve destino darmi elmo e scudo
e belle gambiere...
e corazza; quelli che aveva gli perse il fedele compagno
vinto dai Troiani; e lui ora mi giace in terra afflitto in cuore! "
E le rispose lo Storpio glorioso:
" Coraggio! questo non ti preoccupi il cuore:
... avrà armi bellissime, tali che ognuno
le ammirerà che le veda, anche fra molti mortali. "
La lasciò, così detto, e tornò verso i mantici:
al fuoco li rivoltò, li invitò a lavorare:
e i mantici, tutti e venti, soffiarono sulle fornaci,
mandando fuori soffi gagliardi e variati
a volte buoni a servirlo con fretta, a volte il contrario,
come Efesto voleva e procedeva il lavoro;
e poi pose sul piedistallo la grande incudine, afferrò in mano
un
forte maglio, con l’altra afferrò le tanaglie » (XVIII, 369-477).
E' bella e istruttiva per la cultura micenea o tardo-micenea la fabbricazione delle armi di Achille alla cui lettura rimando.
Si confronti « è cresciuto come germoglio; io l'ho allevato come pianta in conca di vigna » vedi anche « è cresciuto come un germoglio; io l’ho allevato come pianta in conca di vigna » (Il. XVIII, 56-57) con « Io ti piantai vitigno scelto, tutto con ottime barbatelle. Come mai tu hai mutato i tralci in quelli di una vigna bastarda? » (Geremia 2,21; dice Dio a Israele; e altre analoghe similitudini nell’A. Testamento sulla vigna).
Il libro XIX con l'interruzione dell'ira non è omerico. Achille scende in battaglia (la battaglia cosmica del libro XX e XXI) per vendicare l’amico Patroclo.
L’eroe nelle cui mani è la difesa di Troia, Ettore, è il vero protagonista dell’Ira d’Achille, ma dalla morte di Ettore e dalle ceneri di Troia sorgerà grazie ad Enea e ai suoi profughi il popolo latino e romano, ed è dunque l’episodio di Enea che si fronteggia con Achille il vero punto focale dell’Ira d’Achille. Enea morirebbe certamente se si scontrasse con Achille, tornato a combattere (e lo vediamo in campo per la prima volta dall’inizio del poema) dopo la sua riappacificazione coi capi achei, e infatti Poseidone, come un Genio della lampada scende a prenderlo e lo porta in volo fuori dalla mischia, lontano dalle mani omicide di Achille (libro XX; la scena è troppo plasticamente descritta per non essersi ispirata ad un bassorilievo su ara sacrificale realizzata proprio per la circostanza delle cerimonie dei ludi saeculares) perché destinato a dar vita al popolo romano (come già interpretava Dionisio d’Alicarnasso, I, 53,4 e 5). Enea viene onorato dal fatto che Achille, l’eroe più forte a Troia gli si fa contro, mentre sullo sfondo Europa e Asia, Cielo e Terra gli combattono intorno rendendogli omaggio. Lo stesso Zeus invita gli dèi a prendere parte alla guerra dall'una o dall'altra parte mentre lui " divertirà " (come un despota orientale o il Dio di Giobbe) la sua mente dall'alto dell'Olimpo (XX, 22-25). Questa parte è stata probabilmente sostituita (è già il secondo caso di sostituzione greca di ispirazione ebraica ad un testo omerico che meglio rispetta quella che noi riteniamo essere la civiltà di liberi dell'antica Grecia) a quella ora nel non omerico libro VIII e certamente omerica e più bella:
« ... aggiogò al carro i cavalli piedi di bronzo,
rapido volo, ch'anno criniere d'oro;
oro vestì lui stesso sl corpo, e prese la frusta
d'oro, ben fatta, e salì sul suo carro
e frustò per andare; quelli volarono ardenti
a mezzo fra la terra e il cielo stellato.
E venne all'Ida, ricca di fonti, madre di fiere,
alla cima del Gàrgaro, dov'è il suo sacro recinto, l'altare odoroso.
Qui fermò i cavalli il padre dei nmi e degli uomini,
e li sciolse dal carro, versò molta nebbia intorno.
Egli sopra le vette si assise, splendente di gloria,
guardando alla città dei Troiani, alle navi achee » (VIII, 41-52)
C'è un altro bel passo nel libro VIII variamente ripreso e ampliato nel libro V anch'esso sospetto di contenere materiale omerico:
« Disse, e non fu sorda la dea Atena occhio azzurro.
Andò a preparare i cavalli frontali d'oro
Era, la dea veneranda, figlia del grande Crono;
Ebe adattò rapida al carro, di qua e di là, le ruote rotonde,
bronzee, a otto raggi, ai due estremi dell'asse d'acciaio:
d'oro hanno esse il giro incorruttibile, e sopra
un cerchione stretto di bronzo, meraviglia a vederlo.
I mozzi sono d'argento, rotondi dalle due parti;
con tiranti d'oro e d'argento è distesa
la cassa, e corre intorno una doppia ringhiera.
Sporgeva il timone d'argento; e in cima
legò Ebe il giogo bello, d'oro, le cinghie
belle, d'oro, vi gettò sopra; sotto il giogo Era spinse
i cavalli piedi rapidi, avida di lotta e d'urlo.
Atena intanto, la figlia di Zeus egìoco,
sulla soglia del padre lasciò cadere il molle peplo,
vivido, ch'ella stessa fece e operò di sua mano;
e vestendo la tunica di Zeus che raduna le nubi,
d'armi si circondò, per la battaglia affannosa.
Gettò sopra le spalle l'egida frangiata,
orrenda, cui tutt'intorno fanno corona il Terrore,
la Lotta...
Sul capo pose l'elmo, che ha quattro borchie e doppio cimiero,
aureo...
E balzò sul carro fiammante, e afferrò l'asta
greve, grossa, pesante, con cui ella atterra le schiere
degli eroi, se con essi s'adira, la figlia del Padre possente.
Era con la frusta toccò vivamente i cavalli;
e cigolaron da sole le porte del cielo, che l'Ore sorvegliano,
l'Ore, a cui il cielo vasto è confidato e l'Olimpo,
se scostare o calare la densa nube si debba.
Guidarono dunque di là, per esse, i cavalli che il pungolo ìncita... » (V, 719-752)
Se si vuole cercare un nocciolo dell’Ira d’Achille (come dell’Odissea è la dichiarazione di xenìa fatta da Odisseo alla coppia regale di Scheria), allora questo è costituito proprio dalla fine imminente di Troia e del popolo troiano, di cui è consapevole Ettore, sua unica difesa: giorno verrà che Ilio sacra perisca, e Priamo, e la gente di Priamo buona lancia (Il. VI, 448ss); ma al tempo stesso dalla consapevolezza che sui lidi tirreni questo stesso popolo risorgerà come la Fenice dalle sue ceneri per assurgere a maggiore grandezza, a dominatrice del Mondo, come emerge dalle parole di Poseidone, dio del mare: Già il Cronide ha preso a odiare la stirpe di Priamo, ora la forza d’Enea regnerà sui Troiani e i figli dei figli e quelli che dopo verranno (Il. XX, 306ss), e da quelle di Achille: Ahi, gran prodigio questo ch'io vedo con gli occhi! Ecco l'asta che giace a terra, ma l'uomo non vedo più, a cui l'ho scagliata, avido d'ammazzarlo, davvero Enea caro ai numi immortali fu sempre: io invece pensavo che si vantasse a vuoto (XX, 344ss). In realtà quando Omero scrive alla metà del VII secolo la forza d’Enea o meglio quella dei suoi successori regna da un pezzo sui lidi italici sui Troiani e i figli dei figli immigrati in Italia. Omero mette in forma di profezia la realtà di cui è testimone oculare privilegiato:
« E tutta si riempì la pianura – e lampeggiava di bronzo –
d'uomini e di cavalli; la terra rombava sotto i piedi
della folla in marcia; de eroi straordinariamente eccellenti
in mezzo ai due eserciti andavano, avidi di combattere,
Enea Anchisiade e il glorioso Achille.
Enea venne avanti per primo con minacce...
Dall'altra parte il Pelide balzò avanti come un leone...
E quando furono accosto, marciando uno sull'altro,
per primo parlò il piede rapido Achille glorioso:
" Enea...
... tu fuggisti l'asta mia già una volta...
... te Zeus salvò e gli altri numi.
Ora però non ti salveranno, penso, come in cuore
tu credi...
Ma Enea gli rispose e disse:
" Pelide, con le parole, come un bambino,
non credere d'atterrirmi, perché anch'io so benissimo
e ingiurie e insulti in risposta lanciare...
Disse e l'asta gagliarda lanciò contro lo scudo fortissimo...
Achille lanciò per secondo l'asta ombra lunga...
... e Achille
balzava bramoso, traendo la spada affilata...
... a lui con la spada avrebbe tolto la vita il Pelide,
se non avesse visto Poseidone enosìctono...
mosse verso la lotta, tra il rombo delle lance,
e giunse dov'erano Enea e l'inclito Achille;
subito a questo versò nebbia sugli occhi,
ad Achille Pelide; poi il faggio vestito di bronzo
strappò dallo scudo del magnanimo Enea
e lo posò davanti ai piedi d'Achille,
ma Enea, lo spinse e lo sollevò dalla terra, in alto;
e molte file d'eroi, e molte di cavalli
saltò Enea, spinto dalla mano del dio,
e giunse all'ultima fila dell'impetuosa battaglia... » (XX, 156-328).
Achille infuria massacrando i Troiani. Degna di menzione l'uccisione di Polidoro, fratello di Ettore, che giustificherà poi l'uccisione di Patroclo:
« Ma Achille piombò con l'asta su Polìdoro pari agli dèi,
figlio di Priamo; il padre non voleva lasciarlo combattere,
perch'era il più giovane tra tutti i suoi figli,
e il più caro; tutti vinceva coi piedi, e anche allora
per fanciullaggine, volendo mostrare la forza dei piedi,
correva in mezzo ai campioni, finché perdette la vita:
lo colpì in pieno col dardo, Achille glorioso piede rapido,
di schiena, mentre balzava, là dove le fibbie della cintura
s'agganciavano, auree, e la corazza era doppia.
La punta dell'asta uscì davanti, presso il bellìco:
cadde in ginocchio, gemendo, una nube l'avvolse,
livida, strinse fra le mani le viscere, abbattendosi.
Ettore, come vide il suo fratello Polìdoro,
che in mano stringeva le viscere, abbattuto per terra,
sugli occhi gli si versò una nebbia, non sopportò
d'aggirarsi ancora lontano, ma mosse contro Achille... » (XX, 407-422)
« Come incendio pauroso infuria nella gola profonda
d'un arido monte, arde la cupa foresta;
il vento, rombando, fa turbinare da ogni parte la fiamma;
così da ogni parte balzava Achille con l'asta, simile a un dio,
gettandosi sulle sue vittime; sangue la terra nera scorreva.
E come se uno aggioga buoi larga fronte
per battere l'orzo bianco sull'aia ben fatta,
presto l'orzo diventa nudo sotto i piedi dei buoi largo mugghio;
così sotto Achille magnanimo i cavalli unghie solide
calpestavano insieme cadaveri e scudi; l'asse di sangue
era tutto insozzato e le ringhiere del carro,
che colpivano schizzi da sotto gli zoccoli dei cavalli
e dai cerchioni; così ardeva di conquistarsi gloria
il Pelide, lordo di fango sanguigno le mani invincibili » (XX, 490-503)
Dopo i Troiani Achille ha l'ardire di mettersi contro il fiume Scamandro, che si adira perché Achille lo insozza del sangue dei Troiani uccisi nelle sue onde vorticose:
« O Achille, tu sei il più forte, ma nefandezze commetti
ben più di tutti gli mani; e sempre gli dèi ti proteggono.
Se il figlio di Crono [Zeus] t'ha dato di sterminare i Troiani,
spingili almeno lontano da me, fa scempio nella pianura:
le mie correnti amabili son piene di morti,
non posso ormai più versar l'acque nel mare divino,
tanto son zeppo di morti: e tu massacri funesto;
ma vattene e smetti: mi fai orrore, capo d'eserciti!...
... furioso, allora, si gonfiò il fiume e salì,
eccitò e intorbidò tutte l'onde, spinse i cadaveri
innumerevoli, ch'erano a mucchi fra l'onde, uccisi da Achille,
li gettò fuori, mugghiando come un toro,
sopra la riva, ma serbò i vivi fra le belle correnti,
li tenne nascosti nei grandi gorghi profondi
Terribile intorno ad Achille si levò n torbido flutto,
e la corrente spingeva, scrosciando contro lo scudo;
non poteva star saldo; afferrò con le mani un olmo
grande, lussureggiante; strappato dalle radici,
questo travolse tutta la ripa, impigliò l'onde belle
coi fitti rami, arginò il fiume,
tutto intero crollandovi. Achille salì su dal gorgo
e si gettò sulla piana coi rapidi piedi a volare,
sconvolto; ma il gran dio non lasciò, lo rincorse,
irto di creste nere, per fermare nell'opera
Achille glorioso, allontanare dai Troiani il malanno.
Balzò indietro il Pelide quant'è un tratto di lancia,
con l'impeto dell'aquila nera, la cacciatrice,
ch'è insieme il più forte degli uccelli e il più rapido;
simile ad essa balzò e il bronzo sul petto
rimbombò orrendamente; cedendo davanti al fiume
fuggiva, ma quello con strepito grande incalzava correndo...
così sempre il flutto teneva dietro ad Achille
benché andasse rapido: gli dèi son più forti degli uomini.
E quante volte Achille divino piede veloce voleva
arrestarsi e voltarsi a vedere se tutti davvero
lo incalzassero i nmi che il cielo vasto possiedono,
tante volte il flutto potente del fiume disceso da Zeus
saliva più su delle spalle; e lui dava un balzo in alto,
sconvolto in cuore; ma il fiume, sotto, gli piegava i ginocchi,
scrosciando violento, gli sottraeva di sotto i piedi il terreno.
Gemette il Pelide rivolto al vasto cielo...
Però lo Scamandro non smise il furore, anzi di più
s'adirò col Pelide, gonfiò il flutto della corrente
sollevandolo in alto, e gridò al Simòenta:
" Caro fratello, cerchiamo insieme di trattenere
la forza di quest'eroe, che presto del sire Priamo la rocca
distruggerà, non resistono i Troiani al suo ardore.
Corri presto in aito, riempi il tuo corso
d'acqua dalle sorgenti, spingi i torrenti tutti,
alza un'ondata immensa, suscita gran fracasso
di piante e sassi; fermiamo l'uomo selvaggio,
che adesso trionfa e infuria pari agli dèi.
Io te lo dico, né forza gli gioverà, né prestanza,
né l'armi belle, che giù nel fondo della palude
giaceranno, fasciate di fango; e lui stesso
rotolerò nella sabbia alta, versandogli intorno
ghiaia infinita, così che l'ossa non potran più gli Achei
raccogliere, tanta melma gli rovescerò sopra.
Sì, quella sarà la sa tomba, né avrà bisogno
di terra versata quando faranno il suo funerale gli Achei... "
Disse, e balzò contro Achille, torbido, crescendo infuriato,
ribollendo di schiuma e di sangue e di morti... » (XXI, 214-325)
Allora Era invia Efesto ad ardere Xanto o Scamandro che dir si voglia:
« ... e un prodigioso fuoco fabbricò Efesto.
Prima nella pianura divampò il fuoco, bruciò i cadaveri
senza numero, ch'erano a mucchi nell'acqua, uccisi da Achille:
asciugò tutta la piana, si fermò l'acqua lucente.
Come quando Borea autunnale un giardino irrigato
asciuga d'un tratto, gode chi lo coltiva;
così la piana asciugò tutta e i cadaveri
arse il fuoco; poi volse al fiume la fiamma splendente.
Bruciavano gli olmi, i salici, i tamerischi,
bruciava il loto e il giunco e la menta,
che intorno alle belle correnti del fiume abbondavano;
soffrivano i pesci e le anguille che per i gorghi
e tra la bella corrente guizzavano di qua e di là,
oppressi dal soffio d'Efesto ingegnoso... » (XXI, 342-355)
Dopo la supplica di Scamandro, Efesto si placa e la guerra si accende fra gli dèi, tanto violenta quanto sterile, dunque grottesca, con scene in cui la sorpresa e il dolore sono congelati nelle facce piene di smorfie degli dèi come nelle terrecotte dei frontoni del templi etruschi dell'epoca (va detto che l'omerida che ha replicato questa guerra nel libro V, nucleo della Diomedea, ha portato il genere alla perfezione tragicomica).
L’Ira d’Achille può essere comica perché è
una creazione di fantasia (seppure da frammenti di verità), una bella favola.
Il suo protagonista apparente Achille è
già comico in se stesso, trattandosi di un gigante, cui non vanno bene le
armi dei Greci, tranne lo scudo di Aiace Telamonio e la lancia che s’è
portata da casa. Probabilmente l’episodio più importante di tutta l’Ira d’Achille
è il duello mancato fra Achille, che vediamo per la prima volta in assoluto
scendere in campo dopo la riappacificazione coi capi achei, e il pio Enea
amato dagli dèi e destinato a perpetuare la nazione troiana-romana sul lido
laziale: « Già il Cronide ha preso a odiare la stirpe di Priamo, ora la
forza d’Enea regnerà sui Troiani e i figli dei figli e quelli che dopo
verranno » (XX, 306ss). E
infatti Poseidone interviene scampandolo
da sicura morte. Poseidone/Dagan, dio dell’occidente e del corso
superore dell’Eufrate, cioè dell’alta Siria, doveva essere nei poemi
omerici originari, come abbiamo già rilevato più volte, la divinità più
tipicamente etrusco-romana. Dunque Poseidone solleva Enea volando in aria come
fosse un Genio della lampada e lo deposita a terra lontano dalla battaglia. Si
tenga bene a mente che nella stesura originaria dell’Ira d’Achille gli
dèi intervenivano in battaglia solo nei libri XX e XXI, la battaglia degli
dèi e fluviale, non prima. Gli dèi omerici, soprattutto quelli dalla parte
degli Achei, sono la caricatura degli esseri umani. Abbiamo così
il pauroso Ade: « tremò sotto la terra sire degli Inferi, l’Ade,
e tremando balzò dal trono, gridava per la paura che gli facesse saltare la
terra Poseidone Enosìctono, a tutti apparissero, mortali e immortali, le case
mucide, spaventose, che i numi hanno in odio; tanto rimbombo sorse allo
scontrarsi dei numi » (XX, 61ss), e ancora
Efesto che zoppica: « s’affatcavano sotto le gambe sottili »
o Ares che sbraita esagitato e colpisce Atena con la lancia e questa per tutta
risposta gli tira contro un gran cippo confinario stendendolo lungo per terra «
l’armi gli rimbombarono intorno… e via lo condusse la figlia di Zeus
Afrodite: fitto gemeva, a fatica riprendeva gli spiriti », o delicati
come Artemide “ fanciulletta ” percossa ripetutamente con l’arco da Era
“ corpulenta comare ” (XXI, 489ss: « Bella è la flagellazione di Artemide, che cerca di
sottrarsi ai colpi piegando la testa da una parte e dall’altra e fugge come
una colomba; intanto le sue frecce si spargono a terra e poco dopo Latona le
raccoglie dalla polvere insieme con l’arco » F. Codino, op. cit., p. 182),
o ancora piccini nella loro tifoseria da campanile come la coppia Era e Atena,
divinità davvero spregevoli (soprattutto la seconda, dea della menzogna e
dell’inganno, che nel libro I scende inviata da Era per aizzare Achille
contro Agamennone: « ingiuria con parole, dicendo come sarà: così ti
dico infatti, e questo avrà compimento: tre volte tanto splendidi doni a te s’offriranno
un giorno per questa violenza », sotto le sembianze di Laodoco figlio di
Antenore istiga Pandoro a ferire Menelao (IV, 86ss) e sotto le sembianze
del fratello Deifobo tende un ultimo, inutile, tranello a Ettore, XXII,
226ss – ma l’autore del libro V se non ha rielaborato materia omerica ha
fatto della dea un vero personaggio cattivo da cartone animato alla Crudelia
Demon: « “ Diomede Tidide… non temere più Ares… Anzi su Ares per
primo spingi i cavalli solidi zoccoli e colpiscilo da vicino, non rispettare
Ares furioso; quello è un pazzo, una vera sciagura, una banderuola, che prima
promise e proclamò a me e ad Era di pugnar contro i Teucri e d’aiutare gli
Argivi, e ora è là fra i Troiani, s’è scordato degli altri ”. E
parlando così, gettò Stènelo a terra dal carro, spingendolo con la mano; e
quello balzò fuori in fretta. Montò essa sul cocchio, presso Diomede
glorioso, la dea impaziente » (V, 826ss); e che si complimenta con
Odisseo perché lui è il più ingannevole fra gli umani, lei fra gli dèi,
Od. XIII, 291ss; con buona pace
di W. Gladstone l’unica, e autentica, « notevole somiglianza
» di Atena « con la tradizione ebraica
» è con la furbizia dei patriarchi
e dei personaggi veterotestamentari i quali tanto più sono
sostenuti e aiutati da Jahvè quanto più ladri e disonesti, come
Giacobbe, che servì come pastore presso Labano l’Arameo per
ottenerne la figlia Rachele, rubandogli poi con l’astuzia parte del
gregge (Genesi, 29-31: da questa vicenda trae spunto la storia dell’indovino
Melampo, Od. XV, 225ss, che per ottenere per suo fratello Biante la figlia,
Pero, di Neleo re di Pilo, gli
porta il bestiame di Ificlo di
Filace dopo essere stato in prigione per un anno, vedi anche Apollodoro,
Biblioteca, I, 9); o veramente dèi come Apollo troiano (« Ennosìgeo, tu
sano di cervello non mi diresti se combattessi con te per dei mortali
meschini, simili a foglie, che adesso crescono in pieno splendore, mangiando
il frutto del campo, e fra poco imputridiscono esanimi. Presto, lasciamo la
lotta: combattano soli! » XXI, 462ss; « fra gli immortali parlò Febo Apollo: “ Crudeli
voi siete, o numi, distruttori! A voi forse non bruciava mai Ettore cosce di
bovi e di capre perfette? E ora non volete salvarlo, nemmeno cadavere, per la
sua sposa… No. Achille funesto volete aiutare, voi numi, Achille che sana
ragione non ha, non ha animo trattabile in petto, sa solo cose selvagge, come
leone quando alla sua gran forza, al cuore superbo obbedendo, va tra le greggi
degli uomini a procacciarsi il cibo. Così Achille ha distrutto ogni pietà,
né rispetto c’è in lui… Chiunque può perdere una persona carissima…
Costui Ettore glorioso, da che gli ha tolto la vita, attacca ai cavalli e dell’amico
intorno alla tomba lo trascina: e questo non è bello, né giusto. Badi, per
quanto bravo, che non prendiamo a odiarlo, lui che nell’ira infierisce
contro terra insensibile! » XXIV, 32ss); o cinici come Zeus («
ormai son periti. Ma io me ne resto in una valle d’Olimpo, seduto, e
guardando di là divertirò la mia mente: voi altri andate e raggiungete i
Troiani e gli Achei, gli uni e gli altri aiutate secondo il cuore d’ognuno
» (XX, 22ss). Questo Zeus è certamente ispirato al prototipo hurrita
(se prototipo v’è; perché al contrario è possibile che il libro di Giobbe
si sia ispirato alla più antica Odissea) del libro di Giobbe, che nella sua
versione attuale è dei primi del V sec. a. C.: « Egli con una tempesta mi
schiaccia, moltiplica le mie piaghe senza ragione, non mi lascia riprendere il
fiato, anzi mi sazia di amarezze… Se avessi ragione, il mio parlare mi
condannerebbe; se fossi innocente, egli proverebbe che sono reo. Sono
innocente? Non lo so neppure io, detesto la mia vita! Per questo io dico: “
E’ la stessa cosa ”: egli fa perire l’innocente e il reo! Se un flagello
uccide all’improvviso, della sciagura degli innocenti egli ride. La terra è
lasciata in balìa del malfattore: egli vela il volto dei suoi giudici; se non
lui chi dunque sarà? » (Giobbe,
9, 17ss); il mandriano di Odisseo Filezio afferma: « Padre Zeus, nessuno
fra i numi è più funesto di te: non t’importa che gli uomini, a cui tu
stesso dai vita, sian sempre in mezzo a sciagure e mali crudeli » (Od. XX,
201ss).
L'unica bella figura la fa Apollo, il dio Sole dei troiani che risponde a Poseidone (che gli ricorda quando costruirono le mura di Troia per Laomedonte ma non furono pagati) e poi se ne va a Troia per difenderla dalla caduta:
« Ennosìgeo, tu sano cervello non mi diresti
se combattessi con te per dei mortali
meschini, simili a foglie, che adesso
crescono in pieno splendore, mangiando il frutto del campo,
e fra poco imputridiscono esanimi. Presto,
lasciamo la lotta: combattano soli! » (XXI, 462-467)
Confronta anche con « Come stirpi di foglie, così le stirpi degli uomini; le foglie, alcune ne getta il vento a terra, altre la selva fiorente le nutre al tempo di primavera; così le stirpi degli uomini: nasce una, l’altra dilegua » (Il. VI, 146ss) e con « Come le foglie spuntate su albero verdeggiante, ora cadono e ora sbocciano, così son le generazioni della carne e del sangue, una muore e l’altra nasce » (Siracide, 14,18).
Incalzati dalla furia di Achille i Troiani si rifugiano entro le mura della città. Ettore rimane fuori perché si sente responsabile della disfatta per non aver seguito il consiglio di Polidamante di cui ora teme i rimproveri. Preferisce dunque morire da eroe ucciso da Achille:
« Ohimè, se mi ritiro dentro la porta e il muro,
Polidàmante per primo mi coprirà d’infamia,
lui che mi consigliava di ricondurre i Troiani in città
quella notte funesta, quando si levò Achille glorioso;
e io non volli ascoltare; pure era molto meglio.
Ora che ho rovinato l’esercito col mio folle errore,
ho vergogna dei Troiani e delle Troiane lunghi pepli,
non abbia a dire qualcuno più vile di me:
“ Ettore ha rovinato l’esercito fidando nelle sue forze. ”
Ah sì, così diranno. E allora per me è molto meglio
o non tornare prima d’aver ucciso Achille,
o perire davanti alla rocca, di sua mano, con gloria » (XXII, 99-110).
L’Ira d’Achille (e l'Iliade costruita nella cornice dell'Ira d'Achille e dunque con lo stesso finale) è una favola triste, un poema drammatico, anzi tragico della fine del buon cittadino in armi, Ettore, sostegno di una famiglia, di una città, Troia, di una coalizione di popoli dell’Asia anteriore, il cui destino di distruzione, dopo la morte di questo, è segnato. Dall'alto delle mura di Troia i genitori di Ettore, Priamo e Ecuba, hanno compreso che questo rimarrà fuori a farsi ammazzare dal gigantesco Achille:
« E la Moira funesta inceppò Ettore, che rimanesse
là fuori, davanti a Ilio e alle porte Scee...
E il vecchio Priamo lo vide [Achille] per primo con gli occhi,
che tutto raggiante come stella correva per la pianura;
come si leva l'astro autunnale...
Cane d'Orione per nome lo chiamano...
così lampeggiava il bronzo sul petto d'Achille in corsa.
Il vecchio gemette e il capo con le mani percosse
levandole in alto, e fra i gemiti urlò
pregando il figlio: ma lui davanti alle porte
ea dritto, bramando ostinato di lottar con Achille:
e il vecchio parlava da far pietà, stendendo le mani:
“ Ettore, figlio mio, non m'affrontare quell'uomo
da solo, lontano dagli altri, ché troppo presto tu non incontri la fine...
Ah, fra le mura rientra, figlio mio, per proteggere
Troiani e Troiane: non dar gloria immensa
al Pelide, non perder la cara vita tu stesso.
Abbi pietà di me misero. Ancora ho cervello,
infelice, e il padre Cronide all’orlo della vecchiaia
di mala morte m’ammazzerà, visti mali infiniti,
uccisi i figli, condotte schiave le figlie,
i talami saccheggiati, i teneri bimbi
sbattuti per terra nell’orrendo massacro,
trascinate le nuore dalle mani funeste dei Danai.
Me per ultimo, allora, sopra le porte i cani
carnivori sbraneranno, quando qualcuno col bronzo acuto
m’avrà colto o ferito, strappando la vita alle membra…
I cani, sì, quelli che in casa, alla mia tavola crebbi, a far guardia,
questi bevuto il mio sangue, la rabbia nel cuore,
si sdraieran nell’entrata. A un giovane sta sempre bene
morto in battaglia, straziato dal bronzo acuto,
giacere; tutto quel che si vede, anche se è morto, è bello.
Ma quando il capo bianco e la barba canuta
e le vergogne sconciano i cani d’un vecchio ammazzato,
questa è la cosa più triste fra i mortali infelici… ”
Diceva il vecchio, e con le mani tirava i capelli
strappandoli dalla testa: ma non persuase l’animo d’Ettore » (XXII, 5-78)
« Dall’altra parte gemeva la madre, versando lacrime,
e aperta la veste con una mano sollevava la poppa
e gli parlava piangendo parole fugaci:
“ Ettore, creatura mia, rispetta queste, abbi pietà di me,
se la mammella t’ho dato, che fa scordare le pene:
ricorda, creatura cara, e l’uomo nemico allontana
stando qui fra le mura, non affrontarlo in duello,
crudele! Se mai t’uccidesse, ah ch’io non potrò
piangerti sul cataletto, figlio, io che t’ho partorito,
e neppure la sposa ricchi doni: lontano da noi
presso le navi argive ti strazieranno i rapidi cani ” » (XXII, 79-89)
Achille uccide Ettore con l’inutile inganno di Atena
« ... e Achille gli fu vicino,
pari a Enialio [Ares] guerriero, agitatore dell'elmo,
alto scuotendo sopra la spalla destra il faggio del Pelio,
terribile: il bronzo gli lampeggiava intorno, simile al raggio
del fuoco ardente o del sole che sorge.
Come lo vide, spavento prese Ettore, non seppe più
attenderlo fermo, si lasciò dietro le porte e fuggì:
si slanciò pure il Pelide, fidando nei piedi veloci...
Corsero oltre la torre di guardia e il caprifico ventoso...
e giunsero alle de belle fontane; sgorgano
qui le sorgenti del vorticoso Scamandro...
Là correvano i due, uno fuggendo, l'altro inseguendo...
così essi girarono intorno alla rocca di Priamo tre volte... » (XXII, 131-157)
« La dea ...raggiunse Ettore luminoso,
e pareva Deìfobo alla figura e alla voce instancabile:
standogli accanto essa parlò parole fugaci:
"Fratello, davvero ti sfibra il rapido Achille
che t'incalza intorno alla rocca di Priamo coi piedi veloci:
su fermiamoci ad affrontarlo e respingerlo! "
E il grande Ettore elmo lucente rispose:
" Deìfobo, anche prima tu m'eri il più caro
dei fratelli...
ma ora sento nel cuore d'onorarti di più,
tu che osasti per me...
uscir dalle mura; ma gli altri stan dentro! "
E gli rispose la dea Atena occhio azzurro:
" ... Ora protesi avanti lottiamo con furia...
... vediamo se Achille,
uccisi noi due, porterà sanguinanti le spoglie
alle concave navi, o sarà vinto dalla tua lancia. "
Dicendo così, perfidamente lo precedette Atena.
E quando furon vicini marciando uno sull'altro,
Il grande Ettore elmo lucente parlò per primo ad Achille:
" Non fuggo più davanti a te, figlio di Peleo, come or ora
corsi tre volte intorno alla grande rocca di Priamo, e non seppi
sostenere il tuo assalto; adesso il cuore mi spinge
a starti di fronte, debba io vincere o essere vinto...
... [Achille] l'asta scagliò, bilanciandola;
ma vistala prima, l'evitò Ettore illustre
... sopra volò l'asta di bronzo
e s'infisse per terra; la strappò Pallade Atena,
la rese ad Achille, non vista da Ettore pastore di genti...
... [Ettore] bilanciandola scagliò l'asta ombra lunga;
e colse nel mezzolo scudo d'Achille, non sbagliò il colpo;
ma l'asta rimbalzò dallo scudo; s'irritò Ettore...
chiamò gridando forte il bianco scudo Deìfobo,
chiedeva un'asta lunga: ma quello non gli era vicino.
Comprese allora Ettore in cuore e gridò:
" Ahi! Davvero gli dèi mi chiamano a morte.
Credevo d'aver accanto il forte Deìfobo:
ma è fra le mura, Atena m'ha teso un inganno.
M'è accanto la mala morte, non è più lontana...
Ebbene, non senza lotta, non senza gloria morrò,
ma compiuto gran fatto, che anche i futuri lo sappiano » (XXII, 226-305)
Ettore è armato di sola spada:
« Ma Achille pure balzò, di furia empì il cuore
selvaggio: parò davanti al petto lo scudo
bello, adorno, e squassava l'elmo lucente
a quattro ripari; volava intorno la bella chioma
d'oro, che fitta Efesto lasciò cadere in giro al cimiero.
Come la stella avanza fra gli astri nel cuor della notte,
Espero, l'astro più bello ch'è in cielo,
così lampeggiava la punta acuta, che Achille scuoteva
nella sua destra, meditando la morte d'Ettore luminoso,
cercando con gli occhi la bella pelle, dove fosse più pervia.
Tutta coprivan la pelle l'armi bronzee, bellissime,
ch'Ettore aveva rapito, uccisa la forza di Patroclo;
là solo appariva, dove le clavicole dividon le spalle
dalla gola e dal collo, e là è rapidissimo uccider la vita.
Qui Achille glorioso lo colse con l'asta mentre infuriava,
dritta corse la punta traverso al morbido collo...
Stramazzò nella polvere: si vantò Achille glorioso:
" Ettore, credesti forse, mentre spogliavi Patroclo,
di restare impunito: di me lontano non ti curavi,
bestia! ma difensore di lui, e molto più forte,
io rimanevo sopra le concave navi,
io che ti ho sciolto i ginocchi. Te ora cani e uccelli
sconceranno sbranandoti: ma lui seppelliranno gli Achei. "
Gli rispose senza più forza, Ettore elmo lucente:
" Ti prego per la tua vita, per i ginocchi, per i tuoi genitori,
non lasciare che presso le navi mi sbranino i cani
degli Achei, ma accetta oro e bronzo infinito,
i doni che ti daranno il padre e la nobile madre:
rendi il mio corpo alla patria, perché del fuoco
diano parte a me morto i Troiani e le spose dei Troiani... "
Ma bieco guardandolo, Achille piede rapido disse:
" No, cane, non mi pregare, né pi ginocchi né pei genitori;
ah! che la rabbia e il furore dovrebbero spingere me
a tagliuzzare le tue carni e a divorarle così, per quel che m'hai fatto:
nessuno potrà dal tuo corpo tener lontane le cagne,
nemmeno se dieci volte, venti volte infinito riscatto
mi pesassero qui, altro promettessero ancora;
nemmeno se a peso d'oro vorrà riscattarti
Priamo Dardanide, neanche così la nobile madre
piangerà steso sul letto il figlio che ha partorito,
ma cani e uccelli tutto ti sbraneranno. "
Rispose morendo Ettore elmo lucente:
" Va' ti conosco guardandoti! Io non potevo
persuaderti, no certo, ché in petto hai un cuore di ferro.
Bada però, ch'io non ti sia causa dell'ira dei numi,
quel giorno che Paride e Febo Apollo con lui
t'uccideranno, quantunque gagliardo, sopra le Scee. "
Mentre diceva così, l'avvolse la morte:
la vita volò via dalle membra e scese nell'Ade,
piangendo il suo destino, lasciando la giovinezza e il vigore » (XXII, 312-363)
Confronta « Te ora cani e uccelli sconceranno sbranandoti; cani e uccelli tutto ti sbraneranno » con « Fatti avanti e darò le tue carni agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche » 1 Samuele, 17,44 (Golia a Davide).
Atena (che è la Sapienza ebraica e la Madonna cristiana) è la più squallida dea omerica. Ettore morirebbe comunque nello scontro con Achille. Lei vi aggiunge il più perfido degli inganni, quello di un fratello in punto di morte. Se Omero ha ideato questa scena consapevolmente – e non c'è ragione di escluderlo – aveva buoni motivi per detestare la religione ebraica.
Ettore e non Achille è il vero protagonista, insieme ad Enea, dell'’Ira d’Achille, che celebrava Roma e le sue origini troiane (in realtà siriane) attraverso Ettore, il leale combattente dell’esercito cittadino e dunque democratico, organizzato nella falange politica, che diceva “ è bello combattere per la patria, è bello morire difendendo la patria. ” Ettore, la colonna dei Troiani moriva e subito dopo Troia sarebbe caduta ma dalle sue ceneri sarebbe risorto sui lidi italici un popolo ancora più forte, destinato a dominare il Mondo.
Achille fa strazio del corpo di Ettore legandolo al carro e trascinandolo per la piana di Troia, mentre dall'alto delle mura i genitori e il popolo assistono allo scempio in preda ai lamenti. Anche Andromaca percepisce che è accaduto qualcosa di grave, che Ettore è morto:
« Ed ecco udì dal bastione singhiozzo e gemito:
le tremaron le gambe, a terra le cadde la spola,
e disse in fretta alle schiave bei riccioli:
" Qua, due mi seguano, che veda che cosa è accaduto.
Della suocera veneranda ho udito la voce, e dentro di me
batte il cuore nel petto fino alla gola, i ginocchi sotto
son rigidi...
... temo
atrocemente...
Dicendo così, si precipitò fuori di casa come una pazza,
col cuore in sussulto...
Ma quando giunse al bastione in mezzo alla folla,
si fermò slle mura, guardando febbrile, e lo vide
trascinato davanti alla rocca...
Una nube di tenebra coperse i suoi occhi,
e cadde indietro e quasi spirava la vita...
quando respirò infine, si risvegliò nel petto la vita,
gridò fra le Troiane con violenti singhiozzi:
" Ettore, oh me disgraziata!...
Ora tu nelle case dell'Ade, nella terra profonda
te ne vai, lasci me in n dolore straziante,
vedova nella casa: e il bimbo ancora non parla...
Ora te fra le concave navi, lontano dai genitori,
saltanti vermi roderanno, quando saran sazi i cani,
nudo: e nella casa ci son le tue vesti
sottili e belle, fatte da mani di donne…
Ma tutte le voglio bruciare nel fuoco avvampante,
e a te non gioverà, ché non giacerai fra esse,
solo per farti onore davanti a Troianie e Troiane! ”
Diceva così singhiozzando, piangevano intorno le donne » (XXII, 447-515)
Nel libro XXIII Achille, dopo che gli è apparso il fantasma di Patroclo...
« ma sulla spiaggia del mare urlante il Pelide
si stese, con grevi singhiozzi, in mezzo ai molti Mirmìdoni,
allo scoperto, dove la spiaggia sciacquavano l'onde.
E il sonno lo afferrò, sciogliendo le pene dell'animo,
spandendosi intorno soave: molto aveva stancato le splendide
membra...
Ed ecco a lui venne l'anima del misero Patroclo,
gli somigliava in tutto...
gli stette sopra la testa e gli parlò parola:
" Tu dormi Achille, e ti scordi di me:
mai, vivo, mi trascuravi, ma mi trascuri morto.
Seppelliscimi in fretta, e passerò le porte dell'Ade.
Lontano mi tengono l'anime, fantasmi di morti,
non vogliono che tra loro mi mescoli di là dal fiume,
ma erro così, per la casa larghe porte dell'Ade.
E dammi la mano, te ne scongiuro piangendo: mai più
verrò fuori dall'Ade, quando del fuoco m'avrete fatto partecipe...
Altro dirò, te ne supplicherò, se vuoi ascoltami:
Achille, non seppellire le mie ossa e le tue separate,
ma insieme, come in casa vostra crescemmo...
E così un'urna sola anche l'ossa racchiuda,
quella d'oro a due manici, che la madre augusta t'ha dato. "
E rispondendo gli disse Achille piede rapido:
" Perché, testa cara, sei venuto fin qui
e mi comandi queste cose a una a una? Sì, certo
compirò tutto quanto, obbedirò come chiedi:
ma vieni vicino e almeno un istante, abbracciàti,
godiamoci il pianto amaro a vicenda! "
Tese le braccia, parlando così,
ma non l'afferrò: l'anima come fumo sotto la terra
sparì stridendo; saltò su Achille stupito,
batté le mani insieme e disse mesta parola:
" Ah! C’è dunque, anche nella dimora dell’Ade,
un’ombra, un fantasma, ma dentro non c’è più la mente... " » (XXIII, 59-104)
Confronta « Ah! C’è dunque, anche nella dimora dell’Ade, un’ombra, un fantasma, ma dentro non c’è più la mente » con « Tutto quello che ti occorre di fare, fallo mentre sei in vita, perché non ci sarà più né attività, né pensiero, né conoscenza, né sapienza giù nel soggiorno dei morti, dove stai per andare » (Qohelet, 9,10).
... celebra i funerali di Patroclo (probabilmente con la sola corsa dei carri, con riferimento alla corsa dei carri nelle Consualia, in onore di Vertumno/Poseidone). Il poema si concludeva con la riconsegna del cadavere di Ettore al re Priamo da parte di Achille nella sua tenda. Per realizzare ciò Zeus manda Iri a dire a Teti di far calmare Achille e di indurlo a rilasciare il cadavere di Ettore...
« Disse così, sorse Iri piede di turbine messaggera,
e in mezzo fra Samo e Imbro rocciosa
saltò nel livido mare: gemette la distesa dell'acque.
E calò nell'abisso, come fa il piombo
che, versato nel corno di bove selvaggio,
scende a portar morte tra i pesci voraci.
Trovò Teti nello speco profondo, e intorno le altre
dee marine sedevano in folla... » (XXIV, 77-84)
Si confronti l’omerico « calò nell’abisso, come fa il piombo che, versato nel corno di bove selvaggio, scende a portar morte tra i pesci voraci » (Il. XXIV, 80ss) con « sprofondarono come piombo in acque profonde » dal cantico di Mosè (in Esodo, 15,10)
... poi manda Iri da Priamo per indurlo ad andare sereno a richiedere il cadavere ad Achille:
« Subito il re ai figliuoli il carro belle ruote da mule
ordinò d'apprestare...
e lui discese nel talamo odoroso...
e chiamò la sa sposa Ecuba e le disse:
" Misera, un Olimpio venne a me messaggero di Zeus,
ch'io riscatti il figlio andando alle navi degli Achei...
Suvvia, dimmi qesto, che te ne sembra nell'animo?... "
Disse così, ma la donna gemette e ricambiò parola:
“ Ahimè! Dove è andato il tuo senno, per cui prima avevi
gloria fra gli stranieri e fra le genti che reggi?
Come vuoi alle navi dei Danai andare solo,
sotto gli occhi d’un uomo, che tanti e gagliardi
figli t’ha ucciso? Tu hai cuore di ferro.
Se ti sorprenderà, ti vedrà coi suoi occhi,
è un uomo crudele, infido, e non avrà compassione,
non rispetto per te: ah! Piangiamo lontano,
seduti nella sala… Così la Moira crudele per Ettore
filò lo stame quando nasceva, quand’io l’ho partorito,
che saziasse le rapide cagne, lontano dai suoi genitori
presso un uomo feroce: ma potessi il suo fegato
mordere e divorarlo: sarebbe vendetta pel figlio
che non m’ha ucciso mentre voltava le spalle,
ma mentre a difesa dei Troiani, delle Troiane alto cinte
lottava con lui, immemore di
paura e di fuga! ”
E il vecchio Priamo pari ai numi le disse:
“ No, non mi trattenere, io voglio andarci! Non farmi
proprio tu in casa l’uccello funesto, non potrai persuadermi…
mho udito io stesso la dea, me la son vista davanti.
Andrò, e non sarà vana parola. Che se mi fosse destino
morire presso le navi dei Danai chitoni di bronzo,
io son pronto. Sì, davvero m’uccidesse là Achille,
mentre il figlio mio stringo, sfogata la brama di pianto! ”
Diceva, e delle casse aprì i bei coperchi,
e prese da esse dodici pepli bellissimi,
dodici mantelli…
... troppo voleva in cuore
ricomprare il figliuolo. Poi tutti i Troiani
cacciò dal portico, trattandoli con male parole:
“ Andate in malora, svergognati, vigliacchi! Ma dunque
non avete dolori in casa, che venite ad affliggere me?
O non vi basta lo strazio che Zeus Cronide m’ha dato,
perdere il figlio migliore? Lo sentirete anche voi:
più facile, e molto, sarà per gli Achei
lui morto, distruggervi. Prima, però,
prima che la città saccheggiata e distrutta
veda con gli occhi, ch’io scenda alle case dell’Ade! ”
Disse e scacciava col suo bastone la gente:
uscirono quelli sotto la furia del vecchio. Ma anche i figliuoli sgridava,
ingiuriando Èleno e Paride…
“ Presto, mali figli, poltroni! Oh se tutti
mi foste morti invece d’Ettore, fra le navi veloci!
Ah, maledetto destino, che generai tanti figli gagliardi
in Troia spaziosa, e non me ne resta nessuno…
Questi Ares m’ha spenti, mi restano solo i vigliacchi,
i ballerini, i bugiardi, che eccellono nei passi di danza,
buoni solo a rubare in patria agnelli e capretti.
E non mi preparate al più presto il carro,
tutto questo ponendovi sopra, ch’io mi metta in cammino? " » (XXIV, 189-264)
Ma poiché il vero protagonista dell’Ira d’Achille è Ettore, questa si conclude con la riappacificazione fra Achille (i Greci) e Priamo (i Troiani/Romani) e la restituzione del corpo di Ettore e i suoi funerali. Dunque il finale drammatico della morte di Ettore, dello scempio fatto da Achille sul suo cadavere e dell’umiliazione cui si sottopone Priamo pur di riavere il corpo del figlio e seppellirlo umanamente...
« Entrò non visto il gran Priamo, e standogli accanto
strinse fra le sue mani i ginocchi d’Achille, baciò quella mano
tremenda, omicida, che molti figliuoli gli uccise...
... Achille stupì, vedendo Priamo simile ai numi,
e anche gli altri stupirono e si guardarono in faccia.
Ma Priamo prendendo a pregare gli disse parola:
" Pensa al to padre, Achille pari agli dèi,
coetaneo mio, come me sulla soglia tetra della vecchiaia...
Pure sentendo dire che tu ancora sei vivo,
gode in cuore...
Ma io sono infelice del tutto, che generai forti figli
nell'ampia Troia, e non me ne resta nessuno...
e qello che solo restava, che proteggeva la rocca e la gente,
tu ieri l'hai ucciso, mentre per la sua patria lottava,
Ettore... Per lui vengo ora alle navi dei Danai,
per riscattarlo da te, ti porto doni infiniti...
Disse così, e gli fece nascere brama di piangere il padre:
allora gli prese la mano e scostò piano il vecchio...
Ma quando Achille glorioso si fu goduto i singhiozzi...
s'alzò dal seggio a un tratto e rialzò il vecchio per mano,
commiserando la testa canuta...
e volgendosi a lui parlò parole fugaci:
" Ah misero, quanti mali hai patito nel cuore!...
Ma via, ora siedi sul seggio e i dolori
lasciamoli dentro nell'animo, per quanto afflitti...
Come leone il Pelide balzò alla porta della sua tenda,
non solo, i due scudieri andarono con lui...
tolsero il prezzo infinito del corpo d'Ettore...
... tornò nella tenda Achille glorioso,
sedette nel seggio bellissimo da cui s'era alzato,
contro l'altra parete, e disse a Priamo parole:
" T'è reso il figlio, o vecchio, come hai pregato,
è steso nel feretro... " » (XXIV, 477-600)
...viene attenuato dal
fatto che grazie all’opera civilizzatrice dell’Ira d’Achille anche
quella belva umana di Achille diventa un essere umano, urbano, un guerriero
capace di provare pietà per il cadavere di Ettore e per il vecchio padre di
questo, e soprattutto dalla certezza che dalle ceneri
di un grande e sfortunato popolo (quello troiano, ma in realtà quello
siro-cilicio salvatosi dalle devastazioni dei Popoli del mare e degli Assiri) rinascerà su
lidi lontani, quelli italici, un
popolo ancora più grande, quello Romano, destinato a dominare il
mondo, dall’Asia all’estremo occidente. E colpisce questa preveggenza
attribuibile solo agli auguri e aruspici etrusco-romani (e prima ancora caldei).
Entrando Priamo in città col feretro di Ettore, tutto il popolo accorre a vederlo per l'ultima volta come faceva quando tornava vincitore. Le tre Marie (le chiamo così perché effettivamente ispirarono le tre Marie al Sepolcro), e cioè Andromaca, Ecuba ed Elena piangono il cadavere:
« Oh sposo, troppo giovane lasci la vita e me vedova
nella tua casa abbandoni: non parla ancora il bambino...
... e non penso
che verrà a giovinezza... Prima la città intera
sarà distrutta, perché tu sei morto, il suo difensore,
tu che la proteggevi, le spose salvavi e i piccoli figli.
Esse presto andran via, sulle concave navi,
e io con loro: tu, bimbo, tu seguirai
me, là dove indegne fatiche dovrai sopportare...
... Oppure un acheo
ti scaglierà, sollevandoti, giù dalle mura – orribile fine! – ...
Ah! maledetto pianto e singhiozzo ai genitori hai lasciato,
Ettore, ma soprattutto a me restano pene amare:
tu non m’hai tesa la mano dal letto, morendo,
non m’hai detto saggia parola, che sempre potessi
avere presente, notte e giorno, tra il pianto! » (XXIV, 725-745)
« Ettore, carissimo fra tutti i figli al mio cuore,
anche da vivo, sì, tu m'eri caro agli dèi,
e nel destino di morte t'hanno protetto ancora...
... te, quando t'ebbe tolta la vita col bronzo affilato,
quante volte trascinò intorno alla tomba del suo compagno
Patroclo, che tu gli hai ucciso – né l'ha risuscitato così.
Eppure eccoti fresco, incorrotto a giacere
qui nella sala... » (XXIV, 748-758)
« Ettore, fra tutti i cognati il più caro al mio cuore...
... mai ho udito da te mala parola o disprezzo;
anzi, se qualche altro mi rimbrottava in casa,
o dei cognati o delle cognate o delle spose bei pepli
oppure la suocera – il suocero sempre come padre fu buono –
tu con parole calmandoli li trattenevi,
con la dolcezza tua, con le tue dolci parole.
Così piango te e me, sciagurata, afflitta in cuore:
nell'ampia Troia più nessun altro verso di me
è
buono, è amico; tutti m'hanno in orrore
Infine si celebrano il rogo e i funerali solenni di Ettore « domatore di cavalli» (libro XXIV, fine).
Al motivo centrale del legame di sangue tramite il matrimonio fra Paride e Elena si può affiancare il rapporto di ospitalità (xenìa) e riappacificazione creatosi fra Romani e Greci nel momento in cui Priamo troiano è ospite nella tenda di Achille e ne riceve il corpo del figlio e una dilazione della guerra per consentirne i funerali.
L’Ira d’Achille ha anche e soprattutto intenti pedagogici e celebra il codice morale militare romano attraverso Ettore il valoroso e umano cittadino in armi che alla testa della falange oplitica combatte per la salvezza della sua patria che si identifica colla città-stato contro il feroce, ferino, guerriero vecchio stampo Achille che combatte per un falso senso dell’onore (per una semplice schiava, cioè un oggetto, che egli non ama, Briseide, toltagli da Agamennone) seguito dai suoi Mirmidoni che combattono solo per lui.
Anche l’Ira d’Achille come l’Odissea lancia un messaggio su come non ci si deve comportare, e in tal caso si tratta di rifuggire dall’ira. Il messaggio è implicito nell’intervento pacificatore di Nestore ma lo troviamo espresso nell’Iliade ad opera di Odisseo (che l’omerida argolico ha sostituito a Nestore che egli ha svalutato come personaggio comico; anche se poi il suo Odisseo, con la sua pignoleria da Azzeccagarbugli è anche più non volutamente ridicolo) rivolto ad Agamennone « e tu nel futuro anche con gli altri più giusto sarai » (XIX, 181-182) e ad Achille « certo non merita biasimo che un re plachi un guerriero, se per primo ha infuriato. » (XIX, 182-183) Cioè entrambi hanno sbagliato, Achille perché ha fatto una sfuriata eccedendo nelle sue ragioni (e Agamennone, che ha più potere e dunque conta di più, ha fatto bene a rimetterlo in riga), ma Agamennone ha pure sbagliato umiliando la colonna dell’esercito greco Achille portandogli via Briseide. Si doveva rifare sui beni comuni, e poiché questi non c’erano attualmente avrebbe dovuto attendere un altro saccheggio a un’altra città. Il messaggio sostanzialmente ammonisce a rifuggire dalla prepotenza, dalla superbia e dall’ira, peccati gravi di Ebrei ed Etruschi, più che dei Greci.
Il giudizio globale sull'Ira d'Achille omerica
Fine