La dinastia Giulio-Claudia e il problema del principato
I.
MARIOTTI, Storia e testi della
letteratura latina, IV
Zanichelli
1977, pp. 1-10.
L.
STORONI MAZZOLANI, Tiberio o la spirale
del potere,
Rizzoli
1981, passim.
Se è vero che il
principato nasce come esigenza di adeguare la forma del potere alla realtà di
uno Stato che ormai non è più limitato a Roma e all’Italia, ma comprende un
territorio molto ampio e le province più diverse, ecco spiegato perché già
Augusto, pur nel rispetto formale delle libertà repubblicane, aveva consentito
che si formasse un alone di sacralità attorno alla sua persona: dallo
stesso titolo di Augustus,
al culto del padre defunto (divus Iulius) e del Genius del principe. Solo una simile figura può porsi al di
sopra delle parti, essere garanzia di unità dell’impero, punto di riferimento
per tutti (laddove il vecchio senato repubblicano rappresentava gli interessi
ristretti dell’aristocrazia romana, o al massimo italica).
Insomma, il
potere del princeps
dev’essere sostanziale, e non paravento del potere
del senato. Quindi lo scontro col senato diventa inevitabile: ecco perchè la cultura di ispirazione senatoria (Tacito e Svetonio per tutti) si accanisce tanto con gli imperatori
della dinastia giulio-claudia, presentandoli come
ipocriti (Tiberio), deficienti (Claudio), pazzi (Caligola), sanguinari
(Nerone). In realtà si tratta del fatto che costoro intendono affermare il
potere del princeps:
Tiberio (14-37) non vorrebbe, ma è costretto
dalla storia (si riaprirebbe altrimenti lo scontro fra le diverse classi,
fra le diverse ambizioni, fra i diversi interessi delle diverse parti
dell’impero); nel caso di Caligola
(37-41), accentuando il carattere sacro della sua figura
(desunto dalla concezione orientale della monarchia) ed assumendone i relativi
riti (προσκύνησιϛ, o prostrazione, bacio del piede, ἱερὸς γάμος, o matrimonio
sacro, con la
sorella Drusilla; e nominare senatore il proprio
cavallo voleva dire, nel compiere un atto provocatorio contro il senato,
marcare la fine dell’età repubblicana); nel caso di Claudio (41-54), attraverso l’utilizzazione dei liberti
(che rispondono solo a lui) per l’amministrazione; nel caso di Nerone (54-69) (almeno per
quanto riguarda il secondo tempo del suo governo, a cominciare dal 58), riprendendo
la concezione orientaleggiante di Caligola ed adottando una politica
finanziaria che favorisce le province (elimina i dazi per le merci
importate, favorendo un abbassamento del costo della vita - ma nel contempo
sacrificando la produzione italica, che non resiste alla concorrenza) e i
ceti meno abbienti (riduce di 1/12 il peso del denarius d’argento, mantenendone lo stesso valore, ed obbliga i detentori
di capitale ad accettare il pagamento dei debiti in tali pezzi, di valore
intrinseco ridotto).
Quanto mai
problematica la successione ad Augusto, e quanto mai intricate (per incroci di
parentela) le vicende di successione della dinastia giulio-claudia.
Tiberio
era stato adottato da Augusto, dopo che questi, privo di figli maschi, aveva
dovuto rinunciare ad una serie di successori designati (era morto Marcello, figlio della sorella Ottavia[1]; erano morti Gaio e Lucio,
figli della propria figlia Giulia[2] e di Agrippa, da sempre suo grande collaboratore,
politico e militare), e quindi ripiegare su una successione “claudia” (Tiberio e Druso gli erano figliastri, in quanto figli della sua terza
moglie, Livia, e del di lei
primo marito, Tiberio Claudio Nerone);
morto Druso (nel 9, mentre conduceva trionfalmente le campagne in Germania),
non restava che Tiberio, cui però Augusto impose di adottare a sua volta Germanico, figlio di Druso.
Il dramma di Tiberio
(all’origine dei suoi tentennamenti, sinceri, e non ipocriti come li giudicherà
Tacito) consisté nel fatto che da una parte sentiva, lui, discendente
della nobilissima gens Claudia, di
appartenere alla classe senatoria (e quindi, di doverne difendere la libertas),
dall’altra, se voleva essere princeps (come lo stato delle cose richiedeva), doveva per
forza conculcare quella libertas.
Voleva considerare il principato come una magistratura straordinaria, e non
come il punto di arrivo di un secolo di lotte, dai Gracchi al secondo
Triumvirato. Rinunciò ad ogni onore divino, ai titoli di Imperator e di pater patriae; fu incerto se accettare di
essere chiamato Augustus.
Ma tutto ciò non faceva che togliere prestigio e carisma alla sua funzione; per
cui poi, per riaffermarla, dovette ricorrere a misure repressive: così si
spiega il rafforzamento delle coorti pretorie e
l’affidamento di grande potere al prefetto Elio
Seiano (Tiberio lo lasciò addirittura arbitro
di Roma, ritirandosi a Capri nel 26; e Seiano
imperversò, con condanne per lesa maestà, finché lo stesso Tiberio lo fece
condannare a morte nel 30).
Intanto Germanico
era morto in circostanze poco chiare (era figlio, oltre che di Druso, di Antonia minore, figlia del
Triumviro; e, come il nonno, aveva già dato segni di predilezione per una
concezione orientaleggiante della monarchia): mandato in Asia, dopo i trionfi
in Germania, era stato avvelenato, si disse, per incarico dell’invidioso
Tiberio. Morì anche Druso minore,
figlio di Tiberio (Seiano gli fece propinare del
veleno). Come eredi non restavano che Gaio
(figlio di Germanico, quindi nipote di Druso e bis-nipote di M. Antonio per
parte di madre) e Tiberio Gemello
(figlio di Druso minore, e quindi nipote dell’imperatore). Quest’ultimo però
era troppo giovane, e quando Tiberio morì gli successe Gaio, detto Caligola o “sandaletto”
(così lo chiamavano affettuosamente i soldati che l’avevano visto bambino
nell’accampamento al seguito del padre, il leggendario Germanico): subito fece
mettere a morte il concorrente, Tiberio Gemello.
Caligola, in quanto
figlio di Germanico, al pari di Claudio
(di Germanico era fratello, e quindi era zio di Caligola) che gli succederà,
hanno “nel sangue” la predisposizione di Antonio alla monarchia di tipo
orientale. Stessa cosa può dirsi di Nerone,
sia da parte di padre (Cn. Domizio,
figlio di Antonia maggiore), sia da parte di madre (Agrippina minore, nipote di Antonia minore, in quanto figlia di
Germanico, quindi sorella di Caligola e nipote di Claudio[3]).
Il Triumviro
sconfitto in vita si prendeva una rivincita postuma, attraverso la sua
discendenza.
[1]L’aveva avuto dal primo marito, Caio Marcello, poi era
andata sposa a Marco Antonio, da cui ebbe due figlie, Antonia maggiore (che sarà madre di Cn. Domizio, padre di Nerone) e Antonia minore (che sarà moglie di Druso, e quindi madre di
Germanico e di Claudio).
[2]Giulia, figlia di Scribonia (seconda moglie di
Augusto, da lui ripudiata subito dopo il parto; la prima era stata Clodia, figlia
del famoso Clodio, e la terza sarà Livia), era stata sposata, prima al
cugino Marcello, poi ad Agrippa;
quindi, morto anche costui, andrà sposa a Tiberio (ma il padre, per la
sregolatezza dei suoi costumi, la relegherà nell’isola di Pandataria,
e poi a Reggio, dove morirà).
[3]Di quest’ultimo, per altro, Agrippina fu l’ultima di
quattro mogli; ed a lui - zio e marito - impose l’adozione del proprio figlio
Nerone.