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Sovrappopolazione e sottosviluppo.

La Conferenza del Cairo

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Comandè Marco

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Capitolo 3

Quale futuro

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q) Denatalità forzata.

 

Un continuum tra i precedenti capitoli e il seguente
I tre capitoli precedenti ci sono serviti per rispondere a due domande. La prima è perché siamo arrivati all'attuale situazione di sovrappopolazione, sottoalimentazione e deforestazione. La seconda è definire la struttura geopolitica dei vari Paesi, la distribuzione della popolazione nel mondo, la qualità della vita e le risorse necessarie per la sopravvivenza degli attuali 6 miliardi, e poco più, di persone.
Adesso è tempo di occuparci del futuro. Ognuno dei prossimi paragrafi analizzerà uno dei temi classici della popolazione: le ipotesi statistiche sulla distribuzione della popolazione, il problema del rapporto tra popolazione e risorse, un'analisi filosofica sul rapporto tra popolazione e cultura nazionale e sovrannazionale, l'immigrazione come fattore di riequilibrio tra un Nord ricco e in declino demografico ed un Sud povero e sovrappopolato, e per finire l'eterno problema delle malattie che minacciano l'equilibrio socio-demografico.
In ogni paragrafo ci saranno dei richiami a quanto detto finora, per permettere una continuità tra passato e futuro. Sarà privilegiato l'aspetto sociologico delle questioni (mentre finora si è dato preminenza all'aspetto storico e geopolitico): per questo useremo i verbi quasi tutti al presente. Per questo paragrafo, iniziamo con una sintesi del percorso involutivo ed evolutivo dell'umanità intrapreso fin dai primordi:

Periodo

Occidente

Oriente

Vicende storiche

Scelte procreative
… - 10.000 a.C.

Nomadismo

Nomadismo

Lotta per la sopravvivenza

Infanticidio femminile
10.000 a.C. - 1700

Tradizione

Tradizione

Scontro tra civiltà

Alta natalità/alta mortalità
1700 - 2000

Modernità

Tradizione

Rivoluzioni in Occ./Colonialismo

Transizione demografica
2000 - …

Modernità

Tradizione

Globalizzazione
Pianificazione

Il futuro dovrebbe riservarci, quindi, una diffusione dei sistemi di controllo delle nascite. L'elemento principale che confermerebbe questa previsione, ha a che fare con i meccanismi biologici che limitano le nascite in corrispondenza di un aumento del benessere o della popolazione. La desertificazione del suolo, il fondamentalismo religioso e l'HIV/AIDS li consideriamo, salvo imprevisti, come semplici fattori che rallentano il processo, perché non intaccano le linee direttrici della storia elencate nello schema, e saranno approfonditi solo nei prossimi paragrafi.

I meccanismi biologici che rallentano le nascite
Abbiamo ricordato, con Marx, che lo scopo di tutte le società umane - ma anche di tutte le specie viventi - è il mantenimento e la riproduzione degli individui. In altre parole, ogni specie vivente può perpetuare se stessa soltanto se gli animali mettono al mondo dei figli che li sostituiranno, quando questi saranno morti (per vecchiaia, per malattie, per incidenti, o perché vittime di predatori).
I biologi hanno identificato due grandi categorie di strategie vitali per assicurarsi la discendenza. Gli insetti, i pesci, gli uccelli, alcuni piccoli mammiferi vivono essenzialmente in ambienti assai instabili, e si avvantaggiano nei periodi favorevoli (annuali, stagionali) per riprodursi con grandissima rapidità, perché le probabilità della discendenza sono scarsissime. Un animale poco evoluto non ha le capacità per difendere le proprie uova dai predatori, o per badare ai piccoli appena nati: di conseguenza la conservazione della specie è assicurata dal gran numero di figli, e fra questi solo pochi riusciranno a diventare adulti e a rimpiazzare i genitori.
I mammiferi (uomo compreso) e alcuni tipi di uccelli colonizzano ambienti relativamente stabili, ancorché affollati di competitori, di predatori e di parassiti, e pertanto sono indotti dalla pressione ambientale e selettiva a competere per sopravvivere; ciò richiede, soprattutto, forti investimenti parentali di tempo ed energia sulla discendenza per il suo allevamento, e questo è possibile solo se il numero dei discendenti è ridotto. Inoltre, la minore vulnerabilità alle fluttuazioni ambientali, connessa con le maggiori dimensioni corporee, evita il bisogno di affidare la perpetuazione della specie ad un'elevata riproduttività. (Livi Bacci, p. 10-13)
Malgrado ciò, il meccanismo non è così semplice. La prova sta proprio nel percorso involutivo che ha dovuto subire l'uomo. Quando era un cacciatore nomade, la strategia riproduttiva era adeguata allo scopo del mantenimento e della riproduzione: selezione dei maschi in età adulta, perché solo un uomo robusto poteva assicurare il bottino di caccia; selezione delle femmine in età infantile, in primo luogo per evitare che i bambini fossero un peso durante gli spostamenti, e in secondo luogo per evitare lo squilibrio troppe femmine-pochi maschi con il trascorrere degli anni; infine, i meccanismi biologici favorivano questa selezione, ad esempio la corsa selvaggia degli spermatozoi all'interno della vagina: su 500 milioni, solo il più veloce (il che permette di presumere che sia anche portatore di un gene sano) riesce a fecondare; l'altro esempio è il ciclo di ovulazione interrotto per molto tempo dopo un parto per permettere alla donna di allattare il figlio nato e quindi di irrobustirlo, e quest'interruzione ritarda il prossimo parto e riduce naturalmente il numero di figli. (I tempi sono al presente, perché è la descrizione scientifica di una legge di natura ancora esistente).
Il passaggio ad una vita sedentaria, con il conseguente indebolimento fisico dovuto alle carestie, pestilenze e guerre, ha scombussolato l'equilibrio vitale raggiunto nel Paleolitico. Si può benissimo immaginare che il ciclo di ovulazione si sia accorciato, per permettere l'alta prolificità necessaria a compensare il numero eccessivo di morti. È così che ha assunto molta importanza il potenziale riproduttivo di una donna, che dipende da due fattori: la frequenza delle nascite e il periodo fertile utilizzato per la riproduzione.
La frequenza delle nascite è funzione inversa degli intervalli tra un parto e l'altro. In regime di fecondità naturale quale esistente nel sistema patriarcale, l'intervallo tra parti può essere scomposto in quattro segmenti:
a) Un periodo di infecondità dopo ogni parto, poiché l'ovulazione viene sospesa per un periodo di un paio di mesi. Ma questo periodo anovulatorio (durante il quale è impossibile concepire) cresce al crescere della durata dell'allattamento, quasi sempre prolungato fino al secondo anno di vita del bambino e talora fino al terzo. La durata dell'allattamento varia fortemente nelle diverse culture, cosicché i limiti minimi e massimi per una popolazione possono indicarsi in 3 e 24 mesi.
b) Il tempo medio di attesa, costituito dal numero di mesi che, mediamente, occorrono perché, ripresa la normale ovulazione, si torni a concepire. Avverrà che, per motivi naturali o casuali, alcune donne ritornino a concepire nel primo ciclo ovulatorio, mentre per altre l'attesa - sia pure in costanza di normali rapporti sessuali - si prolunghi per un ulteriore numero di cicli. Si possono assumere, come limiti minimi e massimi, 5 e 10 mesi.
c) La durata della gravidanza, pari a circa 9 mesi
d) La mortalità intrauterina. Su circa 5 gravidanze normalmente avvertite e riconosciute, circa 1 non arriva a termine per aborto spontaneo. Nel caso di aborto, un nuovo concepimento potrà avvenire trascorso il normale tempo medio di attesa (5-10 mesi, per l'appunto). Ma poiché solo 1 concepimento su 5 aggiunge questa nuova componente all'intervallo tra le nascite, il contributo medio all'intervallo tra parti successivi può valutarsi in 1-2 mesi.
Se si sommano i valori minimi e massimi delle componenti a, b, c e d, si ottiene che l'intervallo medio tra parti può situarsi tra i 18 e i 45 mesi; per semplificare, tra 1,5 e 3,5 anni. Ma poiché una combinazione sia dei minimi, sia dei massimi delle varie componenti d'intervallo è assai improbabile, tale intervallo ricadrà normalmente tra i 2 e i 3 anni.
Il periodo fertile utilizzato per la riproduzione è legato a fattori prevalentemente culturali, che determinano l'età di accesso alla riproduzione, o età d'inizio di una stabile unione a fini riproduttivi (matrimonio) mentre fattori soprattutto biologici ne determinano la fine.
a) L'età al matrimonio varia tra limiti minimi prossimi alla pubertà (poniamo i 15 anni) e massimi che, in popolazioni europee, hanno spesso superato i 25 anni.
b) Termine del periodo fertile. Questo può essere posto attorno ai 50 anni, ma, nella media di una popolazione, esso è molto più basso e ne può essere un buon indicatore l'età media alla nascita dell'ultimo figlio in popolazioni che non praticano il controllo delle nascite. Questa è assai stabile con limiti minimi e massimi di 38 e 41 anni.
Combinando tutti i massimi e minimi e arrotondando, si può dire che le durate medie delle unioni a fini riproduttivi (in assenza di interruzione, per morte o per divorzio) potrebbero variare tra i 15 e i 25 anni.
Semplificando al massimo possiamo adesso immaginare quali potessero essere i livelli minimi e massimi di prolificazione in astratte popolazioni non soggette a mortalità; ciò può ottenersi combinando (a) il minimo della durata riproduttiva (15 anni) con il massimo dell'intervallo tra parti (3,5 anni): 15 anni / 3,5 anni = 4,3 figli; oppure (b) combinando il massimo della durata riproduttiva (25 anni) con il minimo intervallo tra parti (1,5 anni): 25 anni / 1,5 anni = 16,7 figli.
Naturalmente, queste combinazioni estreme sono impossibili poiché le varie componenti non sono indipendenti tra di loro. Ad esempio, in caso di matrimonio precoce, le ripetute gravidanze possono portare a patologie che diminuiscono la fecondabilità, o ad un precoce rallentamento dei rapporti sessuali, concorrendo ad aumentare l'intervallo tra i parti. Nel sistema patriarcale, sono stati rari i casi di livelli medi inferiori a 5 o superiori a 8. (Livi Bacci, p. 20-22)
Poiché la donna può avere solo un numero limitato di figli, mentre un uomo può generarne migliaia, la femmina aumenterà le possibilità di trasmettere i propri geni soltanto se è estremamente selettiva nella scelta del compagno. Al contrario, i maschi tendono a massimizzare la possibilità di trasmettere i loro geni accoppiandosi indiscriminatamente con più femmine possibili. Questo spiega anche perché siano gli uomini, e non le donne, i principali consumatori di prostitute e pornografia. E questo spiega infine perché solo gli uomini potenti, ricchi e importanti ottengono più facilmente, e con più frequenza, l'accesso al corteggiamento e all'intimità femminile. (Fukuyama, p. 132)
Il problema nasce dal fatto che le società patriarcali hanno interesse a garantire la sicurezza del rapporto tra madre e figlio, affinché quest'ultimo sia in grado di muoversi da solo e sia capace di sopravvivere, con ragionevoli possibilità di raggiungere l'età adulta. Queste società hanno creato così regole complesse e rigide per tenere unite le coppie, una volta che si sono riprodotte. (Fukuyama, p. 134)
Il maschio è fortemente incentivato a far credere che provvederà al sostentamento e sarà leale, mentre non ne ha alcuna intenzione; la femmina, invece, ha interesse a scoprire l'inganno. D'altra parte, la femmina è fortemente incentivata a concepire i suoi figli con il maschio che abbia i geni migliori, a prescindere dal fatto che sia colui che provvede effettivamente al suo sostentamento economico, mentre il maschio è fortemente incentivato ad evitare di essere tradito e di sperperare le sue risorse allevando i figli di un altro.
Dall'esigenza di evitare questi tipi di inganni sono nati i molti costumi sociali che abbiamo visto nel paragrafo d e nel capitolo 3: la cintura di castità, il purdah, la clausura, la clitoridectoma, il matrimonio riparatore e anche le differenti pene presenti in molti sistemi legali umani che puniscono sia l'infedeltà maschile, sia quella femminile. Allargando il raggio d'azione dalla famiglia alla società, si capisce meglio l'imperativo di mantenere la purezza della razza contro la contaminazione delle razze inferiori. (Fukuyama, p. 234)
L'apprendere e l'apprezzare queste regole, nel sistema patriarcale, è considerata una prova d'intelligenza per i governanti e aspiranti tali. Nella lista dei governanti ed aspiranti includiamo anche Mussolini, Hitler, Milosevic, Sharon e Bin Laden.
Con il sistema borghese ritorniamo ai metodi selettivi di controllo delle nascite, come dimostrazione del rinnovato benessere raggiunto grazie al progresso socio-economico. Ma le somiglianze con il sistema tribale finiscono qui (o meglio dovrebbero, perché del sistema tribale ne sappiamo meno di quanto sarebbe opportuno).
Per il resto, l'uomo borghese è molto più simile, per costituzione fisica, all'uomo "patriarcale": con la rivoluzione agricola avvenuta nel neolitico, l'uomo non si era soltanto indebolito, ma aveva visto modificarsi il suo apparato corporeo; in altri termini, l'istinto di predatore aveva ceduto il posto all'intelligenza emotiva, più utile nella guida di comunità assai complesse rispetto a quelle tribali. Non stiamo a rievocare Darwin, per carità: ci limitiamo solo a constatare un dato di fatto, spetta agli esperti spiegare il perché di questa mutazione.
Di qui la nascita della religione, della politica, dell'economia, della scienza. E con il processo di inurbamento, le qualità intellettive sono ancora più importanti. L'uomo moderno rappresenta una continuazione dell'uomo "patriarcale", ma su un habitat più adatto per le sue esigenze.
Nei cinque milioni di anni circa da quando la razza umana si è separata dagli scimpanzé (nostri parenti in linea diretta), le dimensioni del cervello si sono più che triplicate e si sono estese sino al limite del canale del parto della madre. Il cervello degli esseri umani è così grande che, nonostante un periodo di gestazione alquanto lungo, gli uomini nascono prematuri, e gran parte della maturazione, che nelle altre specie avviene durante la gravidanza, qui si verifica fuori dall'utero. I neonati, quindi, alla nascita sono decisamente più inermi della maggior parte delle altre specie, anche più delle scimmie.
I piccoli dell'uomo impiegano un tempo straordinariamente lungo per diventare autosufficienti e nel frattempo di solito sono deboli, vulnerabili e dipendenti dai genitori: la loro unica arma è la compassione, come per tutte le specie viventi deboli (questa compassione dovrebbe mitigare la ferocia dei possibili predatori: è così che viene visto scientificamente il concetto religioso di altruismo). Di qui l'organizzazione sociale incentrata nello sviluppo psico-motorio dei bambini: scuola, sanità, sport, divertimenti, guarda caso tutte attività possibili solo in un contesto urbano. (Fukuyama, p. 131)
Rinviamo al capitolo 2 per i meccanismi biologici conseguenti al processo di inurbamento. Qui dobbiamo solo aggiungere il rovesciamento dei valori avvenuto con la costituzione della famiglia borghese: l'aborto, la liberalizzazione sessuale, la contraccezione, i figli illegittimi, il divorzio, il riconoscimento delle coppie di fatto e dei matrimoni omosessuali; parrebbe proprio che la famiglia si sia disgregata, che i valori morali non abbiano più senso.
In realtà l'impressione è errata, e basterebbe solo pensare al numero enorme di matrimoni riparatori inventati sotto il sistema patriarcale per rimediare alle nascite illegittime. Bisognerebbe meglio ricordare il ragionamento valido in questo sistema: il vincolo sacro e indissolubile della famiglia è un qualcosa che pochi apprezzano, la vile plebe ama sguazzare nel pantano e per questo non merita tanta considerazione; a questi "animali ridotti a pura vita vegetativa" va imposto di sacrificare il proprio piacere in nome della morale patriarcale (la predominanza dei doveri sui diritti). Chissà perché quando si deve coltivare i campi, o sterminare le popolazioni conquistate mediante furti, stupri, omicidi, questi vili plebei diventano all'improvviso e miracolosamente (meglio dire religiosamente) degli onesti lavoratori di regime e dei valorosi guerrieri degni della gloria patria.
Il ragionamento borghese è diverso da quello patriarcale: un ambiente difficile potrebbe valere per punire chiunque preferisca la via del vizio, ma sarebbe assurdo affermare che soltanto i pochi virtuosi abbiano il diritto di fare figli. In realtà chiunque ha il diritto di assicurarsi una discendenza: non si vorrà punire un padre di famiglia, per quanto vizioso possa essere?
Così, chi ha virtù fa carriera (i famosi self-made-men), mentre gli altri lavorano per mantenere moglie e figli. Spetta alla società stabilire cosa si intenda per virtù, non all'autorità religiosa, perché appartenendo lo scopo della riproduzione all'ordine naturale e scientifico delle cose (e la borghesia fonda il suo potere sulla scienza), allora qualunque regola sorga spontanea non può contrastare quest'ordine, ma anzi fa parte integrante dello stesso ordine e conferma lo scopo prefisso dalla natura.
L'importante è stabilire una serie di regole minime maturate con l'esperienza (il saggiare, scegliere, criticare i valori in infinitum: Nietzsche, par. h), ed in questo senso alcune tradizioni sono state ripristinate: ad esempio le virtù cristiane della solidarietà e della tolleranza, il matrimonio cristiano, la saggezza degli indiani d'America, la filosofia antica, l'intelligenza di Socrate…
In altri termini, l'unica regola veramente valida è di accudire chiunque nasca in quanto portatore di virtù proprie, virtù che matureranno con l'esperienza. Soltanto la comunità può giudicare questa persona, premiare le sue virtù, punire i suoi vizi quando questi vizi contrastano con l'interesse altrui. L'unico limite alla libertà di un individuo è il rispetto della libertà degli altri, ha detto un filosofo: in questo senso, la virtù dell'alta prolificità va a cozzare con le altre virtù. La società borghese non pone alcun limite negativo, non ha alcuno scopo distruttivo, "religioso", ma è protesa verso orizzonti di gloria inimmaginabili (da qui nasce la fantascienza).
"Io contraddico come mai è stato contraddetto, e ciononostante sono il contrario di uno spirito negatore. Io sono messaggero di buone novelle come non ce ne fu nessuno, conosco compiti di un'altezza per la quale finora è mancato il concetto; solo a partire da me ci sono ancora speranze", quanto scritto da Nietzsche in uno dei suoi migliori aforismi, potrebbe benissimo descrivere questa filosofia. (Nietzsche, "Perché sono un destino", af. 1)
Ricapitolando, i valori morali dipendono dall'ambiente: se l'ambiente è difficile (come quello patriarcale), allora si puniscono i vizi; ma se l'ambiente diventa più facile, allora si premiano le virtù.

Il ruolo delle donne
In tutte queste analisi, è implicito il mutamento del ruolo della donna: da "angelo del focolare" del sistema patriarcale a "libero professionista" del sistema borghese. La definizione di "angelo del focolare" è in realtà un eufemismo, poiché significa semplicemente che le donne possono solo fare figli e nient'altro: qualunque altra attività che non sia quella domestica, compromette la necessità di fare tanti figli (la subordinazione della donna). L'altra definizione ("libero professionista") è semplicemente l'opposto di quest'ultima frase, ma implica problemi di natura diversa.
In teoria, la scelta tra lavorare e fare figli non dovrebbe essere problematica, dato che le leggi permettono un congedo di maternità retribuito con i soldi dello Stato. Ma in pratica questo vale solo per i dipendenti pubblici, perché capita che le imprese, dovendo evitare costi inutili, licenzino le donne incinte (soprattutto quando non hanno protezione sindacale, come nel caso dei lavori clandestini).
Oltretutto, oggi le donne possono aspettare di consolidare la vita familiare e lavorativa prima di dedicarsi alla maternità: meglio un figlio a 35 o a 40 anni desiderato come un dono che non uno a 30, al quale poi imputare il volo mancato della propria vita. Ma gli scienziati mettono in guardia sui rischi di avere un figlio troppo tardi, sull'irreversibile declino della fertilità dai 27 anni in poi, sulle possibilità di malformazione del feto che aumentano in modo esponenziale rispetto agli anni della madre.
Le cifre dicono che l'età media della donna al parto, nei Paesi sviluppati, è di 30 anni. Tuttavia, non è esatto affermare oggi le donne di 40 anni facciano più figli di un tempo: nel quadro complessivo di denatalità, crollano soprattutto i terzi e quarti figli che naturalmente venivano messi al mondo in età più matura. Il problema, in sostanza, riguarda la scelta del primo o del secondo figlio: ed è per il loro bene che gli scienziati consigliano di anticipare il parto. (Repubblica)
Infine, i progressi della scienza permettono percorsi alternativi a quello classico, per procreare. Questo vale nel caso di infertilità, di selezione degli embrioni nel caso di malformazioni, di gravidanze fuori dall'utero, di clonazione e così via. Molti si oppongono a quello che viene considerato un "attentato alle leggi della natura e dell'uomo". La questione non ha ancora trovato una soluzione equa.
Per quanto riguarda il Terzo mondo, la questione femminile (come abbiamo visto nel capitolo 3) non è ancora risolta. Le donne costituiscono i due terzi dei poveri e analfabeti del mondo, e rischiano di diventare vittime della schiavitù fisica e sessuale, dell'HIV/AIDS, degli incidenti domestici.
Nell'ambiente rurale, la deforestazione o la contaminazione delle acque dilatano il tempo che le donne impiegano a reperire legna da ardere o acqua potabile e sana, e aumentano i rischi di contrarre malattie trasmesse dall'acqua; la dispersione di pesticidi e sostanze chimiche tossiche in aria, acqua e nel suolo non hanno conseguenze solo per le donne, perché queste sostanze penetrano nei tessuti del corpo e nel latte materno, e vengono così trasmesse ai neonati. (Unfpa, p. 38)
Nell'ambiente urbano l'inquinamento dell'aria e dell'acqua può raggiungere livelli di estrema gravità, dato che i servizi igienici e lo smaltimento dei rifiuti sono spesso scarsi o inesistenti, determinando nuove minacce per la salute delle donne incinte. Ma l'urbanizzazione offre alle donne anche delle opportunità: la gravidanza e il parto sono generalmente più sicuri nelle aree urbane, dove l'assistenza sanitaria è verosimilmente più accessibile, e la vita cittadina consente una più libera scelta per quanto riguarda l'istruzione, il lavoro e il matrimonio. (Unfpa, p. 39)
Il reclutamento di giovani donne nelle nuove zone industriali sta sconvolgendo le strutture tradizionali del lavoro. Nelle aree rurali le donne svolgono funzioni importanti nella produzione di beni per il consumo familiare o nella vendita sui mercati locali. Le economie di villaggio e le famiglie contadine dipendono da una molteplicità di attività economiche svolte tradizionalmente dalle donne, che vanno dalla preparazione del cibo alla tessitura, alla produzione di cesti e a vari altri tipi di manufatti artigianali.
L'esodo delle giovani donne verso le nuove zone industriali provoca il graduale abbandono di tutte queste attività. Una delle conseguenze più serie e paradossali della femminilizzazione del nuovo proletariato è stata quella di incrementare il numero di lavoratori salariati e, quindi, di contribuire alla disoccupazione maschile. (Sassen, p. 72)
Le donne hanno responsabilità di primaria importanza nell'allevare i figli e nel garantire risorse sufficienti a soddisfare i loro fabbisogni di cibo, salute ed istruzione. Per questo, qualunque iniziativa venga intrapresa, per eliminare la povertà nei Paesi in via di sviluppo, deve coinvolgere principalmente le donne se non vuole rischiare il fallimento. L'ostacolo all'emancipazione femminile è essenzialmente culturale.
Abbiamo insistito tanto sui meccanismi biologici e sul ruolo delle donne, sia perché ci sembrava opportuno sapere queste complesse tematiche (e questa è la sede migliore), sia perché deve essere assolutamente chiara l'interazione automatica tra aumento del benessere e diminuzione della natalità, che rende irreversibile la "transizione demografica" nei Paesi in via di sviluppo, senza andare a scomodare la teologia religiosa purtroppo ancora esistente, che vuole associare la bassa natalità al peccato originale.
La questione si riduce a questi termini: o vogliamo sopprimere le situazioni di disagio esistenti nel mondo, in nome dei sacri valori universali di uguaglianza e fraternità, e allora bisogna accettare il conseguente calo delle nascite senza fare del finto moralismo sulla bassa natalità che porterebbe alla rovina il mondo; oppure ritorniamo al passato tanto favoleggiato dove il primo comandamento non era "ama il prossimo tuo", ma "uccidi il nemico e il libertino".

La parola ai numeri
Le previsioni demografiche a qualche lustro di distanza sono relativamente plausibili. Ad esempio, nel 2020, la popolazione con oltre 20 anni apparterrà a generazioni nate prima del 2000, e quindi già note nel loro ammontare numerico (occorrerà solo scontare la mortalità, peraltro abbastanza stabile nel tempo).
I giovani con meno di 20 anni, invece, deriveranno dalle nascite che avverranno tra il 2000 e il 2020, che sono un'incognita che dipende da due variabili - una delle quali almeno ci è nota. Le nascite di questo periodo dipendono infatti dall'ammontare della popolazione in età riproduttiva - e questa è la variabile nota, perché coloro che entreranno in età feconda nei prossimi 20 anni sono già oggi quasi tutti nati; dipendono, inoltre, dalla loro propensione a far figli, e su questa non possiamo che far congetture più o meno plausibili. (Livi Bacci, p. 259-260)
Se questa popolazione ha (o ha avuto fino a tempi recenti) un'alta fecondità e quindi una struttura per età giovane (come in tutti i Paesi in via di sviluppo), essa continuerà a crescere per un certo tempo. Infatti, nei decenni successivi, entreranno in età riproduttiva i molti nati recenti che, anche se produrranno pochi figli a testa, metteranno al mondo (essendo in tanti) un numero di nascite molto elevato.
Questi nati saranno assai più numerosi dei decessi che avvengono in grande maggioranza tra gli anziani appartenenti a generazioni nate molti decenni fa, di numerosità ridotta perché la popolazione del tempo era molto più esigua di quella attuale. Man mano che, successivamente, entreranno in età riproduttiva le generazioni nate sotto il nuovo regime di fecondità, la massa dei nati andrà assottigliandosi fino ad approssimarsi a quella delle morti.
Per esempio, secondo le proiezioni delle Nazioni Unite (revisione del 2000, variante media) la popolazione del mondo dovrebbe crescere da 6,1 a 9,3 miliardi tra il 2000 e il 2050: tuttavia, qualora la fecondità si fissasse - dal 2000 in poi - a livello di rimpiazzo, la popolazione toccherebbe i 7,9 miliardi nel 2050. Questa crescita di 1,8 miliardi - in luogo dei 3,2 previsti - è conseguenza esclusiva della giovane struttura per età attuale. (Livi Bacci, p. 260)
Sulla concreta evoluzione della popolazione mondiale le Nazioni Unite, da tempo, conducono accurate previsioni con periodiche revisioni. La tabella che mostriamo alla fine del paragrafo, riporta alcuni risultati principali delle stime retrospettive e delle previsioni fino al 2050 ottenute con la cosiddetta "variante media", basata sulle ipotesi di evoluzione di fecondità e mortalità ritenute più plausibili. Si suppone che la fecondità dei Paesi meno sviluppati continui il suo declino passando dai 3,1 figli per donna del 1995-2000 ai 2,17 del 2045-2050, e che la speranza di vita alla nascita, a sua volta, continui la sua crescita, tra i due periodi, da 63 a 75 anni. Per i Paesi sviluppati si ipotizza una ripresa della fecondità (da 1,57 a 1,92) ed un ulteriore guadagno di speranza di vita (da 75 a 82 anni).
I risultati più interessanti di questa previsione possono sintetizzarsi come segue:
a) la popolazione mondiale raggiunge 7 miliardi nel 2012, 8 miliardi nel 2026 e 9 miliardi nel 2044;
b) il tasso d'incremento della popolazione mondiale, pari a 13,5% nel 1995-2000, diminuirà gradualmente fino al 4,7% nel 2045-2050;
c) tuttavia, in ragione del fatto che il tasso d'incremento, di valore decrescente, interessa una popolazione sempre più numerosa, gli incrementi assoluti medi, pari a 78 milioni annui nel 1995-2000, scenderanno lentamente fino a 43 milioni nel 2045-2050;
d) il traguardo di 9,3 miliardi per la popolazione dell'anno 2050 dipende dall'effettiva diminuzione della fecondità che - per l'insieme della popolazione mondiale - dovrebbe scendere da 2,82 nel 1995-2000, a 2,15 nel 2045-2050. Ogni decimo di punto in più, o in meno, rispetto al valore di 2,15 ipotizzato alla fine del periodo implica, all'incirca, 380 milioni di abitanti in più, o in meno, nel 2050;
e) poiché si prevede che la popolazione dei Paesi sviluppati resti invariata, tutto l'aumento della popolazione mondiale tra il 2000 e il 2050 è attribuibile alla crescita dei Paesi in via di sviluppo;
f) forti sono i mutamenti "geodemografici"; tra il 2000 e il 2050 il peso della popolazione dei Paesi sviluppati scenderà dal 19,7% al 12,5% della popolazione mondiale; il peso dell'Europa scenderà ancor più rapidamente da 12 a 6,5%. Nel mondo povero aumenterà fortemente il peso della popolazione africana, che passerà dal 13,1% del 2000 al 21,9% del 2050. (Livi Bacci, p. 261-263)

Tabella citata in: Livi Bacci, p. 262 (Fonte: United Nations).
Popolazione del mondo e dei continenti (2000-2050) secondo le stime e le previsioni delle Nazioni Unite (popolazione in milioni):

Continenti o aree geografiche

2000

2025

2050

Popolazione (in milioni)

%

Popolazione (in milioni)

%

Popolazione (in milioni)

%
Mondo

6.057

100

7.937

100

 9.322

100
Paesi sviluppati

1.191

19,7

1.219

15,4

1.162

12,5
Paesi meno sviluppati

4.865
 80,3

 6,718

84,6

 8,141

87,3 
             
Africa

794

13,1

1.358

17,1

2.000

21,5

Nordamerica

314

5,2

384

4,8

438

4,7
America Latina e Carabi

519

8,6

695

8,8

806

8,6
Asia

3.672
60,6

4.773

60,1

5.428

58,2
Europa

727

12,0

684

8,6

603

6,5
Oceania

31

0,5

40

0,5

47

0,5

Bibliografia:
Fukuyama Francis, La Grande Distruzione, Baldini&Castoldi '99
Livi Bacci Massimo, Storia minima della popolazione del mondo, Il Mulino '02
Nietzsche Friedrich Wilhelm, Ecce homo.
Repubblica del 15 maggio 2002, "Allarme Usa, attente donne aspettate troppo per fare figli".
Unfpa, Lo stato della popolazione nel mondo 2001, edizione italiana a cura di AIDOS
United Nations, World Population Prospects. The 2000 Revision, New York, 2001, citato in Livi Bacci, p. 260-263.

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