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Sovrappopolazione e sottosviluppo.

La Conferenza del Cairo

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Comandè Marco

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Capitolo 3

Il terzo mondo

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j) "Transizione demografica": il sud del mondo

Con l'esaurirsi del ciclo di crescita delle popolazioni ricche, le popolazioni povere ne hanno iniziato uno del tutto straordinario e irripetibile. Le caratteristiche di questo ciclo sono ben descritte dalle aride cifre della crescita demografica di quelli che oggi si chiamano "Paesi meno sviluppati", in altri termini quella parte del mondo che, secondo i nostri standard di misura, vive in povertà. (Livi Bacci, p. 191)
Nel mondo ricco la transizione demografica era avvenuta lentamente sotto l'impulso di una graduale riduzione della mortalità cui, altrettanto gradualmente, si era accompagnata una riduzione della natalità. Nel mondo povero i livelli di mortalità erano restati elevatissimi fino ad epoca relativamente recente; basti pensare che ancora nel 1950 la speranza di vita non toccava i 40 anni.
Ma a partire dalla quarta e quinta decade di questo secolo il patrimonio di conoscenze lentamente accumulato nel mondo ricco si sarebbe trasferito massicciamente, e in tempi relativamente rapidi, nel mondo povero provocando, in poco tempo, una forte diminuzione della mortalità. La natalità, che dipende in buona parte da fattori culturali solo lentamente modificabili, non avrebbe seguito, o avrebbe seguito con ritardo e con minor velocità, il declino della mortalità e la distanza tra le due componenti si sarebbe fortemente divaricata. (Livi Bacci, p. 192-193)
Risultato: nel 1900, su una popolazione totale di approssimativamente 1.634 miliardi di persone, nei Paesi poveri ce n'erano 1.071 miliardi, vale a dire il 65,5%. Nel 2000, le cifre sarebbero state rispettivamente di 6.158, 4.972 e 80.7%. (Fonte: valutazioni Nazioni Unite (1920-2000), e di Livi Bacci)
Il divario tra popolazioni più sviluppate e popolazioni meno sviluppate è ancora enorme; oggi (1990-95) la speranza di vita delle prime è 75 anni e quella delle seconde è 63; il numero medio di figli per donna nelle prime è pari a 1,6, nelle altre di 3,1; il tasso d'incremento delle popolazioni povere è quintuplo di quello delle popolazioni ricche (1,6% contro 0,3%). (Livi Bacci, p. 195)
Osserviamo questa tabella, relativa al periodo 1950-2000 (United Nations, World…):

Continenti o aree geografiche
Popolazione (mln) Figli per donna Speranza di vita

1950

2000

1950

2000

1950

2000
Africa

221

784

6,58

5,06

37,8

51,4
Asia orientale

671

1.485

5,71

1,77

42,9

71,0
Asia centro-meridionale

499

1.491

6,06

3,36

39,3

62,3
Asia sud-orientale

182

519

6,03

2,69 

40,5

65,7
Asia occidentale

50

188

6,38

3,77 

45,2

68,0
Europa

547

729

2,56

1,42

66,2

73,3
Sudamerica e Caraibi

167

519

5,89

2,69

51,4

69,2
Nordamerica

172

310

3,47

1,94

69,0

76,9
Oceania

13

30

3,84

2,38

60,9

73,8

Sono evidenti le disparità di situazioni all'interno del mondo povero, in cui convivono le popolazioni africane (con transizione appena abbozzata) e quella cinese (con transizione quasi conclusa): il numero di figli per donna e la speranza di vita erano quasi uguali nel 1950-55 ma i valori rispettivi, 45 anni dopo, sarebbero stati di 5,1 e 1,8 figli e di 51 e 70 anni di speranza di vita.
Nelle varie aree continentali e, ancor più, nelle molteplici popolazioni che le compongono, si trova un ventaglio di situazioni intermedie tra i due estremi. Il continente europeo comprende anche gli Stati ex-comunisti: ormai sono poche le aree prolifiche, quelle maggiormente disagiate. (Livi Bacci, p. 195)
Le cause della disparità sono ambientali (riduzione della mortalità, aumento del benessere), economiche (passaggio dal feudalesimo al capitalismo), culturali (lento mutamento del ruolo della famiglia: da patriarcale a nucleare), sociali (ospedali, scuole, in generale il Welfare State). Approfondiremo nei prossimi paragrafi; qui di seguito forniremo solo qualche indicazione generica preliminare.
Dei cinque miliardi di persone che vivono nei Paesi in via di sviluppo, circa 1,2 miliardi vivono con meno di 1 dollaro al giorno: una condizione classificata come "estrema povertà" e caratterizzata da denutrizione, analfabetismo, precarietà, malattia e morte precoce. Metà della popolazione mondiale vive con 2 dollari al giorno o meno. Quasi il 60% dei 5 miliardi di poveri soffre della carenza dei servizi igienici di base, circa un terzo non ha accesso all'acqua potabile, un quarto non vive in abitazioni dignitose, il 20% non ha accesso a servizi sanitari moderni ed infine il 20% dei bambini non arriva al quinto anno di scuola. (Unfpa, p. 28)
In molti Paesi a basso reddito con deficit alimentare, la capacità di produzione del cibo va peggiorando a causa del degrado del suolo, di carenze idriche croniche, di politiche agricole inadeguate e della rapida crescita demografica. Quando i terreni vengono lavorati eccessivamente, o sono troppo esposti, subiscono facilmente l'erosione del vento e dell'acqua, i principali agenti del degrado del suolo. Sistemi di irrigazione e drenaggio scorretti possono provocare la saturazione idrica e la salinizzazione dei terreni, rendendoli inutilizzabili. Anche l'impiego scorretto di fertilizzanti, erbicidi e pesticidi è un fattore di degrado del suolo.
Sulla totalità dei terreni agricoli nel mondo, la percentuale di terre irrigue ammonta solo al 17%, ma fornisce un terzo della produzione alimentare mondiale. Meno della metà dell'acqua destinata all'irrigazione riesce effettivamente a raggiungere i campi coltivati. Il resto si disperde attraverso canali permeabili, fuoriesce dalle tubature o evapora prima di arrivare a destinazione.
La FAO ha calcolato che 25-30 milioni di ettari di campi irrigati nel mondo, su un totale di 225 milioni, sono stati gravemente danneggiati dalla formazione di sale. Altri 80 milioni di ettari sono colpiti dalla sovrapposizione di salinizzazione e saturazione idrica. Il degrado della terra rappresenta un pericolo per le economie di sussistenza di oltre un miliardo di agricoltori e allevatori di bestiame, principalmente nei Paesi più poveri. (Unfpa, p. 15-16)
Molti Paesi ricorrono a mezzi non sostenibili per soddisfare il proprio fabbisogno idrico. Quando si preleva acqua in quantità superiore rispetto alla capacità di sostituzione dei processi naturali, la quantità mancante viene sostanzialmente sottratta alle riserve idriche. Le falde freatiche nel sottosuolo di alcune città della Cina, dell'America Latina e del Sud-Est asiatico, vanno riducendosi di oltre un metro l'anno. Inoltre, il 90-95% dei sistemi fognari e il 70% dei rifiuti industriali vengono scaricati senza essere depurati nelle acque di superficie, inquinando così i potenziali rifornimenti idrici.
Grandi quantità d'acqua vengono deviate, ad esempio attraverso la costruzione di grandi dighe, per scopi agricoli e industriali, con risultati a volte disastrosi. La costruzione di queste dighe è comunque diminuita, anche per la maggiore consapevolezza degli svantaggi che apportano: distruzione ambientale, spostamento di insediamenti umani storici, perdita di terra coltivabile, interramento dei corsi d'acqua e scarsità idrica a valle, che a volte può trovarsi in altri Paesi. Continuano ad avanzare i progetti di grandi dighe in Turchia, Cina e India. (Unfpa, p. 13)
Essendo il mondo sviluppato ormai in fase di stallo quanto alla deforestazione, il compito di salvaguardare l'equilibrio dell'ecosistema mondiale è rimasto ai Paesi poveri. Nel corso degli ultimi 40 anni la superficie di foreste pro capite a livello mondiale è diminuita di oltre il 50%. Ciò è dovuto sia alla diminuzione delle foreste che all'aumento demografico. La perdita proporzionale di foresta (ovvero il rapporto tra la superficie verde persa e la superifice rimanente) raggiunge il suo massimo in Asia, seguita da Africa ed America Latina. Queste perdite continue sono solo parzialmente compensate (di circa il 10%) da un incremento relativamente piccolo dei rimboschimenti in alcuni Paesi ricchi. (Unfpa, p. 22)
I progressi della sopravvivenza passano, in primo luogo, per la riduzione della mortalità infantile nei primi anni di vita; le Nazioni Unite stimano che le probabilità di un neonato di morire prima del quinto compleanno fossero pari a 9% nel 1990-95, nell'insieme dei Paesi meno sviluppati, ma con enormi scarti: 14,5% in Africa, 10,2% nell'Asia meridionale, 4,8% in America Latina, 4,4% in Asia orientale; per confronto, i livelli nei Paesi ricchi sono di appena 1,2%. (United Nations, Mortality…)
Gli alti livelli della mortalità dell'infanzia hanno cause molto varie e complesse, dalle malattie infettive tipiche della prima infanzia (morbillo, difterite, pertosse, polio, tetano), all'alta incidenza di diarrea e gastroenterite connessa con condizioni igieniche precarie; alla diffusione della malnutrizione e alla sua sinergia con povertà e infettività; alla presenza di vaste aree malariche. Non dobbiamo dimenticare l'abbandono precoce dell'allattamento. (Livi Bacci, p. 199)
Confrontando la correlazione diretta tra l'indice di mortalità e quello di natalità, è evidente che per ridurre la propensione alla prolificità, la cura delle malattie è un obiettivo prioritario: si favorisce la modernizzazione del comportamento riproduttivo e vi è, inoltre, un miglioramento del livello di salute in un'età cruciale per lo sviluppo e un miglioramento generale dell'efficienza dei sopravviventi.
L'aumento dell'età di matrimonio è un altro indicatore della transizione demografica: l'indagine mondiale sulla fecondità del 1984 mostrava, verso la fine degli anni '70, un'età media al primo matrimonio di 19,8 anni in 12 Paesi africani; di 21 in 13 Paesi dell'Asia e del Pacifico; di 21,5 anni in 13 Paesi dell'America Latina e dei Caraibi. (WFS)
Questi livelli, di per sé sensibilmente inferiori alla media occidentale, vicina ai 24 anni, erano già cresciuti di 1-1,5 anni rispetto ai livelli prevalenti una quindicina d'anni prima. Valutazioni riferite all'inizio degli anni '80 indicano ancora in crescita i valori dell'età media al matrimonio (ma non in Africa, con 19,5 anni) stimati in 21,4 in Asia e 22,1 in America Latina. (United Nations, First …).
I dati per gli anni '90 confermano che la tendenza crescente dell'età al matrimonio continua - sia pure in modo irregolare - in conseguenza dei processi di mutamento in corso e, in particolare, della maggiore presenza femminile nel mercato del lavoro e dell'aumento dell'istruzione. L'innalzamento non ha cause solo naturali: alcuni Paesi hanno tentato di renderlo obbligatorio con atti legislativi, in primis la Cina. (Livi Bacci, p. 210-211)
Per quanto riguarda la contraccezione, una "prevalenza" attorno al 70% e oltre implica bassi livelli di fecondità come avviene nei Paesi ricchi. L'indagine mondiale della fecondità già citata, per i 38 Paesi in via di sviluppo, aveva segnalato alla fine degli anni '70 una prevalenza della contraccezione tra le donne coniugate in età riproduttiva pari al 10% in Africa, al 23% in Asia, al 40% in America Latina e Caraibi.
Nei 47 Paesi studiati dalla DHS tra il 1990 e il 1999 si riscontra un forte aumento dell'incidenza della contraccezione. Nell'Africa sub-sahariana l'incidenza - nella media di 24 Paesi - resta al 25%, ma raggiunge il 50% nella media dei 9 Paesi dell'Asia, dei 5 del Medio Oriente e Nord Africa e dei 9 Paesi dell'America Latina e dei Caraibi. (Livi Bacci, p. 212)
Il tasso di mortalità infantile decrescente, l'innalzamento dell'età di matrimonio e la diffusione dei contraccettivi, concernono l'aspetto più propriamente demografico del mutamento sociale nel Terzo mondo. Ma, com'è già successo nell'Occidente, il passaggio dalla tradizione alla modernità deve essere traumatico. Noi l'inferno lo abbiamo già vissuto: tocca a loro. È quello che vedremo adesso.


Bibliografia:
Livi Bacci Massimo, Storia minima della popolazione del mondo, Il Mulino '02.
Unfpa, Lo stato della popolazione nel mondo 2001, edizione italiana a cura di AIDOS.
United Nations, First Marriage: Patterns and Determinants, New York, 1988, citato in Livi Bacci, p. 211.
United Nations, Mortality of Children under Age of 5, New York, 1988, citato in Livi Bacci, p. 198.
United Nations, World Population Prospects, The 1998 Revision, New York, 1999, citato in Livi Bacci, p. 194.
WFS, Major findings and implications, London, 1984, citato in Livi Bacci, p. 210.

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