NELLO SPAZIO

                                    (Dayéd e Lazra)

 

 

Rinvenimento della scultura:

La statua di David, eretta, nuda, poggiata in elegante equilibrio sul suo basamento, si trova in una vallata spaziale semidesertica, immersa in un'illuminazione cupa, proveniente da qualche remoto corpo luminoso del sistema stellare nel quale è entrato a far parte. Non si tratta dell'opera originale, a dire la verità, bensì di una copia della celebre figura che l'artista Michelangelo Buonarroti ha scolpito all'inizio del XVI secolo dopo Cristo sul pianeta terra, da un grosso blocco di marmo, alto all'incirca due volte un uomo che sia già di per sé molto alto. Questa copia è di dimensioni dimezzate rispetto all'originale, e quindi grande approssimativamente quanto un uomo reale. Sebbene sia giorno, il cielo che sovrasta la statua è nero e stellato, non reso azzurro dalla dispersione della luce nella densità di un'atmosfera, come quella in cui la scultura originale è stata realizzata, ma si possono ugualmente scorgere le eleganti linee e proporzioni nella composizione delle parti e dell'insieme.

Poco distante, un essere extraterrestre procede sul suo cammino di sabbia, rocce e sassi che lo porta a varcare la sommità di un lieve promontorio e ad entrare così nell’ampio campo visivo di una vallata leggermente ribassata, nella quale si trova la scultura. Il personaggio, avvolto in una tuta spaziale protettiva, è un alieno, seppure le dimensioni complessive della sua corporatura, così come la sua conformazione generale, non siano del tutto estranee a quelle di un uomo.

L’essere extraterrestre rimane a primo acchito sorpreso, esterrefatto e incerto alla vista dell’oggetto insolito ed inaspettato. Dopo una pausa di qualche momento in cui raccoglie le idee e i pensieri, muove qualche passo lungo il lieve e breve pendio che conduce alla vallata nella quale si trova la statua. Con fare incerto ed esitante, ma sempre più incuriosito, si avvia verso di essa. Man mano che si avvicina, pur mantenendo un atteggiamento timoroso e circospetto, viene rinfrancato dal non notare effetti improvvisi causati da quella presenza, e prova apprezzamento per la compostezza e l’eleganza delle proporzioni della figura umana rappresentata. Giunto in diretta prossimità di essa, di fronte ma spostato un poco a lato, si arresta di nuovo, osservandola incantato ed immobile. Prima in volto, e poi nelle sue parti, e in seguito camminandole attorno a lenti passi. Dopodichè la tocca, per sentirne al tatto la consistenza, seppure attraverso lo spessore inerte della tuta protettiva. Al contatto avverte una forza provenire dall’oggetto, e rimane sopraffatto da una sensazione di serenità e armonia. Dopo qualche istante di incantamento, l’essere extraterrestre ritorna con la mente a ciò che è lo scopo della sua presenza in quel luogo, e premendo gli interruttori all’esterno del suo casco attiva una comunicazione con dei suoi compagni complanetari, alcuni dei quali non distanti da dove si trova egli stesso. La lingua nella quale comunicano è la loro particolare, la più diffusa sul pianeta Gaia, diversa da qualsiasi idioma del pianeta Terra, e quindi normalmente incomprensibile agli uomini e alle donne, seppure venga anch’essa emessa dall’apertura inferiore del volto di questi esseri. Essi sono diversi nel corpo dai terrestri, ma allo stesso tempo, a vedere meglio e più in profondità, hanno con loro diverse affinità e similitudini.

 

Prime perplessità:

Dopo breve tempo l’intera squadra di 9 unità si trova radunata nel medesimo luogo, per verificare di persona la novità dell’oggetto appena rinvenuto, in uno stato d’animo che va dall’incanto esterrefatto ed incredulo ad un interesse timoroso e rispettoso. Nonostante, infatti, la statua rappresenti un essere di un'altra specie, rispetto ad essi del pianeta Gaia, ne viene trasmessa loro una grande intensità emotiva. Molti fra loro si avvicinano e vi si affollano intorno, attoniti, ruotano la testa di sbieco, cambiano posizione, e toccano il marmo con curiosità e deferenza, e tutti, al contatto fisico, avvertono la stessa sensazione come di un suono armonioso. Alcuni rimangono indietro a guardare più che altro le reazioni e il comportamento dei compagni. Dopo avere osservato, uno di loro si scosta un poco, sino ad una certa distanza nella parte retrostante della statua, dove si trova il primo scopritore, diritto in piedi e in attesa, che sta osservando la scena. Gli giunge al fianco, e guardandolo gli tocca il braccio e con la testa gli fa cenno di andare con lui.

Si ritrovano poco dopo entrambi, insieme ad altri due dei loro compagni, all’interno dell’abitacolo dagli spazi raccolti di una piccola navetta spaziale. Si sono tolti il casco, anche se indossano ancora la tuta spaziale, e si possono parlare normalmente nella loro lingua.

-- “E l’hai avvistato esattamente lì dove si trova?”, chiede al primo scopritore quello che l’ha avvicinato, e che appare come un responsabile perspicace.

-- “Sì”, risponde l’altro, “provenivo dal piano rialzato e stavo compiendo uno dei percorsi abituali di sopralluogo per vedere se da quelle parti ci fossero affioramenti della pietra Atlantide. Anche questa volta ne abbiamo raccolta già a sufficienza, ma lo facevo più che altro per regolarmi per la prossima spedizione. Ad un certo punto ho notato quella…cosa”, e fa un gesto con il braccio per indicare la direzione in cui si trova ciò di cui sta parlando.

-- “E non hai rilevato nient’altro di particolare?”, chiede uno degli altri due presenti, “Non hai avvistato nessuno? Niente o nessuno che si movesse?”

-- “No. Voglio dire… non ho avvistato niente, non che non ci fosse”.

-- “E’ diverso tempo, ormai”, interviene il quarto con aria pensierosa, “che esiste una sorta di tacito accordo tra noi e gli abitanti del pianeta Threesix, per cui quando vengono loro su Atlas a fare rifornimento di pietrame non ci veniamo noi e viceversa. E fino ad ora non ci sono mai state situazioni o eventi particolari o imprevisti. E’ dai tempi delle guerre che non ci diamo più fastidio. Ma se quell’oggetto non proviene dagli abitanti di Threesix, chi altro mai può essere stato a fare visita ad Atlas?

-- “Non saprei…”, continua a rispondere il primo scopritore, “ma per me quel coso non è un fastidio”.

-- “Va bene”, prosegue lo stesso che ha iniziato la discussione, “vediamo di radunarci, terminare di caricare, e fare ritorno su Gaia”.

 

Verso il satellite Atlas:

Nello spazio aperto in cui si possono scorgere pianeti e corpi stellari di diversi tipi e dimensioni, e in cui le luci riflesse e i colori sfumano variando di intensità a seconda dell’ora e del periodo di posizione degli astri, si distingue una navetta spaziale di medie dimensioni, scortata da due più piccole ai lati della sua scia, mentre si alza e si allontana da un pianeta vivacemente illuminato, e si dirige a velocità di crociera verso una piccola stella, il corpo spaziale più rilevante nelle vicinanze del pianeta. 

A bordo dell’astronave principale si trova un locale funzionale e discreto, una sorta di studio e laboratorio di lavoro, che come tutti gli altri ambienti del veicolo dispone di ciò che è strettamente necessario alle attività che di volta in volta vi hanno luogo, senza accessori o strumentazioni inutili o superflui. Vi è presente un tizio, sempre della stessa specie di alieni di prima, che si trova in piedi, solitario, accanto ad un’ampia vetrata a tutta altezza e sta guardando fuori, nelle profondità aperte e senza fine, con un’aria pensierosa.

Gli abitanti del pianeta Gaia, come detto, hanno un aspetto di dimensioni e proporzioni simili a quelle del corpo umano. Dispongono anch’essi di gambe, braccia, un busto e un capo come gli uomini, se non che sono più snelli nell’insieme, meno voluminosi nelle masse, ed appaiono, quindi, complessivamente più sottili e leggeri. A dire il vero, la loro consistenza specifica è tale per cui hanno un peso medio molto vicino a quello dei terrestri, nonostante quello che darebbe a pensare la loro figura. In particolare, le loro teste sono allungate in corrispondenza della nuca, dove sono talvolta anche più larghe, e della parte bassa del volto, nelle gote e nel mento. Gli occhi sono opachi e meno penetrabili di quelli degli uomini, ma sono enormi al loro confronto, e in proporzione all’intero loro viso, e sono in posizione inclinata, con la parte più alta verso l’esterno. Il naso è molto poco prominente, e la bocca consiste in una sottile e breve apertura, con una mobilità che supera in scioltezza e agilità quella delle labbra umane. La pelle esteriore di questi esseri gaiesi può essere ocra-gialla, oppure azzurra.

L’individuo che osserva fuori dalla vetrata indossa abiti rispondenti alle esigenze corporee del clima astrale particolare, senza fronzoli né alcuna ostentazione. Non distante da lui sono posizionati un tavolo, con alcuni sedili, e altri supporti su cui sedersi o appoggiarsi, a diverse altezze. Al tavolo è seduto uno dei due consiglieri-collaboratori che lo stanno accompagnando nel viaggio, mentre l’altro è in piedi, ed è in parte attento alle azioni del tizio alla finestra, e in parte rivolto al compagno. I due consiglieri indossano abiti formali, non particolarmente vistosi o eleganti ma che aspirano a essere tipici di una certa distinzione esteriore, l’equivalente, insomma, della giacca e della cravatta tra gli uomini del pianeta Terra. Il consigliere che è in piedi si avvicina al compagno seduto, si china verso di lui, e i due si sussurrano qualche cosa, e mandano sguardi di attesa scettica e talvolta canzonatoria nella direzione del personaggio davanti alla vetrata, assorto nei suoi pensieri. Il consigliere che è in pedi si dirige allora verso di lui.

-- “Mi dica, consigliere”, lo invita quello alla finestra.

-- “Presidente Shalon, i Custodi Interplanetari che ci stanno accompagnando al seguito sul satellite Atlas tenevano a farle sapere che si sono uniti alla spedizione, e sono ben disposti a proseguire la loro assistenza, solamente quando questa fosse ben accetta e gradita, altrimenti, dicono…”, e si volta a dare un’occhiata ironica al collega, “…ad una sola parola svanirebbero nell’aria”, conclude guardando il Presidente con un’aria di derisione, mentre quello osserva imperterrito fuori dalla vetrata.

-- “Sì che sono graditi”, risponde il Presidente pensieroso e leggermente irrequieto, “a me lo sono quasi sempre, e l’ho detto diverse volte, anche.” Dopo un attimo di riflessione aggiunge: ”In certi momenti mi chiedo se avrei ancora lo stesso atteggiamento verso di loro se mia figlia non sentisse quella sua istintiva affezione per il loro Ordine.” Si volta quindi a dare uno sguardo al collaboratore lì al suo fianco e cede la compostezza riflessiva ad una momentanea risata confidenziale, “Che situazione, però, eh? Il Presidente del Consiglio dei Dodici del pianeta Gaia che è influenzato nei suoi atteggiamenti ufficiali e pubblici dai moti dell’animo della figliola! Cosa direbbero certi membri dell’Assemblea Governativa, anche se della mia stessa parte?

L’altro accenna ad un serrato sorriso, pensando se ostentare imbarazzo, ma poi prosegue: “L’oggetto che stiamo andando a vedere è stato rinvenuto circa dieci giorni fa sul Atlas, da parte di una delle nostre squadre di estrattori di pietre che periodicamente vi si recano a fare rifornimenti. Sembra che abbia un certo effetto magnetico su chiunque lo veda o lo tocchi”, e qui dà un’altra occhiata di complicità al collega seduto al tavolo, “Come richiesto dalla seduta straordinaria del Consiglio, un gruppo di ricercatori si è subito occupato della questione per verificare e ordinare tutte le informazioni di cui si può disporre. Li incontreremo all’arrivo su Atlas.” 

-- “Bene. Sentiremo”, risponde il Presidente Shalon ritornando ad essere pensieroso e osservando il satellite Atlas, fuori dalla finestra, che diviene più grande man mano che si avvicinano. Il Presidente Shalon è un abitante di Gaia di stazza piuttosto robusta, rispetto ai suoi simili, anche se, come detto, a paragone degli uomini e delle donne questi extraterrestri sono mediamente più esili e slanciati nelle proporzioni. Non ama la pompa, i lussi e i fronzoli, e anche nelle cose mondane e che hanno un certo impatto nell’esteriorità, aspira continuamente a che i gesti, le situazioni, gli eventi, gli strumenti siano esattamente ciò che è richiesto dalla loro natura e dal compito che sono chiamati a svolgere, evitando sprechi ed eccessi inutili, così come tutto ciò che riguarda ostentazioni e apparenze.   

 

Visita al reperto:

Il convoglio costituito dalla astronave del Presidente dei Dodici e dalle due navette al seguito sbarca quindi sul satellite Atlas, e ne scendono a terra il Presidente stesso con i due consiglieri, dalla prima, e i due Custodi Interplanetari, dai veicoli di accompagnamento. I Custodi sono una presenza indipendente e discreta, e tuttavia per Shalon un importante riferimento. Il gruppo di ricercatori che si sta occupando da qualche giorno dell’oggetto rinvenuto li accoglie all’arrivo nella stazione spaziale come ospiti in visita. Non c’è un particolare affollamento, sono più che altro presenti i soggetti che hanno in qualche modo a che fare con l’evento, più o meno direttamente, ma nessuno spettatore.

-- “Presidente Oma’b Shalon”, esordisce il responsabile dei giovani studiosi, “a nome del gruppo di Sperimentazione e Conoscenza Interplanetarie desidero porgerle il più caloroso benvenuto sul satellite di Atlas. E’ un immenso onore che ci fa con la sua visita personale in risposta alla nostra sollecitazione, tanto più che per via delle circostanze i tempi a disposizione sono stati davvero esigui. Siamo al corrente dell’intenzione del Consiglio dei Dodici di non attribuire molto rilievo nell’opinione pubblica a questa scoperta fin tanto che non si riesca a capire con un certo grado di sicurezza di che cosa si tratti e che implicazioni possa avere per il pianeta Gaia e la sua popolazione. Tuttavia, le nostre ultime osservazioni ci hanno rivelato dei dati che ritenevamo opportuno comunicare al più presto al Consiglio, in modo che potessero essere dibattuti e valutati, se fosse stato ritenuto necessario, da soggetti preposti alle decisioni governative. Il Presidente e i suoi accompagnatori si scambiano delle occhiate, comprendendo che ci sono delle novità di cui stanno per essere resi partecipi.

 

Una volta giunti nel luogo in cui si trova la statua, che è stata appositamente mantenuta nella posizione in cui la squadra di estrattori l’ha rinvenuta inizialmente, a Shalon, ai membri del Consiglio e ai Custodi Interplanetari viene illustrata la scoperta con le informazioni di cui si dispone:

-- “Si tratta di materiale lapideo”, prosegue il responsabile del gruppo di ricercatori, “che non si trova né su Atlas, né sul pianeta Gaia, né in questo sistema stellare; da come l’oggetto si presenta, non è immediatamente desumibile come sia giunto su Atlas e come sia stato collocato in questo modo. Tuttavia sono presenti dei segni incisi nel basamento della figura, di fronte e leggermente di lato, che a primo acchito non sembrano avere per noi alcun senso o significato. Dopo meditazioni e ricerche eseguite con la maggiore perizia possibile, la nostra squadra di ricerca si è consultata per qualche tempo ed è giunta a ritenere che si tratti di una scrittura espressa in diverse lingue, anche se nessuna di esse è a noi familiare. Siamo concordi nell’attribuirle un’univoca interpretazione: ovvero che l'opera è la copia di una scultura del XVI secolo dell’era cristiana del pianeta Terra, e rappresenta un uomo, abitante di quel luogo; uno di loro l’ha realizzata, ed è stata qui situata in segno di fratellanza, di buona disposizione e favorevole auspicio da parte dei suoi artefici verso le altre creature che si imbattessero in essa.

-- “Ma come è possibile che qualcuno l’abbia portata fino a qui e nessuno su Gaia se ne sia reso conto in alcun modo?”, domanda sbalordito il Presidente.

-- “Non saprei con certezza, ma se il mezzo di trasporto fosse stato di dimensioni molto ridotte, o addirittura se questo oggetto fosse arrivato in qualche modo da solo fino a qui, potrebbe essere passato inosservato…”

Shalon rimane pensieroso, e quindi il giovane ricercatore prosegue:

-- “Inoltre, in questo punto l’iscrizione dice che l’oggetto ha la peculiarità di animarsi, muoversi e parlare, in occasione di una determinata congiunzione cosmica, qui descritta, che si verifica ogni 500 anni. E’ stato eseguito il calcolo dei tempi, in base alla data di creazione dell’opera, e ne abbiamo dedotto che la ricorrenza di tale congiunzione sta per verificarsi in brevissimo tempo.

-- “Quando dovrebbe verificarsi questa congiunzione cosmica particolare?”, domanda un poco incerto e sorpreso il Presidente Shalon, “E in che senso l’oggetto si animerebbe e prenderebbe a parlare?”,

-- “Il momento della congiunzione avverrà tra cinque giorni, e il manufatto si animerà per la durata di una notte. Non possiamo sapere esattamente in che modo si animerà, ma l’idea che ci siamo fatti è che la sua materia inerte, in un certo senso, prenderà vita. Questo è quanto riferisce il messaggio iscritto sulla base”.

Terminata la visita all’oggetto in questione, ed esaurito il rapporto sulle ultime notizie, il Presidente, i Custodi, i rappresentanti del gruppo di ricerca e la maggior parte dei presenti si allontanano un po’ alla volta dal luogo della scoperta, mentre vi indugiano ancora i due consiglieri che hanno accompagnato Shalon, e proseguono ad osservare la statua.

-- “Che dici?”, domanda quello dei due che sull’astronave era seduto al tavolo.  

-- “Non so che dire o cosa pensare. So solo quello che ci è stato comunicato: il soggetto rappresentato da quel solido è una forma di vita aliena, che vive da qualche parte dello spazio infinito”, e nel dire queste ultime parole sbarra gli occhi ed inarca le sopracciglia.

-- “Lo è sempre che il messaggio sia stato interpretato correttamente, e che pur di un messaggio si tratti, in quegli scarabocchi laggiù in basso”, e intanto continuano a scrutare la figura.

-- “Questa sarebbe la prima forma di contatto tra noi e…un’altra specie vivente. Certo si fa fatica a credere che sia possibile un fatto simile…”, conclude dando uno sguardo di scetticismo e sufficienza al collega, accennando a un ghigno.

 

Lazra…:

Ecco una ragazza, ovvero una giovane donna terrestre, in pieno viso, carina e soprattutto dall’espressione intelligente e interessante, con dei capelli castani-rossicci di media lunghezza, riccioluti, che le ricadono molleggianti sulle spalle.  Mentre si mordicchia le labbra, sta raccogliendo la concentrazione, organizzando le idee, e ripassando nella sua mente le cose da dire, dopodiché si sfrega le dita delle mani con un po’ di nervosismo, e fattasi coraggio si avvicina ad un morbido supporto per seduta del soggiorno (una specie di divano) su cui sono seduti o appoggiati tre giovani gaiensi (femmine), e un giovane gaiese (maschio), di nome Raski.

-- “Scusate, ma io non credo che sia giusto. Insomma, se c’è qualche cosa da fare in casa, che sia il portare via la pattumiera, in tutti i diversi tipi, o lavare i vestiti quando capita che Mom e Pop siano via, o qualsiasi altra di quelle che sono le mansioni comuni di casa, sono sempre io che le faccio. Se poi c’è da cercare di riparare ad un imprevisto o se Mom e Pop hanno bisogno di chiedere un favore, anche se, poverini, non lo fanno quasi mai, dopo tutto quello che fanno loro per noi, a me si ricorre. Voi, nella migliore delle ipotesi, dite di sì, ma poi rinviate sempre tutto o fino all’ultimo momento, quando ormai non c’è più tempo per fare niente, o finché ci pensa qualcun altro.

I giovani gaiesi si scrutano a vicenda, sbalorditi e quasi increduli di sentire queste cose con le loro orecchie.

-- “Lazra, nessuno ti ha detto di fare niente”, osserva con tono severo e sprezzante una delle giovani. “Fai quello che vuoi. Se c’è da lavare i panni tutt’al più tu lava i tuoi e gli altri lasciali lì! Io mica ti vengo a dire cosa fare!”.

-- “ Ma se ci sono delle cose da fare”, replica Lazra, “è giusto fare la propria parte, quando ce n’è bisogno, e non fare finta di niente…”

-- “Lazra, ma non ti vergogni di fare i conti in tasca su chi fa questo e chi fa quello?!”, è il maschio, ora, che assume un atteggiamento ostile, “Ai tuoi fratelli? Tu non sei neanche un vero membro di questa famiglia, non ti vedi? Sei stata adottata 12 anni fa, ti abbiamo salvata e recuperata, per grazia, da quel disastro di navicella in cui sono morti tutti i tuoi compagni terrestri, e in cui anche tu, sicuramente, non saresti sopravissuta tanto a lungo. E ora ti metti pure sullo stesso piano di chi qui è nato e cresciuto? Altro che manifestazioni di gratitudine!” Nel dire questo Raski si è alzato in piedi, e seppure Lazra non sia intimidita né si scomponga, lui si agita e gesticola platealmente nel pronunciare certe espressioni.

-- “Io fossi in te mi vergognerei!...”, si introduce un’altra delle sorelle.

-- “Ma questo che c’entra? Certo che sono grata per questo”, ribatte Lazra con voce ora più sommessa, e lo sguardo dispersivo, “ma da persone che vivono nello stesso luogo è giusto che ognuno si impegni a fare la sua parte di mansioni comuni, tutte quante, eventualmente anche a turno, e non fregarsene fin tanto che lo sporco e la pattumiera arrivano al collo, o che ci pensa qualcun altro…”. Dopotutto, però, Lazra non vuole litigare, perché le sembra che ridursi a questo non cambierebbe nulla.

-- “E insisti per dire agli altri quello che devono fare, oh! Ma ti rendi conto?”, esclama con enfasi il fratello.

In questo momento entra Oma’b Shalon, il Presidente del Consiglio dei Dodici di Gaia, e saluta i presenti:

-- “Ciao, ragazzi! Ci siete tutti,stasera, vi siete dati appuntamento? Non succede mai!”

-- “Ciao, Pop!”, “Ciao!”, lo salutano prontamente le sorelle di Lazra, alzandosi in piedi e correndo ad abbracciarlo e baciarlo con sorrisi e un po’ di smancerie.

-- “Ciao!...”, lo saluta flemmatico Raski senza muoversi, e anzi rimettendosi a sedere.

Lazra si muove appena verso di lui e sussurra un saluto, ma è poi Shalon stesso che le va incontro e la bacia:

-- “Come sta la mia figliola diletta?”, e poi, rivolgendosi a tutti: “Avete già mangiato?”

-- “No, non ancora..”, risponde Raski.

-- “Ah, ragazzi!”, riprende Shalon, “Ho appoggiato di là due quantità di scarti secondari: chi li porta per favore al centro di raccolta? C’è solo da imbucarli così come sono!”

-- “Io sto uscendo ora…”, risponde il giovane gaiese, consultando un monitor da tasca, “e forse non tornerò neanche in tempo per mangiare!”

Shalon esce.

-- “Io devo finire di prepararmi e sono in ritardo”, annuncia anche una delle figlie, ed esce, seguita da una sorella. Rimangono Lazra e la figlia più giovane, e questa temporeggia nel rovistare dentro una dispensa incassata nel muro. Lazra abbassa lo sguardo, e si avvia per dove era entrato il Presidente Shalon, verso le due quantità di scarti secondari.

 

…superstite nello spazio:

Oma’b Shalon entra allora in un locale di servizio, leggermente meno ampio di quello precedente, provvisto di diverse attrezzature ed equipaggiamenti per la conservazione e la cottura di cibi e per la manipolazione di altre sostanze che possano servire alle attività domestiche. In esso infatti la moglie utilizza, in una zona, dei fornelli e dei fuochi per cuocere i cibi, ed in un ambiente attiguo, dei forni più cospicui per la cottura di modelli di ceramica e porcellana che modella prima ad un tavolo apposito. Oltre a fuochi, fornelli e forni per esigenze varie, nel locale si trovano dispense di conservazione, anche a temperature particolari, tavoli e piani di lavoro, diversi utensili per cibi e sostanze diverse, e sedili a diverse altezze per appoggiarsi o sedersi. Particolare cura della moglie e madre di famiglia è quella di mantenere sempre ordine e pulizia e distinzione tra le attività che siano tra loro poco compatibili, in modo che chiunque, in qualsiasi momento, possa entrare e approntarsi dei cibi con agio e comodità, mentre lei è eventualmente alle prese con tutt’altra materia giusto qualche passo più in là. Nella dimora è presente anche un altro ambiente utilizzato in modo simile, sebbene unicamente adibito a laboratorio di lavoro e non alla culinaria, poiché è molto più impegnativo dal punto di vista della manutenzione e della pulizia, svolgendovi il marito attività manuali per la produzione o l’assemblaggio di manufatti vari che implicano maggiore presenza di scarti, scorie, e rimasugli.

La signora Shalon è in questo momento all’opera, e sta approntando dei cibi per il prossimo pasto, previsto in brevi minuti. Si trova in piedi ad una bacinella piena di acqua, nella quale sta sciacquando dei prodotti della terra del pianeta, e man mano che sono pronti li dispone su un piano di lavoro a fianco.

-- “Ciao, Merie,” la saluta il marito nell’entrare, “Come va?”, le si avvicina per baciarla sulla guancia.

-- “Bene, grazie. Tra poco è pronto da mangiare per chi ha fame. Mi hanno detto che eri in trasferta, oggi.

-- “Sì”, risponde lui, mentre si dirige verso una sorta di ampio lavello, sull’altro lato del locale, e risciacqua a sua volta degli utensili lì presenti, posizionandoli ad asciugare in una dispensa all’altezza del capo. “Siamo andati sul satellite di Atlas, a vedere un oggetto rinvenuto qualche giorno fa”. Chiude l’acqua del lavello e si arresta, facendosi riflessivo, “Si tratta di un solido di pietra che rappresenta un uomo, un uomo terrestre”, prosegue rigirandosi verso di lei e guardandola con una certa gravità. Lei lo fissa, sorpresa, incredula e ammutolita.

-- “C’è inscritto un messaggio nel suo basamento che dice che è stato inviato dal pianeta Terra da parte dei suoi abitanti in segno di fratellanza e di amicizia, che tra 5 giorni si animerà per una notte, e quindi, presumibilmente, si riceveranno presto altre informazioni. Per ora non si sa altro.” 

-- “Che pensi?”   

-- “Non so, per ora aspetto quando si animerà…”

-- “Oma’b”, prende a dire con serietà e forte emozione Merie, ricercando le parole più semplici, “Lazra è una figlia per noi, e tu hai anche un particolare attaccamento a lei.” Fa una pausa di riflessione, su qualcosa che non è ancora chiaro nemmeno nel suo animo, “Fino ad adesso, abbiamo scelto insieme a lei il tipo di insegnamento ed educazione individuale, per lei come per gli altri figli. Hanno quindi sempre prevalentemente frequentato ambienti privati e ritirati. Così Lazra, un po’ per questo un po’ per la sua natura riservata, non è mai stata notata in particolar modo per essere una ragazza terrestre, al di là delle persona che incontra e frequenta abitualmente e che hanno a che fare con lei, più che altro nella nostra circoscrizione. Altrimenti non sarebbe stata per lei una vita relativamente comune e tranquilla. Shalon la osserva e ascolta attentamente. “Ma se questo fatto della scoperta dovesse rivelarsi importante per tutti i gaiesi, pensi che dovremmo fare presente di Lazra, in modo pubblico o ufficiale?”

-- “Innanzitutto Lazra ha 19 anni adesso, e quindi è responsabile per se stessa, ma se chiedesse a me un parere le direi: e per che cosa? A che scopo? Che potrebbe mai fare una terrestre superstite di 19 anni? Io non andrei a cercare clamori e noie inutili e fuorvianti.  

 

Riguardo l’Ordine dei Custodi Interplanetari:

Lazra ama molto indugiare in ambienti e paesaggi naturali, in cui la vegetazione, i prodotti e i frutti della terra di Gaia crescono senza entrare in contatto e confrontarsi con le manipolazioni artificiali. Non distante da dove abita esiste un luogo, di ampie dimensioni, che è apprezzato e frequentato da molti, quando le condizioni climatiche lo permettono, perché sebbene vi siano alcune strade, sentieri e anche taluni edifici, è abitato prevalentemente dalla natura, in diverse forme e variazioni di paesaggio. Ci sono campi estesi ed aperti, boscaglie più o meno folte di vegetazione, raccolte di precipitazioni meteorologiche, ed aree ed ambienti adatti per certi animali. Lazra vi si reca volentieri soprattutto da sola, quando può leggere, meditare, talvolta anche raccogliere dei vegetali commestibili. 

In questo momento sta passeggiando lungo un viale alberato in compagnia di due Custodi Interplanetari, Gus-par e Yu’ko, di età poco maggiore della sua. Ai lati del viale si trovano, da una parte, della folta vegetazione, e dall’altra un vasto prato aperto. Lazra cammina su un lato rispetto ai tre, e alla sua destra si trovano i Custodi. Lei ha le mani nelle tasche dei pantaloni, e porta inoltre una maglia. Veste solitamente in modo comodo e confortevole, badando ad essere il più possibile a proprio agio nelle situazioni in cui si trova e per quello che ha da fare, piuttosto che all’eleganza in sé o alle apparenze esteriori. In questo è molto simile al suo padre adottivo. I due Custodi indossano entrambi il saio che è loro caratteristico, senza avere il cappuccio in testa, e quello di loro più vicino a Lazra, Gus-par, ha le braccia piegate ad angolo retto davanti a sé, e le mani intrecciate all’altezza del ventre, e Yu’ko le tiene unite dietro la schiena.

-- “Grazie ancora per essere venuti. Questa volta avete proprio dato disponibilità immediata!”, osserva Lazra sorridendo.

-- “Oh, è un piacere nostro”, risponde Gus-par di fianco a lei, “perché sappiamo che sei affezionata al nostro Ordine. L’unica cosa è che, forse, se tuo padre sapesse che ci incontriamo così spesso potrebbe sentirsi un poco imbarazzato nelle questioni amministrative.

-- “Infatti sa che vi conosco ma non che vi frequento.” Rimangono in silenzio per un istante. “Ma voi in che modo avete a che fare con lui?”

-- “Noi personalmente non molto”, risponde accennando ad un sorriso Yu’ko, che cammina sul lato esterno. “L’Ordine dei Custodi Interplanetari, in generale, sì. Svolgono una funzione di assistenza, di appoggio, talvolta di guida, altra volta di consiglio, agli organi di governo di diverse entità, quali una circoscrizione, un’associazione di circoscrizioni, come nel caso del Consiglio dei Dodici di cui tuo padre è presidente, o anche altro, al di fuori del pianeta Gaia. L’Ordine assiste le gestioni amministrative di diversi pianeti in questo sistema stellare. Non di tutti, non del pianeta Threesix, per esempio.”

-- “E come si definisce il grado in cui assistete o guidate una data amministrazione?”

-- “Non possiamo costringere nessuno a fare niente”, riprende Gus-par, “Il tutto sta al desiderio, alla volontà dell’amministrazione stessa. In linea di massima coloro che scelgono di consultarci sanno che ciò che proponiamo loro è nel loro bene, e torna a loro utilità e vantaggio. Se subentrano altre questioni si interrompono i rapporti. Il fatto è che i Custodi sono proiettati e dediti alla vita interiore, a coltivare lo spirito. Periodicamente, per esempio, trascorrono del tempo in totale solitudine, e ricercano costantemente dentro di sé le proprie risorse, e questo è ciò che conta davvero per loro. Aspirano ad essere distaccati ed indipendenti da qualsiasi cosa o attività mondana. Per questo motivo, e per il fatto che transitano continuamente da un luogo all’altro, lasciano sperare che la loro attività non sia facilmente corrotta, da parzialità, bramosia, o cupidigie varie, e che non si lasci condizionare dall’attaccamento a beni materiali, a dei luoghi o a delle situazioni particolari e contingenti.

-- “Come stabilite queste cose tra di voi? Come le…imparate?”

-- “C’è uno Statuto che definisce il nostro comportamento, e detta delle regole. Lo Statuto dell’Ordine. Normalmente ci distingui anche per come vestiamo, dato che, a parte lievi variazioni, indossiamo tutti un saio con cappuccio”.

-- “E’ solo per i maschi?”

-- “No. C’è uno Statuto anche per le femmine”, riprende Yu’ko, “seppure loro facciano parte dell’Ordine in modo più riservato e appartato. Non si incontrano quasi mai con membri delle amministrazioni.

-- “E vi sposate?”

-- “Solo in casi molto particolari”, continua lui. “Non è proibito, ma solitamente un essere, del pianeta Gaia o altrove, che sceglie di unirsi all’Ordine consacra la vita al suo servizio”

Lazra rimane in silenzio, pensierosa.

 

Opposizioni:

Il Presidente dei Dodici sta ora camminando in un ampio e arioso corridoio di comunicazione tra diverse sale collettive del Palazzo dell’Assemblea Governativa. Sta discutendo superficialmente, con alcuni collaboratori che lo accompagnano, su prossimi impegni e appuntamenti, quando sul suo percorso si avvede che lo sta attendendo, con un accenno di sorriso forzato, un noto funzionario pubblico, affiancato da due assistenti. Giunto presso di loro, questi si incamminano al suo fianco.

- “Presidente Shalon,” gli si rivolge con tono dapprima suadente il funzionario, “lei conosce il rispetto e la considerazione che nutriamo e che sempre abbiamo serbato nei confronti suoi e della carica che riveste, come abbiamo più volte avuto modo di testimoniarle e di dimostrarle. Ed è stata sempre manifesta la profonda devozione che caratterizza l’operato nostro nei confronti del paese e del pianeta Gaia in generale. Ebbene è in nome di questo che le vorremmo ricordare che il satellite di Atlas, su cui è stata scoperta la statua, è riserva di materiale lapideo non solo per noi gaiesi, ma anche per gli abitanti del pianeta Threesix, che in certi periodi stellari si avvicina tanto alla posizione di Gaia da essere visibile a occhio nudo anche di giorno. E’ noto che i suoi abitanti non si fanno scrupoli ad approfittare di qualsiasi circostanza a loro minimamente favorevole per scoraggiare i concorrenti dal continuare ad usufruire della riserva di Atlas. E fintanto che trovano il modo di essere irreprensibili dal punto di vista formale e delle norme costellari, non rinunciano neppure ad atteggiamenti aggressivi e violenti.”

- “ Sinceramente,” risponde in modo passivo e pacato il Presidente Shalon, “pur ricordando le situazioni e gli episodi che si sono venuti a creare in passato, devo dire che è da qualche tempo che si è alleviata la tensione nei rapporti con gli abitanti di Threesix, nonostante le riserve su Atlas non stanno ricostituendosi con la stessa rapidità con la quale gli estrattori ne fanno uso. E poi non credo che sarebbe nei loro modi una trovata come quella della statua: non penso che per ordire un inganno o un espediente di contesa si sarebbero inventati una situazione elaborata come questa…

- “Presidente,” lo incalza ora il funzionario con un tono più impetuoso, mentre gli si para di fronte, “quali esperti dei rapporti di scambio e commercio di Gaia e di Tannoiser, che in passato hanno anche rivestito importanti incarichi di gestione ufficiale, sosteniamo che nonostante le apparenze amichevoli e di concordia del messaggio, e l’impatto emotivo che il manufatto sembra esercitare su chiunque gli si avvicini, esso non sia che l’opera ingannevole di avversari malintenzionati. Cadere nel tranello non può che essere l’inizio di conseguenze nefaste!

 

Incontro tra Shalon e alcuni Custodi:

Il Presidente Shalon si trova nel suo studio, in piedi di fianco alla sua scrivania che sta nei pressi di un’ampia vetrata. Ha un’aria rabbuiata e inquieta, e nonostante tenga lo sguardo abbassato agli oggetti del tavolo che gli sono tra le mani, sembra assente col pensiero, quasi fosse in attesa di qualcosa.

Suona l’annuncia-visitatori, quindi preme il pulsante d’entrata sulla scrivania e si prepara a ricevere compagnia. Fanno ingresso tre Custodi: Gahk, Juanio e Petr.

-- “Buon giorno, Presidente Shalon! Come sta?”, esordisce con letizia Gahk, che è quello di maggiore presenza dei tre. “Buon giorno”, salutano anche Juanio e Petr, con sorrisi amichevoli.     

-- “Buon giorno, e ben arrivati. Sto abbastanza bene, e dall’aspetto direi lo stesso di voi.

-- “Non c’è male, grazie. Abbiamo sentito parlare di sua figlia, recentemente, sembra che si stia facendo un’ottima persona, di spirito vivido e pronto, attento e interessato.” 

-- “Io e mia moglie siamo un po’ sopra pensiero in questi giorni per lei…”, e riabbassa lo sguardo alla scrivania.

-- “E’ per via di quella recente visita su Atlas? Ci è giunta qualche informazione riguardo alla scoperta insolita e imprevista. Il tono di Gahk si fa ora più serio.

-- “Sì, caro Gahk”, risponde pensieroso, rivolgendo loro di nuovo lo sguardo. “Ero curioso di vedervi e sentirvi proprio per via di questo fatto. Vi va del succo? O dell’acqua, se avete sete?”

-- “Io no, grazie, sto bene così”, risponde Gahk, “No, grazie”, “No, grazie”, dicono anche Juanio e Petr, scotendo la testa e sorridendo. E’ Petr ora che prende la parola:

-- “E’ vero che nonostante alcune opposizioni e numerose voci e pareri diversi, alcuni almeno comprensibili, altri del tutto insensati, si sta propendendo per condurre l’opera su Gaia, ed accettarla come dono dello spazio?” 

Shalon lo ascolta guardandolo, e poi abbassa gli occhi al pavimento:

-- “E’ così, anche se non c’è ancora stata la seduta prevista per deciderlo propriamente. Avete già sentito tutta la storia?”

-- “Penso di sì”, risponde Gahk, “almeno quello che ci è stato riferito dai Custodi che vi hanno accompagnato durante la visita.”  

-- “Ebbene che cosa pensate voi? Che dite di questa faccenda? Voglio dire, lo chiedo anche solo per curiosità, come ho fatto altre volte, poi non so quello che si deciderà…

Interviene Juanio:

-- “Sono stato su Atlas. A me sembra che si tratti di un’opera eccezionale. E’ una copia, non l’originale, ma pure ha un’intensità e una grazia da lasciare increduli fino a che non se ne fa l’esperienza diretta. E poi sembra anche emanare un influsso magnetico e ipnotico, trasmette come una scossa elettrica, al contatto, salvo che ha l’effetto di un suono armonioso. Comunque io credo che sia doveroso fidarsi, ed assumere un atteggiamento che conceda quantomeno il beneficio del dubbio, e quindi condurre l’opera su Gaia, sì, ed accettarla ed accoglierla esattamente per ciò che ci è stato comunicato che sia, un dono e un segno di fratellanza e concordia. Credo che sia un dovere morale.”

Petr aggiunge:

-- “Se poi il momento della congiunzione cosmica in cui la figura dovrebbe prendere vita ed animarsi è tra tre giorni, si avrà modo di preparare l’evento, e allora si verrà a conoscenza di informazioni supplementari, che possono essere molto importanti per instaurare eventuali rapporti con gli uomini e le donne terrestri.”

-- “Sì…”, riprende concludendo Gahk, “se stavate optando per condurre qui quell’oggetto dello spazio, sarete dalla parte della saggezza. Inoltre, nonostante gli sforzi per mantenere la novità sotto tono, la voce si è sparsa rapidamente, e gli abitanti di Thoponim sono in tale fervente attesa che è perfino auspicabile trasportarlo per via di terra, in modo da renderlo visibile al passaggio. Sarebbe un degno onore, per un dono degno d’onore.

-- “E se si tratta di un inganno? Di un tranello di cui ci sarà da pentirsi?”, domanda con ansia Shalon.

-- “No…”, riprende lentamente Gahk e con lo sguardo fisso negli occhi del Presidente. “Non sarà questo. Ci saranno delle questioni importanti e anche pericolose, forse più che se si trattasse di un inganno, ma l’opera in sé non è una menzogna.

 

Una cena in casa Shalon:

Ora si è a casa di Shalon, nel locale soggiorno di prima, in cui è avvenuto il confronto tra Lazra e i fratelli, ed è l’ora di cena, infatti la ragazza terrestre si trova seduta al tavolo insieme con le tre sorelle, il fratello, la madre e tre ospiti, di cui due maschi giovani, pressappoco dell’età dei figli dei Shalon, e una femmina più adulta di nome Urie,  quali sono amici di Oma’b e Merie. L’atmosfera è familiare e confidenziale, e i soggetti prendono il cibo e si intrattengono in libertà e con spensieratezza.

-- “Lazra, se lo vedi ti innamori, te lo assicuro!”, esclama Urie con allegria ed esuberanza. “E’ un uomo, del tuo pianeta Terra. E’ davvero un’opera bellissima, lo dicono tutti quanti. Non ci si potrebbe stancare di guardarla, e te lo dice una che con gli uomini della Terra non ci ha mai avuto a che fare!”.

Lazra è esterrefatta, e non reagisce. Nonostante la leggerezza dei discorsi, lei è emotivamente molto colpita.

-- “Sì…”, replica Merie Shalon con tono un po’ più riflessivo e con lo sguardo sulle pietanze in tavola, “vedremo cosa succede tra un paio di giorni quando si dovrebbe animare…”.

-- “Io ci sarò di sicuro!”, esclama ancora l’ospite gaiense con entusiasmo.

Dopodichè si sente un suono continuo acuto, che indica una presenza appena giunta all’ingresso, e la signora Shalon si alza: “Oh, scusate un attimo, dev’essere Oma’b…”, ed esce.

-- “Ma come ha fatto ad arrivare su Atlas?”, domanda attonita Lazra.

-- “Nessuno lo sa”, risponde uno dei due giovani conoscenti, di nome Bool, “è uno dei motivi per cui stanno aspettando di avere altre notizie dall’oggetto stesso.”

-- “Ha un po’ del misterioso quella cosa…!”, commenta con schiettezza l’altro giovane ospite. “Ho sentito dire che a toccarlo si sente come un brivido, e dà delle sensazioni, delle emozioni particolari…

-- “Io non credo che l’abbia portata qualcuno, però…”, suppone Lazra, con lo sguardo rivolto in mezzo alla tavola ma assente, come se stesse riflettendo ad alta voce.

-- “Sì, ma se tu pensi una cosa non vuol dire che debba essere vera, eh!”, osserva con acidità suo fratello, lanciando poi uno sguardo verso uno dei due ospiti maschi.

-- “Infatti ho detto un parere su qualcosa che non so…”, cerca di spiegarsi lei, con tono mite ma chiaro.

-- “Pensa se dovesse succedere che si stabiliscono dei rapporti con qualcuno della tua specie, Lazra!”, le fa notare Urie.

-- “Non saprei cosa pensare…”, ribatte Lazra, con un sorriso.

-- “Prova a fare degli sforzi mentali qualche volta, anziché galleggiare sempre tra i pianeti!…”, la attacca un’altra sorella, l’unica delle tre più giovane di lei, che poi cerca uno sguardo d’intesa con Bool, mentre a Raski scappa una risata che cerca di trattenere.

-- “Lyha! Finisci di mangiare che cambio le ciotole!”, le suggerisce con tono assente e distratto la madre, rientrando.

-- “Ma ci può andare chiunque all’adunanza in cui l’oggetto prenderà vita?”, domanda Bool. Sta entrando Oma’b Shalon, e risponde lui stesso:

-- “Sì, fin tanto che ci sarà spazio da occupare”, si arresta nei pressi della tavola, posandosi le mani sui fianchi e scrutando la situazione. “Dopodichè si comincerà ad interrompere gli afflussi, se la statua dovesse ancora attirarne.” Quindi si avvicina lentamente a Lazra da dietro il suo sedile, le appoggia le mani sulle spalle, a lato del collo, e le massaggia con delicatezza. “Lazra sarà là in prima fila accanto al suo Pop, non è così?”, esclama con un certo orgoglio, e nel chiederle conferma si china verso di lei, e le dà un bacio sulla guancia. Raski e la sorella maggiore si scambiano una fortuita occhiata di invidia ed impazienza, mentre Lazra accenna ad un sorriso leggermente imbarazzato: si sente sinceramente un po’ rincuorata, ed è molto grata per questo, ma non desidera per nulla essere favorita in alcun modo.

 

Ingresso della statua in città:

Il giorno seguente, che è la vigilia della congiunzione astrale particolare di cui si è detto, l’opera proveniente dal pianeta Terra viene trasportata su Gaia, e viene deposta all’esterno della città di Thoponim, capitale della circoscrizione del Presidente Shalon, che è la più importante e influente del pianeta. Per via di terra, le si fa quindi varcare una delle soglie della città, senza usare sfarzo o sfoggio, di cui i gaiesi sono soliti fare a meno anche nelle cerimonie o nelle situazioni pubbliche ufficiali. Nonostante gli iniziali propositi di non dare grande rilievo alla questione nell’opinione pubblica, la voce si è sparsa, e così pure il senso di coinvolgimento e di partecipazione da parte degli abitanti. E’ tale, infatti la curiosità, il genuino entusiasmo e la gioiosa festività del pubblico accorso che accompagna la statua lungo il suo percorso, che probabilmente non sarebbero stati da meno che nel trasloco della scultura originale e nella sua collocazione di fronte a Palazzo Vecchio a Firenze. Si decide quindi di dirigersi verso il Palazzo dell’Assemblea Governativa, sede destinata ad accogliere il reperto terrestre, compiendo un percorso che includa vie e luoghi ampi e importanti, così da dare modo al pubblico appassionato di vedere e partecipare all’avvenimento.

 

In particolare, su un vasto terrazzamento leggermente rialzato rispetto al livello di terra, tra la folla che assiste e in certi momenti si stringe ed accalca, si scorge il funzionario pubblico che aveva manifestato la sua opposizione al Presidente Shalon, sempre in compagnia dei suoi due collaboratori. Dopo avere osservato per un certo tempo, con forte contrarietà e disappunto che conferiscono al suo volto un’espressione innaturale e di disagio, indietreggia con lentezza e gravità insieme ai compagni. Nell’allontanarsi mortificato, scorge a qualche passo i due consiglieri che hanno accompagnato Shalon su Atlas, in compagnia di un terzo collega, mentre stanno osservando l’avvenimento. Il funzionario si avvicina loro, e giunto abbastanza appresso per farsi udire pur nel vociare circostante dice:

-- “E’ stata un’iniziativa sciagurata, da ciechi insensati! Vi renderete conto di che responsabilità avete deciso di assumervi!”, e fissa quello a lui più vicino negli occhi per un istante, dopodichè si allontana.

 

In un altro punto del percorso del reperto, più in prossimità del Palazzo dell’Assemblea Governativa, si trovano Gahk e Juanio, in piedi l’uno di fianco all’altro, con un’aria rilassata e incuriosita, che osservano mentre l’oggetto viene tratto verso l’ingresso dell’edificio. Gahk, commenta:

-- “Beh, questo è un evento di importanza e rilievo probabilmente maggiori di quello che possiamo persino immaginare. E’ pur vero che c’è Lazra su Gaia da 12 anni, ma lei è una superstite che è stata adottata e cresciuta qui. Ora, invece, c’è forse un tentativo di stabilire un contatto tra diverse specie di esseri viventi. Sono curioso di assistere a qualunque cosa accadrà alla congiunzione astrale…”, e si scambia un’occhiata con Juanio.

Così, tra l’alternarsi da una parte di clamori, grida e manifestazioni di festa, e dall’altra di silenzio riverente e un’attenzione concentrata, la statua giunge al Palazzo Assembleare, e qui viene situata nell’enorme sala d’ingresso principale, a lato dell’entrata, in attesa di una collocazione più appropriata e definitiva. 

 

La congiunzione cosmica particolare:

E’ la sera della congiunzione cosmica, e l’ampio atrio d’ingresso del Palazzo dell’Assemblea Governativa è ora gremito di persone di tutti i tipi, di tutti i mestieri e di tutti gli interessi, qui sopraggiunti per assistere al fatidico avvenimento, in cui la statua terrestre dovrebbe prendere vita e animarsi, come comunicato dall’iscrizione nel suo basamento. Sono presenti personaggi pubblici che rivestono cariche ufficiali, come il Presidente Shalon stesso, che in questo momento si sta incontrando con sua figlia Lazra e due sue sorelle, e alcuni Consiglieri dei Dodici, che si ritrovano e scambiano opinioni; dei Custodi Interplanetari sono in discreta e vigile attesa, tra i quali si possono riconoscere Gahk, Juanio, Petr, si intravedono quelli più in amicizia con Lazra, Gus-par e Yu’ko, seppure più giovani e di presenza più defilata, ed altri mai incontrati; e poi vi sono cittadini privati, curiosi, tra cui si scorgono Urie e Bool, i quali si riuniscono gli uni accanto agli altri in un’aspettazione palpitante, ansiosa  e deferente. Nonostante l’eccitazione, originata dalla speranza e dalla fiducia, e l’ansia, per via dell’ignoto e dell’incertezza, l’assembramento si mantiene ben composto, emette un brusio costante e sommesso, ed è attento e pronto alla situazione.

Alcuni notano Lazra, non avendola mai incontrata né vista prima, mentre si trova in attesa insieme alle sorelle in prossimità di suo padre, e bisbigliano commenti al vicino.

Man mano che la serata procede, il vocio e i commenti calano, ogni rumore si acquieta e si spegne, e tutta l’attenzione si rivolge all’oggetto terrestre. Talvolta alcuni si scambiano degli sguardi tra conoscenti o estranei, giusto per recuperare un po’ la sensazione di comunanza e socialità, perché altrimenti la figura spaziale attira ogni spirito a sé.

A sera inoltrata, la statua inizia ad emettere delle vibrazioni, dapprima quasi impercettibilmente, e poi sempre più intensamente. Si tratta di vibrazioni di cui si ha una sensazione corporale penetrante, tramite il senso dell’udito, sotto forma di un suono continuo e armonioso, e tramite l’intero corpo, che viene percorso da scosse. Coloro a cui è capitato di toccare la statua si rendono conto che è la stessa sensazione che hanno provato al contatto, solo che ora avviene pure senza avvicinarla. Quindi la materia della statua, il marmo, si smaterializza gradualmente divenendo sempre più impercettibile ed infine trasparente, svanendo del tutto nell’aria. All’inverso e nello stesso tempo, dalla figura che scompare appare una presenza immateriale, lo spirito dell’oggetto, che si rende gradualmente visibile dissociandosi dalla sua materia man mano che questa svanisce. Dapprima si trova nella medesima posizione del corpo della statua, e poi inizia gradualmente a muoversi, con i modi e le movenze degli uomini vivi, pur essendo spirito. Assume una posizione eretta in piedi, statica e naturale, sfilandosi la fionda da dietro la schiena e raccogliendosela tra le mani. Raccogliendo la concentrazione, alza lo sguardo esitante, e, perfettamente incurante nella sua nudità, lo indirizza ora di qua ora di là alla moltitudine radunata attorno a lui. Ne rimane in certo modo intimidito, come se non sentisse di potere avere molto a che fare con una tale folla.

Così come il Presidente Shalon si era precedentemente accordato di fare, è un Custode che stabilisce il primo contatto a nome del Presidente stesso e del Consiglio dei Dodici del pianeta Gaia. Si tratta di Gahk, il quale fa un lento passo avanti verso lo spirito, nello spazio libero che gli si è formato attorno, e gli rivolge la parola, aprendo leggermente entrambe le braccia, un poco piegate ai gomiti, e con le mani rilassate ma distese:

-- “Benvenuto sul pianeta Gaia, della costellazione di Tannoiser. Noi qui presenti siamo gli abitanti di Gaia, e ci troviamo nella città di Thoponim. Il Presidente del Consiglio dei Dodici, qui presente, principale responsabile della gestione amministrativa del pianeta, desidera comunicare, con la più grande cordialità, che sarebbe un onore inestimabile potere rendersi utile per far sentire più a proprio agio un graditissimo ospite quale lei è per tutti gli abitanti di questo pianeta.” Dopodichè abbassa lo sguardo in umile deferenza, e compie un lento inchino, portandosi la mano destra presso il petto.

 

Lo spirito dell’opera:

-- “Rendo grazie infinite a tutti i presenti”, esordisce timidamente lo spirito spaesato. “Il mio nome è Dayéd, e sono lo spirito dell’opera che avete recuperato ed accolto in questo luogo. Al termine del periodo stabilito di una notte, io svanirò nuovamente dalla vista, e tornerà a ricostituirsi la statua. E’ previsto che essa si animi ad intervalli di 500 anni. Quell’oggetto rappresenta un uomo, essere vivente originario del pianeta Terra, appartenente al sistema solare della Via Lattea. Gli uomini, insieme alle donne, esseri della medesima specie, ma di sesso opposto, sono i principali abitatori della Terra. Furono creati da Dio, che è lo Spirito che dà la vita, e che innanzi a loro creò il mondo e l’universo.

La loro civiltà è sempre consistita nell’approfondire la conoscenza di loro stessi e, quindi, dell’universo, di ciò che riuscivano a percepire con i sensi, e delle cose dello spirito.

Lo spirito di Dayéd rende visibili agli occhi degli ascoltatori, tramite una sorta di visione spirituale collettiva, delle immagini che appaiono man mano che lui procede con la sua esposizione, per illustrare o esemplificare gli argomenti di cui sta narrando. Si mostrano loro, quindi, i segni di alcune trasformazioni apportate all’ambiente e alle materie del loro pianeta. Nel parlare, Dayéd si rivolge principalmente a Gahk, e poi al Presidente Shalon, ma anche a tutti coloro che lo circondano. “Fin dalle sue origini l’uomo si è adoprato per interagire con l’ambiente nel quale si trovava, cercando di rendere la sua vita sulla Terra migliore e più agevole. Ha così iniziato a manipolare la materia, dapprima per adempiere a bisogni primari e basilari, quali nutrirsi e ripararsi, e in seguito per molte altre necessità complementari e secondarie. Si sono quindi sviluppate le attività della caccia, della pesca, della coltivazione della terra, delle costruzioni, e man mano che gli uomini e le donne da nomadi sono divenuti stanziali hanno edificato centri urbani e grandi città. Hanno sviluppato ed affinato rapporti di scambio e commercio, e nel rapportarsi con la natura e il Creato hanno concepito delle idee e delle interpretazioni riguardanti l’immediato ambiente circostante, lo spazio e l’universo, ed in seguito, nel corso del tempo, si sono dedicati all’osservazione e allo studio particolareggiato dei fenomeni naturali e fisici, traendone rivelazioni e cognizioni utili. In questo modo si sono scoperte leggi universali del divenire nel tempo e nello spazio, che possono essere applicate per procurare agli uomini strumenti e tecniche atte a soddisfare alle loro esigenze.

Le immagini proseguono ad illustrare le invenzioni, gli sviluppi, e le innovazioni dei congegni e dei mezzi pratici di cui gli uomini si sono avvalsi nel corso della loro storia. Già sono apparsi l’aratro, i metalli, il fuoco, le piramidi, monumenti, la ruota, graffiti, opere d’arte, capanne, sculture, dipinti, di diverse epoche e luoghi di origine.

“Tramite la scrittura,” prosegue Dayéd, “gli uomini hanno lasciato testimonianze ai loro simili in innumerevoli opere, dal tema e dagli scopi più disparati, per edificare e dilettare lo spirito, così come per illustrare e trasmettere saperi e conoscenze. Molte dottrine, conoscenze naturali e tecniche sono stati così tramandati nella loro storia, talvolta per secoli e millenni. Si presentano immagini di opere di scrittura, di figure riprodotte antiche e moderne, su ingialliti e pesanti volumi, e proiettate su esili e trasparenti schermi virtuali. Seguendo il discorso dello spirito, si mostrano inoltre imbarcazioni, cartine geografiche, edifici, centri abitati, mezzi di trasporto. Le immagini compaiono a volte lentamente, altre si succedono con rapidità tale che ne rimane un’impressione superficiale per ognuna, e più che altro si integrano in una sensazione generale di diverse insieme.

“Tuttavia,” riprende, “malauguratamente, troppo spesso è accaduto che nella nella vita degli uomini, nelle applicazioni pratiche delle risorse e dei saperi, prevalessero gli scopi di odio, violenza e distruzione, su quelli, invece, di amore, fraternità e carità, e che questi fossero trascurati, sia in termini di priorità che di sviluppo temporale. Possono quindi verificarsi delle assurdità per cui diverse nazioni posseggono armi potenti abbastanza da distruggere l’intero pianeta più e più volte, o abbandonano allo spreco preziosi mezzi e risorse, mentre in certi luoghi vaste parti della popolazione non dispongono nemmeno di che nutrirsi. L’evento cruciale nella storia degli uomini e delle donne del pianeta Terra, nella parte di essi da cui proviene l’anima che sta parlando, è stata l’incarnazione di Gesù Cristo, il Figlio di Dio l’Altissimo, Creatore dei cieli e delle terre e di tutte le cose visibili ed invisibili contenute in essi. Ogni anno si celebra la ricorrenza della sua nascita, e da quell’evento è scandita la storia degli uomini, tra un prima ed un dopo.” Appaiono allora delle sculture e dei dipinti raffiguranti la Croce, la Vergine Madre, gli Apostoli e i Santi. “Eppure il suo insegnamento di amore, carità e pace tanto spesso viene così del tutto ignorato e disatteso.” Si mostrano allora esplosioni, bombe, persone sofferenti, e poi altre immagini seguono di violenze, oppressioni, atti dovuti a bramosie e cupidigie, e di patimenti, dolori che sono forse meno evidenti, ma presenti e diffusi.

“L’oggetto che avete rinvenuto su Atlas è la copia di una scultura risalente al XVI secolo dopo Cristo, realizzata da Michelangelo Buonarroti, un terrestre del paese dell’Italia. Colui che vi parla è l’anima di quell’oggetto e rappresenta lo spirito di David, Re d’Israele del 1000 avanti Cristo. Essendo quell’opera una riproduzione dell’originale, la quale si trova ancora sulla Terra, questo suo spirito è una infinitesima parte dell’emanazione, ovvero un remoto riflesso, dello spirito di David, di sbiadita verità e fievole intensità. Tale copia dell’originale è stata prodotta insieme a molte altre da parte di alcuni uomini e donne coscienziosi e giusti, di diverse origini, culture e condizioni, che si sono ribellati a dei sistemi di potere del loro pianeta che portavano senza scrupoli all’oppressione dello spirito e della dignità dell’uomo e allo sfruttamento devastante delle risorse disponibili, in nome del denaro, della violenza, e del potere. Tali uomini, organizzati in clandestinità, hanno collocato delle statue come questa, ovvero delle riproduzioni, all’interno di vascelli interstellari e le hanno lanciate nello spazio, nella speranza di instaurare dei rapporti amichevoli e fraterni con eventuali altre forme di vita extraterrestri. Vogliate quindi gradire quanto avete trovato su Atlas, innanzitutto come un segno, e come un dono se gradito, di fratellanza e di buon augurio. I vascelli erano congegnati in modo tale che, rilevata la vicinanza della superficie di un pianeta, si autoposizionassero per atterrare e per poi sfaldarsi ed estinguersi rapidamente, lasciando in piedi la scultura sul pianeta o satellite incontrato. E questo è stato il destino anche dell’esemplare da voi scoperto.”

 

Quando ha così terminato di parlare, il Presidente Shalon dà uno sguardo a Gahk, e questi a lui di ritorno, e poi verso Juanio e Petr, nei pressi di Shalon. Lazra si trova vicino a suo padre, e indossa un velo che le para dalla vista una parte del volto e il collo, per cui non è del tutto in piena vista, ed è esigua l’attenzione che attira su di lei. Prende la parola il Presidente Shalon:

-- “Ascoltando la tua esposizione mi sono confermato nel mio presentimento che l’oggetto rinvenuto fosse una preziosa scoperta, di immenso valore. Vorrei esprimere la più sincera gratitudine a te in particolare per quanto hai riferito, e agli uomini e donne di cui hai parlato per averlo spedito.”

-- “Grazie infinite a voi per avere accolto la statua su Gaia, e in questo luogo particolare…”, replica lo spirito Dayéd.

Il tempo, tuttavia, trascorre velocemente, e lo spirito, un po’ alla volta, si ricompone nella sua posizione consueta, sopra il piedistallo di marmo, mentre i movimenti gli divengono sempre più corporei e rallentati dalla condensazione delle masse, ed egli, dileguatasi la voce, si fa ormai duro, massiccio e pesante.

I gaiesi presenti si guardano tra di loro e riflettono, ora per lo più informati e convinti sull’origine e lo scopo del reperto da poco rinvenuto. Un cittadino incuriosito proferisce al compagno accanto:

-- “E ora non proferirà più una parola per 500 anni!...Ma ci pensi?”

-- “Da non crederci. Ah, ma io ci sarò! Magari come lui, in spirito!...”, conclude l’altro.

 

Un sogno del Presidente Shalon:

Il giorno seguente, si dispone immediatamente perché si dia alla scultura una nuova collocazione, di maggior rilievo e definitiva, in cui possa degnamente essere visitata e apprezzata. Essa è quindi trasportata in una sala attigua, più ampia e collettiva, che serve da atrio di comunicazione tra diverse aule assembleari, utilizzate abitualmente dai personaggi pubblici e dai cittadini comuni per diversi scopi. L’opera viene ripulita accuratamente e lucidata.

 

Quella notte, il presidente Shalon ha un sogno. Si figura che la statua riprende vita come ci si aspetta che faccia in futuro, in occasione della prossima congiunzione astrale, e non nella forma di spirito aereo ed informe, bensì in quella di un uomo vero e proprio, con un corpo di carne ed ossa caratteristici della sua specie, animato dallo spirito già conosciuto. Nel sogno, la sua figliola, ancora una ragazzetta, anche più giovane di quanto non sia ora veramente, gioca con la palla su un molo in riva al mare di Orione, e la palla le scivola di mano e finisce in acqua. La statua, in carne e ossa, sopraggiunge dalla riva, da dove ha notato l’accaduto, e la rassicura, promettendo che gliela andrà a recuperare lui. Qualche minuto più tardi riemerge dall’acqua, stringendo tra le mani il gioco della bimba ed una miniatura di città, entrambi i quali affida alle braccia di Lazra. Il sogno termina con loro due che si scambiano affettuosi ed intensi sguardi, prima che lui infine si scosti, e faccia per riavviarsi.

 

Un consiglio dei Dodici…:

Il giorno dopo Shalon varca l’ingresso del Palazzo dell’Assemblea Governativa, e si avvia verso le aule. Passando di fronte alla statua, si arresta, e la fissa sopra pensiero. Si sorprende a sussurrare ad alta voce:

-- “…sta’ lontano da mia figlia tu!...”, mezzo ironico e mezzo serio.

Poco tempo dopo è seduto attorno ad un tavolo leggermente ellittico, insieme ai vari membri del consiglio in seduta straordinaria, che ha luogo in una delle sale di dimensioni contenute. Il Presidente Shalon è collocato ad un’estremità del lato più lungo del tavolo. A scorgerli da qualche passo di distanza, il loro dibattito si percepisce come un brusio in cui a malapena si distinguono alcuni toni più decisi o dei suoni più acuti. Avvicinandosi sempre più, tuttavia, si comprenderebbe più distintamente che stanno discutendo del recente avvenimento. Gli ingressi del locale in cui si trovano sono aperti, e ogni tanto entra qualcuno per recare delle bottiglie di acqua piene in ricambio di quelle vuote. I consiglieri di tanto in tanto sorseggiano dai bicchieri per inumidire la conversazione. Il soffitto è utilmente basso, e nella sala, in questo momento, si trova solamente il tavolo con i relativi sedili.

-- “…certamente che comprendo i Custodi quando sostengono che si tratti di un evento storico, senza precedenti nelle epoche passate del pianeta Gaia, e dell’intero sistema di Tannoiser, per quello, cioè del tentativo di contatto tra la nostra specie e quella degli uomini e delle donne del pianeta Terra. E’ indubbiamente una situazione straordinaria, ma ritengo che fino a quando non sia stato accertato, con la dovuta prudenza e cautela, in che cosa possiamo renderci disponibili e utili nei confronti di coloro che hanno compiuto la spedizione di quegli oggetti, sia opportuno non alimentare aspettative o illusori entusiasmi riguardo a ciò che è fuori dalle possibilità reali e concrete di fare da parte di noi gaiesi.”

-- “Sono d’accordo con quanto sostiene il collega”, interviene un altro consigliere seduto al tavolo, mentre il Presidente Shalon e gli altri ascoltano con attenzione. “Tanto più che è stato molto possibilista e fiducioso nelle sue affermazioni. Voglio dire che non ci sono dubbi che sia impossibile con le uniche informazioni che ci sono state fornite da quella…apparizione, concludere in modo avveduto e concreto che cosa mai si possa fare.”

-- “Beh…”, prosegue un terzo. “E’ un fatto che, a parte ciò che ci è stato riferito riguardo alla civiltà degli uomini e donne terrestri e alla loro difficile situazione, presente o passata che sia, non disponiamo di nomi particolari, o riferimenti di qualche tipo, o coordinate di luogo per poter pensare di tentare un’iniziativa, o di incontrare qualcuno. Se anche avessimo la possibilità e la volontà di fare qualcosa, sarebbe impossibile decidere da chi o che cosa o dove iniziare…”, e nel pronunciare queste ultime parole fa scorrere lo sguardo sui volti dei colleghi presenti, senza riscontrare replica alcuna.

 

…e un incontro con Lazra:

Non molto tempo dopo, il Presidente Shalon sta avanzando solitario, sconsolato e amareggiato, lungo un ampio corridoio, il medesimo in cui aveva incontrato il funzionario pubblico che si opponeva al trasporto della statua su Gaia. Altre persone indaffarate gli stanno accidentalmente passando di fianco, nell’uno e nell’altro senso, qualcuno di fretta, mentre altri sono fermi, o in compagnia a discutere, o da soli a leggere qualche foglio. 

 

E’ la sera dello stesso giorno, Lazra si trova da sola nella sua camera, a casa, seduta ad un tavolino. Sta scrivendo qualcosa a mano su dei fogli, prendendo spunto da uno scritto che va via via scorrendo su uno schermo piatto, leggermente inclinato, incorporato nel piano della scrivania. Allo stesso tempo spilucca del cibo per cena da un piatto, riposto su un piano pensile vicino. Sente bussare alla porta e dice: “Avanti!”. Si affaccia suo padre.

--“ Ciao, Lazra…”, saluta lui con tono amareggiato.

-- “Ciao, Pop! Come va?”

-- “Abbastanza bene, grazie”, risponde mentre si addentra di più nella stanza. “Tu come stai? Che dici dello spirito della scultura?”

-- “Beh,…”, si alza in piedi mentre le si illuminano le pupille, e il suo entusiasmo monta all’argomento, “…mi dispiace che sia sparito di nuovo!”. Prende a sfregarsi le mani, con una certa eccitazione nervosa. Il suo sguardo vaga qua e là, quasi fosse colto un poco in imbarazzo, lei è visibilmente appassionata nel considerare le rivelazioni di due notti fa.

-- “Immagino…”, risponde con malinconia Shalon.

-- “E’ da quando avevo 7 anni che non vedevo un mio simile…o qualcosa che me lo ricordasse…E poi, poverino, io sono rimasta incantata da quello che diceva.”

-- “Sì, anche a me è sembrato un tipo simpatico. Senti, però, ti volevo dire subito anche che esco ora dal Consiglio dei Dodici, e si è deliberato unanimemente che non si farà nulla riguardo alla questione…”

-- “Che cosa vuoi dire?”

-- “Che non si può far nulla, Lazra, mi dispiace.” Fa un gesto di sconforto e rassegnazione. “Non si hanno né delle informazioni né dei riferimenti necessari persino per iniziare a pensarci…”

Lazra rimane più sbalordita e incredula che mortificata, quasi non capacitandosi di ciò che sente.

 

E’ notte, Lazra sta dormendo nel suo letto, e sogna. Rivede Dayéd, non in spirito, bensì in carne e ossa, e lui la guarda, cerca di attirare la sua attenzione, e le fa dei gesti per invitarla verso di lui, a recarsi da lui.

 

La profezia:

Nello stesso tempo, all’esterno, si intravedono due consiglieri mentre escono da un bar locale. Sono gli stessi che hanno accompagnato Shalon su Atlas nella sua visita iniziale. C’è un certo assembramento davanti all’ingresso del locale di gente che sta per entrare o andandosene, oppure che chiacchiera sorseggiando qualcosa. Il luogo è evidenziato da un apparato pacchiano e di cattivo gusto di luci, colori, addobbi ed ornamenti inutili ed ingombranti, che rappresenta il suo vanto per voler essere un locale di lusso e alla moda. Li accosta un loro collega, un assistente collaboratore, che sta giusto ora recandosi a sua volta al bar. Stringe loro la mano con sorrisi e mosse platali e affettate.

-- “Ehi! Avete sentito l’ultima? Sembra che anche quel pagliaccio di Erì-thong abbia voluto dire la sua sulla questione del sasso spaziale! Pare che si sia sognato una profezia, ‘stavolta. Mi sorprende com’è che abbia ancora il coraggio di farsi sentire, quello lì!”

-- “Sì, che abbiamo sentito…”, risponde con disprezzo e sufficienza uno dei due funzionari, “…non parlano d’altro qua, oggi”, e fa un gesto con il braccio per indicare il locale dietro le spalle.

-- “Non si sa più cosa inventarsi per chiacchierare e attirare l’attenzione!”, prosegue l’altro dei due, accennando ad un ghigno di scherno.

-- “Io sono sbalordito”, riprende il primo consigliere, “che qualcuno possa persino considerare seriamente queste cose, al giorno d’oggi!”

-- “Ma secondo me”, conclude ironico l’assistente sopraggiunto, “ne parla giusto chi non sa in che altro modo impiegare il proprio tempo!”, e salutandoli con un cenno si avvia all’ingresso del locale. I due si scambiano un’occhiata.

 

Mentre le prime luci del giorno stanno dirimendo il buio, Gahk e Juanio si trovano a bordo di una piattaforma elevata e sospesa per la maggior parte nello spazio aperto, quale luogo di attracco e decollo per navette e veicoli spaziali di medie e piccole dimensioni di una astronave più grande e importante. Il luogo è calmo e pacifico, a quest’ora del mattino e circondato da tali spazi infiniti. Juanio sta caricando dei bagagli nel baule di un mezzo di trasporto a due posti, mentre Gahk sta dando un’occhiata all’interno del motore anteriore insieme ad un meccanico.

Sono raggiunti da due altri funzionari governativi, vestiti in un abito formale del tutto simile a quello dei colleghi di prima, anche se magari, per via dell’ora, non del tutto in ordine impeccabile nella figura.  Si rivolgono a Gahk, che fa cenno al meccanico di procedere il suo lavoro al motore.

-- “Buon giorno”, esordisce uno dei due funzionari con un’aria di imperante sussiego. “Volevamo chiedervi se avete saputo qualcosa riguardo questa profezia, di cui si sente tanto parlare, e di che cosa si tratta più precisamente. Siccome sono in circolazione voci diverse, è facile non capirci molto…”

-- “Si tratta di Erì-thong, ve ne ricordate, sì? Faceva parte dell’Ordine.”

-- “Sì, ha combinato qualche brutto pasticcio e l’hanno cacciato, infatti non ha una buona reputazione, quel vecchio rimbambito…”, commenta in tono ironico il funzionario.

-- “Erì-thong è di un valore che quelli come lei non arrivano neppure a immaginarsi. Non è stato cacciato e non ha commesso colpa alcuna per non essere più nell’Ordine.”

-- “Sto aspettando che mi dica della profezia…”

-- “Riguarda un sogno che ha avuto Erì-thong,” riferisce Gahk guardandolo fisso in viso, e poi si distoglie e prende anch’egli a caricare qualche oggetto più piccolo nell’abitacolo del veicolo, continuando a parlare a più alta voce: “e cioè che l’unico essere vivente che possa fare qualcosa per far ritornare lo spirito di Dayéd, e quindi rendere possibili dei contatti tra Gaia e gli uomini della Terra, è Lazra, la giovane donna figlia adottiva del Presidente Shalon.”

-- “Il Presidente Shalon ha una figlia adottiva?”, esclama sorpreso il funzionario. Il suo collega prosegue:

-- “E che cosa dovrebbe fare questa… Lazra per recuperare il fantasma?”

-- “Che cosa Lazra sia tenuta a fare secondo la profezia non lo so, e non mi risulta che sia stato rivelato”, replica Gahk, con tono conclusivo, fermandosi e rigirandosi a guardare i due. “Ma se sarà possibile rimettersi in contatto con lo spirito di Dayéd per vedere meglio cosa fare con i terrestri, solo Lazra è lo strumento prescelto perché ciò accada.”

 

Riguardo Erì-thong:

Lazra si trova nuovamente in compagnia dei suoi amici Custodi Gus-par e Yu’ko, che le hanno illustrato a grandi linee le caratteristiche dell’Ordine, e sempre in quel luogo di ampio paesaggio naturale in cui sia lei che loro amano molto indugiare e meditare. In questo momento i due Custodi stanno estirpando delle erbacce da un terreno di alberelli e vegetazione varia. Alcune piante le strappano con le mani, altre invece le tagliano con uno strumento apposito che questa volta hanno pensato di portarsi dietro. Man mano che tagliano o divelgono buttano le piante cattive da un lato, dove si stanno accumulando in un discreto mucchietto. In piedi a breve distanza, Lazra li sta più che altro osservando, esitante, al momento inesperta e impreparata a prendere parte alla stessa attività, e infatti sia Gus-par che Yu’ko ogni tanto le spiegano e illustrano quello che stanno facendo. 

-- “Io? Ma come io?”, cerca di raccogliere le idee Lazra, con un tono sconcertato di supplica e di ansia. “Ma che potrò mai fare io?!”

Gus-par, a lei più prossimo, si gira a guardarla e sorride.

-- “E poi ho sentito da varie parti che questo tizio, Erì-thong è un matto, alcuni dicono anche un poco di buono. Che l’hanno mandato via dall’Ordine per delle cose strane che ha combinato, figuriamoci. E poi tira in ballo me, e adesso ne parla un sacco di gente!...” E fa uno sguardo di lieve disperazione. “Ma chissà che c’entravo io in tutta questa storia!...”

-- “Erì-thong è un grand’uomo”, afferma con pacatezza Gus-par. Guarda in basso per un attimo, e poi riprende a guardarla e a parlare: “Il vero valore, la virtù, si scontra sempre con una reazione violenta dell’opinione diffusa. E’ per questo che talvolta, in base alle apparenze, può essere difficile discernerlo da un’impostura, per esempio. E ci vuole un intuito e una lucidità sovrannaturale per individuarlo e rimanervi fedeli, senza lasciarsi influenzare dalle voci o dalle grida di comodo.” Si interrompe un istante e le sorride dolcemente. Lei lo fissa senza dir nulla. “Faceva parte dell’Ordine, un tempo”, prosegue lui, “ed era, come è ora nella vita privata, molto fedele e zelante nei confronti dello Statuto. E’ un uomo di grande integrità. A quel tempo, tuttavia, all’interno dell’Ordine si trovavano taluni che propendevano per un’interpretazione dello Statuto più elastica e moderata, e quindi una vita più rilassata e tollerante nei confronti di certe lusinghe dei sensi o dei beni materiali. L’Ordine si divise quindi in due parti: una che era per una rettitudine di vita coerente e integra e faceva capo a Erì-thong e altri due Custodi ora scomparsi, e l’altra per la quale certe idee potevano accomodarsi di più alle cose del mondo, ed era sostenuta da un discreto numero di avversari di Erì-thong e dei suoi. Ben presto il contrasto si fece sleale, e certi capi della seconda fazione assunsero atteggiamenti violenti e brutali nei confronti di Erì-thong e dei suoi, fino a scatenare una vera e propria persecuzione. L’Ordine risentiva molto di tutte queste tensioni, al punto che i Custodi non svolgevano più il loro compito con la serenità necessaria, e quel che è peggio, in generale veniva offuscato il motivo per cui avere fiducia in loro. Quindi Erì-thong ritenne che non valesse la pena dare battaglia all’interno dell’Ordine stesso, e si ritirò a vita privata. Tra i Custodi si sono gradualmente dileguate le tensioni maggiori, e ora l’Ordine può se non altro proseguire la sua attività. Si verificano talvolta corruzioni e cedimenti da parte di molti, che sono compensati dagli immani sforzi degli esponenti più degni e meritori, che sublimano ciò che è individuale e personale in una considerazione di quello che è universalmente vero, buono e saggio. Il valore, lo zelo sta più che altro all’iniziativa individuale. Ma sappi che se non fosse stato per Erì-thong e i suoi, oggi non ci sarebbe neppure più un Ordine di cui parlare.”  

Lazra lo fissa, rimanendo in silenzio a riflettere. Nel frattempo Yu’ko non ha interrotto la sua opera, e seppure in ascolto e partecipe continua a raccogliere erbacce e piante. All’improvviso giunge tutto trafelato un assistente di Shalon, che evidentemente è andato cercando Lazra di corsa:

-- “Signorina Lazra, finalmente la trovo! Suo padre mi manda a dirle di recarsi da lui al più presto, che le vuole parlare!” Lei si avvia verso casa, che non è molto distante.

 

Confronto tra Lazra e Shalon sul da farsi:

Shalon si trova nel suo studio di casa, e al momento appare intento a riordinare dei fogli, dischi ed oggetti vari sulla sua scrivania, con fare in certo modo assente e soprappensiero, o come se fosse più che altro in attesa di qualcosa. Sopraggiunge Lazra, e nota immediatamente uno sguardo adombrato sul volto del padre.

-- “Ciao, Lazra, finalmente ti si vede.”

-- “Ciao, Pop.”

-- “Senti, è un po’ che non ti vedo, e siccome è un paio di giorni che c’è chi parla di quella profezia di Erì-thong…”, e nel pronunciare questo nome inarca le sopracciglia verso l’alto e fa roteare gli occhi.

-- “Ah, sì!”, esclama lei, “ho sentito parlare bene di lui!”, riferisce con un certo entusiasmo, e sorridendo. Shalon la riprende con un’occhiata accigliata e severa:

-- “E’ un matto!”, esclama con un tono rialzato, e con lieve sprezzo. “Un pazzoide. E tra l’altro in molti sostengono che non si sia comportato per niente bene quando era nell’Ordine dei Custodi, e quindi è stato radiato.”

-- “Non è stato radiato, è stato lui ad andarsene apposta”.

-- “Non mi risulta, Lazra, ti hanno informata male. Comunque non voglio parlare di lui. Volevo dirti della profezia. Io sono piuttosto indignato, ti dirò, di come si sia fatto il tuo nome per imbastire una frottola gratuita con cui riempire le bocche degli sfaccendati. Molti dicono che sia stato fatto a proposito addirittura, per attirare attenzione e farsi pubblicità. Pensa fin dove siamo arrivati!”, e accompagna quest’ultima espressione con un gesto di impazienza e disprezzo. Lazra lo fissa per qualche istante, indecisa, e poi:

-- “Io sono solo dispiaciuta perché sono convinta di non poter fare nulla! Ma che cosa dovrei mai fare io?”, e dice questo accennando un riso isterico. “Ma se c’è una benché minima possibilità per fare tornare Dayéd vorrei bene che la si tentasse! Anche se certamente non io!!”

-- “Lazra, quel coso si anima ogni 500 anni. Io non ho il potere di resuscitare gli spiriti anzi tempo, né di accelerare lo scorrere dei secoli. Ragion per cui è il caso di non pensare più a questa storia. Mi dispiace dirlo, soprattutto per quelli che hanno inviato quel messaggio, uomini e donne della Terra, ma non c’è niente che si possa fare!”, e scandisce queste ultime parole accentuandole con severità, dato che è la seconda volta che le pronuncia. Lazra ha un’espressione impietrita e mortificata.

 

Una serata in un locale pubblico:

E’ sera, in un’ampia sala pubblica al piano terreno di un edificio, che si affaccia tramite una vetrata a tutt’altezza sulla via esterna. Il locale è adibito per l’occasione a sala da ricevimento, e su alcuni tavoli sono disposti rinfreschi e assaggi di vario tipo, ai quali i numerosi ospiti attingono nel corso delle conversazioni e dell’intrattenimento mondano. Saranno al momento presenti una ventina di persone, prevalentemente giovani e pochi adulti, ma nuovi arrivati continuano a sopraggiungere, e almeno di vista o per sentito dire si conoscono più o meno tutti. Alcuni sono seduti su sedili, altri appoggiati su supporti a pavimento o a muro, ma la maggior parte degli ospiti è in piedi, radunata in gruppi e gruppetti di spensierato svago, chiacchiere e pettegolezzi. Su un lato, lungo una delle pareti vetrate che si affacciano sulla via di fuori, si trovano Lazra insieme a due delle sue sorelle, quelle più grandi, al fratello e alcuni amici e conoscenti, tra cui uno dei due giovani tizi che sono stati a cena a casa loro insieme a Urie. Lazra si sente un po' a disagio, come un pesce fuor d’acqua in un’atmosfera che avverte come assai falsa e contraffatta, e resta leggermente per i fatti suoi in disparte. Uno degli amici sta bisbigliando qualcosa all’orecchio di una delle sorelle, e questa sghignazza rivolgendo lo sguardo nella direzione da lui indicatale. Sul lato del locale in cui si trovano, è presente un’area di vegetazione giusto di fronte alla finestratura che guarda all’esterno, in cui alcuni alberelli e piante di vario tipo crescono in uno strato di terra disposto accanto al vetro. Di sera, tale angolo naturale è illuminato appositamente con alcuni faretti, e costituisce una lieta presenza sia per coloro che si trovano all’interno della sala, sia per i passanti all’esterno. Lazra sta osservando con attenzione e interesse la costituzione del tronco di un alberello e della resina indurita sulla sua superficie. Quando uno dei conoscenti del loro gruppetto, che è stato ospite a cena da loro insieme a Bool, si allontana momentaneamente e poi ritorna recando un vassoio con bicchieri colmi e qualche boccone da assaggiare, lei neppure se ne accorge, mentre tutti si servono ed esauriscono presto le provviste. Quando si volta verso gli altri, il tizio col vassoio, ostentando platealmente del finto imbarazzo, esclama con ipocrisia:

-- “Oh, sono finiti! Scusa Lazra…!” 

-- “Oh, non ti preoccupare!”, risponde lei bonariamente, a cui sinceramente non importa un granché. “Va benissimo così, grazie! Non ne volevo.”

Nel frattempo all’esterno, attraverso le vetrate, si scorge una giovane gaiense, con imbraccio un figlioletto nato da poco, vestita di indumenti dimessi e consumati. Sta avvicinandosi a degli ospiti del ricevimento che sono in piedi al di fuori del locale, di fronte all’ingresso, e chiede dell’elemosina, discretamente e con occhi bassi. I più la guardano a malapena, assorti nei drink e nelle chiacchiere, e lei man mano si scosta e passa oltre da qualcun altro. Della compagnia dei Shalon la intravedono quasi tutti.

-- “Prossimamente l’Assemblea della Circoscrizione ridiscuterà la norma sulla sicurezza”, afferma uno degli amici, che è anche accompagnatore di una delle sorelle. “Vedranno se modificarla o meno, e se approvarla definitivamente.”

-- “Sì, ma secondo me la passano così com’è, ormai. E io me lo auguro almeno”, commenta un’amica. 

-- “A mio avviso è troppo moderata, vale poco o niente”, interviene un altro, amico del primo. “Prevede che quelli che vengono scovati a dormire o bivaccare per le strade urbane, e soprattutto a mendicare, vengano schedati e vigilati, in modo da scoraggiare queste attività moleste e talvolta minacciose, finché non si siano spontaneamente esaurite del tutto. Ma io penso che dovrebbero arrestarla proprio quella gente, altrochè spontaneamente! Certe volte non si può stare 5 minuti per strada che c’è qualche miserabile che viene lì a chiederti qualcosa!”. Lazra è esterrefatta e profondamente addolorata.

-- “Sì,” aggiunge la sua sorella maggiore, “però prevede che si possano organizzare delle pattuglie private, da parte dei cittadini, anche la sera e la notte, e se vengono notate delle situazioni sospette o insicure, oppure delle catapecchie di fortuna, improvvisate e precarie, possono denunciarle agli organi di repressione.”

La giovane mendicante prosegue ad avvicinare alcuni di fuori.

-- “Ma come fate ad essere d’accordo con una porcheria simile?”, esclama allora Lazra sconvolta. “E questa sarebbe definita la norma sulla sicurezza? Si scaglia sui più deboli di tutti, che quasi sempre sono vittime dell’insicurezza e della malvagità, o quantomeno ne hanno patito. Anziché avere compassione di loro, e offrire aiuto ed assistenza li si vuole togliere di mezzo del tutto? E per chi sarebbero una minaccia? E sono pure un disturbo se mendicano qualche cosa? Ma non si sa proprio più con chi prendersela impunemente! E’ una vigliaccata!”

Gli altri della comitiva, le sorelle, il fratello, gli amici e conoscenti, la guardano di sbieco, con un’aria di sospetto e distacco.

-- “Certo sei un bel po’ presuntuosa!”, osserva Raski. “Qui non c’è nessuno che la pensa così”, e scandisce bene la parola “nessuno”, indicando con la mano la compagnia presente, “e ancora pretendi di avere ragione, che arroganza!”. Dopodichè si gira verso gli altri bruscamente, volgendole parzialmente le spalle.

-- “Lazra, secondo me dovresti farti un giro fuori di sera, qualche volta, per renderti conto davvero se non c’è da spaventarsi!”, prosegue l’altra sua sorella.

-- “Ma questo che vuol dire?”, ribatte Lazra. E’ molto scossa emotivamente, da una parte è arrabbiata, dall’altra le si inumidiscono gli occhi.

-- “E’ un po’ ingenuo quello che dici”, interviene un altro degli amici, con un cenno di sorriso sulla bocca, “e anche da mondo ideale, utopico. La realtà è che chi continuamente chiede qualcosa agli altri per strada dà fastidio e noia. Io apprezzo di più chi che sa badare a se stesso, gli altri sono un peso!...”

-- “Ma insomma!”, esclama una delle amiche con un tono più sostenuto, come di chi sta perdendo la pazienza, indicando con un gesto del braccio i membri della compagnia lì presenti. “Ma ci sarà un motivo se tutti qui diciamo la stessa cosa, no? Ma io non lo so…”, e fa un gesto di stizza, rotolando le pupille al cielo.

All’esterno, nel frattempo, un tizio tra i convitati perde la pazienza, e decide di prendere l’iniziativa nei confronti della giovane mendicante che si sta avvicinando ad alcuni da cui non è ancora passata a porgere timidamente la mano aperta. Le va incontro, le mette una mano sulla spalla e la dà una spinta indietro, scuotendo la testa con gli occhi rivolti in basso. “Vattene!...”, le intima a voce bassa. “Vai via!”, e la spinge indietro, allo stesso tempo incalzandola con crescente impeto. La giovane indietreggia alle spinte, ma si arresta. Lui prosegue ad avanzare, “Via!”, gridando ora, mentre tra gli altri presenti qualcuno osserva e approva, qualcun altro aggiunge: “Sì! Che non se ne può più!”, e altri gridano: “Vai a lavorare!!”. Qualcuno ridacchia, commentando con il vicino. La giovane, con il bambino tra le braccia, ora indietreggia da sola, e infine voltandosi, se ne fugge via a passi di corsa.

Lazra, osservata la scena, se ne esce rapidamente, da un altro ingresso a lei più prossimo.

 

Un incontro inaspettato:

E’ sera, Lazra esce dal locale con la disperazione di chi vorrebbe andarsene per non tornare più. Tra tutte le suggestioni accumulate è rimasta alquanto scossa, e fatta un po’ di strada a piedi e da sola, è come investita da un’ondata emotiva che la porta a singhiozzare e a lacrimare. La serata si inoltra, mentre cammina, percorrendo delle distanze, ed uscendo dal centro abitato vero e proprio, addentrandosi nei paesaggi naturali circostanti. Non incontra quasi nessuno, e si conforta negli spazi aperti e infiniti.

Tutto d’un tratto inizia a piovere, con precipitazione spessa e vento, e tra tuoni e lampi, in modo improvviso e immediatamente violento, scoppia un temporale. Trovandosi all’aperto e ormai ad una certa distanza dal centro abitato, Lazra è pienamente esposta alle intemperie, e deve ripararsi come e dove le riesce. Innanzitutto cerca di schermarsi sotto una pianta, anche se non le serve che per i primi istanti, e poi la pioggia le piomba addosso incontrastata. Allora si mette a correre, seppure abbia perso il senso dell’orientamento, alla ricerca di un qualsiasi riparo, tettoia o rientranza che sia. Non sa dove si sta dirigendo, neppure se si sta avvicinando alla città o allontanando ulteriormente, ma continua a correre, sotto l’incessante pioggia, che è diventata grandine, e il vento freddo. Ad un certo punto scorge un edificio con delle aperture illuminate dall’interno, e vi si dirige senza esitazione. Sembra un’abitazione, anche se particolare e a sé stante. Lazra giunge a quello che le appare come l’uscio d’ingresso e bussa con disperazione. Le apre un tizio anziano, dall’aspetto molto naturale e poco curato, con indosso una veste che ricorda vagamente il saio dell’Ordine dei Custodi, anche se senza cappuccio, e di un colore diverso. Sembra riconoscerla, come se pur non avendola mai incontrata sia consapevole di chi si tratti. La fa accomodare.

La casa è molto semplice, attrezzata in modo povero e austero, come è in generale la vita che conduce la persona che vi abita. Gli strumenti di cui è dotata sono semplici ed essenziali, commisurati all’utilizzo conveniente che ne viene fatto. Il gaiese porge a Lazra qualcosa con cui asciugarsi, mentre lei si dà un’occhiata e si rende conto di essere fradicia e grondante di acqua.

-- “Mi scusi…le sto allagando la casa!”

-- “Oh, non importa, non si preoccupi”

-- “Grazie per avermi fatto entrare, davvero. Non so cosa stia venendo giù, non ho mai visto niente di simile! A starci sotto, dopo un po’, toglie quasi il fiato!”

-- “Sì, immagino. E’ una precipitazione piuttosto eccezionale, e starà allagando diversi luoghi. Se desidera cambiarsi i vestiti, fin tanto che smette o diminuisce, le posso dare qualcosa d’asciutto, anche se da gaiese.””

-- “Senta, forse dovrei rifiutare, ma se non le dispiace accetto la gentile proposta, perché sono proprio fracida del tutto!”

-- “Certo! Fa bene!”, e si avvia prontamente a recuperare qualche indumento, e in breve tempo Lazra è seduta con delle coperte avvolte attorno.

-- “Mi chiamo Lazra.”

-- “Sì, lo so. Ho sentito parlare di lei”, risponde lui, mentre si accinge a preparare qualcosa da mangiare su un piatto.

-- “E’ un saio dell’Ordine che indossa?”, domanda lei mentre lo osserva.

-- “No, è un saio e basta”

-- “Ma non è un Custode lei?”

-- “No, lo sono stato da giovane, molto tempo fa.”

-- “Io ho degli amici Custodi. Li ammiro molto. Oggi mi stavano raccontando della profezia di un certo Erì-thong. Ne ha parlato un sacco di gente negli ultimi giorni, se è per quello, non so se ne ha sentito qualcosa.”

-- “Beh, non proprio. Però sono al corrente della profezia.” Si ferma e la guarda un istante. “Mi chiamo Erì-thong.”

 

Riguardo la profezia:

Lazra lo squadra con stupore e incanto deferente.

-- “Quella che è stata definita ‘profezia’”, prosegue lui, riprendendo ciò che stava facendo, “è un sogno che ho fatto qualche notte fa, a cui ho dato una interpretazione. L’ho raccontato a degli amici Custodi, una volta, e la voce si è sparsa in un baleno, in modo che nessuno si aspettava, né che io desideravo. In breve tempo un sacco di gente ne ha sentito parlare come della ‘profezia’.” Le si avvicina e le porge un piatto con della frutta seccata, una sorta di miele e del pane.

Lei lo accetta, senza dire nulla, come se si conformasse a delle circostanze. Spilucca qualcosa, guardandolo con aria interrogativa.

-- “Ho sognato che tu, da piccola, giocavi su un molo, con una palla. Questa ti è caduta in mare, e allora è giunto Dayéd dalla riva, un uomo di carne e ossa, vivo. Si è tuffato, ed è riemerso con la palla e un’intera città in miniatura, tra le mani. Ti ha consegnato entrambe le cose e se ne è andato. La mattina dopo non avevo dubbi che tu fossi colei che poteva fare riapparire lo spirito di Dayéd.”

-- “E come dovrebbe accadere che io…io… possa fare riapparire lo spirito di Dayéd?”, domanda lei, portandosi le mani al petto e scandendo con sconcerto la parola “io”.

-- “Facendo visita al mondo ultraterreno, dell’al di là di questa vita. Al mondo degli spiriti che sono stati, che sono e che saranno. Lo spirito di Dayéd si trova lì, e per riportarlo temporaneamente in questo mondo del divenire nel tempo, bisognerà recarsi nel regno eterno delle anime e rivolgere una supplica di grazia alla Vergine Madre, Signora dei Cieli, affinché ciò sia concesso dall’alto. Dayéd farà ritorno in un corpo di carne ed ossa, per vivere una vita da adulto.”

Lazra lo fissa ininterrottamente, con gli occhi sbarrati e la bocca aperta. Lui, nel pronunciare queste cose, è di una compostezza seria e immobile, serena e conciliante. La guarda profondamente, ed esprime le parole con ogni facoltà del suo spirito, e dopo aver concluso accenna ad un pacato sorriso. Dopodichè attende appositamente qualche istante, per lasciare a Lazra la possibilità di reagire.

-- “…nel mondo eterno delle anime?...”, ripete disorientata e ammaliata la ragazza, “…e dove sta?... come ci si arriva?...”

-- “E’ il regno dello spirito, di ciò che normalmente, nel mondo materiale delle cose temporali, non si vede con gli occhi del corpo. Si può scorgere con la vista interiore, dell’anima.”

-- “Oh…senta…”, e intanto cerca di riprendersi, facendo scorrere lo sguardo distrattamente all’ambiente circostante, “…io sarò pure una terrestre in questo posto, e non faccio parte della specie dei gaiesi, basta darmi uno sguardo, ma per il resto non sono davvero un essere particolare, mi creda…”. Cerca quasi delle scuse Lazra, mentre si alza in piedi, lentamente e con esitazione, sorreggendo le coperte, e si appresta ad accomiatarsi, per timore e senso di inadeguatezza, più che per scetticismo o mancanza di fiducia in Erì-thong. “Che potrei mai fare io, signore? Non riesco nemmeno a barcamenarmi molto bene nel mondo di tutti i giorni, che si vede…mi dispiace.”

Erì-thong abbassa lo sguardo, per discrezione rispetto ad una confessione che è se non altro sincera e intima. E poi riprende:

-- “Lo spirito è materialmente invisibile, o impercettibile con i sensi, ma non è estraneo, né in altro luogo rispetto al mondo di tutti i giorni. In verità, io non voglio intendere niente di particolare, riguardo a te. Stavo solo dando l’interpretazione di ciò che il sogno mi indicava. E credo che questa sia la verità. I fatti, il destino, faranno poi il loro corso, e se non chiameranno in causa me personalmente, non cercherò io di immischiarmene.”

 

Al locale pub:

All’interno del locale pub alla moda che già si è visto di sera, con la folla di una serata a pieno regime, ora, di pomeriggio, si trovano gli stessi tre funzionari consiglieri, sempre con il loro abito formale, nel mezzo di una pausa rinfresco. Sono attorno ad un tavolino piccolo, alto, e due di loro sono seduti su degli sgabelli, pure alti, mentre il terzo sta in piedi, e uno dei due seduti e quello in piedi hanno un drink tra le mani, appoggiati al tavolo, e l’altro collega è solo seduto a fare compagnia. Una cameriera si avvicina e reca loro un piattino di qualcosa da mangiare.

-- “Ehi, Martha!”, esclama quello che nel viaggio iniziale su Atlas parlava a Shalon, appoggiandole un braccio attorno ai fianchi, mentre lei sta parzialmente al gioco. “Che donna straordinaria! E’ proprio quello che ci mancava in questo momento, e non abbiamo neanche dovuto chiederlo!”. E’ uno dei due seduti, ha un fare sguaiato, e mentre gli altri sghignazzano e annuiscono prosegue: 

-- “Chissà cosa faremmo noi in questo posto senza di te!”

-- “Piantereste le radici, probabilmente!...”, commenta lei, con ironia e impazienza. Lui scoppia a ridere:

-- “Ah! Ah! Forse hai ragione!”, e se la stringe più fortemente a sé, al punto che lei si divincola e si allontana.

I tre si rifanno seri, e l’altro collega seduto al tavolo prende la parola:

-- “Comunque, profezia o non profezia, oggi pomeriggio dovrebbe ufficialmente concludersi la questione del sasso spaziale. E finalmente! Che con tutte le notizie e le voci che si sono inventate ad arte, stava diventando una faccenda ridicola…”

-- “Io non è che abbia mai creduto molto alla storiella dei doni, delle iscrizioni, dei contatti…”, commenta quello in piedi, ridacchiando.

-- “Va beh, comunque, da domani non se ne dovrebbe più sentire parlare un granché…”, conclude quello che si sollazzava con la cameriera, e si versa d’un colpo il residuo del bicchiere in gola.

 

Rientro a casa di Shalon e Lazra:

E’ sera, nella sala di soggiorno di casa Shalon si trovano le figlie e il figlio del Presidente, eccetto Lazra, e gli stessi due tizi che sono stati ospiti a cena con Urie, uno dei quali era presente alla serata nel locale da cui Lazra se n’è andata improvvisamente. Raski, le due sorelle maggiori e uno degli ospiti sono seduti attorno al tavolo e si intrattengono con un gioco di società, mentre gli altri due sono in piedi, pur assistendo e partecipando della conversazione, spesso attingendo ai piattini e alle scodelle degli stuzzichini di cibo, e ai bicchieri di vino riposti sul tavolo. Tra questi due in piedi, e cioè Lyha la più giovane e Bool, sembra esserci un’intesa particolare, rispetto a tutti gli altri, tanto che in questo momento si stanno scambiando occhiate confidenziali, e parlano di qualcosa che riguarda solo loro.

-- “La prossima volta offro io, però, ok?”, le sussurra vicino al viso lui, mentre le porta alla bocca un boccone, che lei addenta sorridendo.

-- “Non ci pensare…”, ribatte lei, distogliendosi per avviarsi verso il tavolo.

-- “Ehi!”, la rimbrotta Raski scherzosamente, mentre Lyha afferra due bicchieri pieni. “Vi state mangiando tutto voi!”. Lei sorride e si riavvicina a Bool.

-- “E vostra sorella che fine ha fatto?”, si informa il giovane ospite seduto al tavolo. “E’ un po’ che non la vedo. Va ancora in giro a confessarsi con quei santoni suoi amici?”

-- “Ahah!”, replica una delle altre due sorelle sedute. “Non parlare così di fronte a lei, o scoppierà in lacrime!”, osserva una delle sorelle.

-- “Ehm, sì!...Non è giusto!...”, commenta ironico il fratello, assumendo un’espressione caricaturale e asciugandosi delle finte lacrime. Poi riprende a parlare seriamente:

-- “Speriamo che adesso che è passata la storia della statua non rompa più le scatole, che si stava montando un po’ la testa…”

Entra allora Oma’b Shalon, che con fare distratto e indifferente saluta tutti. Si reca soprappensiero presso un ripiano alla parete, e ricerca qualche cosa tra fascicoli e dischi. Bool gli chiede:

-- “Allora, signor Presidente, come è andato il consiglio di questo pomeriggio?”

-- “Bene, bene, Bool, grazie. Nulla di nuovo o imprevisto, in sostanza.”

-- “E una volta archiviata la questione, che si farà del sasso spaziale?”

-- “Eh!”, esclama Shalon sorridendo alla definizione ironica a lui nuova. “Verrà ripulito e lucidato più accuratamente, e poi si vedrà se lasciarlo lì dov’è oppure trasferirlo nella sala d’aspetto della stazione spaziale per Atlas e gli altri satelliti.”

-- “Ah, bene!”, ribatte l’altro ospite. “Almeno tornerà utile per qualcosa!”

Shalon si avvicina al tavolo, spilucca degli assaggi e dà una rapida occhiata, masticando, al gioco di società. Sopraggiunge Lazra, che saluta timidamente, e si addentra appena dalla porta. Appena i presenti la vedono cala di colpo la conversazione, riducendosi alla tenue voce di Raski che ridacchia pur cercando di contenersi.

-- “Ciao, Lazra,” la apostrofa Shalon, “a proposito, ho appena incontrato qui fuori due Custodi, che io non avevo mai visto, e hanno detto che si dovevano incontrare con te. Gli ho spiegato che il loro servizio è apprezzato e gradito fin tanto che si riferisce a questioni amministrative. Gli ho detto di andarsene e di non confondere mai più il pubblico con il privato!”. Conclude con decisione e una certa stizza, mentre Lazra non risponde nulla, lo fissa impietrita e senza parole.

-- “Ah, ragazzi!”, prosegue Shalon alzando la voce e voltandosi verso tutti i suoi figli. “C’è da fare un salto al mercato a prendere della pasta fermentata che la Mom ne ha bisogno per la cena”, appoggia del denaro sullo stesso ripiano contro il muro, in prossimità dell’uscio. Dopodichè saluta sbrigativamente gli ospiti ed esce.

-- “L’ho fatta! Ho vinto!”, esclama il figlio, gongolante su delle carte che ha di fronte a sé sul tavolo.

-- “Eh, adesso l’hai fatta! E prima dov’eri?”, lo riprende scettica la sorella maggiore.

-- “Senti non prenderci in giro, per favore, sarà un quarto d’ora che il gioco è fermo!...”, commenta ancora l’altra sorella seduta al tavolo. Lyha e Bool si avvicinano sorridendo.

Lazra afferra i soldi, amareggiata sia per sé che per Mom e Pop, e si avvia fuori dalla porta.

 

Meditazioni e decisioni:

Erì-thong si trova nella sua dimora austera, umile, e allo stesso tempo pratica e calda. C’è un fuoco a legna acceso, in una sorta di focolare che lui usa più che altro per la cottura di cibi o altro, che non per il riscaldamento vero e proprio, che è solitamente procurato da una caldaia esterna. Erì-thong è seduto su un sedile basso, senza schienale, e con gli avambracci appoggiati alle ginocchia osserva meditabondo le fiamme, per altro, in questo momento, basse ed esigue. Si alza, soprappensiero, si scosta un poco, si mette in ginocchio, si appoggia ai talloni, con la schiena diritta, il capo chino, e le mani sulle gambe, e prega chiudendo gli occhi.

 

Lazra è invece nel suo luogo naturale preferito, da sola, che passeggia lentamente, con aria riflessiva ed assente. C’è ancora una fievole luce, ma sta facendo buio, e lei sta percorrendo lo stesso viale in cui Gus-par e Yu’ko le hanno raccontato dell’Ordine dei Custodi Interplanetari, e dello loro Statuto. Ad un certo punto, alla sua destra, al di là di un vasto spazio aperto, in cui si estende un pacifico terreno a prato, e di una folta vegetazione, nota in particolar modo dei monti all’orizzonte, di media altezza e susseguentesi in una catena continua e ricurva. Sono stati in quel luogo ogni volta che vi è transitata in precedenza, evidentemente, ma in questo passaggio attirano maggiormente la sua attenzione. Si ferma e li osserva, sempre assorta nelle sue meditazioni.

 

Nuovamente a bordo di quella piattaforma di attracco e decollo su cui due funzionari governativi li avevano interpellati riguardo alla profezia, i Custodi Interplanetari Gahk e Juanio si approssimano infine al veicolo spaziale che stavano caricando ed approntando alla partenza. Senza dire nulla, prendono posto nell’abitacolo, con un’aria leggermente sconfortata, e Juanio, nel sedile del pilota, apre le connessioni del motore, e punta verso lo spazio aperto, che nel residuo del crepuscolo appare ormai quasi del tutto buio.

 

Ritorno da Erì-thong:

Si è fatta sera, Erì-thong è ora in piedi presso un contenitore, in un androne del muro di casa, e ne estrae lentamente prima una conchiglia, e poi un’altra, del tipo a spirale, della dimensione di un palmo di una mano, e le osserva, sempre immerso nelle sue riflessioni. Dopo qualche istante rimette a posto, si volta e si ridirige verso il focolare, arrestandosi in prossimità di esso, con le braccia distese e rilassate lungo i fianchi, il capo chino e gli occhi chiusi. Sente bussare alla porta.

Erì-thong va ad aprire, e si trova davanti Lazra.

-- “Buona sera!...”, esordisce lei.

-- “Ciao, Lazra. Vieni, accomodati”. Lei, esitando e a brevi passi, si fa avanti.

-- “Io…volevo solo chiederle qualche cosa in più,…per curiosità, riguardo a quella ‘visita’ di cui parlava l’ultima volta…”

-- “Va bene”, risponde lui con tono pacato e mite.

-- “Così, per informazione, come…da dove si partirebbe per giungere al mondo ultraterreno delle anime, come diceva…?”

-- “Beh, non c’è propriamente una via d’accesso definita, proprio perché si tratta del mondo immateriale. Vi si giungerebbe tramite uno stato d’animo, uno stato di grazia interiore. Per acquisirlo, per esempio, tu potresti incamminarti per la valle dell’Alme, una pianura che si trova dietro la catena dei monti Pathos. Tra la valle e i monti c’è una boscaglia, che dopo una certa estensione sale brevemente lungo il pendio dei rilievi. Dalla radura della valle, potresti addentrarti nella boscaglia, che si infittisce gradualmente, e procedere sempre diritta nella direzione dei monti, senza mai voltarti né curvare. Dopo un certo tempo avverrà che ti si offuscherà la percezione del tempo e dello spazio, non saprai più esattamente quanto ti sei addentrata, né se i monti sono più vicini o distanti. Un po’ come in un sogno. Ma tu prosegui pure, sempre innanzi, senza distrarre lo sguardo, e poi… vedrai da te.”

-- “Vedrò cosa? Come potrei sapere cosa fare o come, se non so niente?”

-- “Non ti occorre sapere nulla più di ora. Quando ti troverai lì, vedrai. E nel caso, e quando, non riuscissi a discernere e decidere da sola, e avessi bisogno di assistenza e guida, ne troverai lungo la via, per fare ciò che devi.”

-- “E come ci dovrebbe andare una? Cosa si porterebbe? Come andrebbe vestito…?...”, chiede lei, cercando di orientarsi tra le idee.

-- “Non c’è bisogno di portarsi nulla. E non occorre esser vestiti né più né meno di questa sera…Tuttavia, ci sono delle condizioni che occorre osservare per un viaggio nell’al di là. Innanzitutto bisogna rimanere a digiuno per tutto il tempo, o ne deriverebbero dei legami corporali con i luoghi che percorrerai. In secondo luogo, si potrà disporre solo di un periodo massimo di tre giorni, fin tanto che si sta là. Altrimenti, in entrambi i casi, non si potrà più fare ritorno.”

Lazra rimane intimorita e senza parole, fissando l’anziano eremita negli occhi. Poi, scuote leggermente la testa, come cercando di distogliersi da certi pensieri, e guardando altrove, con esitazione, riprende a dire:

-- “…io lo chiedevo come informazione, per curiosità. Volevo saperne di più…” E fa per raccogliersi, si alza, pronta a salutare.

-- “Sì, ho capito. Spero di averti risposto.” Lei lo fissa ancora, con timore e incertezza, e un po’ soprappensiero.

 

E’ il giorno seguente, in un momento in cui la luce sta comunque venendo meno di nuovo, mentre avanza l’oscurità della sera, e Lazra sta percorrendo il medesimo viale del paesaggio naturale a lei noto e caro, nel senso inverso rispetto al giorno prima. Di nuovo, posa lo sguardo sulla catena di rilievi che si scorgono ad una certa lontananza alla sua sinistra, e si arresta qualche istante ad osservarli.

 

Lazra si avvia…:

Qualche tempo dopo, nel buio della sera inoltrata, Lazra è in cammino ad un’andatura decisa e spedita, seppure non veloce. C’è della risoluzione nel suo sguardo fisso di fronte a lei, e nel suo atteggiamento. Si sta avviando, e giunge alla valle dell’Alme. Si ferma sul suo limitare, dove si apre una pianura di terreno erboso, aperta e ariosa, al di là della quale scorge la boscaglia, fitta di varia vegetazione, descrittale dal saggio ex-Custode. Lentamente, e con prudenza, vi si incammina.

Si approssima ai primi alberi, che iniziano radi nella pianura, e rallenta per qualche istante. Vanno via via infittendosi, e lei prosegue addentrandosi con circospezione, procedendo sempre dritto di fronte a lei. Cerca anche, con notevole sforzo, di non distogliere lo sguardo da davanti, per non lasciarsi distrarre da qualsiasi cosa, pianta, ombra, o parvenza che sia, essendo tra l’altro molto arduo riconoscere certe forme nel buio tra gli alberi, dove neppure un remoto bagliore delle stelle riesce a penetrare. Ogni tanto le scorrono le pupille ai lati degli occhi, e ne prova un certo sgomento.

 

Ora io vorrei qui invocare il Signore, affinché mi possa assistere ed ispirare nel proseguimento, perché sono incerto e titubante, non essendo uso alla narrazione, né pratico della scrittura. Ogni volta che ho avuto dei dubbi o delle incertezze riguardo l’esposizione, ho sempre cercato di prediligere una forma di comunicazione che fosse la più efficiente e visiva che potessi. Ho cercato, cioè, di lasciare, per quello che ho potuto, che si illustrassero da sé i fatti e le situazioni, senza addentrarmi in eleganti ed esaurienti descrizioni. Che Dio mi voglia ispirare almeno un po’, tuttavia, per ciò che conta davvero, e cioè il tema della storia, o ben vani e inutili saranno i miei tentativi di pensare a qualcosa.

 

Man mano che  si addentra nella boscaglia, Lazra si abitua un poco all’oscurità, ma più che altro perché le diviene meno estranea ed inusuale col trascorrere dei minuti, e non perché riesca a discernere nulla più di quanto non facesse appena inoltratasi. Un po’ per volta, allo stesso tempo, sente affievolirsi il suo senso dell’orientamento e la sua percezione del tempo. Non si rende più bene conto di quanta distanza abbia percorso, forse, pensa lei, anche per via del fatto che non distoglie lo sguardo da diritto davanti a sé, per cui non partecipa molto delle altre direzioni. Le verrebbe anche voglia di voltarsi, per dare un’occhiata se si scorge ancora la radura tra la vegetazione appena trascorsa, ma ribadisce a se stessa di non pensarci nemmeno. Non saprebbe dire se si trova più in prossimità della vale oppure dei monti che la costeggiano, e per quello che ha presente nel suo spirito, potrebbe anche essersi spinta al di là di quelli. L’unica cosa a cui bada è di proseguire dritta di fronte, come le è stato detto. Quanto più procede, tanto più rimane disorientata, ma non le deriva particolare angoscia o disperazione per questo, quasi sentisse che è di altro che deve preoccuparsi, e a cui deve badare.

 

Incontro con Erì-thong:

Ad un certo punto, innanzi a sé scorge un bagliore, tra gli alberi e la vegetazione. E’ un bagliore discreto, anche se di intensa presenza, delle dimensioni e della forma di un gaiese, o di un uomo, eretto in piedi, e Lazra vi si avvicina proseguendo nel suo percorso. Gradualmente riconosce la figura di Erì-thong, all’interno del bagliore, se non che le pare ringiovanita,: è ora un gaiese di mezza età, pur nelle fattezze di uno spirito, anziché anziano come l’ultima volta che l’ha visto. E’ in piedi, fermo e immobile, con le mani giunte davanti a sé. Le sorride dolcemente.

-- “Ciao, Lazra.” 

-- “Buona sera! Non mi aspettavo di vederla qui…”, confessa la ragazza, “tra l’altro, non le avevo neanche detto che sarei venuta…Comunque è un sollievo!”

-- “Aspetta a dirlo. Nemmeno io, quando ci siamo visti, avevo idea che avrei potuto incontrarti sul tuo cammino, in spirito, come mi vedi.”

-- “Cosa devo fare? Io mi sento così confusa che stavo pensando, quasi quasi, di tornare indietro…”, ammette lei con un tono supplice e sconfortato. “Non ho idea di dove sono, eccetto che la vallata sta dietro, e non si vede niente!...” Ha anche un singhiozzo soffocato, appena percettibile, nel riguardare all’oscurità circostante, “…chissà che mi è saltato in mente in quel momento…”

-- “Se vuoi, sono qui per accompagnarti per un po’…” Lazra lo fissa, meditabonda, in preda all’angoscia e all’indecisione, mentre sta più che altro, per quello che le riesce, ponderando la situazione. “Andiamo…” la incoraggia lui, girandosi accanto a lei, per incamminarsi al suo fianco, accennando ad un confortante sorriso. Lei, con un poco di indugio, asseconda la sua esortazione, e dapprima lentamente riprende insieme a lui il cammino.

-- “Il mondo dello spirito è immateriale, normalmente non lo si percepisce tramite i sensi, e cioè la vista, l’udito, il tatto…E nel manifestarsi, assumerà le sembianze esteriori di colui, o colei, che vi fa visita, perché è la sua stessa immagine che gli si rivela. Nel tuo caso, per esempio, vedrai anime con aspetto di uomini e donne, e della natura umana vedrai e intenderai, originaria del pianeta Terra, con le sue caratteristiche e la sua cultura, di ciò che è stata che è e che sarà. Se fosse un abitante di Gaia, per esempio, a compiere un viaggio nel regno ultraterreno, gli spiriti si manifesterebbero a lui o lei con le sue proprie sembianze, sotto forma della sua stessa natura, secondo il suo mondo.”

Intanto entrambi procedono ad un passo che non richiede sforzi, ma che non è neppure rilassato. Segue un attimo di silenzio tra i due in cui Lazra ode qualche cosa che, a primo acchito, non riconosce bene. Le sembra confuso, e che attraversi grandi profondità di spazi, ma, allo stesso tempo, non da lontano. E poi di nuovo, un poco più distintamente.

-- “Il regno delle anime lo si avverte, lo si percepisce con una vista interiore, spirituale, ed è in seguito ad uno stato di grazia che lo spirito può divenirne sensibile.” Mentre Erì-thong sta pronunciando queste parole, Lazra sente ancora quello che le pare essere dei lamenti di sofferenza, delle grida rabbiose e bestiali, che le affiorano appena all’udito per un istante, e poi si dileguano nuovamente nel silenzio della notte.

-- “Se non è concesso uno stato di grazia particolare, che comunque per un essere vivente non è che temporaneo, essendo un mondo al di là dei sensi corporei, è qualcosa in cui si crede, e che si sente.” Intanto Lazra ode nuovamente dei versi, dei guaiti disumani, e dà delle occhiate attorno con apprensione e sgomento.

Giungono così ad un fiume, dalle acque buie, dense, e in continuo, sordo movimento, da cui si alza uno spesso vapore, che insieme all’oscurità impedisce di scorgere l’altra riva. Lazra è disorientata ed incerta, poiché vede bene che diritti non possono proseguire, se non attraversando l’acqua. Seguono altri momenti di silenzio…Erì-thong è come in attesa.

-- “Ora dovrebbe succedere qualcosa…”, mormora egli quasi tra sé.

 

Caronte:

Allora, dalla nebbia sulle acque Lazra vede materializzarsi e prendere forma, a poco a poco, come se dal nulla, la figura di una barca e sopra di essa un conducente, dall’apparenza uso all’attività dell’unico remo e della conduzione.

Caronte emette in continuazione dei versi e dei grugniti, come se fossero delle contrazioni nervose che talvolta gli fanno fare anche dei movimenti bruschi del collo e delle spalle. Notandoli sulla riva, mentre si sta approssimando per trarre la scialuppa in secco, li apostrofa con dei suoni bestiali, orribili ed incomprensibili, i quali si modulano gradualmente in alcune locuzioni che Lazra arriva ad intendere:

-- “argnweghhrstkgghees…state indietro, schifosi, che ce n’è per tutti, qui…”, esclama, facendo scorrere lo sguardo su Erì-thong e Lazra, che si trovano proprio dove lui sta sopraggiungendo,  e anche oltre di fianco a loro, come se ad altri soggetti che però non sono presenti, o meglio, che Lazra non scorge.

-- “Puoi cambiare tono per questo tratto, che avrai a bordo una visita particolare, ancora in vita e di passaggio. Prova quindi a farti come un gondoliere a Venezia con Proserpina…”, mentre il nocchiero scende dall’imbarcazione, e la trae a ridosso della riva. Lazra, intanto ha dato uno sguardo incuriosito di fianco, per cercare a chi o cosa si riferisse quello, oltre a loro.

Erì-thong si rivolge quindi a lei, avvicinandosi:

-- “L’intera sponda del fiume è popolata di spiriti dannati che sono in attesa di imbarcarsi con il nocchiero, per attraversare il fiume e procedere alla loro destinazione. Non riesci ancora a scorgerli, perché è come se i tuoi occhi si stessero adattando un po’ alla volta a discernere il mondo ultraterreno, come quando la vista si abitua passando da un ambiente luminoso all’oscurità.”

Lazra si inquieta notevolmente al pensiero che ci sia una moltitudine di esseri che non riesce a distinguere, ma che evidentemente scorgono e sentono lei, così come chiunque tra i vivi in un corpo mortale.  

-- “Tieni”, prosegue Erì-thong rivolto a Caronte, porgendogli una moneta. “Questa traversata la facciamo in due”, e indica sé e Lazra lì accanto, “e basta.”

Il conducente prosegue a grugnire e a emettere versi e rumori sommessi, e non replica nulla. Tuttavia Lazra non sta facendo molta attenzione a loro in quel momento, perché ha cominciato a discernere qualche spirito sulla riva, anche se dapprima vagamente, e come ombre. Man mano che si definiscono alla sua percezione, nota che alcuni di loro sono agitati e si lamentano con suoni penosi. Mentre l’ex-Custode e la ragazza terrestre salgono a bordo della barca, essi si dimenano con rabbia, forse in protesta per la situazione anomala. Alcuni di loro si approssimano all’imbarcazione, mentre il nocchiero sta puntando il remo sulla riva per spingerla nell’acqua, e allungano le braccia per afferrarne il bordo. Caronte allora usa il remo come grande bastone, e biascicando delle maledizioni colpisce gli spiriti agitati menando dall’alto verso il basso. In breve la scialuppa è libera, si scosta dalla riva, e si inoltra attraverso il fiume.

 

L’anima delle opere degli uomini:

Con l’addentrarsi, Lazra inizia ora anche a sentire altri suoni, rumori, che prima le erano indistinti. Dalla quiete della natura sente accrescersi i versi degli spiriti agitati, e altri rumori di azioni o situazioni che hanno luogo più o meno lontano da dove si trovano. 

-- “Questa è la città del dolore, della disperazione e della pena senza speranza, e questo corso d’acqua è l’Acheronte, che si trova al suo limitare”, le riferisce allora il saggio eremita. “Per questo luogo oscuro, sei tenuta a passare, ma è altrove che dovrai andare per fare ciò che devi, nel regno superiore dei cieli, nella città di Dio.” Lazra lo fissa attonita, incantata, con la semplicità di una bambina. Si guarda ulteriormente attorno, e per via dei vapori e dell’oscurità vede fino ad una profondità ridotta, ma non scorge al momento altro che un paesaggio naturale, di acqua del fiume, la riva da cui sono partiti, la vegetazione del luogo che hanno lasciato. Anche gli spiriti dannati di poco fa non le sono più riconoscibili ora, eppure, a tratti, ode chiaramente delle grida, dei guaiti dei gemiti di dolore e di sofferenza, seppure non scorga nulla con cui possa pensare di associarli. Erì-thong prosegue a parlarle:

-- “L’anima della statua di Dayéd non è l’anima del Davide Re di Israele, bensì uno dei molti riflessi della stessa, tanto numerosi quanto lo sono le opere d’arte che la rappresentano o la ritraggono. Lo spirito del divino Re, cantore dello Spirito Santo, si trova in Paradiso, nei cieli. L’anima di questa scultura sta invece nel limbo, di questo inferno, dove si trovava pure l’anima dello stesso Re prima che il Salvatore, Gesù Cristo, dopo la Sua morte terrena, la prelevasse insieme a quella di Adamo, di Abele, di Noè, di Mosé e di molti altri, per recarli in cielo, nella sede loro predestinata da sempre. Le anime delle opere d’arte veraci, belle e buone sono intimamente legate a quelle dei personaggi rappresentati, e insieme ad esse rimangono, nel mondo ultraterreno, per condividere e partecipare della loro sorte, e questo anche dopo che avverrà il giudizio universale in cui i corpi dei defunti risorgeranno e si riuniranno per sempre alle loro rispettive anime. E’ come se fossero loro ombre, eccetto che non sono oscure né ‘ombre’ nel pieno significato del termine. Nel caso del Paradiso, che è il luogo della luce, esse sono riflessi luminosi, in questo mondo oscuro, invece, si tratta di apparenze, di riverberi visivi. Un’opera d’arte ben eseguita è sempre un atto d’amore e virtù da parte del suo artefice, talvolta di compassione o commozione, per cui nei cieli essa è sempre, in maggiore o minore misura, un motivo di gioia e gaudio per il soggetto, mentre nell’inferno, nonostante le intenzioni, può essere causa di noia, oppure fastidio e dispetto.”

L’imbarcazione sta ora approssimandosi alla riva opposta del fiume, dove Lazra inizia a scorgere delle ombre e delle parvenze che stanno apparendo come riflessi incorporei, talvolta trasparenti, che tuttavia vanno assumendo consistenza e verità, man mano che si avvicinano e lei vi immerge lo sguardo. Erì-thong prosegue:

-- “Le opere d’arte fittizie, che sono riproduzioni seconde di altri lavori veri e buoni, e che tentano di imitarne la sublimità, senza neppure sfiorarla, o di carpire e appropriarsi del loro spirito e della loro grazia, rappresentandone però solo un remoto e vago simulacro, non hanno un’anima loro. Anzi, è proprio questa che fa la differenza tra un’opera vera ed un’imitazione, una copia essendo un gesto che non è animato dallo spirito, è solamente materialità e corporeità. Tuttavia, nel caso di quella particolare scultura, che è riproduzione del David di Michelangelo, così come di tutte quelle che sono state prodotte per essere spedite nello spazio con lo scopo di inoltrare un messaggio di fraternità, un’anima è stata sì infusa nel corpo di tutte quelle opere, la quale le anima ogni 500 anni nello stesso tempo e per la durata di qualche ora. E’ un’anima che non deriva tanto dall’atto creativo della statua in sé, che evidentemente è carente, quanto dall’importante scopo per cui è stata prodotta. Uno scopo vitale e universale per tutti gli uomini e le donne della Terra, lo stesso destino dei quali è legato agli effetti di quell’atto esplorativo. Lo spirito della scultura si trovava, quindi, in compagnia del suo soggetto ispiratore, fin tanto che questi ha soggiornato nel limbo del mondo infernale, prima di essere prelevato e condotto in alto. Quando questo avvenne, l’anima dell’opera rimase orfana della sua fonte, poiché per il fatto di essere una riproduzione non l’ha potuto seguire dappresso, e questo è il suo decreto divino, scritto da sempre e per sempre. Tale spirito d’arte, anima non solo quella particolare opera, che è giunta sul pianeta Gaia, ma tutte quelle che hanno fatto parte della spedizione. Nel momento in cui l’anima della statua dovesse essere portata fuori dalla sua eterna sede, tali opere verrebbero a dileguarsi e scomparire, come diversi riflessi di specchi a cui si sottrae il soggetto riflettente, fin tanto che l’anima non faccia ritorno all’al di là. Allora, esse riprenderebbero ad esistere, per poi animarsi ogni 500 anni, ad eccezione di quella su Gaia, la quale, avuto in sorte di essersi incarnata in una vita mortale di uomo vero e proprio, viene sepolta definitivamente alla morte di questo.”

Lazra rimane in assorta nell’ascolto, mentre la barca è ora quasi all’altra riva del fiume, e Caronte grugnisce qualche verso inintelligibile, in segno di conclusione del tratto. Scende dal mezzo di trasporto, e lo trae per un istante in secco. I due smontano, e il nocchiero si appresta a ripartire subito, senza porre altro indugio al suo ufficio.

 

Nel Limbo, con Ovidio, Omero e altri scrittori e poeti:

Erì-thong e Lazra si incamminano discretamente per un terreno naturale, oscuro, in cui al momento la vista è molto ridotta e impedita da vapori, fumi e aria spessa, come se il paesaggio si dissolvesse presto nel nulla in tutte le direzioni. Tuttavia, Lazra continua a udire rumori sinistri, lugubri, gemiti e lamenti di tormenti e dolore, con un’intensità che non è al momento definita e costante, ma che va e viene, come in aliti di vento spiranti in diverse direzioni. Nell’avanzare, Erì-thong prosegue a parlarle:  

-- “Il mondo ultraterreno non è visitato spesso da esseri ancora nella vita corporea come te ora. Una volta che ciò è accaduto, e che ha lasciato universale e imperitura fama nel pianeta degli uomini e delle donne, da cui tu provieni, è stato quando ad un poeta di spirito divino fu concesso dal cielo di visitarlo e conoscerlo in estensione e dettaglio tali, e con tale grazia di discernimento e celeste sapienza, che tanti tra i suoi simili ancora stentano a credere che quel suo viaggio sia avvenuto per davvero.” 

-- “Lei conosce questi luoghi?...”, domanda con molta timidezza e titubanza la ragazza.

-- “Non da lungo tempo, ma uno spirito giunge ad intendere il regno delle anime da se stesso, senza bisogno di percorrerlo o visitarlo. E’ come una conoscenza che affiora da sé, una rimembranza che ritorna.”

Mentre stanno così discorrendo, il paesaggio è divenuto più differenziato, con della vegetazione di diverso tipo, e tuttavia priva di colore alcuno, nota Lazra, un po’ forse per l’oscurità, pensa lei, oppure per la particolare densità dell’aria. Si scorgono anfratti rocciosi, anche se le vedute sono ancora brevi, e tenebrose. 

Ad un certo punto scorgono dirigersi verso di loro delle presenze in principio appena visibili in trasparenza, eteree, che ricordano un po’ a Lazra di quelle figure incorporee, che talvolta ha visto su Gaia, proiettate da fasci di raggi che restituiscono un aspetto trasparente in tre dimensioni. Si tratta di parvenze anziane e sagge, che denotano levatura nel portamento e nei gesti. 

-- “Sono le anime di alcuni grandi poeti dell’antichità terrestre, la informa Erì-thong mentre si avvicinano.

Alcuni di loro fanno un cenno del capo in saluto, appena passano loro vicino, senza dare segno di rallentare, e fanno per proseguire oltre, quando uno di loro, in particolar modo, non solo si accorge ma rimane incuriosito dal vedere che la ragazza è viva in carne e ossa. Passando di fianco continua a osservarla.

-- “Scusate, per cortesia”, esordisce allora. “Da dove venite e come mai siete qui?”

-- “Questo è lo spirito di Publio Virgilio Marone, Lazra, probabilmente ne hai sentito parlare”, le suggerisce il compagno. Lei scruta l’anima incorporea, incantata, ammutolita, e anche molto intimorita. Altre anime tra loro si fermano e rimangono in attesa.

-- “Ho notato che sei ancora in vita, e mi chiedevo quale fosse il motivo della tua presenza qui, che senz’altro è eccezionale”, le spiega direttamente il sommo poeta. Lazra, allora si scuote per riprendere della di presenza di spirito.

-- “Mi chiamo Lazra… sono terrestre, ma da quando avevo 7 anni ho vissuto sul pianeta Gaia, dal quale provengo. Mi trovo qui per cercare un’anima in particolare, e per vedere se si può farla ritornare al mondo mortale ancora per un po’ di tempo.” Virgilio la osserva, mentre altri dei suoi compagni ora si avvicinano, tornando sui loro passi, e si interessano all’incontro.

-- “Salute”, interviene uno accanto a Virgilio, facendosi più avanti. “Mi chiamo Publio Ovidio Nasone, sono poeta dell’antichità terrestre. Questi t’è stato detto chi sia, questi altri è Omero, questo è Plutarco, lui è Esiodo”. Poi si rivolta verso lei, e prende a fissarla profondamente, come soprappensiero, e prosegue: “Ci fu, un tempo, un cantore di grande valore, e vasta fama, di nome Orfeo, che è venuto in questo regno eterno alla ricerca della sua amata consorte. Ora si trovano entrambi non distanti di qui.” 

Quello che le è stato presentato come Omero prende allora la parola:

-- “Prova di immenso amore diede Alcesti, sposa fedele di Admeto, re di Fere, in Tessaglia. A questi era stato concesso da Plutone per intercessione di Apollo, di non morire, se al momento di dipartirsi dalla sua vita corporea avesse trovato qualcuno disposto a trapassare in sua vece. Suo padre e sua madre non accettarono lo scambio, per il quale, invece, si offrì la consorte Alcesti. Il suo spirito di sacrificio, tuttavia, fu molto apprezzato e gradito al cielo, come ogni offerta di rinuncia che provenga da vero amore. In seguito, qualcuno dice che Ercole intervenne, giungendo nel mondo delle anime, combattendo la Morte e strappando Alcesti dal suo potere, ma altri narrano che Plutone e Proserpina, gli antichi reggitori dell’Ade, fossero già commossi e ben disposti verso di lei, e che essi stessi le abbiano concesso di fare ritorno al mondo della vita terrena, dal suo amato marito Admeto e dai loro figli.”

-- “E’ una storia molto bella, signore…”, commenta Lazra, “e quanto visse in seguito Alcesti?...” 

-- “Se vorrai, potrai saperlo anche altrove, ed in altro modo, non ti preoccupare”, le risponde il poeta, che poi prosegue: “Ci fu anche Laodamia, moglie di Protesilao, il primo greco a cadere nella guerra di Troia. Alla morte di suo marito pregò gli dèi affinché le concedessero di rivederlo un’ultima volta, e quelli acconsentirono, per il tempo di tre ore. Protesilao si incontrò con Laodamia davanti alla soglia dell’Ade, che è poi l’antico nome di questo luogo, e quando lui fece ritorno al mondo delle ombre, allo scadere del tempo, Laodamia fu così lacerata dal dolore che non poté tollerare di vivere senza di lui, e si uccise pugnalandosi.”

-- “Mi dispiace molto…”, ribatte dopo un attimo di incanto la ragazza. Poi dà uno sguardo anche agli altri presenti tra loro, e prosegue: “Io, in verità, non ho mai conosciuto personalmente questo spirito che stiamo cercando. L’ho sentito parlare per qualche ora, insieme ad altri, e lui non sa neppure di me, anzi, dovrò anche spiegargli chi sono e per cosa vado da lui…Si chiama Dayéd, ed è l’anima di una statua, che prende vita ogni 500 anni.”

-- “Ho presente di chi parli tu”, interviene Plutarco, leggermente più scostato da lei. “Si trova proprio in questo luogo, nel Limbo, non distante da dove siamo noi. Qui stanno le anime di coloro che in vita non adorarono il Signore Dio come si conviene, per il fatto che non conobbero l’incarnazione del Verbo, di Gesù Cristo, che portò la verità del Vangelo nel mondo, o perché vissuti in precedenza e altrove, o comunque perché ciò non fu previsto dai disegni divini. L’anima che cercate si trova con altri spiriti di opere d’arte, da quella parte”, e indica la direzione allargando il braccio sinistro, che risulta verso destra, per Lazra e Erì-thong.

 

Nel Castello, con Orfeo, Enea,…:

I due visitatori si congedano e si avviano di nuovo, nella direzione appena indicata loro, e si avvicinano ad un castello circondato tutto attorno da 7 cinte di mura e da un corso d’acqua. Attraversando su una passerella, entrano nell’edificio, e si spostano verso la zona centrale del prato incolore e ombroso che si trova al suo interno. C’è uno spirito, di giovanile e fascinoso aspetto,  che fa attenzione in particolar modo alla ragazza terrestre, la osserva, ed infine le si avvicina:

-- “Cosa ci fai qui, che sembri ancora viva… sì, sei ancora viva nel corpo?”, la apostrofa.

-- “Sto cercando uno spirito, vengo per lui, e sono di passaggio”, risponde con sorpresa ma non intimidita Lazra.

Lo spirito annuisce, fissandola pensierosamente. Poi prosegue:

-- “Io sono Orfeo, e anch’io, quando ero in vita, ho fatto visita qui, all’inferno. La mia amata moglie Euridice era morta in seguito al morso di una vipera, ma era così giovane, che sono venuto a cercarla per tentare con ogni mezzo di farla ritornare alla vita mortale. Io sono poeta cantore, suono la cetra, e allora mi misi a cantare il mio amore, e il mio dolore, con lacrime e singhiozzi, che quasi non pensavo più a dove fossi. E il canto non fu inutile: fu concesso il prolungamento della vita di Euridice, se solo, nel percorso di ritorno alla mondo mortale, nessuno dei due si fosse voltato indietro. Giusto prima di giungere alla soglia, tuttavia, mi voltai d’istinto per verificare che Euridice fosse con me, e lei si dilegua, da quell’attimo stesso, ritornando alla sua sede eterna tra le ombre. Me ne tornai solo.”

Lazra lo fissa per un istante in silenzio, e poi domanda:

-- “E da quando lei è tornato, ha più avuto modo di incontrarsi con lei…?”

-- “In questo momento Euridice si trova non lontano da qui, ma nel mondo delle anime siamo diventati l’uno per l’altra ciò che qualsiasi altro spirito è per noi, essendosi esaurite le passioni nella vita corporea e sensibile. Nel giudizio finale, riacquisiremo i nostri corpi per sempre, ma la differenza tra uomo e donna sarà lo stesso irrilevante.” Dopodichè si allontana, distratto da altro.

Mentre Lazra sta raccogliendo le idee, fa per rivolgersi verso il Erì-thong e pensare a cosa fare, vede e avverte, in un certo modo, che uno spirito femminile che si sta dirigendo verso la sua sinistra, provenendo da dietro di lei, le passa attraverso, senza che neppure lei lo volesse, poiché stava attenta alla compagnia con cui si muoveva. La intravede mentre quella prosegue, dal di dietro, senza altra sensazione che se fosse stata vapore o fumo.

In quel momento le si avvicina, un’altra anima incorporea, di aspetto fiero e gagliardo, mentre Lazra è ancora esterrefatta e sconcertata.

-- “Io fui un guerriero italico, e uno dei sapienti che hai incontrato prima ha narrato agli uomini e alle donne le mie gesta. In vita venni qui temporaneamente, accompagnato dalla sibilla cumana, per incontrare lo spirito mio padre, morto poco tempo prima. Mi intrattenni con lui, che mi illustrò alcuni eventi che si sarebbero verificati nel corso della mia vita, e ad un certo punto, commovendomi, cercai di abbracciarlo. Per tre volte gli lanciai le braccia al collo, e per tre volte le richiusi a vuoto come con lieve vento o in un sogno.” Rimangono un istante a guardarsi, dopodichè Enea volge lo sguardo al compagno di lei, senza dire nulla, ma come in segno di commiato, e si scosta da loro. Anche Erì-thong e Lazra, allora, si spostano e si dirigono verso l’uscita sul lato opposto.

 

…e Socrate:

Procedendo oltre, in silenzio, Lazra si guarda attorno con interesse, curiosità e timidezza. Ad un certo punto scorge due spiriti sopraggiungere nella loro direzione, né lieti né mesti, che camminano affiancati, pur senza badare l’uno all’altro. Hanno l’aria austera, seria e lucida, e la ragazza riconosce nell’aspetto di uno di loro una figura familiare. E’ come un riflesso, un riverbero dell’anima, che va e viene a seconda della posizione e dei movimenti, e si ricorda di quanto le ha riferito prima il suo saggio compagno. Decide, allora, quasi senza pensarci né rendersene pienamente conto, di prendere l’iniziativa e, scambiatasi con Erì-thong un’occhiata di richiesta e di intesa, si avvicina:

-- “Mi scusi, lei è Socrate, l’antico sapiente filosofo?”

Il filosofo greco la fissa lungamente, sorpreso e disorientato dall’incontro con un essere che gli pare proprio viva, in carne ed ossa.

-- “Sì, sono Socrate da Atene, e questo è Fedone, con cui cammino.”

-- “Io vengo dal pianeta Gaia, ma sono di origine terrestre, e ho potuto disporre di opere e fonti di quel mondo. Ho letto dei dialoghi che Platone ha scritto di lei. Mi hanno molto appassionata. Ho avuto quasi subito la sensazione che molte cose che lei credeva, che sosteneva o che praticava nella sua vita fossero le stesse della vita di San Francesco. Entrambi infatti andavate a piedi scalzi, disprezzavate i piaceri dei sensi e il corpo, e assecondavate le sue esigenze giusto per salvaguardarne la salute, disdegnavate le ricchezze, gli onori e i beni mondani, e ricercavate assiduamente la virtù e l’altezza dell’anima, dello spirito, e l’amore di Dio e del prossimo.”  

-- “In generale”, ribatte il filosofo pacatamente, “gli uomini saggi e di spirito di ogni luogo e di ogni tempo perseguivano nella loro vita, pur con lievi variazioni e sfumature, le medesime cose.”

-- “Io ho trovato straordinario che secoli prima degli insegnamenti di Gesù Cristo, lei sostenesse di non commettere ingiustizie o fare mai del male ad alcuno anche nel caso che un’ingiustizia o un torto lo si fosse subito per primi, perché essi sono comunque sempre di per sé un errore. E’ proprio vero, allora, come diceva Gandhi, che la non-violenza è antica quanto le montagne! Una cosa, tuttavia, non condivido di quelle che le ho sentito dire. E, per l’esattezza, là dove discuteva su come realizzare uno stato ideale e perfetto. Considerava che i filosofi guardiani fossero i cittadini più adatti a governare tale repubblica, e che questo fatto fosse da imporre, anche con la costrizione, a chiunque non lo avesse tranquillamente accettato. Io credo di essere una di quelle persone che piuttosto rimangono soddisfatte di immaginare in cielo certe cose, o di vederle solamente descritte, o disegnate, o rappresentate, che di costringere qualcun altro con la forza ad accettarne la realizzazione. In certi casi, mi sento molto vile, e mi rimprovero di un atteggiamento poco produttivo, ma credo sinceramente nel ‘non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te’

-- “Era un tempo diverso, in cui fui vivo”, replica il saggio filosofo. “Era il V secolo avanti Cristo. E per quanto sentissi già che molte falsità venivano attribuite alle divinità che allora si adoravano dove io vivevo, non avevo conosciuto Cristo. Non avevo sentito il suo vivo e vero, luminoso messaggio di carità, di amore e compassione. Appartenendo a quel tempo e quel luogo, quei termini ci parevano i migliori e i più saggi per immaginarci una città più giusta. Come ti chiami?”

-- “Lazra

-- “Grazie per la tua sincerità”. Lei congiunge le mani davanti al petto, ed abbozza tentennando un mezzo inchino, senza dire nulla, mentre il filosofo riprende il suo percorso, insieme al compagno. Lazra e Erì-thong escono dal castello.

 

Incontro con l’anima della statua:

Lo spirito del saggio profeta la conduce, allora, a trovare l’anima della scultura. Lei riconosce immediatamente lo spirito che ha ammirato la sera della congiunzione astrale in cui la statua si è animata.

-- “Buon giorno”, dice Lazra vedendo Dayéd, con dei brevi e rapidi abbassamenti del capo in segno di ossequioso saluto.

-- “Buon giorno”, le risponde lui, seppure senza partecipare molto della situazione. Dayéd non la riconosce a sua volta, non ne ha il motivo, non avendole dedicato alcuna attenzione particolare durante la sua breve apparizione su Gaia.

-- “Mi chiamo Lazra, e sono la figlia adottiva del Presidente del Consiglio dei Dodici del pianeta Gaia, dove lei è recentemente apparso per la durata di qualche ora notturna. Oltre ad illustrare la civiltà degli uomini e delle donne del pianeta Terra, ha parlato di una situazione difficile, per via della quale alcuni di loro avevano pensato di inviare un messaggio di alleanza nello spazio. Gli abitanti di Gaia non dispongono, però, di informazioni sufficienti per cercare di rispondere, o comunque fare una qualsiasi cosa a riguardo. E allora poco fa sarei giunta in questo luogo, con la indispensabile guida e compagnia di Erì-thong, qui con me, per vedere se è possibile farla ritornare al mondo temporale, vivo in un corpo mortale. Lei potrebbe così, forse, comunicare qualche altra notizia utile“.

Dayéd ascolta e lentamente annuisce con prontezza, come se non avesse mai smesso di pensare e badare alla questione dei gaiesi.

-- “D’accordo”, risponde quindi. “La cosa non dipende certo da me, e non ho idea se sia possibile. Ma per quello che può valere, verrò subito con voi, se così volete.”

-- “Sì, credo che si possa fare…”, risponde Erì-thong con aria riflessiva.

 

Minosse:

Riprendono il cammino, e a Lazra l’ambiente circostante continua a rivelarsi per brevi estensioni, cioè riuscendo a discernere non più che ad una ridotta profondità, che pure varia a seconda del momento e del luogo particolare, per via dei vapori, del fumo e soprattutto del’oscurità ininterrotta che si estende, in certi casi, per lunghi tratti. E’ Erì-thong che, nonostante la ridotta visibilità, sembra riconoscere via via i vari luoghi, e il percorso attraverso di essi.

Dopo poco tempo che si sono dipartiti in compagnia dello spirito della scultura, il saggio eremita si sente apostrofare da tre anime che, di lato, attirano la sua attenzione. Si volge per scorgerle meglio, e tutti e tre rallentano il passo momentaneamente.

-- “Io sono l’anima di un guardiano della repubblica ideale di cui ha discusso Socrate in un dialogo trascritto da Platone, costui è lo spirito di un cavaliere Jedi, della repubblica che è esistita anche prima di Socrate, e quest’altro è un Samurai dell’ordine della moderna utopia”

Erì-thong annuisce prontamente, senza rispondere nulla, e si volge verso i giovani compagni:

-- “Se potete aspettare qualche istante, sarei molto interessato di scambiare qualche parola con costoro…”.

Lazra e Dayéd annuiscono positivamente, e si fanno da una parte per i fatti loro. Per discrezione si aggirano casualmente per i paraggi, con lentezza, senza meta, e scrutando attorno per quello che possono.

-- “Che accade laggiù?”, domanda Dayéd a Lazra, indicando con l’espressione del viso un folto assembramento di spiriti dannati, poco più oltre, che si sperde più per la trasparenza degli spiriti ad una certa distanza, e al buio, che per un limite definito al loro numero. Notano che sono quasi tutti di schiena rivolti verso un punto al di là di loro, dove si trova qualcuno che ascolta ciò che essi hanno da dire o da offrire, e dopo che questo avviene qualche spirito, disperando in seguito ad una sentenza, se ne parte di là per sempre.

-- “Non so…”, risponde lei, “sembra che gli spiriti arrivino in continuazione, e poi si dipartano, dopo che succede qualcosa…”Si scambiano un’occhiata nervosa e incuriosita, e si avviano gradualmente in quella direzione, mentre Lazra si gira a guardare il sapiente eremita, che è impegnato con i tre spiriti. Vedono i dannati di spalle tutti concentrati davanti a loro, e giungono a scorgere il centro dell’attenzione. Intravedono allora Minosse, un essere gigantesco, con aspetto severo e bestiale, di dimensioni e proporzioni più volte maggiori rispetto a quelle degli uomini e dei gaiesi. Si trova semi-sdraiato per terra, con il busto appoggiato sul gomito dell’avambraccio destro. Allo stesso tempo che Dayéd e Lazra scorgono lui, Minosse si accorge della loro presenza, pure in mezzo a quella moltitudine, e riconosce immediatamente la ragazza per essere ancora nella vita mortale, anziché defunta come tutti gli altri spiriti presenti. I dannati direttamente attorno ai due nuovi arrivati, notando che questi richiamano un’attenzione particolare da parte del gigante davanti al quale sono disposti in attesa, si scansano da una parte, e lasciano una certa libertà di passaggio tra loro e Minosse. Questi, dopo un attimo di sorpresa e sconcerto per la novità, prende a ghignare cavernosamente alla vista di Lazra, ed esordisce:

-- “Non è che sia un mestiere divertente per nessuno questo…”, dice tirandosi su a sedere e indicando lo spirito dannato di turno davanti a lui, quasi rispondendo alla curiosità dei due. La sua voce è bassa, ma profonda e cavernosa, che per Lazra è udibile e allo stesso tempo tattile, per via delle vibrazioni da cui si sente scossa in certi toni. Lei e Dayéd, lungi dal volere attirare tanta attenzione, indietreggiano lentamente, dando segno di non avere intenzione di disturbare.

Allora Lazra si sente afferrare il braccio sinistro, da qualcosa che la stringe e la tira verso il mostro gigantesco. Si accorge essere la stessa coda di Minosse, che si può srotolare fino ad una certa lunghezza. Dayéd cerca inutilmente di fare presa su di essa, ma rimane, fin che può, accanto alla ragazza. Lei non può che assecondare la trazione, e quello, seduto appoggiato sul palmo sinistro, arriva ad afferrarla con la mano destra, stringendola con il pollice sul suo ventre, e le altre dita oltre i fianchi, dietro la schiena.

-- “Che bel corpicino ti riveste ancora, piccola! Dove stai andando? Sei venuta a trovare me per caso? Oh, non ti vergognare se è per quello, tutti questi che vedi sono qui per lo stesso motivo…!”

Dayéd cerca invano di afferrare la mano e il braccio che stringono la ragazza, e si scansa quindi di lato riflettendo sul da farsi e intimando con severità al gigante di fermarsi. Minosse gli lancia uno sguardo adirato e minaccioso, e ringhia verso di lui digrignando i denti. Lazra tenta di divincolarsi dalla presa gigantesca, colpendola con le mani, e poi facendo presa e tirando, per quello che può, ma inutilmente. Minosse la stringe un poco, allungando un sorriso verso di lei, e le fa scorrere in su il pollice lungo il busto, ma nel fare questo gli si sbilancia la presa tra davanti e dietro, e Lazra riesce a scivolare verso il basso, e a ricadere per terra.

Sopraggiunge allora Erì-thong, che insieme a Dayéd raggiunge Lazra che si sta ricomponendo, e le si pongono a fianco.

-- “Minosse,” lo apostrofa lo spirito dell’ex-Custode con tono cauto ma fermo e deciso. “Lascia perdere questa ragazza, non pensarci più, non è giunta qui per essere vagliata e giudicata da te, come il resto di queste anime dannate, che si sono appena partite dalla loro vita terrena. Lei è ancora viva nel suo corpo mortale, te ne sarai accorto, si trova qui di passaggio. E’ altrove che deve andare, e noi due dobbiamo accompagnarla. Ti ricordi di Polifemo follemente innamorato di Galatea, che si adirò con Aci, il giovane amante di lei. Lo uccise, scagliandogli addosso un pezzo di montagna, e dai suoi resti si originò la fonte di un fiume, di cui lo spirito di Aci divenne la divinità. Ebbene Dayéd, qui, è già spirito, e non uomo di carne e sangue, amante di passione. E Lazra non è qui per amore di lui, bensì di tutti i suoi simili terrestri. Non stizzirti, dunque, e lasciaci proseguire che lei è attesa più in alto.” Allora la ragazza, mezza terrorizzata e mezza frastornata, si ritrae timidamente, con sguardo sommesso, e i tre si allontanano.

 

Incontro con Cerbero:

Lazra, Dayéd e Erì-thong procedono sul loro cammino, che è indicato e diretto dallo spirito del saggio eremita, mentre la ragazza si sta riprendendo dallo sconcerto dello spavento.

Ad un tratto, balzando allo scoperto da dietro una roccia, si para innanzi a Lazra un essere che ruggisce tremendamente, in modo feroce e doloroso per l’udito, e quando si assesta sulle tozze zampe, la ragazza discerne più nitidamente la figura di un enorme, mostruoso cane a tre teste, con una coda di serpente e ricoperto di viscide scaglie. Questo si dimena, scruta la ragazza con livore dai vari occhi, scuote tutte le teste, sbavando dalle bocche e continuando ad emettere versi immondi e ruggiti cavernosi. Muove lentamente le zampe verso Lazra, mentre lei, rimasta senza parole e impallidita dal terrore, indietreggia alla cieca, barcollando senza distogliere lo sguardo impietrito dall’essere. Giunge così contro una parete rocciosa, verso la quale la spinge la lenta ma inesorabile avanzata del cane, vi si appoggia e vi striscia contro. Lo fissa terrorizzata e fuori di sé, pallida e tremebonda, neppure ricordandosi più della presenza degli spiriti compagni. Erì-thong, allora, scivola di soppiatto di fianco a lei a ridosso della parete di roccia, ed estrae dagli indumenti tre focacce al miele. Raccoglie da terra tre pietre, che avvolge interamente con ognuna delle focacce, e si prepara a lanciarle alla bestia. Ne getta una, alla testa di mezzo, che l’afferra al volo; un’altra a quella di lato, e l’ultima a quella sull’altro lato. Ora il mostruoso cane si arresta, ed è intento a masticare con tutte le fauci delle tre teste. Presto i colli iniziano a contorcersi, e avvertono i corpi intrusi presenti nel cibo. La bestia emette dei versi di dolore, ruggisce e latra, in più direzioni, si contorce e si rigira su se stessa, si butta a terra e si rotola sul dorso e sui fianchi. Si rialza, mentre la ragazza e Erì-thong sgusciano via da quell’angolo e raggiungono Dayéd. Il cane si scaglia contro la parete rocciosa dove un attimo prima si trovava Lazra, vi sbatte le teste, vi struscia con foga disperata i colli e i fianchi. Quindi si rimette sulle zampe, e si allontana, a tratti scattando di corsa, a tratti camminando, o appena trascinandosi.

-- “Quello è Cerbero”, riferisce allora l’ex-Custode. “E’ quasi impossibile percorrere questo mondo oscuro senza incontrarlo, anche se non si passa per dove si trova lui. Apposta avevo portato con me quelle focacce al miele, che sapevo che ne va ghiotto.”

-- “Sta…m-morendo?...”, chiede balbettando la ragazza, ancora in preda al terrore.

-- “Digerirà le pietre”, le risponde il sapiente, “e le espellerà da quella carcassa infernale come tutto quello che trangugia, ma almeno per il momento si è distratto un po’…Cane immondo, non è servito neanche l’essere stato legato a un guinzaglio a mutarne il carattere. Una volta Ercole è venuto fino a qui per catturarlo, lo ha immobilizzato, ponendogli un laccio attorno al collo di mezzo, e lo ha condotto al mondo temporale, come l’ultima delle sue fatiche. In seguito, Cerbero è stato riportato in questo luogo. ”

Dopodiché osserva per un istante le direzioni e aggiunge:

-- “Ora proviamo a riavviarci.” Dà uno sguardo caloroso a Lazra che le è di conforto e incoraggiamento.

 

La palude Stige:

Per le vie meno impegnative, dal punto di vista dell’attraversamento dei luoghi di supplizio e di contatto con i dannati, attraverso discese scoscese  e impervie, e passaggi stretti e poco sicuri, i tre giungono infine alle rive di un immenso pantano fumante. Lazra e Dayéd osservano con apprensione il nero liquame fangoso, viscido e in continuo fermento ed ebollizione, che si estende ai loro piedi in avanti, fino all’altra sponda.

-- “Questa è la palude Stige”, li informa Erì-thong. “Si tratta di un’ampia fossa che circonda le mura della città di Dite, che si possono scorgere sulla riva opposta, laggiù.”

Dal luogo in cui si trovano, essi riescono a vedere le mura della città di Dite dall’aspetto rosso e rovente, con tremolanti bagliori di fuochi fumosi sulla cima e al di là delle mura stesse, ma non distinguono esattamente che cosa avvenga sull’altra riva, alla quale sono diretti, essendo l’ambiente buio, molto cupo e tetro.

In un ambiente notturno, rischiarato localmente da bagliori e tenui riflessi, a breve vedono arrivare un nocchiero a bordo della sua imbarcazione con la quale devono attraversare la palude, come tutti gli spiriti che di qui passano dopo essere stati giudicati da Minosse.

-- “Questo è Flegias”, li informa Erì-thong prima che quello giunga.

Salgono quindi a bordo, senza dire una parola, e senza che Flegias stesso apra bocca, quasi che già sappia della particolarità della situazione, oppure semplicemente non gliene importi nulla e prosegue il suo mestiere. Nell’inoltrarsi sul liquido melmoso, Lazra ha modo di osservare più da vicino che ci sono degli spiriti dannati immersi nella palude, in parte a fior d’acqua, che si percuotono con le mani, i piedi, la testa e i denti, ed in parte sommersi, che pare gorgoglino il loro peccato in profondità facendo ribollire la superficie.

-- “In questo luogo si sconta la pena dell’iracondia, dell’accidia e della superbia”, riferisce l’anima del sapiente eremita. “Alcuni spiriti li si possono vedere, perché sono in superficie, ma altri sono sempre completamente immersi, per cui si notano solo per i movimenti e il ribollimento del liquame”.

Qualcuno dei dannati nota il peso particolare della barca, e affiorando alla superficie si accorge delle circostanze del carico. Loro passano oltre, mentre Erì-thong prosegue:

-- “La città di Dite è la parte più bassa dell’inferno, ed ospita gli spiriti che hanno scelto di peccare secondo volontà, mentre nella parte esterna alle sue mura, si trovano i peccatori incontinenti.” Lazra accoglie queste informazioni con un rispettoso silenzio, come una scolara che ascolta attentamente un mentore. Dopo una pausa, Erì-thong riprende:

-- “Sull’altra riva di questa palude, all’ingresso di Dite, si aggirano le Furie, insieme alla gorgone Medusa. Sono esseri che sarebbe molto meglio non incontrare, e spero che ciò non accada, ma nel caso si dovessero accorgere di noi, è bene usare prudenza. Nella vita mortale, Medusa è stata la più terribile delle gorgoni, aveva il capo ricoperto di serpi e serpenti che le ricadevano anche sul corpo, e soprattutto aveva uno sguardo che rendeva di pietra chiunque la guardasse direttamente negli occhi. Tanti uomini e donne valenti sono stati letteralmente impietriti, divenendo di sasso, per essere incorsi in quell’avventura. Solo Perseo è riuscito a vincerla, e a tagliarle infine la testa ricoperta di serpi, perché evitava di guardarla direttamente ed osservava nel suo scudo il riflesso di lei, finché non le è giunto a portata di spada. Dal sangue della gorgone è sprizzato fuori un cavallo bianco alato, dal nome di Pegaso, con cui Perseo si è da allora spostato di luogo in luogo. Lo spirito di Medusa, tuttavia, infesta tuttora la riva di fronte, verso cui stiamo dirigendo, e il suo sguardo, se qualcuno la fissa da vivo nel suo corpo di carne mortale, ha il medesimo effetto di prima. Per questo, se si dovesse presentare, sarebbe bene fare attenzione per Lazra,” e rivolge lo sguardo a lei più particolarmente. 

 

La Città di Dite: 

Per il resto l’attraversamento procede in silenzio, sia da parte degli spiriti del fango, sia da parte dei visitatori. Giungono cosi all’altra riva, e smontano dall’imbarcazione.

Appena giunti si accorgono del movimento e dell’agitazione che caratterizzano questi luoghi della sponda, tra le mura della città e le rive della palude, che non potevano essere scorte dal lato opposto. Di lì a breve distanza, in prossimità delle porta nelle mura, sono presenti degli spiriti dannati che dimostrano sospetto e diffidenza nei confronti dei nuovi arrivati, mentre due, i più vicini, si sussurrano qualcosa, mandando sguardi canzonatori e minacciosi nella loro direzione. Dopodiché uno di questi decide di avvicinarsi, e giunto a qualche passo grugnisce:

-- “Guardate che questo non è mica un posto dove si può venire così come uno gli gira, eh!”, e indica con un gesto del braccio altri dannati lì presenti, e le mura della città alle loro spalle. Notando che nessuno dei tre gli risponde, fa un gesto di stizza, rotolando le pupille al cielo, e si volta ai compagni. Dietro di lui, allora, numerosi sono gli spiriti dannati che esclamano e gridano delle prepotenze e delle volgarità, nella direzione dei tre, che tra l’altro risultano poco comprensibili o intuibili. Fanno dei versi e dei movimenti con il corpo, per intimare loro di indietreggiare ed allontanarsi, nella direzione da dove sono arrivati. Per lo più essi si rivelano ostili e di ostacolo al proseguimento del loro percorso, ed evidentemente sono disturbati in particolar modo dalla presenza di una persona viva. A Lazra, infatti, è diretta la maggior parte degli sguardi e delle attenzioni.

-- “Andatevene!!”, sentono qualcuno gridare da presso le mura.

-- “Via!!!”

Altri e più numerosi, nel frattempo, si agitano e incalzano nella loro direzione.

-- “Via!! Ma ci sarà un motivo se tutti qui diciamo la stessa cosa, no?”, proseguono i versi e i grugniti.

-- “Sì! Che non se ne può più!!”. Qualcuno ridacchia, commentando con il vicino. Altri mugugnano con aria offesa e ostile, lanciando occhiate nemiche verso Lazra, Erì-thong e Dayéd.

Lo spirito dell’ex-Custode si rivolge allora a Dayéd e alla ragazza:

-- “Non c’è da sorprendersi, né da farci particolare attenzione. In un luogo come questo, solo uno spirito della stessa risma non susciterebbe una reazione come questa al suo arrivo.” Dopodiché, nonostante lo strepito ostile circostante, si raccoglie ulteriormente con i due compagni, e riferisce loro:

-- “Quello che era il mio compito, nell’accompagnarvi all’andata attraverso il mondo eterno delle anime, si sta esaurendo, ormai. Troverete assistenza altrove, e in altro modo. Quello che occorre che facciate ora è di varcare la soglia di Dite, attraverso quelle porte. Nel fare questo, non entrerete propriamente nella città infernale, che è delimitata da quelle mura, ma sarete trasportati in cielo, come attraverso una visione celeste.” Fissa diritto negli occhi la ragazza e Dayéd, con una concentrazione ed un’intensità che cancellano dai loro spiriti qualsiasi distrazione o presenza secondaria.

 

Le Erinni:

Improvvisamente, mentre i tre stanno radunando le idee sul da farsi, e sono l’oggetto delle attenzioni e delle imprecazioni degli spiriti circostanti, appaiono loro le Erinni: Megera, Aletto e Tesifone. Volano in alto, nell’aria buia e densa di vapore fangoso e puzzolente, e si avvicinano, tutte e tre insieme, avvolte da serpenti grossi e piccoli alle braccia, al collo e nei capelli. Appena avvistati i nuovi arrivati, esse si infuriano, e dimostrano immediatamente un atteggiamento di disprezzo e di spregio nei loro confronti:

-- “Aaaaggghhh!!!!”, esordisce esclamando la prima tra esse, lanciandosi in avanti verso i tre, rispetto alle compagne. “Ancora presuntuosi e arroganti che si sono messi in testa di attraversare impunemente questi luoghi oscuri, senza esservi richiesti, e prima che sia il momento?! Che cosa mai pensavate di avere a che fare qui, con la comunità dannata?”

Nel pronunciare queste esternazioni, si è arrestata a mezz’aria, sopra Erì-thong, Lazra e Dayéd, in parte per squadrarli meglio, ed in parte per attendere di essere raggiunta dalle sorelle e decidere che provvedimenti prendere. Continua lentamente a sbattere le sue enormi ali squamate, a riflessi di colore cangianti tra il verde e il giallo sporco, mentre smette di parlare, poiché dalla bocca le fuoriesce un rettile, con la testa dapprima, e poi con l’intero corpo, che ricade in basso sulla proda. E’ ora una delle sue compagne ad intervenire, mentre la stanno affiancando:

-- “Fatevi indietro! Ritornate sui vostri passi!!”, esclama, mentre la prima ha uno sbotto di risa che cerca di contenere per non interrompere la disputa. E la terza prosegue:

-- “A nessun essere vivente è più concesso di mettere piede, neppure per un breve momento, all’interno della città terribile!”

Dopodiché, mentre quest’ultima che ha parlato accenna ad un ghigno e le sbuca fuori da un orecchio una biscia sottile, le tre Erinni sembrano fremere nell’attesa di muoversi, ed improvvisamente si scagliano tutte insieme nella direzione dei nuovi arrivati. Questi reagiscono con terrore e tempestività, Lazra emette un grido stridulo e disperato, e si porta le mani verso i capelli, come per coprirsi. Erì-thong, tuttavia, mantenendo il controllo dei nervi e delle sensazioni, esorta i suoi due compagni a scansarsi da una parte. Nel movimento Lazra inciampa e cade, e verso di lei si abbassano anche i due spiriti del saggio e di Dayéd, cosicché le Erinni in picchiata virano in avanti e in su, riprendendo leggermente quota, ma allo stesso tempo percorrendo per qualche istante un tratto nella direzione dei dannati di fronte alla porta di Dite. Questi a loro volta, usi ad avere timore delle Erinni e delle gorgoni, si fanno prendere dallo sgomento e dal panico, e si scostano rapidamente da lì davanti, lasciando una certa libertà di passaggio. Erì-thong si accorge immediatamente di questa novità, e sollecita Lazra e Dayéd a dirigersi senz’indugio verso l’ingresso non distante. Questi reagiscono con prontezza, e prima che i le furie alate facciano in tempo a raccogliersi e a tornare all’attacco, essi hanno raggiunto e varcano la soglia della città infernale.

 

Varcano la soglia di Dite:

Attraversato l’ingresso della città di Dite,  Lazra e Dayéd si immergono in un chiarore candido e soffuso, dapprima leggero ma sufficiente a fare chiudere gli occhi abbagliati di Lazra, abituata come è all’oscurità dell’inferno. Anche a occhi chiusi, tuttavia, scorge il chiarore che cresce gradualmente di intensità, mentre si dilegua qualsiasi contingenza del luogo e del momento. Ad un certo punto riescono appena a scorgere delle presenze particolarmente luminose, bagliori vividi e accecanti, che si muovono nella luce generale, si accostano loro, con maniere carezzevoli che Lazra percepisce essere così soavi e armoniose come niente di cui le sia stato dato di fare esperienza prima d’ora. Senza potere usare molto la vista, essi si sentono alleggeriti e trasportati in sospensione, mentre la luce soffusa aumenta sempre più di vivacità, e presto diviene abbagliante come le presenze stesse, le quali si fondono con tutta l’atmosfera. La luminosità riempie i loro occhi ed i loro spiriti, li ricolma permeandoli interamente, al punto che Lazra, unica ancora viva in un corpo sensibile, perde la sensazione della propria corporeità, e dopo averli sospesi in una transizione senza luogo e senza tempo, essa si stempera e affievolisce progressivamente, lasciando alla ragazza la possibilità di riacquistare le sue sensibilità e le sue cognizioni materiali.

 

Nel Regno Celeste:

Si scambiano vicendevolmente delle occhiate di verifica e conferma, esitanti, disorientati e intimoriti dall’essere in un luogo nuovo e non poter più contare su una guida sapiente. Si ritrovano nel Regno Celeste superiore, dove il colore celeste delle profondità infinite, ravvivate da luce soffusa, è sfumato da biancori puri e limpidi, di diversa densità e consistenza, che si spargono e distribuiscono in ogni luogo con percepibile movimento continuo. L’aria è tersa e chiara, non c’è traccia di cose materiali o terrene; i due sono come sospesi nello spazio, Lazra compresa, per via di una grazia eccezionale concessale. Non esiste alcun rumore molesto o discordante, alcun accidente visivo o uditivo: ogni cosa è in armonia perfettamente misurata e proporzionata con tutto l’ambiente e quanto in esso si trova. Volgere lo sguardo per tali spazi luminosi è permearsi e colmarsi lo spirito di una totale consonanza. A dire la verità, non ci sono proprio parole che potrebbero dare una descrizione adeguata.

-- “Sai che sensazione ho?”, sussurra Dayéd nella direzione della ragazza.

-- “Che cosa…?”, chiede lei, piacevolmente incuriosita dal fatto che Dayéd stia per farle una confidenza.

-- “Un’opera d’artefice, di quelle che si vedono, si odono, o si toccano nella vita mortale, ha lo scopo di rappresentare una parte o un’esperienza del creato e della vita, e ne è un’impronta, una traccia, con un’interpretazione dell’autore che si ispira all’armonia, all’ordine e alle proporzioni della natura e cerca di informarne la sua opera. Così il mondo mortale, che diviene nel tempo, mi pare ora un’impronta, un riflesso momentaneo e parziale di queste estensioni e questi ambienti, che si espandono ovunque e sempre. L’armonia e le esatte proporzioni, in questo caso, non vengono ispirate da un’altra fonte, ma sono proprietà illimitata e universale dell’artefice.”

 

Michelangelo…:

In queste atmosfere celesti e musicali, di una melodia che non si ode con le orecchie ma si vede con gli occhi interiori e si sente con lo spirito, appaiono a Lazra e a Dayéd dei bagliori, che a volte si distinguono appena dalle profondità degli spazi luminosi, e a volte rifulgono in modo chiaro e evidente. La loro stessa luminosità è a momenti stabile e costante, e a momenti mutevole e animata da baleni. Sono in assoluta armonia tra di loro e con il tutto del quale sono parte, e trattandosi qui di infinito, la parte è uguale al tutto.

Uno di quei bagliori, allora, si fa incontro ai due nuovi arrivati; vivido, emana luminosità al punto da non riuscire Lazra a distinguere dei profili precisi alla sua figura, né a sopportarne continuamente a lungo la vista. Giunto nelle loro vicinanze, lentamente si ferma, e con infinita grazia la sua figura si rende più definita e intelligibile. Fa quindi un passo avanti, e rivolge loro la parola, aprendo leggermente entrambe le braccia, un poco piegate ai gomiti, e con le mani rilassate e distese:

-- “Benvenuti Lazra e Dayéd ”, esordisce dolcemente. Non si trova proprio appresso a loro, tuttavia, Lazra e Dayéd riescono a udire la sua voce come se fosse sussurrata nelle loro orecchie. Prosegue:

-- “Nella vita mortale di un tempo passato, io fui un artefice originario di Firenze, città del pianeta Terra. Il mio nome è Michelangelo Buonarroti, e a me è accorsa la ventura di scolpire l’opera originale di David, grande il doppio delle dimensioni reali, da cui è stata tratta la riproduzione che i gaiesi hanno rinvenuto su Atlas. Ora è per volere divino che sono stato chiamato ad assistervi e ad accompagnarvi oltre nel percorso.”

I due visitatori si scambiano un’occhiata timida e di conforto. L’artefice prosegue:

-- “Sono stato scelto io in particolare per questo compito non perché abbia merito o desiderio maggiori rispetto ad altri spiriti celesti, ma per il fatto che, essendo la statua per cui voi siete qui a chiedere grazia una copia di quella mia opera, ciò sarebbe stato una conferma positiva e un segno di benevola disposizione da parte del cielo.”

Lazra e Dayéd continuano a fissarlo con incanto, e dopo le ultime parole, la ragazza abbassa leggermente la testa con tentennamenti in segno di ossequio e gratitudine. Entrambi si sentono tuttavia timidi ed impacciati. Lo spirito celeste riprende la parola:

-- “La mia sede nel Paradiso si trova tra le anime che hanno servito la fede e lo Spirito Santo tramite la cultura dell’arte, producendo manufatti, rappresentazioni o opere che avessero lo scopo di divulgare, a chiunque ne fosse interessato, la Parola delle Sacre Scritture, o più in generale di interpretarne e anche trasfigurarne il senso ed il significato in forme ed espressioni varie, che arrivassero a toccare e commuovere intimamente l’animo degli uomini, sensibilizzandolo alle cose del bene, dell’amore, della verità e della misericordia.”

I due visitatori lo fissano assorti e immobili, mentre lui si avvicina lentamente di qualche passo, e continua:

-- “Così come gli spiriti di Traiano e Rifeo, che propriamente cristiani non furono, essendo vissuti prima dell’incarnazione di Gesù, si trovano tuttavia in questi cieli, tra coloro che hanno governato le nazioni nella vita terrena, per via dell’ardente amore per la giustizia che li caratterizzò, e così come in Paradiso si trovano spiriti divini come Gandhi, seppure non sia mai stato battezzato e praticasse un’altra religione, così ci sono opere che magari non hanno direttamente a che vedere con le Scritture e con i temi sacri in senso stretto ma che ne interpretano sentitamente e profondamente lo spirito.”

 

…e altri bagliori:

Dopo avere pronunciato queste ultime parole, l’anima di Michelangelo compie con grazia un quarto di giro su se stessa, e volge lo sguardo più in profondità, dove Dayéd e Lazra, riguardando a loro volta, scorgono ora un gran numero di bagliori, che si muovono e si incrociano e passano davanti e di fianco l’uno all’altro, mentre l’intensità della loro luminanza varia gradualmente, come quella di una fiammella esposta a all’aria. I due nuovi arrivati non riescono nemmeno a distinguere fin dove si estende la moltitudine, tanto si rende loro trasparente ed invisibile nelle profondità senza fine. Michelangelo prosegue riferendosi a loro, che seppure siano indefiniti nelle fattezze agli occhi di Lazra e Dayéd, paiono partecipare, riconoscere il cenno e rendere segni di saluto:

-- “L’anima che fu Raffaello Sanzio, si trova qui, così come Le Corbusier, Frank Lloyd Wright, Giotto, Victor Hugo, Lev Tolstoj, Alessandro Manzoni, Dante Alighieri, maestro di coloro che si vogliono informare riguardo al mondo ultraterreno, e infiniti altri, passati e futuri.”    

I due interlocutori scorrono lo sguardo incantato ed esterrefatto, Lazra ha la bocca semi-aperta, e le trema il labbro inferiore.

-- “Lo spirito delle loro opere vere e buone”, riprende l’artista, “fa esso stesso parte di Paradiso, contribuendo all’emanazione aurea che sprigiona da ogni essere spirituale che potete scorgere in questi spazi, e quando si verificherà il giudizio universale, anche dal suo corpo, che sarà risorto ad esso.”

-- “Erì-thong, che ci ha accompagnato fino a poco fa,” mormora con tono lieve Lazra, “mi ha accennato a questo riguardo…”. Michelangelo le sorride lievemente annuendo:

-- “Come i riflessi di uno specchio derivano dalla presenza di un soggetto davanti alla superficie liscia e riflettente, così l’anima di un’opera da parte di o in onore di qualcuno, che sia dipinto, scultura, scritto, concetto, musica, filmato, o, più in generale, un’azione, ne va a costituire un riflesso luminoso, un’emanazione emotiva, che deriva e si sprigiona dall’interessato. Il modo in cui nel mondo sensibile qualcuno che ha fumato molto mantiene l’odore del fumo su di sé, che è riconoscibile da altri, oppure uno che ha mangiato qualcosa può riportare nell’alito un sapore particolare, può essere indicativo di come lo spirito di opere vere emani dal bagliore del soggetto interessato. Talvolta le anime delle opere sono prevalentemente rappresentazioni di un soggetto particolare, e vanno così ad associarsi a quest’ultimo, e non solamente in Paradiso, come sapete, bensì anche negli ambienti inferiori; le anime di altre opere, invece, quali possono essere gli scritti o dei film che narrano una storia, con personaggi ed eventi di fantasia, oppure delle realizzazioni architettoniche, tecniche, così come delle scoperte scientifiche, e, più in generale, delle azioni di carità, ed espressioni di amore e misericordia, non riferendosi queste a dei soggetti particolari, si associano ai loro stessi autori, oppure agli spiriti che sono in qualche modo ad esse correlati.”

Allora, Dayéd si fa del coraggio e domanda:

-- “Questi riverberi luminosi determinano differenze di merito?...”

-- “Esistono gradi maggiori e minori di grazia e virtù, ma non è che un soggetto risulti più meritevole di altri in base a tali intensificazioni luminose, poiché l’emanazione di grazia da ogni anima esiste comunque, più o meno evidente secondo gli eterni decreti divini, e non è condizionata da questi contributi. Tuttavia, quando essi sono presenti, divengono parte ed essenza dell’atmosfera che origina dal soggetto. Inoltre, l’emanazione di un particolare bagliore, quassù, appartiene tanto al soggetto stesso quanto a tutti quanti, ovvero a nessuno in particolare, ma al tutto. Quindi ogni bagliore non può che gioire e godere della luminosità degli altri, come se fosse la propria. In certo modo simile a come nella vita terrena gli esseri viventi, terrestri o gaiesi, traggono diletto dal vedere qualcosa di bello, una figura dipinta, una forma, un’animazione, dallo sfogliare uno scritto, oppure dall’udire dei suoni ritmati in proporzioni. Come già ti è stato rivelato in altro luogo, Lazra, questo vale per le opere d’artefice vere e belle, che quindi derivano da verità, e non per le riproduzioni e le copie di altri lavori, o le opere che comunque si ispirano a riflessi secondari e smorti, o peggio a false ombre, le quali non hanno un’anima, uno spirito loro, ma esistono come materia e corporeità. L’anima dell’originale statua di David da me scolpita, per esempio, è parte del bagliore emanante da Davide stesso, e talvolta lo si può scorgere e riconoscere, così come, d’altronde, le anime di tutte le altre opere che lo rappresentano o lo riguardano”.

 

Incontro con David, il re d’Israele:

Dopodiché l’anima dell’artista fiorentino smette di parlare, guarda in basso per un attimo, e poi riprende a osservarli, mentre si affianca a lui un altro bagliore, proveniente da dietro, che mentre venivano pronunciate le ultime parole è gradualmente avanzato nella loro direzione. Michelangelo non pare per nulla sorpreso, e continua a guardare i due visitatori sorridendo pacatamente e con dolcezza, con le braccia lunghe e distese davanti a sé, e le mani incrociate.

-- “Salute a voi”, esordisce lo spirito appena sopraggiunto. Lazra tentenna più volte il capo verso il basso in risposta, con una venerazione ancora maggiore di prima, parendole di riconoscere alcuni riflessi e riverberi emanati dall'anima di fronte. Lo spirito di Dayéd accenna a pronunciare un saluto, ma gli riesce solo di muovere le labbra, avvertendo anche molta vergogna per le osservazioni appena fatte dall’artista. L’anima di Michelangelo presenta il nuovo arrivato: 

-- “Circa mille anni prima di Cristo, questo faro celeste è stato, in vita mortale, il Cantore dello Spirito Santo, David re di Israele.”

Lazra e Dayéd sono in grande soggezione, e lo spirito di David riprende la parola:

-- “Dayéd non deve sentirsi in alcun modo contrito o sminuito per via del fatto che rappresenta una riproduzione dell’opera originale eseguita da Michelangelo, perché il motivo e le contingenze che hanno portato alla sua spedizione da parte degli esseri umani della Terra ha una celeste e virtuosa grazia che non è per nulla da meno di quella di un’opera vera.”

Michelangelo, nel frattempo, annuisce seriamente, sempre osservando i due di fronte. Il re d’Israele prosegue: 

-- “E’ molto importante e auspicabile, infatti, che gli abitanti del pianeta Gaia dispongano di ulteriori informazioni riguardo agli uomini e le donne della Terra, per cercare quindi di entrare in contatto con loro e recarsi assistenza e favore gli uni con gli altri. I terrestri si trovano in una situazione di urgente bisogno, e la sopravvivenza stessa del loro spirito e della loro anima è a repentaglio. All’essenza stessa degli uomini e delle donne rischia di accadere quello che su Gaia avete visto della statua, quando il suo afflato la abbandona e non la anima più. Non che essi divengano propriamente di pietra, ma che di loro rimangano solamente corporeità e materia, senza alcuno spirito vitale.”

-- “Infatti, come sai da sempre,” interviene l’artefice di Firenze, “Lazra e Dayéd sono qui per porgere una supplica di grazia alla Vergine Madre, affinché Dayéd possa fare ritorno alla vita terrena, in anticipo rispetto ai 500 anni previsti per la statua, e vivere una vita da adulto mortale, fornendo così il servizio necessario perché i gaiesi possano rispondere al messaggio inviato dagli abitanti della Terra.”

Entrambi gli spiriti celesti, nel pronunciare queste cose, sono di una compostezza seria e immobile, serena e conciliante. Michelangelo fissa profondamente Dayéd e Lazra, e dopo avere espresso le parole con ogni facoltà del suo spirito, accenna ad un pacato sorriso. Lo spirito di David, ora con le mani dietro alla schiena, abbassa lo sguardo, chiudendo gli occhi e leggermente sorridendo. Dopodiché rialza il volto ad osservare Lazra, e sorridendo le dice:

-- “Sei stata coraggiosa a decidere di tentare tutto questo, come ti era stato prospettato da Erì-thong, alla tua giovane età.” 

Lei inarca le sopracciglia e sbarra gli occhi, dischiudendo la bocca e abbassando leggermente la testa, in una rispettosa espressione di esclamazione, e sussurra:

-- “…io sono in verità sconvolta,…mi creda!...”, e le scappa persino un accenno di risata nervosa. “Sono…insicura..insicura di me cioè, e ho paura!…” Le si strozza quasi la voce in gola, dopodiché rimane qualche istante in silenzio, che le due anime del cielo rispettano, per dare ai due nuovi arrivati la possibilità di reagire e riprendersi. Quindi, con espressioni di venerazione e d’infinita soggezione, Lazra si rivolge di nuovo a David con un filo di voce dal tono più discreto che le riesca:

-- “L’ha fatta arrabbiare Micol, quando le ha fatto quell’osservazione?”

David sorride leggermente, e con interesse replica:

-- “Al momento sì, mi ha dato fastidio, non tanto per un fatto personale, quanto perché non veniva per nulla compreso il motivo per cui si stava facendo tutto quanto, lo spirito e il senso della situazione: si trattava di una dedicazione a Dio, incondizionata, animata da gioia e zelo totale, e quindi anche da rinuncia personale. Micol era impedita in questo dal suo orgoglio e dalla sua vanità, e allora le risposi come è scritto. Non rimasi arrabbiato a lungo, però, e se fosse stato per me, e gli eventi l’avessero previsto, glielo avrei anche dimostrato.”  

Quindi David e Michelangelo si avviano oltre insieme a Lazra e Dayéd.

 

San Francesco:

Procedendo innanzi in silenzio, Lazra e Dayéd scrutano lo spazio attorno a loro, con capo leggermente chino, in modo che per guardare diritto tengono le pupille ruotate nella parte alta delle orbite. Se fosse sola, Lazra avanzerebbe in punta di piedi, e ora cerca in più di tenere dietro al passo delle due guide celesti. Ben presto scorgono un altro vivace bagliore, soave e fulgente nell’aspetto che è dapprima vago ed indefinito, e più distinto e intelligibile man mano che si avvicina loro. Inizia a parlare mentre si sta avvicinando, prima di giungere in prossimità, ma Lazra ode la sua voce come se a rivolgerle la parola fosse l’aria stessa, lo spazio attorno a lei e dentro di lei.

-- “Sono stato profondamente commosso ed emozionato, Lazra, quando mi hai avuto presente nell’intrattenerti con Socrate, poco tempo fa, ed abbia dimostrato dei sentimenti retti e virtuosi riguardo alla carità e alla giustizia.” Arriva quindi vicino ai quattro, il suo aspetto si delinea ulteriormente agli occhi della ragazza, la quale nota che le sue labbra si stanno muovendo, ed ha così conferma che a lui appartenesse la voce che udiva. Tenendo le braccia distese davanti con le mani giunte, lo spirito prosegue con tono mite:

-- “E tanto più perché non capita molto spesso, anzi, troppo raramente, che qualcuno sia sinceramente interessato e appassionato come te dello Spirito a cui io ho improntato la mia vita, e le mie opere, che lo sia, cioè, per vero interesse e amore, e non per secondi fini o compensi materiali. Persino tra gli stessi membri dell’ordine religioso che ho fondato io sulla Terra, o più in generale della Chiesa di Gesù Cristo, ve ne sono di quelli che si ritrovano a richiamare e confessare persone che sono in realtà molto più pie e zelanti di loro. Se è vero che San Pio da Petralcina, sul tuo pianeta d’origine, Lazra, talvolta negava la confessione a chi si presentava a lui in modo superficiale e per provare la stravaganza dell’incontro con una persona fotografata dai giornali, ci sono anche suoi colleghi che respingono dei sinceri penitenti solo per la stravaganza di un atto di distinzione, pur cieco ed ingiusto. San Pio stesso, tuttavia, nonostante le varie prove che ha dovuto attraversare per lungo tempo, soleva dire che la Chiesa è pur sempre madre, ed è sposa di Cristo, e con costanza l’ha difesa e rispettata, anche se suoi amici e conoscenti criticavano gli aspri ed ingiusti atteggiamenti serbati nei suoi confronti. Anche io stesso, Francesco, affermavo in vita che per quanto le mani di qualche sacerdote potessero essere non immacolate e propriamente pulite, era per tramite di esse che Dio compiva i suoi sacramenti, per cui in tal modo io li accettavo in umiltà, rimettendo a Dio qualsiasi giudizio e valutazione. E di questi ne sono stati invece espressi dal cielo per bocca di quell’autore che ha illustrato tanto in profondità questo stesso regno celeste. Starà quindi al vostro giudizio, di meditare ed equilibrarvi con saggezza tra l’insegnamento di “non giudicare” e la lealtà verso ciò che sentite e sapete essere vero e giusto, che implica delle scelte e delle valutazioni precise. Questo è vero di qualsiasi cosa, e talvolta il discernere e scegliere può essere arduo ed affannoso. Abbiate fede, e coltivate lo spirito, e questo vi guiderà nei vostri passi.”

Lazra e Dayéd continuano ad osservarlo con venerazione, come scolari o discepoli che pendono dalle labbra del maestro. Lazra annuisce molto lievemente. Michelangelo interviene a questo punto:

-- “Anche Santa Chiara, per cui so che tu Lazra nutri un’affezione fin da quando hai avuto notizie di lei da piccola, si trova non distante da qui, in compagnia anche di sua madre e sua sorella, di Madre Teresa, e di altre pie donne del passato recente, del futuro e dell’antichità terrestre. Ecco, se dai un’occhiata in quella direzione puoi distinguere quel fulgore che sta palpitando di intensità, in segno di saluto e di approvazione”

-- “Si, la vedo, grazie…”, sussurra la ragazza, seguendo con lo sguardo la direzione indicatale. San Francesco riprende la parola:

-- “Lei è presente con te, quando decidi di moderarti nel cibo, o di compiere qualche altra rinuncia ai piaceri pensando a lei.” Lazra accenna appena ad annuire, continuando ad essere sorpresa che si parli di aspetti della sua vita che sono conosciuti pur senza che lei li abbia espressi. Il Santo prosegue:

-- “Forse di tenere conto del tempo non è la prima cosa che avete in mente, ma vi ricordo che sono trascorsi un giorno e mezzo da quando, Lazra, sei venuta nel mondo eterno delle anime, e come ti ha già detto Erì-thong prima che ti avviassi, vorrei raccomandarti di non ingerire cibo per tutto il tempo che sarai qui, poiché potrebbe esserti impossibile, altrimenti, ritornare al mondo temporale. Una volta fuori, vedrai di riprenderti, e di recuperare, anche se, comunque, tre giorni non sono poi tanti, non preoccuparti, e più in generale ti vorrei incoraggiare, riguardo al digiuno e alle rinunce in generale, a comportarti come tu senti e ritieni più opportuno, compatibilmente con la salute che Dio avrà voluto concederti e ordinarti.”

 

Gandhi e Martin Luther King:

Intanto si stanno approssimando da lontano due anime, che, come le altre incontrate da Lazra e Dayéd, delineano maggiormente i tratti della loro figura man mano che si avvicinano e che li si osserva. David prende la parola:

-- “Queste sono le anime dilette del Mahatma Gandhi e di Martin Luther King”

I due spiriti giungono in prossimità, e sembra a Lazra che stiano passando per salutare, ma senza proferire parola e senza trattenersi. Di fronte a lei e a Dayéd, i due si fermano un istante, entrambi sorridendo luminosamente, abbassano lo sguardo in affettuoso ossequio e compiono un lento inchino di saluto, Gandhi con le mani giunte davanti a sé, e il reverendo King portandosi la mano destra presso il petto. Lazra rimane tanto sorpresa e ammutolita dalla timidezza, quanto gioiosa ed entusiasta dell’onore accordatole, piena dell’allegrezza di una bambina vivace. Lei e Dayéd si inchinano a loro volta, entrambi rimanendo inchinati qualche istante, fin tanto che, rialzandosi, non rivedono le due anime che mentre stanno passando oltre, sempre sorridendo.

San Francesco scambia, allora, un’occhiata d’intesa con Michelangelo e Davide, i quali, con un ampio e duraturo sorriso e abbassando lo sguardo in commiato, indietreggiano e si scostano dai due visitatori e dall’anima del santo, per tornare a fondersi con la luminosità circostante.

-- “Venite”, li esorta il santo di Assisi, “proseguiamo oltre, che tra poco arriveremo”, e i due si muovono solerti prima che finisca le parole.

 

Verso la Vergine Madre:

Avviandosi, Lazra e Dayéd si guardano attorno più di quanto non abbiano fatto fino ad ora, e scorgono molti diversi bagliori, a volte solo di sfuggita, per un istante, perché poi si reintegrano nella lucentezza generale dello spazio; Lazra ne riconosce alcuni, non molti, ma tutti le appaiono molto familiari, quasi li conoscesse da sempre, seppure sappia di non averli mai visti prima. Entrambi scorgono sguardi ed espressioni sorridenti e affabili, anche solamente nel bagliore che emanano; appaiono infinitamente misericordiosi, consolatori, ed incoraggianti solo dalle loro espressioni e dal loro aspetto. Più avanti scorgono una figura, o meglio, una presenza luminosa femminile, che si scosta da un’altra presenza, maschile, seppure queste apparenti distinzioni di sesso siano sensazioni vaghe, allusioni dell’aspetto, e non reali differenze, poiché di luce e amore tali spiriti sono costituiti e rifulgono. Pur tuttavia, lo spirito da cui si è appena scostata Lei, era Lui; seppure Lazra non abbia scorto o distinto nulla, sente, intuisce e comprende che è il Signore, il Figlio dello Spirito: il centro, l’essenza, il fulcro, l’essere, nel momento in cui il tutto si trova concentrato e presente in un luogo o in un momento. Lazra e Dayéd avvertono tutto questo, lo sentono e ne divengono consapevoli. Quindi Lei, madre piena di grazia, si scosta e si avvia verso di loro, lentamente; sono più che altro loro stessi che giungono a Lei. Ecco, Lei si trova dinnanzi a loro, semplicemente… non appare più grande degli altri spiriti, o più in alto, o più lucente: forse perché già tutti, in sé, sono radianti, seppure a riflessi cangianti, di luce pura e assoluta. Tuttavia sentono di chi si tratta, lo avvertono e ne divengono consapevoli per ciò che è, precisamente, e che si rivela loro, perché è loro concessa tale grazia. Dell’anima di Lazra e della scultura si impadronisce un sentimento di infinita venerazione e soggezione, e tutto il resto dello spazio circostante, con la sua chiarezza e il suo splendore, svanisce, e non c’è più nella loro vista. Lazra quasi non si sente non solo di aprire bocca, ma neanche di muoversi, o quasi di fiatare. Perde cognizione di sé, e non è sicura di sostenere la situazione e restare in piedi, oppure se sta per venire meno. Non vi bada, però, lascia che sia ciò che dev’essere, come abbandonandosi al volere superiore e incomprensibile, in cui fa affidamento. Molte presenze si fanno loro attorno, e presenziano momentaneamente, come stessero assistendo, ma nessuna si ferma a lungo, ognuna si riavvia, e si ritrae. In altri istanti sembrano invece soli, come se nessun altro spirito fosse presente o partecipe. In verità, Lazra comprende, o meglio, sente che tutti e tutto in quel luogo sono partecipi e consapevoli di tutto e tutti, come un unico, infinito essere che è, e che si manifesta e si riflette nelle loro presenze particolari. E  Lei si trova di fronte a loro, Lazra si sente quasi incapace e manchevole nel rendersi conto del tutto di ciò che è e che sta accadendo, come se le stesse sempre sfuggendo qualcosa, se riuscisse ad arrivare solo fino ad un certo punto. Un po’ come qualche volta si sogna di volersi muovere, correndo, nuotando, camminando o quant’altro, e non si riesce a procedere, non ci sono effetti agli sforzi, ed è minimo o nullo il risultato. Allora, Lei, madre piena di grazia, con voce che si avverte e sente con lo spirito, anziché udirla con le orecchie, e con tono di infinita e impareggiabile dolcezza, tenerezza e pietà, parla loro:

-- “L’Amore divino, che è spirito infinito, ed è sempre se stesso, in ogni luogo e in ogni tempo, perché al di là dello spazio e del tempo che Egli stesso ha creato e ordinato dal nulla, ha da sempre e per sempre previsto e disposto quello che sta accadendo in questo momento. Era destino che voi vi recaste qui e che fosse concessa, nella Sua divina provvidenza, la grazia di fare ritornare Dayéd nel mondo terreno perché la statua si rianimi, a vivere il restante tempo di una vita  mortale in un corpo di carne e ossa.”

Lazra e Dayéd ascoltano incantati, prevalentemente incoscienti. Lei prosegue:

--“Tu eri prescelta, Lazra, ed hai avuto una sublime grazia ad usare tanta abnegazione nel dedicarti a questa missione. E’ una devozione celeste quella con cui hai costantemente presente nell’animo l’amore degli uomini e delle donne tuoi simili, e di conseguenza anche dei tuoi attuali compagni del nuovo mondo, e trai coraggio e impulso dalla speranza di rendere un servizio con il tuo impegno e i tuoi sforzi.”

Lazra ha gli occhi abbassati, non la sta guardando direttamente, ed è profondamente commossa ed emozionata. Dayéd ne è invece incantato, anche se non regge lo sguardo fisso sul suo volto se non a brevi tratti, e a tratti distogliendolo all’ambiente circostante.

 

Un precetto:

-- “Tuttavia, vi rivolgo una raccomandazione: dovrete entrambi impegnarvi ad osservare un precetto per la via del ritorno. Occorre che ripassiate per un tratto del regno infernale, attraverso il quale già vi siete recati, e qualsiasi cosa accada lungo il percorso, qualsiasi sia la difficoltà, la tentazione, o la provocazione incontrata, vi raccomando di avere un atteggiamento di pietà, di compassione e perdono verso gli abitanti del regno delle anime. Non rispondete occhio per occhio e dente per dente, ad eventuali insulti, derisioni o espressioni di disprezzo da parte degli spiriti dell’inferno; che mai rispondiate ad un torto con un torto, ad un’offesa ricevuta con un’altra offesa, ma sempre, doveste incorrere in qualche male, rispondete con del bene; con compassione e misericordia, a dell’odio, con una benedizione ad una maledizione. Resistete passivamente al male, alla violenza, senza riprodurla di ritorno. E valutate e tenete conto di questo precetto più di qualsiasi cosa sensibile e temporale, di qualsiasi possesso, anche della vostra incolumità e di quello che possiate significare l’uno per l’altra. Così si potrà riguadagnare l’uscita e tornare al mondo mortale, altrimenti i disegni di Dio non lo prevedono, e in breve tempo, la conseguenza di una mancanza del precetto sarà di cadere in uno stato di sonno incosciente, dal quale non vi è più risveglio, precludendo così la possibilità di lasciare il regno ultraterreno.”

Entrambi Dayéd e Lazra stanno ora fissando rapiti l’interlocutrice con occhi sbarrati, attenti e allo stesso tempo prudentemente riflessivi.

-- “Prima di ripassare per il mondo dell’inferno, tuttavia, dovrete recarvi nel Paradiso Terrestre, ad abbeverarvi dal fiume Leté, che vi donerà una vaga amnesia. Una volta ritornati al mondo mortale, serberete un velato ricordo della  vostra esperienza nel regno delle anime, ma niente di vivido e preciso, quasi come la sensazione offuscata di un sogno, tanto che alle volte arriverete persino a dubitare, tra voi stessi, se sia accaduto davvero o se non si tratti piuttosto di una fantasia, o di un’impressione.” 

Pronunciate queste parole, sorridendo, giungendo le mani verso di loro e annuendo dolcemente, Maria li guarda con infinita misericordia e compassione, che non ci sono facoltà umane per comprendere, né parole adeguate per esprimere. Si scosta ed indietreggia, e dopo qualche passo diviene via via più trasparente, e si dilegua nello spazio circostante, come un corpo che si inoltra in un fitto banco di nebbia.

Lazra è commossa profondamente fino alle lacrime, e fino a sentirsi infiammare il viso dall’emozione, mentre Dayéd si sente incantato e impietrito dalla venerazione e dall’emozione del momento. Sono esitanti e indecisi su cosa fare, cosa dire e come muoversi, ma ad assisterli si accosta loro il Santo di Assisi, il quale, sorride loro pacatamente:

-- “Venite, riavviamoci, che il vostro compito qui per ora si è esaurito.”

I due si congedano, e Lazra si china timidamente per inginocchiarsi verso dove poco fa appariva loro la madre celeste, ma prima di compiere il gesto le mancano i sensi e sviene accasciandosi.

 

Nel Paradiso Terrestre, al Leté:

Si risveglia quindi gradualmente in un’atmosfera terrena di erba, piante, alberi e vegetazione varia, in un momento di mattina presto, in cui il sole sta giusto sorgendo all’orizzonte, e manda i suoi lunghi raggi nella direzione della sommità del promontorio su cui si trovano, circondato da aria e spazi aperti. Scorge Dayéd lì appresso, eretto in piedi che la osserva sorridente, in attesa. Lei ne trae impulso ad alzarsi e raggiungerlo, e scrutandosi attorno entrambi scorgono le acque di un fiume, che scorre pacatamente da oriente verso occidente. Vi si dirigono, lentamente ed esitanti in principio, non per timore, bensì per riservatezza e discrezione. Nei pressi della riva incontrano una figura femminile, la quale si volge nella loro direzione, e sorridendo dolcemente si reca loro incontro, con l’aspetto di chi già sa chi siano e perché si trovino in quel luogo. Ha un’apparenza serena e soave, e le sue movenze esprimono la letizia e la pace che derivano dalla pienezza interiore. Li saluta, sempre sorridendo e con un inchino del capo:

-- “Benvenuti”, esordisce. “Sono una donna Samaritana, e vi stavo attendendo per accompagnarvi alle acque del fiume.” Lo indica con grazia, distante qualche passo da dove si trovano loro. “E’ il corso d’acqua secondario che irriga il luogo che vedete.” La donna li conduce per un tratto, e poi lascia che si orientino da sé. Si accostano in un punto della riva in prossimità della sorgente, e si accorgono che vi sono due zampilli che sgorgano parimenti da un’apertura tra alcune rocce. Uno di essi diviene il corso d’acqua che hanno avvistato, mentre l’altro prosegue in una direzione leggermente spostata. Si girano verso la donna, e questa riferisce loro:

-- “Sortiscono effetti diversi a chi se ne abbevera. Per un’anima che è diretta in cielo, l’uno allevia la memoria dei peccati commessi nella vita mortale, che sono stati rimessi, mentre l’altro richiama il ricordo delle buone azioni compiute. Per voi, ora, è previsto che beviate da quello che avete visto per primo, il Leté, che vi velerà la memoria della vostra esperienza ultraterrena. Serberete, tuttavia, un’inestimabile sorgente interiore, che vi accompagnerà per sempre.”

Dayéd e Lazra si chinano, dunque, e si abbeverano deliziosamente.

Tornati vicino alla Samaritana, Lazra decide di provare a chiedere:

-- “Per caso…si trova ancora qui l’Albero della Conoscenza del Bene e del male?”

La Samaritana si volta, allora, per indicare silenziosamente un luogo in cui si ergono alcuni alberi e piante, poco distante alle loro spalle. Ne addita più precisamente uno, che è isolato rispetto alla boscaglia, di dimensioni non particolarmente ingenti, rispetto ad altri alberi che sorgono lì appresso. Tutti e tre vi si incamminano, e prima di giungere la donna rallenta e si ferma, lasciando che loro si avvicinino da sé. Lazra e Dayéd osservano i rami, le fronde, la forma dell’insieme e la costituzione di un brano della corteccia, del legno, i colori e le sfumature delle foglie, i volumi dei rami e gli spazi tra di essi, e attorno al tronco. Contemplano l’assottigliarsi dei rami in altezza, la robustezza solida di alcuni e la snellezza lieve di altri, osservano i segni e le caratteristiche della corteccia che testimoniano della vita della pianta, la quale tuttavia non ha tempo ed è eterna, rinnovandosi in continuazione. Lazra abbassa poi lo sguardo, attirato da qualcosa che giace ai piedi dell’albero, presso le radici e attorno ad esso. Hanno tutto l’aspetto di essere dei pomi, di svariate dimensioni e forme particolari, eccetto che sono fatti di oro. Dayéd e Lazra si scambiano un’involontaria, rapida occhiata, e si volgono dunque verso la gentile Samaritana:

-- “Grazie…”, sussurra la ragazza, temendo quasi di non essere udita. Allo stesso tempo si porta le mani al petto e si inchina. Dayéd, pure, giunge le mani davanti a sé e abbassa il capo con gli occhi chiusi, in commiato. La donna sorride chinando il capo a sua volta, raggiando pace e rassicurazione. Dopodiché i due visitatori si avviano, anche se non hanno idea di dove procedere, o come.

 

Nel Cocito:

Si approssimano al margine dell’altopiano, al di là del quale scorgono un cielo luminoso e limpido, per individuare da che parte procedere o come scendere, e improvvisamente si sentono trascinati da un’irresistibile forza, invisibile e sconosciuta, che li trasporta oltre il bordo, sospesi nel vuoto, in un’atmosfera che da mattutina diviene in un attimo luminosissima, facendo svanire la vista di sotto ai loro piedi, per poi trasformarsi altrettanto improvvisamente in buio pesto ed impenetrabile. In qualche istante incommensurabile, l’atmosfera riacquista definizione, in un ambiente oscuro, tetro, gelido, distinto nei suoi lineamenti da ombre e luci notturne senza colori, in distese di ghiaccio, pareti scoscese di roccia e un’altezza che si perde presto in un buio cieco, incombente e sinistro. Si ritrovano in piedi su quelle che paiono loro le superfici ghiacciate di un corso d’acqua, oppure di un lago, che probabilmente si sono consolidate a causa dell’aria che tira senza sosta come una gelida brezza mortifera, lurida e morbosa, densa di vapori fetidi e di fumi funesti. E’ tale il contrasto tra questo luogo sotterraneo e infernale e la sommità di eterna primavera, di aria dolce e soave, dalla quale provengono, che non si può rendere a parole, e lo spirito di Lazra e Dayéd ne prende atto gradualmente, come nel discernere e distinguere delle presenze nell’oscurità, dopo avere appena lasciato un ambiente luminoso. Si guardano attorno con terrore e trepidazione, immobili dove si sono trovati ad essere, facendo movimenti e gesti per cercare di schermarsi dall’aria gelida che li investe. E’ poco ciò che riescono a scorgere, poiché la vista si esaurisce rapidamente a lievi profondità, e Lazra decide di fare un passo avanti, per ispezionare ulteriormente l’ambiente.

Improvvisamente odono nella semi-oscurità:

-- “Che ci fanno su Cocito così in piedi?…e poi quella sembra viva…”

Laszra e Dayéd si guardano attorno con angoscia e disperazione, e scorgono anime dannate, doloranti e lamentose, immerse nel ghiaccio dappertutto, chi per diritto, chi coricato, chi di schiena o di fronte, chi con tutto il corpo eccetto la faccia, e chi con tutta la testa di fuori. Alla ragazza scappa un grido d’angoscia, soffocato in un gemito, al quale seguono alcuni singhiozzi di un pianto convulso, che riesce a controllare volgendo lo sguardo verso Dayéd. Non cercano più, ora, di rendersi conto, né di comprendere, è il loro spirito a condurli, compiendo scelte e decisioni d’istinto, prima che ne siano pienamente consapevoli.

In risposta a quello, sentono un lento e cavernoso rantolio, biascicato da qualcuno che ha provato ma non è riuscito a modulare dei suoni intelligibili.

-- “Via…di qua!...”, si ode più distintamente in un altro lamento proveniente dalla superficie ghiacciata.

Allora Lazra raccoglie dell’energia e reagisce parandosi di fronte a Dayéd, e fissandolo con sguardo concentrato e grave lo esorta:

-- “Ricordiamoci bene la condizione alla quale siamo tenuti per attraversare questi luoghi, d’accordo?”

Dayéd assume un’espressione consapevole e seria, e le risponde chinando il capo in assenso. Tra banchi di vapore che si librano sopra la vasta distesa ghiacciata, essi si avviano senza badare ad ulteriori esternazioni riguardo alla loro presenza.

 

Un incontro improvviso…:

-- “Si gela qui!...”, esclama Lazra a tono basso, stringendo le braccia attorno a sé, e sentendo le labbra e i denti gradualmente iniziare a vibrare. “Cos’è quest’aria che tira? Sembra un vento incessante…”

-- “Non lo so, viene da laggiù”, e indica dietro le loro spalle, “ma non si vede niente...” Tra l’oscurità e la conformazione del luogo che riescono a distinguere non possono farsi un’idea. Lei prosegue:

--“Ci sono dannati dappertutto, qui sotto…Chissà se è mai stato liquido questo luogo.”

-- “Fin tanto che c’è quest’aria continua non direi…”, le risponde lui.

Lazra osserva con orrore e dolore gli spiriti dannati che si trovano accanto ai loro piedi e tutt’attorno, è scossa dai lamenti e dai gemiti che sente provenire da loro, e in certi momenti piange dallo sgomento. Dayéd rimane invece più attento al luogo e cerca di spingere lo sguardo attraverso l’aria spessa, per indagare la direzione da seguire.

-- “Vieni,” le suggerisce lui, “andiamo per di qua”. E procedono per qualche istante in silenzio, Dayéd davanti e Lazra subito dietro.

Ad un certo punto, mentre stanno camminando nei pressi di una parete rocciosa scoscesa, odono un brusio continuo, di sottofondo costante. Da principio non è che una lieve vibrazione del ghiaccio e della roccia, appena percettibile, ma va crescendo più o meno uniformemente.

-- “Lo senti?...il rumore?...”, chiede Dayéd con incertezza ed esitazione, allo stesso tempo guardandosi attorno con apprensione. In certi momenti si distinguono dei rumori particolari più intensi, come degli impatti più forti, a cui seguono delle brevi pause, e poi riprende il tremore continuo.

-- “Sì…e non è solo rumore, vibra tutto quanto!...”, rileva Lazra. Il rumore aumenta sempre più, e le vibrazioni divengono più potenti.

-- “Che cos’è?...Un terremoto?...”, domanda lei, con un crescente senso di sgomento. L’intero ambiente è investito da un fragore divenuto assordante, il quale sembra vagamente provenire dall’alto. “Che succede?!?”, grida ancora lei, per essere udibile al di sopra del frastuono e degli scossoni.

-- “Non lo so!...” esclama Dayéd, lanciando senza sosta degli sguardi attorno per capire cosa stia accadendo. Entrambi cercano di stare fermi, e hanno le gambe leggermente flesse e le braccia pronte ad appoggiarsi per mantenere l’equilibrio. Dalle pareti rocciose vicine si staccano e precipitano dei sassi, o dei pezzi di roccia, mentre per i sommovimenti Lazra e Dayéd fanno fatica a mettere a fuoco gli oggetti. Si guardano tra loro, ma rimangono come fermi in attesa, tremendamente agitati dai continui sussulti.

Poi, improvvisamente, si sente un impatto violento, in seguito al quale cessano sia il rumore che gli scossoni. Al che, come per un riflesso condizionato o un’improvvisa intuizione, entrambi alzano lo sguardo sopra di loro, e avvistano un enorme macigno che si riversa oltre il bordo del promontorio soprastante e precipita nel vuoto verso di loro.

-- “AAAhhh!!!!”, grida disperata con tutto il fiato Lazra, mentre sia lei che Dayéd si lanciano insieme di scatto contro la base della parete di roccia, capitombolando per terra. Il masso è scansato giusto in tempo: piomba al suolo ghiacciato, dove essi camminavano un attimo prima, con enorme fragore, rotola ancora per una certa distanza, ed infine si arresta.

 

… con Sisifo:

Lazra e Dayéd sono per terra, sconvolti e perfino increduli di quanto è appena accaduto. Si guardano tra loro in silenzio, assicurandosi con un’occhiata delle condizioni reciproche, e poi si voltano verso il masso, che sta giusto per arrestarsi. Si rialzano, e con passo molto esitante, si avviano verso di esso. Quindi odono altri rumori:

-- “OoohhhOoooohh.. EeeehhEeeEeehh…”

Si voltano, e scorgono qualcuno che sta scendendo dallo stesso promontorio, compiendo sforzi lungo una discesa scoscesa e impervia. I gemiti amari e disperati che emette sono di accompagnamento ad ogni passo o balzo che compie. Dapprima non si accorge o non si cura di Dayéd e di Lazra, e giunge così sul piano terroso ai piedi della parete di roccia, il quale diviene distesa di ghiaccio scostandosi da essa. L’attenzione di Lazra e Dayéd è stata momentaneamente distolta dagli spiriti dannati incastrati nelle dure e gelide trasparenze.

-- “Dov’è andato?”, domanda quello appena li avvista. Il macigno ha infatti sbattuto contro la parete rocciosa opposta, e si è assestato in una posizione parzialmente coperta da una sporgenza di terra e roccia, per cui non è immediatamente visibile. Lazra e Dayéd sono ammutoliti dallo sconcerto, lei ha la bocca socchiusa e gli occhi spalancati, ed entrambi si spostano un poco indietro e a lato per farlo passare.

-- “Avete visto passare un grosso sasso che rotolava giù di lì?...”, chiede di nuovo quello, indicando la cima della parete dalla quale è precipitato. Loro lo fissano intimiditi, senza dire nulla. Anche l’individuo, man mano che si avvicina e li guarda più a lungo, li fissa con maggiore attenzione e sorpresa, in particolar modo la ragazza. Per qualche istante la scruta in silenzio, in viso e nel corpo, senza timore alcuno di essere indiscreto. Allora lei prende la parola e gli risponde:

-- “E’ andato di là…”, e allarga un braccio nella direzione dell’enorme masso, a qualche passo di distanza, in parte visibile. Il nuovo arrivato, tuttavia, ha ormai notato la eccezionale presenza e ne rimane incuriosito.

-- “Da dove venite? Chi sei tu che sei ancora viva? Come fai a essere qui con il corpo? Perché a me non importa nulla, è al mio masso che devo pensare io, ma c’è chi se n’avrebbe a male. Una volta un paio di tizi greci se ne sono venuti in inferno ancora vivi con l’intenzione di rapire la divinità che regnava qui a quel tempo. Ora non c’è più né lei né il suo consorte, da quando tutto l’universo ha tremato tanto che gran parte di questo mondo buio è franato, ma allora quei due erano venuti apposta per lei. Quasi non ci si credeva. Comunque non ci sono riusciti, e qui dentro ci sono rimasti. Solo uno di loro, dopo qualche tempo e con l’aiuto di Ercole, ha potuto tornare al mondo mortale.”

-- “Lei è venuta qui”, interviene allora Dayéd, accennando alla ragazza con uno sguardo, “perché io potessi fare ritorno alla vita corporea, per un certo periodo. Ora stiamo cercando di uscire, così come siamo arrivati. Non ci interessa nient’altro.” Rimangono quindi in silenzio per qualche istante.

-- “Chi è lei?”, gli chiede allora Lazra, con sincera curiosità.

-- “Mi chiamo Sisifo”, inizia lo spirito dannato. “Nella vita mortale fui re di Corinto in Grecia, un paese del pianeta Terra. Ero uno scaltro ingannatore, e una volta feci la spia a Zeus, pensando che mai se ne sarebbe accorto. Per vendicarsi, invece, mi inviò Thànatos (la Morte), perché mi trascinasse in questo regno dei defunti, e cioè perché morissi. Con un’astuzia, ridussi lei nei ceppi a cui io stesso ero destinato, in modo che, in seguito, non moriva più nessuno nel mondo. Alcuni tra gli uomini ne furono anche rallegrati, e mi attribuirono diversi onori, ma, avendo operato una perversione dell’ordine naturale delle cose, dei falsi dèi nei quali credevo mi attirai le ire ed il risentimento. La Morte venne quindi liberata, ma io, prima di dipartirmi per l’inferno, e quindi morire, raccomandai a mia moglie di non seppellirmi, in modo da avere un pretesto per ritornare nel mondo mortale. Infatti, dalla reggente dell’inferno di allora, Proserpina, mi furono concessi tre giorni di tempo per rimediare alla mancanza, ma una volta tornato in vita, nel mondo terreno, non provvidi affatto a farmi seppellire, e cercai di eludere la scadenza. Come punizione, dunque, ora qui mi trovo a dovere spingere quel masso, che avete appena visto, su per un pendio, dal quale però, prima di giungere in cima, immancabilmente rotola giù a valle, e allora devo ricominciare di nuovo. Io, Sisifo, so che nel mondo mortale, degli uomini e delle donne, alle volte si usa l’espressione ‘la fatica di Sisifo’, per intendere un eterno, continuo sforzo senza alcuno scopo o risultato, ed è divenuto un modo di dire figurato al punto che in ben pochi sospettano che io sia davvero in questo luogo, alle prese con il macigno.”

Dopodiché fa una pausa e Lazra e Dayéd rimangono a guardarlo in silenzio.

-- “Devo recuperare il masso…”, conclude Sisifo, e con un’espressione sul volto di chi sta già pensando al prossimo da farsi, si avvia verso di esso.

La ragazza è tremolante e disorientata, indubbiamente ancora frastornata per la caduta del masso, abbassa lievemente il capo, mentre Sisifo le passa davanti non vedendola, e lo segue in silenzio con lo sguardo, voltando la testa a brevi ed esitanti scatti.

Quindi lei e Dayéd si scambiano un’occhiata, e con fare timoroso e titubante proseguono oltre.

 

Il pozzo dei Giganti:

Procedendo hanno modo di scorgere un’altra parte della distesa ghiacciata del Cocito, in cui distinguono altri spiriti dannati immersi sotto la superficie e con la faccia, o la testa, o con parte del corpo che sporgono di fuori, seppure i volti siano comunque ricoperti di ghiaccio in corrispondenza degli occhi. Alcuni gemono al loro passaggio, ma non dicono nulla che i due riescano a comprendere, i quali proseguono e camminano con circospezione. Man mano che passano, qualcun altro emette lamenti o respiri affannati, e si smuove leggermente nella loro direzione, sebbene per gran parte impediti dal ghiaccio che li avvolge, e ad un certo punto si ode più distintamente:

-- “…fermatevi …venite qui… ….”, con voce affannata e dolorante. “Venite qui!...”, quest’ultima volta con tono più deciso e disperato.

Tuttavia, Lazra e Dayéd procedono oltre con tutta l’accortezza e la cautela possibile, senza volersi fermare, né voltare.

Ad un certo momento avvistano qualcosa di alto e imponente a cui si stanno avvicinando, anche se, data l’oscurità generale del luogo, soprattutto verso l’alto, e i vapori e i fumi che riempiono a banchi l’atmosfera, non riconoscono subito di che cosa si tratti. Sono tuttavia non una ma diverse presenze, e si muovono, lentamente e goffamente.

-- “Che cos’è? Cosa sono?”, domanda Lazra con un tono che denota crescente timore e disperazione.

-- “Si muovono…”, considera Dayéd, e si osserva attorno con rapidità e attenzione e realizza il da farsi. “Sembra che l’unica direzione in cui possiamo andare è proprio di là, proviamo a vedere…”, e si avviano, con esitazione e sgomento, verso gli enormi soggetti di fronte a loro, i quali divengono man mano più riconoscibili.

-- “Oh, mio dio!”, esclama Lazra, distinguendo ora degli esseri giganteschi, di forma umana, seppure con proporzioni più tozze e grossolane negli arti rispetto alle dimensioni complessive.

-- “Sono giganteschi!…”, commenta a bassa voce Dayéd incredulo. I due si scambiano uno sguardo, con il quale si esortano a vicenda, e proseguono, cercando di individuare un percorso che passi il meno vicino possibile alle nuove presenze.

Approssimandosi ulteriormente, vedono che i giganti si stagliano nell’aria fino ad un’altezza a cui le loro teste quasi si sperdono nell’oscurità, e appaiono loro come colline che si muovono, con una lentezza e pacatezza simile a quella di mucche o buoi. Nell’aria oscura e densa, Lazra e Dayéd non distinguono chiaramente quanti ve ne siano, poiché con la profondità le loro sembianze diminuiscono di nitidezza. Sono immersi sino alla vita all’interno di un pozzo, una grossa apertura nel terreno infernale di cui Dayéd e Lazra non scorgono la profondità, e si ergono su un bordo interno dello stesso, poco sotto la superficie. Uno di loro, in particolare, si nota perché avvinto in una posizione innaturale e forzata da pesanti catene che lo avvolgono in modo serrato. Tutti i giganti, inoltre, portano appeso al collo un corno, che occupa una posizione vistosa davanti al loro enorme petto.

Lazra e Dayéd si muovono con brevi e silenziosi passi, in alcuni momenti in cui i giganti sembrano a riposo ed immobili. Ma ecco che uno di loro li scorge, e così un altro a fianco, e nel rigirarsi su se stessi per riposizionarsi, sfregano contro le pareti del pozzo, e l’attrito si avverte come un tremore in tutto l’ambiente, tanto da ricordare ai due visitatori i momenti poco prima trascorsi. Il gigante che li ha visti per primo, allora, afferra il corno appeso al collo, lo infila in bocca e vi dà un’energica soffiata, che si trasmette tramite possenti vibrazioni attraverso il corpo di Lazra. Terminato il rumore, sia lei che Dayéd si guardano frastornati, indecisi su cosa pensare, e come regolarsi. Allora il gigante che è incatenato, con il braccio destro avvinghiato contro il petto sul davanti, e il sinistro che è trattenuto dietro la schiena, si rivolge a loro: 

-- “Mi chiamo Fialte, mi sentite?... Mi sentite?”, Dayéd e Lazra non rispondono. Il gigante è immobilizzato in una posizione prevalentemente rigirata verso il lato opposto a quello dei due nuovi arrivati, per cui non riesce a scorgerli se non con la coda dell’occhio quando gira il capo di lato. “Quello che ha appena suonato il corno è mio fratello Oto, e siamo stati entrambi uccisi da Apollo, per avere tentato di scalare i monti fino al cielo. Mi sentite?” Di nuovo, loro non rispondono, anche se rimangono immobili ad ascoltare. “Mettemmo il monte Ossa sopra l’Olimpo, e sopra quello il monte Pelio. Cominciammo a salire, con il nostro vigore di giovani, ma non facemmo molta strada…”

Un altro gigante, che i nuovi arrivati non hanno ancora avvistato per via della visibilità e della posizione ripiegata e poco visibile che esso ha mantenuta sino ad ora, si erge ritto nel punto in cui si trova, un poco più distante di Fialte. E’ grande lo sgomento di Dayéd e Lazra quando discernono, nell’atmosfera spessa, che quell’essere sputa fuoco dalla bocca, ha enormi ali ricoperte di scaglie serpentine, ed al posto delle dita delle mani ha dei serpenti, con i quali impugna a sua volta il proprio corno, e portandolo alla bocca vi soffia dentro in modo assordante.

-- “Quello è Tifeo”, prosegue Fialte, cessato il terribile suono. “La leggenda narra che sarebbe lui, con questi suoi gesti, a movimentare un’isola sulla Terra, dal nome di Sicilia.”

Dayéd e Lazra vorrebbero tanto andarsene, ma entrambi temono che girandosi e allontanandosi possano essere visti ed attirare l’attenzione.

 

Tizio:

-- “E poi ci sono i Titani”, aggiunge ancora quello, con il capo leggermente inclinato, come se stesse ore riflettendo tra sé a voce alta. Lazra e Dayéd danno uno sguardo attorno ma non comprendono a chi si stia riferendo.

-- “E più in qua c’è Tizio”, e indica con un cenno del capo di fronte a sé, dal lato opposto dei due visitatori, i quali scorgono più in là un gigante riversato con la schiena contro il bordo curvo del pozzo, e immobilizzato con le braccia aperte e inclinate sopra la testa, trattenute al suolo. “Figlio di Zeus ed Elettra”, continua Fialte, “fu ucciso dalle frecce di Apollo e Artemide per avere cercato di violentare Latona. Per questo motivo, è stato qui incatenato sulla roccia, ed un volatile gli rode il fegato di giorno, mentre gli ricresce di notte.”

Dopo qualche attimo di silenzio, Dayéd e Lazra sentono dei rumori come di strofinamento, periodici e regolari, che per via di un certo rimbombo sembrano provenire dal pozzo. I due rimangono impietriti in attesa, mentre i rumori aumentano di intensità, man mano che si fanno più vicini, e si distinguono più nitidamente come battito di ali. Dopo qualche istante intravedono, negli spazi tra un gigante e l’altro, un’immensa aquila che affiora con lentezza dal bordo dell’apertura. Emerge di lato rispetto a loro, ed è delle stesse proporzioni dei giganti, rispetto agli uomini e ai gaiesi, possiede ali nervate e squamose, come quelle di un drago o di un pipistrello, e le zampe allungate, come se fosse, oltre che volatile, anche per metà animale terrestre. Si libra con pesantezza al di sopra delle teste dei giganti, con un grave movimento delle ali che ha la regolarità di un pacato battito cardiaco. Lazra e Dayéd sono inorriditi e ammutoliti, e la osservano increduli senza pronunciare parola e senza il minimo gesto, mentre ventate d’aria gelida, mossa dal battito delle ali, investono i loro volti e i loro corpi. Il volatile si porta lentamente sopra Tizio, e qui rimane come sospeso in equilibrio, mentre il gigante l’osserva ad occhi semi-chiusi, prima di chiuderli del tutto in rassegnazione. L’aquila alza la testa e osserva per un istante i nuovi arrivati, come resasi conto della novità e della eccezionalità della situazione. Li scruta mentre, librata in aria, batte le ali inesorabilmente, dopodichè riprende i suoi affari, abbassa lo sguardo verso la sua preda e si scaglia in picchiata. Tizio geme, soffocando un grido. Lazra ritrae lo sguardo, incredula e sconvolta. Lei e Dayéd, anche senza assistere da vicino allo spettacolo, possono udire le operazioni del becco dell’animale. Approfittano allora del momento per indietreggiare raccapricciati, e si allontanano, senza aggiungere nulla. 

 

Nel venire via, Lazra avverte un disagio fisico in seguito a quanto visto, e le sorgono dal petto dei singhiozzi intermittenti, per cui abbassa la testa e cede a delle lacrime di sfogo, mentre Dayéd si sforza di tirare dei profondi respiri di distensione. Rallentano, quindi, esitando per qualche istante, si guardano attorno per orientarsi e darsi una direzione, senza osservare o individuare qualcosa di particolare, e cercano una via di allontanamento da quel luogo. Scrutano fin dove riescono a spingere lo sguardo, con il capo ribassato e fare circospetto e timoroso. Sentono rumori, poco distanti da loro, di gesti rapidi e scattanti, come di qualcuno che corre e si muove freneticamente, e avvertono grugniti bestiali, di sforzi e di ferocia. Nell’oscura densità dell’atmosfera distinguono a malapena ombre, che rapidamente si dileguano. Lazra e Dayéd si scambiano un’occhiata interrogativa:

-- “Che cos’era?”, domanda lei.

-- “Non ho visto quasi niente…”, risponde lo spirito della statua.

Scorgono quindi, in un lieve diradamento dell’atmosfera poco più in là, alcuni spiriti dannati deformi, in cui una parte del corpo è innaturalmente rigonfia e sproporzionata rispetto all’altra, che è secca e disidratata. Altri esseri emanano invece vapore caldo e forse fumo, immobili. In particolar modo due di loro, uno deforme e l’altro surriscaldato, si stanno apostrofando aspramente in un prolungato alterco. Non che Lazra e Dayéd riescano a comprendere quello che dicono, e lui fa cenno alla ragazza di proseguire, incamminandosi altrove. 

 

Tantalo:

Poco distante da dove si trovano, al di là di una rada nube di fumo e polvere, scorgono uno specchio d’acqua. E’ di forma grossomodo circolare, ha una larghezza di circa una decina di ampi passi, e a prima vista hanno la sensazione che possa essere un diversivo dall’orribile spettacolo di poco prima, per cui vi si dirigono. Distinguono un albero, su un lato, alla loro destra, proprio sulla riva, il quale ha la maggior parte di rami e fronde che sporge sopra il laghetto, fino quasi a toccare la superficie dell’acqua. Dopodichè si accorgono che proprio sotto le fronde più basse si trova una figura, che sporge con la testa fuori dall’acqua. Ha il capo rivolto all’insù, e con un po’ di fiatone respira con la bocca aperta e gli occhi chiusi. Sembra che tra un affanno e l’altro si possano udire dei gemiti. Dayéd fa un cenno con lo sguardo a  Lazra, ed entrambi, incuriositi, fanno il giro della riva alla loro sinistra, e si avvicinano dal lato opposto, di fronte a lui. Il dannato è pressappoco in mezzo allo specchio d’acqua, per cui non è distante da loro. Al ramo sospeso a poca distanza sopra la sua testa pendono tenere pere, pomi maturi, fichi e melograni, che emanano un odore fresco e zuccherino. In un tentativo compiuto di riflesso e istinto, più che con reale slancio e convincimento, egli allunga la bocca, tirando il volto in su, per addentare i turgidi e copiosi frutti. In perfetta sincronia i rami si ritirano con leggerezza verso l’alto, evitando il suo morso. Tornato lui a riposo, anche i rami riprendono la loro posizione iniziale. Tenta ancora, questa volta con un po’ più di slancio. Stesso esito. Con un ultimo spasimo di disperazione, riprova nuovamente, seppure sembri sapere bene che non arriverà mai a mordere quei frutti. Geme, infatti, prima ancora di avere concluso il vano tentativo. Dopodichè esita un istante, riposandosi e riprendendo fiato, e poi prova a piegare la testa verso il basso, premendosi il mento contro il petto, per bere dell’acqua del lago. Nell’operazione la sua lingua fuoriesce tra le labbra, ma l’acqua si ritira, e si ammassa tutta verso i lati della pozza. Lui ritrae allora in su la testa, gemendo e piangendo, ed emette lamenti continui, di vario tono e intensità. Lazra sente una contrazione di dolore dentro di sé, e si accosta allo spirito di Dayéd, come per comunicarglielo, ma senza aprire bocca.

Dayéd le rivolge uno sguardo di comprensione. Allora lo spirito immerso nel lago li avvista, e si accorge, con un’occhiata incuriosita, della situazione particolare della ragazza.

-- “Mi sembra che tu tornerai tra i mortali…”, commenta nel suo sconforto verso Lazra. “Pensa che io, da vivo, come altri che avevo conosciuto, dicevo di preferire l’inferno al Paradiso, perché sostenevo, così quasi per scherzo, che ci si divertisse di più quaggiù. Beh, ci sono poi venuto davvero nel regno oscuro, ma, come potrete aver capito, ne ho un’idea un po’ diversa, ora”. Lazra e Dayéd si scambiano un’occhiata, e lui riprende:

-- “Mi chiamavo Tantalo, re di Sipilo, in Frigia, del pianeta Terra. Nella vita mortale, una volta ho imbandito mio figlio Pelope come pietanza alla tavola degli dèi, i quali se ne sono però accorti, e non se ne cibarono. Poi rubai il nettare e l’ambrosia dalla loro mensa, per consegnarli ai miei amici, e per tali motivi sono stato condannato a questa pena, di cui avete appena osservato la sostanza.” Dayéd e Lazra di nuovo incrociano istintivamente gli sguardi.

-- “E questa è tutta per me, sapete…”, continua il dannato. “In questo posto infernale ci sono diversi tipi di peccato e di conseguente condanna, i quali sono distribuiti e suddivisi tra numeri infiniti di spiriti dannati che sono qui destinati. Per la maggior parte, una medesima pena spetta in sorte alle anime che compirono in vita lo stesso genere di peccato. Esistono, tuttavia, anche dei casi particolari, di pene individuali, che sono una distinzione rispetto alle disposizioni generali. Non c’è un motivo preciso e univoco per queste differenziazioni, si tratta semplicemente di eventi e circostanze che si verificano per volontà del fato divino, in seguito ai quali si determinano tali situazioni. Sisifo, che ogni tanto si fa sentire se si è nei paraggi quando il suo macigno rotola a valle, ne è un esempio. Infatti, anche se gli è toccata in sorte una condanna che è simile a quella di altri dannati, che vanno però in circolo e non in salita, la sua particolare situazione è unica. I giganti ne rappresentano un’altra, seppure siano comunque un gruppo non numeroso. E quello che avete davanti è un altro caso. Poco distante di qui, inoltre, si trova lo spirito di uno che fu assai ricco in vita, e a cui è stata assegnata una pena affine alla mai, per essersi dilettato nel pascersi di laute mense, negando ad un povero di nome Lazzaro, bramoso di nutrirsi delle briciole avanzate dalla sua tavola, il minimo necessario per sopravvivere. Forse ne avete sentito parlare, o ne avete letto nelle Scritture. Lo spirito di Lazzaro è invece in ben altri ambienti, più in alto.”

Seguono alcuni istanti di silenzio, in cui Lazra e Dayéd non hanno nulla da replicare. E’ poi lo stesso Sisifo, che rialza la testa verso di loro, come in seguito ad un’improvvisa idea che gli è balenata in mente:

-- “Non è che per caso vorreste abbassarmi uno dei rami che sono sospesi proprio qui sopra il mio capo? Così potrei arrivare a morderne i frutti…li vedete?” Chiede questo con un tono affettatamente supplichevole, quasi volesse supplire con l’ipocrisia là dove la torbidezza di spirito non avrebbe concesso sostegno alle sue intenzioni. Si rivolge in particolare a Lazra, in cui gli era parso di notare qualche reazione emotiva poco prima. Lei, d’istinto, si dispone per rendersi disponibile, anche se nel giro di un attimo, riflettendo, non è sicura di cosa sia bene e giusto fare. Dà uno sguardo a Dayéd, ma poi, lentamente, prosegue nel fare il giro dello specchio d’acqua ed avvicinarsi all’albero. E’ molto titubante nell’animo, e non avverte propriamente quella pienezza interiore, serena e gioiosa, che ha sempre provato nella sua vita, ogni qual volta si è adoprata per recare aiuto o assistenza a qualcuno. Non sa bene se in questo modo diviene complice di qualcosa di poco lecito, oppure se cercare, comunque, di essere disponibile verso il prossimo è un atto di misericordia. Si volta di nuovo verso Dayéd con sguardo indagatore, prima di giungere sull’altro lato. Una volta là, tuttavia, per istinto e quasi senza pensare, si sporge un poco, e allunga il braccio per afferrare il ramo che, dipartendosi dal tronco, poi spenzola sopra il capo di Tantalo. Tenta di agitarlo, dapprima lievemente con alcune dita, e poi impugnandolo più saldamente e con forza. Il ramo si muove e si scuote un poco, ma solo nella sua parte mediana, ovvero quella tra il tronco e la sua terminazione. Quest’ultima, carica di frutti e sospesa a breve distanza dalla bocca di Tantalo, rimane immobile e fissa, tanto quanto il tronco all’altra estremità. Lazra tenta di imprimere più forza al movimento, ma per quanto possano scuotersi delle foglie, e agitarsi alcuni rami, la parte estrema sul lago rimane saldamente immobile nell’aria densa. E’ un fenomeno sovrannaturale, riflette Lazra, non c’è nessun motivo riconoscibile perché il ramo non possa scuotersi, eppure non c’è verso di muoverlo. Le scappa un gemito di sconforto, più che altro come reazione emotiva ad una situazione che non comprende molto, e in cui è incerta. Lancia uno sguardo interrogativo allo spirito di Dayéd rimasto sull’altro lato del laghetto. Lui la guarda con partecipazione, ma senza avere nulla di particolare da suggerire. Allora, lei si ritrae, indietreggia e si allontana. Non torna dove era prima, è anzi Dayéd che la raggiunge a metà strada, sempre sulla riva dell’acqua.

Lazra si rivolge allora allo spirito dannato:

-- “Ci ho provato…ma il ramo resta immobile. Mi dispiace, ma l’unico in grado di muovere quei frutti, deve essere proprio lei stesso.”

Tantalo gira leggermente la testa nella sua direzione, non del tutto, e senza guardarla.

Lazra e Dayéd si allontanano.          

 

Al Flegetonte:

Giungono così alle rive di un fiume, il quale appare loro costituito da un liquido semi-viscoso rosso, con prevalenti sfumature scure dovute alla profondità del suo letto, e in continua, lenta ebollizione. Immersi nel fiume avvistano numerose anime dannate, che affiorano alla superficie, e poi riaffondano, e si rivoltano, e vengono trasportati e sommossi a seconda dell’agitazione del liquido. Se appena qualcuna di loro si azzarda a rimanere emersa più di quello che le fa fare la corrente, viene immediatamente presa di mira con lanci di frecce precisi da parte di esseri animaleschi, per metà uomini, nella parte superiore del corpo, e per metà cavalli, nella parte inferiore, denominati centauri. Questi si trovano a galoppare lungo le rive del fiume con lo specifico scopo di fare la guardia, ed assicurarsi che i dannati rimangano immersi. Dayéd e Lazra osservano la situazione per qualche istante, con orrore e in silenzio. Dayéd nota allora qualcosa sull’altra riva, ed osserva dando un’occhiata alla ragazza:

-- “Quelle laggiù dovrebbero essere le mura di Dite, dall’interno…”, e le indica con lo sguardo davanti a sé. Lazra fa un cenno di riconoscimento con il capo, e lui prosegue:

-- “Dovremmo passare di là, uscire attraverso le porte, e tornare indietro per la stessa via per la quale siamo venuti all’andata.”

-- “C’è ancora un po’ di assembramento là davanti…”, osserva Lazra, indicando con un cenno un folto numero di spiriti dannati che si trovano nei pressi dell’uscita dalle mura.

In quel momento notano entrambi che un gruppo di centauri non molto distante da loro, anche se non a portata di voce, si è accorto della loro presenza, e si sta avviando nella loro direzione. Alcuni tra essi indugiano, nel momento in cui scorgono dei dannati nel fiume che tentano di emergere al di sopra della superficie, ed estraggono frecce dalla faretra sulle spalle, per tirare con l’arco. Tre di loro, invece, giungono nei pressi dei nuovi arrivati, e uno in particolare li avvicina, il quale pare come un capo, o un responsabile del gruppo. Da un atteggiamento aggressivo e violento, che sembrava aver inizialmente assunto nei loro confronti da dove li ha scorti, passa alla sorpresa ed alla perplessità man mano che si approssima e nota la ragazza viva.

-- “Che succede?”, domanda quindi con tono grezzo e scostante. Giunge loro innanzi, e li osserva con attenzione e curiosa insistenza, soprattutto la ragazza.

-- “Che andate cercando? Qual è il vostro posto?”, e poi si gira verso un compagno rimasto più indietro, e gli dà un’occhiata ironica di intesa. Si gratta la barba sotto il mento, e scruta maggiormente Lazra.

-- “Lei è venuta qui per me”, esordisce allora Dayéd, “perché potessi uscire temporaneamente, e ora vorremmo attraversare questo fiume.”

-- “Nessuno mai attraversa il Flegetonte nel senso in cui andate voi. Se si va da qualche parte, si va di là”, e il centauro indica la direzione opposta, da cui provengono Lazra e Dayéd, “e per non tornare più…”

-- “Noi dobbiamo varcare quelle mura sull’altra riva, e tornare per dove siamo venuti, per andare via”, si spiega lo spirito della scultura.

Il centauro lo osserva un istante con un’aria improntata a sdegno e sussiego, ma dopo aver dato un’altra occhiata alla ragazza riprende la parola e risponde:

-- “Beh, se avete proprio intenzione di proseguire il vostro folle percorso a ritroso, vi trasporterò io dall’altra parte, sulla groppa”, e se la indica con l’arco che tiene in una mano. “Non che abbiate molta scelta, non potrete certo attraversarlo a guado, questo fiume di sangue!...” 

Lazra si sente scossa da un brivido di paura e incertezza, e incrocia lo sguardo con Dayéd.

-- “Tuttavia”, riprende l’uomo equino, “dovrò portarvi uno alla volta, non insieme allo stesso tempo.”

-- “D’accordo”, replica quindi Lazra, annuendo.

 

Primo viaggio sul centauro,…:

Dayéd si appresta quindi a montare sul dorso cavallino del centauro, il quale è già immerso con la parte inferiore del corpo nel sangue bollente del fiume. Fa uno scatto e gli salta su, cercando di non scivolare, e di raggiungere un equilibrio.

-- “A posto?”, gli chiede quello girando a metà il torso d’uomo. “Sei nell’abitacolo?”

-- “Sì, sono pronto”. E si avviano, mentre Dayed in groppa lancia uno sguardo di intesa e di temporaneo saluto a Lazra, in piedi sulla riva a poca distanza.

Rimangono dapprima in silenzio, e il conducente si destreggia nella nuotata con fare pratico ed esperto. Quindi Dayéd gli rivolge una domanda:

-- “Come mai è necessario fare il viaggio in due tempi, visto che io non ho peso, e insieme sarebbe stato comunque come trasportare solo Lazra?”

-- “Eh? Sì…però,…è una questione di presenza: io faccio meno confusione e il viaggio è più sicuro se trasporto un passeggero alla volta”, ribatte il centauro, con un tono che appare all’altro leggermente evasivo e artificioso.

Durante l’attraversamento Dayéd scorge dei dannati immersi nel sangue bollente, e sente i loro lamenti strazianti e i loro gemiti soffocati. A breve distanza nota che uno si innalza al di sopra del filo del sangue, nella loro direzione, per adocchiare lo spettacolo insolito, ma viene individuato da un altro centauro, dalla riva a lato, che prende la mira, scaglia una freccia col suo arco, e trafigge il dannato nell’occhio, facendolo risommergere nelle profondità liquide..

-- “Fa molti viaggi attraverso il fiume?”, chiede allora, cercando di non badare al proprio sgomento.

-- “No, raramente da riva a riva. Non ce n’è bisogno. E’ capitato quando qualcuno di particolare era solo di passaggio. Ho trasportato un santo, che ore è in alto, da qualche parte”, e indica vagamente in su con l’arco che ha sempre in mano, “ed era ancora in vita, ma se fosse con il corpo o solo in spirito non lo so, fatto sta che trasportarlo era come portare te. E poi una donna, che stava tornando al mondo, come voi, un poeta che si è messo a suonare e cantare, e sembra abbia attirato molta attenzione, quaggiù. Io non ero presente, ma qualcuno se ne ricorda ancora…E poi un tizio, ancora vivo, insieme alla sua guida”

-- “Li ha portati in due insieme?…”

-- “Eh? Sì…però quello era un tizio particolare, me l’aveva anche detto la sua guida…”

Proseguono quindi la traversata in silenzio. Giunti all’altra sponda, il passeggero smonta, sempre in silenzio, e il centauro si gira e si riavvia dall’altra parte.

 

…secondo viaggio:

-- “Allora, signorina”, apostrofa quindi Lazra, una volta accostatosi alla riva di partenza. “Siamo pronti?”

-- “Sì…”, replica lei, sebbene un poco disorientata e irrequieta per il bizzarro sorriso sul volto di quello. Il centauro si gira di lato, e lei gli appoggia le mani sul dorso per riconoscere la posizione più comoda per montare in groppa.

-- “Se hai bisogno”, interviene lui voltando il busto e allungando lestamente le braccia verso i fianchi e le gambe di lei, ed afferrandoli con voluttà, “ti posso dare una mano, senza problema!...”

Lazra, immediatamente spaventata e allarmata, cerca di fare presa a sua volta sulle braccia estranee del centauro e di arrestarle, allo stesso tempo scansandosi indietro lei stessa.

-- “No!!”, esclama lei, quasi gridando. “No, grazie! Non ce n’è bisogno! Faccio molto meglio da sola, grazie.”

-- “Va bene!...”, risponde lui, mentre ghigna maliziosamente. “Io mi chiamo Nesso”, e si rigira davanti.

Inizia dunque la seconda traversata.

-- “Sai,” riprende il centauro dopo un breve silenzio. “Mi ricordi molto una donna che ho incontrato quando ero nella vita mortale. Anche a lei ho dato un passaggio sul mio dorso.”

-- “Ah, sì?”, ribatte lei. “Bene, vorrà dire che è pratico, allora.”

-- “Sì! Ah, Ah!!”, scoppia lui in una risata, rivoltandosi a guardarla. Lei aggrotta leggermente la fronte, e si china indietro.

-- “Beh,” riprende lui, “quello è un viaggio in cui sono giunto a lidi più distanti…”, e si rigira riflessivo.

Rimangono per qualche istante in silenzio, dopodiché Nesso ripassa a pensieri più goderecci:

-- “E allora com’è che una bella fanciulla come te si è trovata a percorrere queste lande oscure per via di quello spettro là davanti?”

-- “Perché facesse ritorno al mondo terreno. Ora stiamo cercando di uscire”, risponde Lazra, nascondendo una crescente irrequietezza.

-- “Chissà cosa sarebbe questo posto se non ci fossi passata tu, eh?”, le chiede lui con invadenza e tracotanza, e si volge a metà verso di lei, sghignazzando.

-- “Quello che è sempre stato, che è, e che sarà, sempre e comunque”, replica più freddamente che può la ragazza, seppure inizi a preoccuparsi davvero della situazione e delle intenzioni del centauro, aggrottando la fronte, corrugando le sopracciglia e rinserrando le labbra.

-- “Ah! Ah!!”, e fa per girare ancora di più il dorso di forma umana verso di lei. “Forse hai ragione tu!”, cerca di passarle il braccio dietro la schiena , all’altezza dei fianchi. E’ molto lesto e furtivo nelle mosse, e da dietro la afferra stringendola a sé, mentre rallenta, e varia la direzione prima in un senso, poi nell’altro, e poi andando semplicemente in tondo, e poi arrestandosi del tutto. Nesso cerca di avvicinarla al suo petto, mettendole l’altro braccio attorno al collo, sporgendo il muso e aprendo la bocca verso di lei con smorfie e versi di desiderio. Lazra reagisce con disperazione, dimenando il corpo per divincolarsi dalla presa, chinandosi indietro, agitando le braccia a scatti rapidi e brevi per sferrare colpi con le mani e i gomiti.

-- “Oh, su!”, commenta lui. “Ah-Ah! Che c’è? Vorresti scendere? Oh, stai calma! Calma!!”

Lazra grida, si dibatte, e chiama forte:

-- “AAHH! Aiuto! Dayéd! AH!! Erì-thong!!” E’ impaurita e disperata, e ha il respiro affannato, più per la paura che per lo sforzo fisico. Gli tira schiaffi, manate sulle braccia, sul dorso, e al volto, alla testa, quando ci arriva. Tuttavia la forza dei gesti e della presa del centauro è intensa, lei non se lo aspettava, e non sa più come reagire, ansimando sulla sua groppa in mezzo a una distesa di sangue ribollente.

 

Scontro con Nesso:

“Lasciala! Maledetto! Maledetto!! Lasciala stareee!!!”, grida intanto a squarcia gola Dayéd dall’altra sponda, e si piega dalla disperazione, appoggiandosi con le braccia sulle cosce, e si dimena con profonda angoscia. Guardatosi quindi attorno per farsi venire in mente qualcosa, si dirige di corsa verso un altro dei centauri, intento a prendere di mira alcuni dannati nel sangue bollente, e gli strappa di mano l’arco e alcune frecce. Ne carica una, si posiziona di corsa il più vicino possibile, prende la mira e la scaglia con tutte le forze verso Nesso, il quale, senza tanto sforzo, alza un braccio e la deflette di lato con un ghigno.

-- “Tutto qui?”, ribatte il centauro gridando verso la riva, sempre ridacchiando. “Io ho visto frecce scoccate in ben altro modo!” E dopo essersi distolto per un attimo dalla sua passeggera, si rigira verso di lei con un’espressione maligna e divertita.

Dayéd riprova con un’altra freccia, che carica prontamente. Il centauro la vede arrivare con anticipo, e la scansa a lato come l’altra, con un ghigno sadico ancora più accentuato. Dopodichè gli fa cenno verso di sé con la mano, indicandogli di riprovare.

Al che Dayéd tenta nuovamente, ma con il medesimo esito. Tre frecce sono finite nel sangue bollente, e Dayéd non ne ha più a disposizione.

Allora, si raccoglie in concentrazione, chiudendo gli occhi, chinando il capo ed escludendo il monde esterno. Dopo qualche istante, rialza lo sguardo, e con profondo atto di Fede, allunga la gamba, e muove un passo sul sangue bollente del fiume infernale, e vi cammina sopra come su terra dura. Muove altri passi, dapprima esitando e con prudenza, e poi più speditamente. Infine giunge dal centauro e Lazra quasi correndo.

-- “Scendi, Lazra!”, le grida con impeto e angoscia, mentre la ragazza gli rivolge uno sguardo interrogativo e di sgomento, non sapendo cosa pensare della distesa liquida sotto di lei. Intanto cerca di tenersi in equilibrio, dato che Nesso oppone resistenza e ghermisce le braccia di Dayéd, che a sua volta, nonostante abbia costantemente davanti a sé il precetto ricevuto e da rispettare sino all’uscita dell’inferno, reagisce, si divincola dalla presa, e sferra un forte colpo al centauro. I due si impegnano quindi in una colluttazione corpo a corpo.

-- “Scendi di lì!!”, la esorta con tono più accalorato l’anima della statua.

In quel momento giunge accanto a loro un altro centauro, che passava incuriosito a verificare che cosa stesse accadendo. Osserva i due avvinghiati l’uno all’altro, per un istante, dopodiché emette un ghigno ironico di commento alla situazione.

-- “Vattene fuori dai piedi Chirone!”, gli intima Nesso, alle prese con l’avversario.

Lazra ne approfitta per saltare sulla schiena del centauro appena sopraggiunto, quasi prima che lui se ne accorga e realizzi, attento com’è ai due combattenti, tanto che poi si rigira con il busto per assicurarsi di cosa sia successo, dietro le sue spalle e sul suo groppone. Dayéd continua nel frattempo a sferrare pugni al volto e al corpo di Nesso, ormai rassegnato all’idea di avere infranto il precetto divino. A dire la verità, è infinitamente più addolorato per avere interrotto un impegno sacro, piuttosto che di non potere più tornare al mondo mortale a vivere una vita da adulto, anche se questa assumeva un’importanza infinitamente più rilevante del suo solo caso individuale. Sta scagliando continui ed energici colpi, sferra calci alle zampe equine, e sta infine avendo la meglio del centauro, ma se fosse un uomo di carne e ossa avrebbe le lacrime agli occhi. Accertatosi, quindi, che Lazra è fuori dalla portata di Nesso, salta anch’egli in groppa all’altro centauro didietro a lei, il quale si avvia, seppure senza avere visto bene il suo equipaggio, né avere compreso appieno le circostanze.

-- “Può andare verso la riva di fronte, per piacere?”, chiede con affannata urgenza la ragazza da dietro le spalle del conducente, indicando la sponda davanti a loro. Quello si avvia annuendo, senza rispondere nulla.

 -- “Presto, per favore, presto!...”, si raccomanda Dayéd da dietro.

-- “Mi spiace”, ribatte Chirone, “ma mi fa male un ginocchio, più di tanto non posso andare, con un carico sul dorso…”

Arrivano presto alla riva senza ulteriori imprevisti, e i due passeggeri smontano e si congedano con uno sguardo dal centauro.  

 

La soglia di Dite:

Lazra e Dayéd si scrutano a vicenda, riflettendo sull’accaduto. Dayéd ha un’aria mortificata e colpevole, e a fatica alza a tratti gli occhi fino a guardarla. Lazra è incantata, commossa ed emozionata. Ha le lacrime agli occhi, le tremano le labbra, anche se non dispera ancora della possibilità che l’evento possa non avere conseguenze.

Dayéd allora le sussurra:

-- “Andiamo…”, quasi per timore di farsi sentire, ed accenna alle porte di Dite, per uscire.

Vi giungono, e nonostante l’assembramento di spiriti dannati attorno alla soglia, cercano di trovare un varco. I dannati, che comunque non hanno alcuna fisicità per Lazra, si scansano dapprima, nella perplessità generale, e aprono tra loro un sufficiente passaggio. Lazra sta camminando innanzi, e, improvvisamente rincuorata e rinvigorita dall’apparente agevole riuscita, arriva al varco: si volta allora verso Dayéd, e si accorge che questi viene adesso circondato e trattenuto da quegli spiriti stessi che un attimo prima l’hanno lasciata passare.

-- “No!!!”, esclama lei con disperazione improvvisa.

Non c’è corporeità, i dannati non potrebbero toccare Lazra, né lei potrebbe urtare loro, tuttavia afferrano l’anima della statua, e la traggono lentamente ma inesorabilmente indietro, verso l’interno. Lazra si precipita incontro a lui, gridando in uno scoppio di disperazione e dolore, torna indietro, tenta di afferrargli le braccia, e per tre volte si allunga per abbracciarlo e tirarlo a sé, e per tre volte, come vapore, egli si dilegua tra le sue braccia. Allora Dayéd le grida:

-- “Non possiamo farci nulla, nessuno dei due, e ce lo aspettavamo, ed è giusto che così sia. Vai tu, per favore, riattraversa la palude sull’imbarcazione di Flegias e riavviati al più presto all’uscita. Purtroppo è andata così…”

 

Lazra esce…:

Lazra, in lacrime ed esitante, procede allora verso l’uscita, volgendosi indietro continuamente, tra le aspre esternazioni, le squallide derisioni, le insinuazioni sessuali volgari, o le manifestazioni di disprezzo che il suo tentativo di resistenza ha suscitato, e che seguono, da parte degli spiriti dannati, dopo i primi istanti di perplessità e sorpresa, nei confronti dell’estranea. Qualcuno si esibisce in qualche gesto improvviso di provocazione, per infondere spavento e soggezione, altri assumono espressioni facciali pervertite di sfida e scherno. Lazra tuttavia, atterrita e frastornata, lentamente procede. Gli spiriti si accalcano presso di lei, al punto tale che potrebbe anche toccare alcuni volti, alcune membra, se fossero corporei e tangibili. Nonostante la scena apparente, in cui Lazra potrebbe fisicamente transitare senza alcun contatto o conseguenza, non si può certo dire lo stesso dal punto di vista spirituale ed emotivo. Tali sono gli affronti, gli attacchi, e i modi in cui questi sono avanzati, che giunge ad attraversare le porte delle mura profondamente contrita e prostrata, tra singhiozzi e lacrime di umiliazione e oltraggio. Anche se molto più di tutte queste condizioni presenti, Lazra è lacerata interiormente all’idea di partire lasciandosi indietro l’anima per la quale era qui giunta in primo luogo, il motivo stesso della sua missione ultraterrena.

Varca la soglia delle mura di Dite, per avviarsi nella direzione opposta a quella della prima volta, e ritornare sui passi dell’andata. Arriva sulla rena esterna, a capo chino e pigiato contro il petto, gli occhi strizzati chiusi, che riapre a intervalli per assicurarsi del luogo e della direzione, con le braccia incrociate e strette sul ventre, le spalle serrate e rialzate verso il collo. Si sente, tuttavia, estremamente dubbiosa ed incerta.

 

…incontro allo spirito di Erì-thong:

Ad un certo punto alza lo sguardo davanti a sé, e scorge lo spirito di Erì-thong, in piedi poco distante sulla riva di fronte, che la sta attendendo. A qualche passo da lui si trova l’imbarcazione con la quale è giunto, e Flegias a bordo che sta posizionando il remo. Il saggio eremita guarda la ragazza con un discreto accenno di sorriso, e un’infinita dolcezza e pietà che si profondono verso di lei. Lazra riprende allora un poco di vigore e presenza di spirito, e si avvia nella sua direzione.

Erì-thong le rivolge la parola per primo:

-- “E’ ancora mio compito ricondurti verso l’uscita. Ti stavo aspettando apposta.”

Segue un attimo di silenzio in cui i due si osservano, ed il saggio scorge l’esitazione di lei. Quindi prosegue:

-- “Non ho parole da rivolgerti riguardo a Dayéd, vorrei solo augurarti di riprendere un po’ di coraggio. Non c’è stato null’altro che alcuno potesse fare, e quindi non ci sono motivi per rimorsi o rimpianti.”

Lazra è ammutolita, sentire parlare Erì-thong in questi termini le suscita nell’animo disperazione e risolutezza allo stesso tempo. Sente più precisamente ciò che anche poco fa già intuiva, ma che le era ancora indistinto e poco chiaro. Cerca di esprimerlo all’amico:

-- “Io…non so se, non credo di volere, o potere andare via così…” Lei stessa sta cercando di chiarirsi la situazione.

Il saggio, con gesti calmi e misurati, monta all’interno della barca, e si volta verso di lei per agevolarle lo stesso movimento.

-- “Il compito assegnatomi prevede che ti riaccompagni verso l’uscita dal mondo ultraterreno, nella direzione per la quale siamo entrati, e poi di recarmi senza indugio dove mi compete. Se per qualsiasi motivo tu scegliessi di fare altrimenti, non è previsto che io ti possa assistere.”

Lazra, in modo automatico e soprapensiero, gli porge la mano, e lo segue a bordo. Dopo un istante, come rendendosi conto di dove si trova, e di cosa stia facendo, prova a spiegarsi meglio:

-- “Io non posso venir via così..”, e guardando con devozione supplichevole il suo compagno scuote leggermente il capo.

-- “Eventualmente”, le suggerisce lui, “potresti anche da sola ritrovare la via del ritorno, procedendo nella direzione opposta a quella della prima volta, ma ti vorrei ricordare che mancano solo una manciata di minuti perché scada il periodo dei tre giorni disponibili per rimanere nel mondo delle anime, e che una volta scaduto il tempo, non c’è più possibilità di andarsene. Trattenersi ora, quindi, per te significa quasi certamente lasciare ogni speranza di potere uscire.”

Lazra si volta verso l’ingresso di Dite, direzione nella quale dovrebbe recarsi per rivedere l’anima di Dayéd. China lo sguardo verso il basso, dà un’occhiata al suo orologio, e poi verso Erì-thong ancora. Il saggio comprende ciò che sta avvenendo nello spirito di lei, e non cerca in alcun modo né di scoraggiarla, né di esortarla, ma si limita ad assistere ai suoi conflitti interiori. Lei, allora, cerca di motivarsi:

-- “Forse, non servirà proprio a nulla…ma vorrei vedere se posso fare qualcosa, o cosa succede. Mi dispiace… Grazie!”. Guarda Erì-thong negli occhi, come per implorare comprensione. Lui le risponde con uno sguardo di amore e pietà. Entrambi accennano ad un sorriso, lui con un’aria di celeste misericordia, lei con un brivido di timore. Quindi Lazra scende dall’imbarcazione, e si guarda attorno con circospezione ed incertezza.

 

Lazra cerca di rientrare:

Senza più voltarsi verso la barca e Erì-thong, Lazra si avvia con passo incerto e sconsolato sulla rena asciutta. Là alcuni spiriti che accalcano l’ingresso della città notano che sta facendo ritorno, si volgono verso di lei e con versi ed espressioni deformi e pervertiti le comunicano il loro disappunto e il loro disprezzo nel rivederla avvicinarsi.

-- “Via di qua!!!”

-- “Ma vergognati!! Ti dovresti vergognare!!!”

-- “Vattene! Schifosa!”

E molto altro ancora, che però si preferisce omettere dal testo.

Lazra cerca di raccogliersi in sé e di affrontare la situazione nel modo più razionale e conveniente possibile, tanto più che ha esplicitamente fatto rinuncia ad andarsene di lì, quindi, qualsiasi cosa accada ora, non può certo aspettarsi niente di diverso che cercare di avere a che fare con quanto le sta attorno. Per l’ingresso delle mura dovrà passare, se ha intenzione di provare a rintracciare l’anima di Dayéd, e quindi là deve rivolgersi. Prova quindi ad avviarsi.

Alcuni spiriti dannati le si fanno incontro e le si radunano disordinatamente attorno, procedendo poi di pari passo insieme a lei, in modo che diviene presto, suo malgrado, il centro dell’attenzione di quell’assembramento.

Qualcuno le grida insulti nell’orecchio, con aspetto ed espressioni terrificanti.

Un altro mira a intimidirla, parato diretto di fronte a lei, procedendo all’indietro e toccandosi con le mani nelle parti basse davanti e di dietro.

Qualcun altro la minaccia nelle orecchie ad alta voce da dietro.

Man mano che avanza, le oscenità vanno aumentando, e le strilla nelle orecchie si fanno assordanti. Si vede dei volti immondi che le premono da ogni parte fin contro il suo viso. Si ricorda che non ha da temere eventuali contatti fisici, ma non ha idea di che cosa aspettarsi, e di come regolarsi. L’orrore delle loro espressioni e le manifestazioni di disprezzo la intimidiscono e la prostrano interiormente, seppure possa ancora muoversi, e quindi dirigersi verso le porte. Serba piena libertà corporale, tuttavia la sua libertà si scelta e di azione, e le stesse percezioni sensoriali, sono determinate e dipendenti dal suo stato d’animo. Senza rendersene pienamente conto, si sgomenta e si arresta nella sua avanzata, inerme ed incapace di proseguire. Un po’ alla volta si ritrae da un lato dove sono meno numerose le anime che la circondano. Retrocede a scatti, in verità, per reazione riflessa ai versi e ai gesti violenti che le vengono rivolti. E infine si ritira con passi di corsa nella direzione da cui ha appena mosso, tra singhiozzi e scoppi di sospiri angosciati. Si ferma e piange tra sé, con un misto di disperazione e rabbia, mentre ripensa alla sua situazione, a quello che è rimasta lì a fare, e a ciò su cui può ora fare affidamento. Non ha neppure idea di dove rivolgersi con lo sguardo, se non dove scorge odio, disprezzo e dannazione. Considera pure la morte, e pensa che non le sarà ingrata, quando sarà ora, cosicché poi le toccherà in sorte il luogo che le compete, e che si sarà meritato. Se non che prima vorrebbe fare ciò che deve, e per cui ha deciso di rimanere in quel luogo.

Con un gesto di scatto tende allora le braccia verso il basso serrando le spalle, per vedere di scuotersi. Deve riprendersi e riprovare, su questo non ha dubbi, anche se non sa bene in che modo. Si riavvia quindi nella stessa direzione. Si dice che, conoscendo la natura di quegli spiriti, se chiudesse gli occhi e si tappasse le orecchie potrebbe riuscire ad oltrepassare l’ingresso delle mura, visto che non possono avere presa su di lei, e nemmeno urtarla. Prende velocità, pensando che più rapida proverà a passare, meno sarà esposta alle loro esternazioni. Inizia a muovere anche dei passi di corsa, indecisi e irregolari, e nell’avvicinarsi di nuovo china il capo, strizza gli occhi e stringe i denti, contraendo tutto il viso, come nel mondo mortale avrebbe fatto sotto qualche intemperie del cielo.

Tali sono le urla e gli schiamazzi scomposti e volgari, gli stessi suoni emessi così laceranti e oltraggiosi, e le espressioni e gli aspetti, così disumani e terrificanti, che per quanto volti il viso ora da un lato ora dall’altro, strizzi gli occhi fino a non vedere più dove sta avanzando e trattenga a lungo il fiato, scoppia tuttavia in un gemito di sconforto e disperazione, si ferma sotto la pioggia di insulti e umiliazioni, si ritrae da un lato, e si allontana. Di nuovo sola, da una parte, gemendo e singhiozzando, dà corso al suo sfogo, e cerca di riprendere il respiro.

Tira lunghi e ampi sospiri, sia per aver trattenuto il fiato, sia per lo stato di agitazione in cui si trova. Si sente il corpo percorso da brividi, e le sorgono agitati colpi di tosse, che la fanno contrarre e piegarsi. Lentamente continua a spostarsi, prima allontanandosi, poi voltandosi e muovendosi in tondo. Riprende il respiro, e raccoglie le forze di cui dispone. Senza stare a fermarsi ulteriormente, decide d’istinto di riprovare ancora, non avendo altra scelta.

Si riavvia a passi brevi e scattanti, di corsa, stringendosi fortemente le braccia in grembo, e premendosi la testa in basso tra le spalle. Avanzando, emette prolungati gemiti di pianto, che le contraggono il viso e le fanno stringere i denti. Si stringe e raccoglie tutta quanta, muovendo le braccia incrociate ed il corpo a destra e a sinistra, alza pure la voce tra sé, sperando di arrivare a coprire e non sentire i versi e le espressioni dei dannati. Inutilmente, tuttavia, poiché è come se riuscisse a vederli e sentirli nell’anima, anche se sta tenendo gli occhi chiusi e lei stessa sta ora gridando. Ad un certo punto le pare quasi di imbattersi in un’intangibile barriera di odio e disprezzo, di ingiurie e insulti, che la arresta e la respinge, in modo inevitabile ed inesorabile. Ritorna di nuovo verso la riva della palude.

Qui, ormai rassegnata e presa dallo sconforto, guarda verso la distesa della palude melmosa, per lasciare spaziare la vista in luoghi più ampi e distesi. Tuttavia, scorge due spiriti dannati che fuoriescono dal liquame nel quale erano immersi, e con movimenti goffi e rallentati, si dirigono nella sua direzione, sbracciandosi e gridando. Si volta verso destra per spostarsi, ma avvista altri tre spiriti che sono avviati verso di lei, mentre uno digrigna i denti e l’altro sghignazza. Inverte allora direzione, e si lancia verso sinistra, per vedere di mettersi al riparo.  

 

Le Erinni e Medusa:

Nuovamente appaiono in volo le Erinni, appropinquandosi lentamente e osservando la situazione:

-- “Oh, guarda chi c’è! In qualche modo mi aspettavo e attendevo che sarebbe ritornata di qua, la mocciosa!”, commenta una delle tre sorelle alle altre, articolando la bocca lentamente e con ostentazione, nel pronunciare ogni parola. Hanno tutte e tre un aspetto selvaggio e minaccioso, ed appena le avvista, Lazra si sposta con prontezza di riflessi, fa per accovacciarsi e cercare riparo.

-- “Hi! Hi! HE! HA!! HA!!!”, sghignazza un’altra, divertita nel notare che effetto sortisca la loro presenza.

Non è che Lazra riesca a notare coperture efficaci a portata di mano, e corre dietro le spalle di qualche spirito dannato del luogo, i quali, tra l’altro, le sono tutt’altro che favorevoli e di aiuto, e le Erinni stesse ridacchiano e ghignano:

-- “Non saranno certo degli spiriti incorporei a proteggerti, cara! Non ti preoccupare, comunque, che con noi, invece, ti puoi toccare eccome!”, le fa notare Tesifone, spingendosi lentamente più avanti rispetto alle altre. Tutte e tre, tuttavia, si stanno separando, da insieme dappresso che erano, e si dispongono per avvicinarsi da più direzioni, mentre Lazra, sconvolta, si guarda attorno con terrore per escogitare il da farsi.

Giunge ora in vista, da dietro le sorelle, anche la gorgone Medusa, sempre librata nell’aria, con serpenti vivi e mobili come chioma, e, come le Erinni, con alcuni pure avvolti attorno al corpo, i quali sono probabilmente derivati dalla testa. Sia lei che le tre sorelle sono di proporzioni corporali simili a quelle dei terrestri o dei gaiesi, e Medusa è trasportata da uno spirito di immondo animale alato e squamoso, una sorta di drago codato grande circa quanto metà del corpo di lei, e dai versi e dalle espressioni orripilanti.

-- “Giovanetta smorfiosa ed insolente”, esordisce la gorgone con voce roca e cavernosa, “adesso imparerai ad azzardarti per questi luoghi oscuri, per andare a recuperare bei giovanotti, come se non ti bastassero già quelli che ancora per natura sono in vita nel mondo terreno.”

Mentre la gorgone avanza, si accosta a fianco delle Erinni e lentamente si porta davanti, Tesifone le replica: 

-- “Voleva trasformare una statua di così belle fattezze in un corpo di carne e ossa per i suoi bei diletti, la sventata”.

-- “Già”, riprende Medusa. “Come Pigmalione con la sua fanciulla d’avorio, ma qui non ci sta Venere ad esaudirti, cara, e ci posso pensare io, invece, a ricompensare la tua sfrontatezza rendendo di sasso te!! Chissà che poi non sarete contenti lo stesso, voi due, eh?” Nel pronunciare queste parole, un barlume minaccioso emana per un istante dai suoi occhi vitrei.

-- “Vieni avanti a farti vedere, dove corri a nasconderti, mocciosa?”, aggiunge a sua volta Megera.

Lazra corre e fugge, prima in una direzione, e poi in un’altra, sempre improvvisando nel terrore, e nell’indecisione di cosa possa essere per lei più opportuno, tra la gorgone, le Erinni, e gli stessi spiriti di Dite che l’hanno presa di mira allo stesso tempo. Ha ben presente che per prima cosa deve evitare di incrociare lo sguardo con quello di Medusa, altrimenti diviene di pietra all’istante, per cui con la testa rivolta principalmente verso il basso, alla rena della spiaggia infernale, cerca riparo e scampo. Mentre Medusa si sposta per cambiare angolazione e riuscire a guardarla negli occhi, le Erinni emettono grida e strilli selvaggi e talvolta assordanti, e gli spiriti dannati fanno in modo di sospingerla e ridurla a restare senza riparo, Lazra si trova a scegliere tra dirigersi di nuovo verso la soglia di Dite e cercare riparo dentro la città, oppure avviarsi verso l’immondo liquido fangoso della palude Stige. Opta quindi per quest’ultima alternativa.

 

Nella palude:

Corre con foga verso la riva, e, dopo un attimo di esitazione, si addentra nel liquido di diseguale consistenza e densità. Non si tratta, evidentemente, di una sostanza omogenea e uniforme, ma le sembra che qualcosa di viscido e di varia consistenza sia immerso e non dissolto in essa, e le pare anche molto fredda un attimo prima, e molto calda un attimo dopo, e poi meno, e poi di più. Disperata e con il respiro affannato dal terrore, si avvia a saltelli verso l’interno della palude, dove la sostanza si fa rapidamente più fonda. In certi istanti la sente ghiacciata, e un attimo dopo calda bollente, e così allo stesso tempo per diverse parti del corpo, a diverse profondità. Non riesce neanche più bene a respirare, e si rende conto che quel liquido le rimane addosso, e le impregna i vestiti e la pelle. D’un tratto, mentre si sta inoltrando, avverte delle presenze sotto il liquido, e si rende presto conto che sono dei dannati immersi nella palude. Alcuni pure si accorgono di lei, rivoltandosi nella melma densa la avvistano, e con goffaggine e lentezza cercano di muoversi e di spostarsi nella sua direzione. Allungano le braccia, e sono due o tre quelli più vicini, anche se altri l’hanno scorta e si incuriosiscono. Sembra che la loro intenzione sia di invaderla, possederla, facendola divenire parte insieme a loro della palude stessa, in cui essi stanno muovendo con il flusso del liquido. Nonostante non possano toccarla con il corpo, Lazra si rende conto di quanto concrete siano quelle presenze, arrivando a condizionarla, agendo sul suo spirito, la sua anima, tramite sensazioni, emozioni e sentimenti. Avverte di come possa essere sospinta in una direzione o ad un moto, da un impulso dell’anima, da una sensazione, o una passione che la afferra interiormente. Si ribella con decisione a tali aggressioni, con grida e scatti, cercando con tutta se stessa di riprendere padronanza di sé ed equilibrio, ma improvvisamente vede e sente altri due spiriti, che le si riversano addosso con la loro presenza, facendola accasciare e immergere completamente nella melma immonda. Lazra si dimena fisicamente, da un lato e dall’altro, emettendo grida disperate all’interno della sostanza buia che la ricopre, e quindi, con strattoni ed immani sforzi, riemerge, sottraendosi ai violenti assalti, e riesce infine a divincolarsi e a riacquistare del controllo sul suo spirito, in un momento in cui i dannati si dileguano e svaniscono, immergendosi nella palude e riprendendo il largo. Si slancia via, quindi, tremando fortemente dal terrore e tossendo, e si dirige nuovamente verso la riva.

 

Medusa più da vicino:

Nonostante il fatto per Lazra di riemergere da una profondità del tutto oscura e cieca, l’ambiente circostante è sempre tenebroso e fosco, i chiarori che si scorgono provengono dall’interno della città di Dite, e sono comunque localizzati e rosseggianti, un po’ come in una notte buia e poco illuminata sul pianeta Terra.       

Lazra corre saltellando, e fuoriesce del tutto dalla palude. Si prende subito la briga di non tornare proprio dove si trovava prima, ma di inclinare la direzione in modo da trovare tregua, per quello che può, anche dai pericoli di prima. Rallenta allora la corsa, e prende a camminare in cerchio, diminuendo la velocità e a momenti arrestandosi, per riprendere fiato, sentendosi stremata e intrisa, nella pelle e nei capelli, della melma della palude.

Megera e Tesifone, tuttavia, le si avvicinano dall’alto, parallele l’una a breve distanza dall’altra:

-- “Va bene, abbiamo aspettato apposta il momento più divertente!”, avverte Megera con un ghigno, dando poi un’occhiata eccitata alla compagna.

Le si scagliano quindi addosso senza indugio, entrambe allo stesso tempo. La afferrano per le braccia, una d’un lato ed una dall’altro, e la alzano in aria, come la preda di un volatile rapace, mentre lei sgambetta, si dimena inutilmente nel vuoto che si fa più denso e fetido con la profondità.

-- “Stai calma che andiamo a farci un giretto!”, le intima Tesifone accanto al suo orecchio, con tono lento e minaccioso.

Come priorità, Lazra tiene a mente di non dover guardare Medusa, quindi volta con rapidi scatti la testa ora di qua, ora di là per capire dove quella è rimasta e dove si sta dirigendo. Sente le sue grida e i suoi sghignazzamenti, ancora prima di avvistarla:

-- “Hi! Hi! Guarda chi c’è! Pensavo quasi che avessi deciso di andartene e lasciarci sole!”

Lazra riconosce la voce cavernosa e china con forza il capo verso il basso, premendo il mento contro il petto, e strizzando gli occhi. Volta la testa di nuovo di lato, strattonandosi dalla presa delle Furie, e Medusa le si para proprio di fronte, innalzandosi dal basso, e le si avvicina sempre di più, lentamente e inesorabilmente, guardandola fissa in volto.

-- “Hi! Hi! Hi!!”, ridacchia profondamente.

Tenendo gli occhi chiusi, Lazra volta la testa alla sua sinistra, al di sopra della spalla, con tale scatto e forza che quasi le si slogano le ossa delle braccia, delle spalle e del collo. Sempre con lentezza, ridacchiando cavernosamente, e dischiudendo le labbra in un ghigno macabro e cupo, Medusa accosta ancora più il suo viso alla guancia destra di lei, fino ad annusarla, e mentre delle serpi strusciano contro i capelli di Lazra, e le scivolano addosso, Medusa estrae la lingua dalla bocca, agitandola rapidamente, e le dà una lunga e viscida leccata sulla gota, che trascina fino a inumidirle la palpebra dell’occhio destro.

 

Michelangelo, in compagnia dell’anima della statua:

In quel momento si aprono le porte della città di Dite non distanti di lì, da socchiuse che erano, e in un bagliore che illumina una vasta parte dell’ingresso e della riva di fronte, appare lo spirito di Michelangelo Buonarroti, l’artista autore della scultura originale di David, accompagnato dall’anima della sua copia, Dayéd, che Lazra ha lasciato poco prima all’interno di Dite. Pacatamente e senza scomporsi, con la saggia consapevolezza di un destino ineluttabile, avanzano sulla rena della palude, in mezzo agli spiriti dannati che stavano assistendo alla scena, e che ora rimangono esterrefatti e smarriti. Si portano nella direzione di Lazra, di Medusa e le tre sorelle, e alzando lo sguardo verso di loro, con voce ferma e possente, Michelangelo intima alle Erinni:

-- “Lasciate subito la giovane terrestre! Allontanatevi e non infastiditela più per alcun motivo, perché le è stata concessa grazia, ed è così voluto dal cielo.”

Si volge quindi a Medusa:

-- “Hai sentito? Andatevene immediatamente, e non avvicinatevi più a lei! Deve continuare il suo percorso”.

Si volta poi verso gli spiriti dannati che incalzavano Lazra, ma questi si sono già da sé acquietati e per la maggior parte dispersi, riconoscendo l’inesorabilità di un mandato divino.

Lazra intanto è precipitata bruscamente ancora nella melma della palude, nella parte bassa a ridosso della riva, e tremolante e terrorizzata per le traversie appena trascorse si sta rialzando e ricomponendo. Si riprende piano piano, Michelangelo e Dayéd le si avvicinano con discrezione, e si ricongiunge quindi con i compagni di poco tempo prima. Lo spirito dell’artista prende allora la parola:

-- “Lazra, sono stato mandato da spirito celeste per recare assistenza a te e a Dayéd, e permettervi così di proseguire.”

Lazra ha la bocca socchiusa dallo sbigottimento, e con occhi sbarrati ed increduli dà uno sguardo esterrefatto allo spirito della scultura, lì di fianco. L’artista prosegue:

-- “In virtù dello spirito di generosità e di sacrificio di cui Dayéd ha dato prova, non solo per te, Lazra, ma a favore di tutti i vostri simili che avrebbero a giovarsi della riuscita dei vostri sforzi, gli è stata concessa grazia divina di proseguire, e fare ritorno dal regno delle anime al mondo mortale, come disposto dalle promesse precedenti.” 

Lazra fissa Dayéd, sbalordita e perplessa, e l’anima le racconta:

-- “Non avevo più speranza di rivedere te, o i luoghi non solo della vita terrena, ma neppure al di fuori delle mura di Dite. Ad un certo punto, là dove mi trovavo, ho visto sopraggiungere lo spirito luminoso di Michelangelo, che faceva giorno splendente nel buio della notte eterna, e mi ha detto di seguirlo. Io mi sono allora incamminato dietro a lui, e siamo così arrivati da te.”

Lazra spalanca allora l’apertura della bocca, in una pulsione di gioia ed entusiasmo, senza tuttavia riuscire ad esprimere e sostenere tutto ciò che le viene da provare in seguito a queste nuove emozioni, e semplicemente ripiega il capo, appena accennando ad un pianto liberatorio, sobbalzando tra le spalle.

Dall’arrivo di Michelangelo e Dayéd, i tre sono lasciati del tutto in pace da parte degli spiriti dannati che prima si accalcavano alla soglia della città di Dite, i quali si trovano ora in uno stato confusionale di sbigottimento, e pure dalle Erinni e dalla gorgone che erano giunte violentemente all’assalto e che sono ora del tutto scomparse dalla vista. 

 

Attraverso la palude Stige:

Congedatisi dallo spirito di Michelangelo, Lazra e Dayéd si avviano verso la riva, all’imbarcazione di Flegias, che nel frattempo è sopraggiunto con un carico di spiriti dannati appena valutati e giudicati da Minosse, e destinati all’interno della città di Dite.

Mentre si preparano a salire a bordo, Dayéd le domanda, con un filo di voce timoroso:

-- “Hai tenuto conto di quanto tempo rimane a disposizione per uscire e tornare?”

Lei accenna ad un sorriso, senza guardarlo direttamente, e abbassando lo sguardo gli risponde:

-- “Il periodo sta scadendo ora, se non lo è già del tutto. E a dire la verità,” aggiunge con una rivolo di risata, “sento che le forze a tratti mi stanno venendo un po’ meno, e non dev’essere solo per gli sforzi di prima.”

-- “Ma ci vorrà ancora del tempo per arrivare dove siamo partiti…”, osserva lui con apprensione e dolore.

Lazra lo guarda negli occhi, e sorridendo con dolcezza e pietà, gli dice:

-- “Non preoccuparti, non badarci. Questo era già messo in conto da un po’..”

Si mettono in viaggio, l’imbarcazione è vuota eccetto che per il conducente stesso, e in un primo breve tratto Lazra e Dayéd si appoggiano sui bordi e ne approfittano per rilassarsi un poco, mentre lei si sente mancare le forze e venire meno, e in certi momenti ha la sensazione di perdere i sensi. Lo spirito della scultura, invece, sta gradualmente acquisendo corporeità e sensibilità, divenendo un uomo di carne, sangue e ossa, da anima immateriale che era.

Allora avviene qualcosa che nessuno dei due si sarebbe aspettato, e nemmeno Flegias stesso: uno spirito dannato immerso nel fango della palude sembra fare particolare attenzione alla barca e al suo equipaggio, e dopo aver osservato Lazra e aver notato che è ancora nella vita corporea, la apostrofa con versi ed espressioni che in un primo momento sono incomprensibili sia per lei che per Dayéd. Dopo un poco, tuttavia, essi riconoscono alcuni significati:

-- “Chi sei? Cosa vuoi? Cosa fate qui?”, domanda quello con toni bruschi e minacciosi. I passeggeri lo scrutano con attenzione e prudenza, ma non rispondono nulla. Allora il dannato prosegue, avvicinandosi:

-- “Nessuno, nessuno…nessuno torna indietro per di qua, sulla barca di Flegias…si va solo di là”, e indica la direzione della città di Dite. “Non di qua. Di qua va solo la barca vuota, a prenderne altri.” Ancora, Lazra e Dayéd non replicano nulla. Quello sembra spazientirsi nel notare l’indifferenza alle sue osservazioni:

-- “Chi siete? Chi vi pensate di essere, per passare come vi pare?”  

Dopodichè si avvicina ulteriormente all’imbarcazione, e afferrato il bordo con le mani, in uno scatto si erge a ridosso di esso, e con un unico movimento si slancia goffamente verso Lazra, allungando le braccia per ghermirla. Lei urla, nonostante i riflessi e le forze le si stiano esaurendo, e si getta all’indietro, cercando di ripararsi, ed anche Dayéd reagisce per difenderla:

-- “Noo-ooh!!!”, grida questi, e si lancia verso di lei, afferrando il dannato alle braccia per liberarla. Vi riesce: lo spirito viene distolto, mentre Lazra è sbalzata dall’urto con la corporeità  che sta acquisendo sempre più l’anima della statua, e ricade sul pavimento, ovvero sul fondo dell’imbarcazione. Nell’attuale fase di acquisizione della sua fisicità, Dayéd inizia a tratti ad avere dei contatti corporei, carnali, allo stesso tempo diminuendo gradualmente il contatto diretto con le anime.

Lo spirito rimane avvinghiato a Dayéd, ed anzi, ora un altro dannato si arrampica esattamente come quello, approfittando del trambusto, e si aggrappa al passeggero insieme al compagno. Dayéd esita ora, dà uno sguardo a Lazra che è libera, e seduta un poco più in là non sta correndo rischi, e lui, dal canto suo, ha più a cuore di rispettare il precetto che di adoprarsi per la propria incolumità. Rimane quindi inerme e passivo agli strattonamenti e agli assalti degli spiriti dannati, ma quando uno dei due sale improvvisamente del tutto a bordo, e rivolge di nuovo le sue attenzioni a Lazra voltandosi per avvicinarla, Dayéd reagisce nuovamente, e si lancia verso di lei. Per difenderla questa volta, dovrebbe colpire il dannato che la sta immaterialmente assalendo, e rigettarlo nella melma. Afferrato un braccio di quello, Dayéd raccoglie le idee e la concentrazione, per valutare e decidere, e Lazra si accorge di questo con sgomento. Mentre il dannato si volge verso di lei, la ragazza si preoccupa più che altro per quello che potrebbe fare Dayéd, venendo meno all’impegno. Questi decide allora d’istinto, caricando indietro il braccio per sferrare un colpo. Lei manda un grido di disperazione e angoscia e si lancia con uno scatto stremato per fermare il braccio di Dayéd, il quale, ormai in azione, sferra il colpo. Lazra rimane percossa, assorbendo tutto l’impatto su di sé, e ricade stordita sul suolo della barca.

-- “Noo!”, esclama Dayéd con dolore lacerante, e si accascia verso di lei, disperando del suo gesto.

Sta ormai a Flegias, il traghettatore della palude Stige, di intervenire, il fato ha così disegnato e predisposto, e con il remo sferza lo spirito dannato clandestinamente a bordo dell’imbarcazione, e l’altro a ridosso della sponda, e li sbatte di nuovo nella melma della palude, dove sono destinati da sempre.

Lazra è incosciente e priva di sensi, Dayéd cerca di accomodarla meglio che può, con le gambe sul pavimento della barca, e il busto appoggiato alla sponda; ancora non si rende bene conto della situazione, o di cosa sia il caso di fare. Si guarda attorno, guarda Lazra, cercando di riflettere; si dispera, chinandosi verso di lei, con gemiti di sconforto e di rabbia insieme, rimorso dai sensi di colpa per quanto ha fatto.

 

Verso l’uscita:

Conclusasi la traversata, sbarcano sulla riva, e mentre Flegias rivolge lo sguardo ad alcune anime di defunti appena sopraggiunte, Dayéd adagia dolcemente Lazra a terra, sulla rena infernale, con il capo appoggiato ad un masso. Accovacciato sulle ginocchia accanto a lei, le tocca il viso, le guance, la fronte, esclamando tra sé:

-- “Oh, mio Dio! Fino a poco tempo fa noi due non potevamo neanche sfiorarci, ed ora che cosa ho mai combinato?” Rivolge un gemito prolungato verso il cielo, con gli occhi strizzati e le mani serrate insieme, e poi si ripiega su di sé.

Gli sembra che il colorito di lei stia impallidendo, e la respirazione si stia esaurendo. Al che le afferra le braccia e la tira a sé, scuotendola con disperazione, e le grida:

-- “Riprenditi! Apri gli occhi! Manca poco ora!”

Improvvisamente, allora, appare a Dayéd lo spirito di Erì-thong, il saggio eremita, in piedi sulla riva a breve distanza, con un aspetto evanescente che va e viene, ed appena percettibile. La sua espressione è benevola e affabile, e con voce che risuona a Dayéd bassa e profonda, come se permeasse l’intero ambiente, lo esorta:

-- “…Prendi Lazra con te…prosegui il cammino…”

-- “Ma come?!”, ribatte Dayéd con disperazione, “se è quasi morta! Non risponde più, non respira, è scaduto il tempo da un pezzo!! E’ morta!!!”, grida dall’angoscia.

-- “…prosegui il cammino…”, ripete con voce pacata Erì-thong, “…ha trovato grazia presso il cielo…” Ora lo spirito del sapiente svanisce nell’aria, e la sua voce lascia qualsiasi riferimento di luogo e di provenienza, e risuona tutt’attorno e dentro a Dayéd. “…si riavrà in capo a tre giorni…trasportala con te.”

Dayéd è sconcertato, incredulo, non reagisce neppure alla notizia: semplicemente, con la bocca mezza aperta e gli occhi spalancati, volge lo sguardo a dove si trovava lo spirito poco prima, e poi a Lazra, inerme al suolo. Esita per brevi istanti, ma poi un senso pratico e di dovere lo sprona, e assicuratosi Lazra tra le braccia, si alza in piedi e si volge per proseguire il percorso rimasto.

Non scorge più gli spiriti dannati pronti ad essere imbarcati da Flegias, anche se in modo flebile e incostante ode ancora delle grida, degli strilli, dei rumori di prima, che tuttavia si stanno gradualmente dileguando. Si incammina senza badarci, in verità, e dopo alcuni passi, quasi senza che lui se ne renda pienamente conto, l’ambiente infernale così come gli appariva qualche attimo prima, svanisce, e si trasforma in una foresta, con vegetazione, piante di diverso tipo e alberi, che si vanno via via diradando. Lazra è ancora inerme e incosciente tra le sue braccia, ma lui non se ne preoccupa molto, mentre varca con passi discreti le ultime file di alberi e scorge davanti a sé l’iniziale bagliore mattutino che sta giusto ora allungando dall’orizzonte i suoi primi densi raggi.

 

Ritorno alla vita mortale…:

Dayéd discende dal piano della valle delle Anime, nella vallata più ampia e aperta che si incontra sulla via del centro abitato, e sul limitare di essa, in prossimità di uno dei sentieri che anche Lazra ha avuto l’abitudine di frequentare, incontra tre Custodi Interplanetari, Gus-par e Yu’ko, i due amici confidenti della ragazza, insieme ad un terzo compagno dell’Ordine, che stanno al momento transitando per quei luoghi naturali. Immediatamente, Lazra e Dayéd vengono condotti ad un centro-servizi dell’Ordine, in cui si trova anche un’infermeria di pronto soccorso, e qui lei viene ricoverata in osservazione, mentre a lui si impartiscono degli accertamenti generali. 

 

Lazra si trova a letto, in una stanza di degenza del reparto di animazione nel centro-servizi dell’Ordine, è ancora incosciente, ed è sotto costante osservazione. All’interno del locale si trovano anche Gus-par e Yu’ko, in piedi uno di fianco all’altro, discretamente scostati dal letto, nei pressi dell’ingresso. La osservano con ansia ma fiduciosi, mentre da fuori sopraggiunge Gahk.

-- “Non è in pericolo”, osserva Yu’ko a Gahk per informarlo della situazione, “sta gradualmente recuperando vitalità, e tra non molto dovrebbe anche riprendere i sensi, magari tra qualche giorno…”

-- “Ma cosa ha avuto?”, domanda Gahk, “Cos’è successo?” 

Gli risponde Gus-par:

-- “Quando l’abbiamo trovata, ieri, era fortemente indebolita, i suoi segni vitali erano esilissimi e irregolari, e tuttavia andavano piano piano ristabilendosi, come se avessero appena ripreso a funzionare da uno stato di morte vero e proprio. Per come ci è apparsa dapprima, in verità, fino ad ora ha recuperato in modo sorprendente.”

-- “Nessuno ha capito ancora bene che cosa le sia successo”, prosegue allora Yu’ko, “il tizio con cui l’abbiamo trovata, seppure stia in generale abbastanza bene, sembra un po’ vago ed approssimativo riguardo all’accaduto, come se lui stesso si sentisse confuso su questo…”

-- “Comunque sia”, commenta Gahk osservando la ragazza, “se è fuori pericolo e si sta riprendendo, questo è già di per sé positivo, direi…”

Gli altri due Custodi annuiscono lentamente, in accordo con le sue parole.

 

Come se ad un certo punto avesse deciso di avere riposato abbastanza, Lazra apre gli occhi nel modo più spontaneo e naturale. A lato del letto scorge i suoi due amici Gus-par e Yu’ko, alla vista dei quali allarga debolmente le labbra in un sorriso.

-- “Ueeeh! Buon giorno!”, esclama nella sua direzione Gus-par, chinandosi verso di lei. “Allora? Hai fatto una bella dormita? Ti sei riposata?”

La ragazza annuisce socchiudendo gli occhi. Dopo un istante se li sfrega lentamente, e poi guardando i due Custodi domanda:

-- “…Dayéd…?”

-- “Sta benone”, le risponde Gus-par. “è in compagnia di alcuni Custodi e per ora sta presso di loro, poi si vedrà. Ha fatto degli accertamenti medici qui, negli ultimi tre giorni, e risulta in forma.”

-- “Poi vedremo come iniziare a dire in giro che c’è Dayéd!...”, osserva con aria scherzosa Yu’ko.

-- “Sarà un bel daffare!...”, commenta Gus-par.

Lazra sorride con gli occhi socchiusi.

Gus-par le si fa più vicino, accanto al letto, e si raccomanda a bassa voce:

-- “Noi non sappiamo un granché di quello che è accaduto, fino ad ora non siamo riusciti ad avere notizie da capirci molto, ma se hai, o se c’è bisogno di qualche cosa, facci sapere, ok? Questi Custodi sono disponibili: usali!”

Lazra sorride nuovamente, con gratitudine e dolcezza.

 

…e primi incontri:

Lazra si trova immersa nell’amato paesaggio naturale che spesse volte ha frequentato, da sola ed in compagnia, prima della sua recente disavventura. In questo momento è in piedi insieme ai due compagni di prima, Gus-par e Yu’ko, ai margini di un ampio e florido prato.

-- “E’ una meraviglia questo posto!”, commenta lei con un ampio e gioioso sorriso. “Forse ci sono affezionata per l’abitudine di frequentarlo, e questo non è giusto, dovrei essere indipendente e distaccata dai luoghi, ma è senz’altro un posto magnifico.”

I Custodi sorridono. I tre si incamminano lentamente lungo un sentiero, e lei prosegue:

-- “Mi è capitato di ripensare a Erì-thong. Come sta? L’avete visto di recente? Mi piacerebbe incontrarlo…”

Yu’ko , che le sta camminando di fianco, in questo momento il più prossimo a lei, le dà un’occhiata, poi torna a scrutare il sentiero dove sta appoggiando i piedi, e le comunica:

-- “Erì-thong è morto.”

Lazra volge di scatto lo sguardo verso di lui, con un’espressione sorpresa e interrogativa, incerta su che cosa voglia dire, se stia dicendo sul serio, e ha infatti ancora un cenno di sorriso sulle labbra…

-- “E’ morto sette giorni fa”, continua lui, dopo averle dato un’altra occhiata, questa volta di conferma, “di sera. Sembra che sia stato per via di un arresto improvviso e fulminante. Era a casa sua.”

Lazra ora realizza di più, e la sua espressione diviene un po’ alla volta seria e addolorata. Lo stupore, per il momento, ancora le attutisce l’asprezza del dispiacere.

-- “Sette giorni fa?...”, esclama quasi incredula. “Ma sarà stato il giorno dopo che sono andato a trovarlo a casa sua!...”, prosegue riflettendo tra sé e sé, e poi dà un’improvvisa occhiata a Yu’ko e Gus-par, come se in seguito ad una repentina realizzazione. Il suo animo ha raggiunto una consapevolezza nuova, ma è anche permeato da tristezza e dolore. 

 

Lazra, Gus-par e Yu’ko vengono quindi raggiunti da Gahk e due sorelle della ragazza, che erano presenti alla serata nel locale pubblico da cui Lazra è andata via improvvisamente.

-- “Lazra!”, esordiscono entrambe le sorelle andandole incontro, sorridendo e con un genuino entusiasmo di rivederla. “Ma dov’eri finita?” prosegue una delle due, “Va beh che per tre giorni siamo stati via anche noi insieme a Pop, e alla fine c’è stata solo Mom a casa, e dice che sono giorni che non ha tue notizie. Era un po’ preoccupata, anche se lo sai che si fida molto di te.”

-- “Più che di me di sicuro!…”, commenta l’altra sorridendo ironicamente. “Siamo andate via per tre giorni e non faceva altro che dire a Pop: ‘Guarda che facciano questo, e che abbiano quello, e attente a quest’altro…’ Mamma mia! Proprio come con delle deficienti!” 

Lazra sorride, e poi replica:

-- “Se avesse saputo in anticipo che sarei stata via, avrebbe fatto lo stesso anche con me!...”

-- “Sì, lo fa spesso!”, commenta la prima, mentre tutte e tre ridono e sorridono. Lazra osserva le sorelle sinceramente positive e ben disposte tra di loro e verso di lei, e ne rimane dapprima un poco stupita, anche se non può che esserne lieta, e ci tiene ad essere affabile di ritorno.

-- “Ti saluta Raski”, continua la seconda sorella. “Stava facendo un lavoro che gli ha chiesto Pop”.

Lazra annuisce.

-- “Speriamo in bene!”, interviene divertita l’altra. “Ha detto che è un esperimento che non ha mai provato prima”.

-- “Ma sì, dai!”, le replica la prima. “L’ha detto per mettere le mani avanti così che nessuno si aspetti niente! In questo senso è quasi furbo, ma s’è impegnato davvero.”

-- “Ti saluta anche Pop”, comunica l’altra guardando Lazra. “L’ho visto mentre stavamo venendo qua”.

-- “Grazie”, risponde la ragazza terrestre.

I due Custodi sono presenti all’incontro, anche se leggermente in disparte, e sono rimasti fin ad ora in ascolto, senza interrompere la conversazione. In questo momento si avvicinano affabilmente a Lazra, e Gus-par interviene:

-- “Mi dispiace se vi interrompo. Lazra, dovremmo andare adesso, tra poco sarà l’ora e non abbiamo moltissimo tempo…”

-- “Sì!...”, replica prontamente lei. “Dobbiamo scappare!”, comunica rivolta alle sorelle. “Ci vediamo, salutate anche voi Raski e Pop, per favore, se non li vedo prima io…”

Si salutano tutti quanti, e Lazra e i Custodi da una parte e le due sorelle da un’altra, se ne partono, ognuno per la propria via.

 

 

 

(Monza, agosto 2008-Marzo 2009)

 

 

 

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