Sallustio
Nacque presumibilmente nell’86 a.C.
ad Amiterno, in Sabina. A
Roma, pur essendo homo novus e malgrado
qualche disavventura[1],
fece carriera politica, probabilmente con l’appoggio di Cesare. Fu al fianco di
Cesare nella guerra civile e, dopo Tapso (46 a.C.)[2],
ricompensato con l’assegnazione del governatorato della nuova provincia
dell’Africa. Tornato a Roma straordinariamente arricchito, fu
accusato nel 45/44 a.C. de repetundis e ancora
una volta salvato da Cesare. Morto Cesare, si ritirò a vita privata (fra la
villa di Tivoli e il sontuoso palazzo di Roma, circondato da giardini, poi
famosi come horti Sallustiani),
dedicandosi all’attività storiografica. Morì nel 35 a.C.
E’ autore di due monografie (De coniuratione (o Bellum)
Catilinae e Bellum
Jugurthinum) e di un’opera annalistica di cui
ci sono pervenuti solo frammenti (le Historiae:
narravano la storia romana dalla morte di Silla, 78 a.C., al 67 a.C.).
Entrambe le monografie sono precedute da
proemi in cui l’autore rivendica l’importanza del suo lavoro storiografico (è
un’attività che trae energia dall’anima, che è propria dell’uomo, e non dal
corpo, che è proprio delle bestie; inoltre consente, al pari dell’attività
politica, di raggiungere la gloria ed eternare se stessi) e spiega anche di
essersi dedicato alla storiografia in quanto disgustato dalla corruzione della
politica.
Il Bellum
Catilinae è scritto nel 43 a.C. e rievoca una
vicenda accaduta fra il 65 e il 63 a.C.[3].
E’ trascorso appena un ventennio, e dunque, per quanto l’autore tenda a
presentarsi come distaccato ed obiettivo, sono fatti troppo recenti per essere
valutati senza passioni e pregiudizi. L’intento sembra essere quello di
scagionare Cesare dal sospetto di complicità con i congiurati.
Secondo la tradizione greca (il modello
è Tucidide) vengono riportati i discorsi attribuiti ai vari
personaggi, dei quali vengono descritti caratteri e psicologie. La storia
quindi è vista non tanto come il prodotto di contraddizioni interne alla
società, quanto come un dramma in cui i personaggi (Catilina,
Sempronia, Catone, Cesare, Cicerone) agiscono quasi
come attori[4].
Nello specifico, le cause della congiura vengono indicate nella corruzione
dello Stato arricchito, in particolare dell’aristocrazia. Negli excursus[5],
che intendono indicare le radici del male, ci viene spiegato che, dopo la
distruzione di Cartagine, quando è cessato il metus hostilis, avaritia e ambitio,
poi luxuria atque
avaritia cum superbia,
hanno invaso lo Stato.
Il Bellum
Jugurthinum è scritto attorno al 40 a.C. e tratta
della guerra combattuta da Roma contro Giugurta, re
di Numidia[6],
fra il 111 e il 105 a.C.[7].
Anche in questa monografia la vicenda diventa occasione per dimostrare quanto
la corruzione avesse invaso lo Stato romano[8].
La guerra si protrae perché il comando è affidato a esponenti della nobilitas corrotti (Calpurnio
Bestia, Scauro) o incompetenti (Aulo
Albino); si concluderà vittoriosamente quando scenderanno in campo un nobile
integro e capace come Metello e infine un homo novus come il popolare Mario (che per altro avrà come
questore il giovane Silla).
Lo stile sallustiano
si caratterizza per la vistosa patina arcaica (c’è un’abbondanza di
arcaismi: desinenza in –undus invece che in –endus nei gerundivi; in –issumus
invece che in –issimus nei superlativi;
desinenza in -e̅re invece che in –e̅runt nella terza plurale del perf. ind.; lubido
invece di libido; quom invece di cum; ecc.), per la brevitas
(prevalenza di paratassi, esaltata dall’asindeto, dall’antitesi, dalle frasi
nominali, dagli infiniti descrittivi), per la variatio
(contro la simmetria della concinnitas
ciceroniana, è ricercata la disarmonia, il cambiamento di costruzione).[9]
[1] Si diceva che
la sua forte ostilità nei confronti di Milone
(l’ottimate che aveva ucciso il popolare Clodio)
fosse dovuta, più che alla contrapposizione politica, al fatto che Milone l’aveva sorpreso in adulterio con la propria moglie
e fatto frustare. Nel 50 fu poi espulso dal senato (e l’anno dopo riammesso)
con l’accusa di probrum, ovvero di vita scostumata.
[2] E’ la battaglia
che segna la sconfitta dei pompeiani in Africa (sconfitta cui fa seguito il
suicidio di Catone in Utica).
[3] Sconfitto nelle
elezioni a console, sia nel 64 che nel 63, Catilina concepisce
il colpo di Stato. Si circonda di elementi disperati e disposti a tutto e,
quando la congiura comincia ad essere evidente, il senato affida a Cicerone
(insieme ad Antonio, è console nel 63) i pieni poteri. Cicerone pronuncia in
senato la prima delle quattro orazioni contro Catilina
e questi fugge in Etruria, dove il suo complice Manlio sta allestendo un
esercito. Altri congiurati, restati a Roma, prendono contatti con gli
ambasciatori degli Allobrogi per indurli ad un’alleanza; ma questi, fingendo di
essere d’accordo, denunciano il tutto alle autorità. I capi vengono arrestati e
messi a morte, dopo che in senato il parere di Catone ha prevalso su quello di
Cesare (contrario alla pena di morte). L’esercito consolare (comandato da
Antonio) insegue Catilina in Etruria e lo affronta in
battaglia a Pistoia. I congiurati e il loro capo cadono sul campo, dopo essersi
battuti valorosamente.
[4] Si parla
infatti di storiografia “prosopografica” o anche “drammatica”.
[5] Ce ne sono due,
uno dopo la presentazione di Catilina (6-13) e uno al
centro, dopo la messa fuori legge di Catilina
(36-39).
[6] All’incirca
l’odierna Algeria.
[7] Dopo aver
combattuto, nel 133 a. C., nell'esercito romano agli ordini di Scipione
l'Emiliano, nella conquista di Numanzia
in Spagna, Giugurta succedette, nel 118 a. C., allo
zio Micipsa nel regno di Numidia, che divise con i figli dello stesso zio, Iempsale
e Aderbale. Ambizioso e violento, prima assassinò Iempsale, poi cacciò dai suoi territori Aderbale,
massacrando anche molti mercanti romani che aveva fatto prigionieri nella presa
di Cirta (112 a. C.). Varie spedizioni militari
organizzate dal Senato romano contro di lui non ebbero successo, e forti furono
i sospetti che egli corrompesse col danaro esponenti della nobiltà romana. Nel
107 a. C., il console
Mario intraprese una campagna contro di lui. Ridotto allo stremo, Giugurta si rifugiò in Mauretania, presso il suocero Bocco,
che però lo tradì consegnandolo a Silla,
allora questore di Mario. Fu strangolato nel carcere Tullianum
a Roma, dopo aver ornato il trionfo di Mario.
[8] Famosa
l’invettiva di Giugurta, che si apprestava a lasciare
Roma dove era stato convocato dal senato per rendere ragione dei suoi primi
atti di forza: “O città venale e destinata presto a perire, se troverai un
compratore!”
[9] Nel Bellum Catilinae, a
proposito di Sempronia: “litteris
Graecis et Latinis docta, psallere, saltare elegantius
quam necesse est probae, multa alia, quae instrumenta luxuriae sunt” (quel docta regge un ablativo di limitazione, degli
infiniti, un accusativo di relazione). Nel Bellum
Jugurthinum, il passo iniziale: “Falso queritur de natura sua genus humanum, quod inbecilla
atque aevi brevis, forte potius quam virtute regatur. Nam contra reputando neque maius aliud
neque praestabilius invenias magisque naturae industriam hominum quam vim
aut tempus deesse.”
(nel primo periodo il genus humanum è qualificato prima con un aggettivo e poi con
un genitivo di qualità, quindi sono in antitesi un avverbio e un ablativo di
causa efficiente; nel secondo periodo invenias
regge prima un accusativo poi una proposizione infinitiva).