11 luglio 1905. - Poche ore di sonno agitato, tra il momento dell'arrivo a Cuneo a tarda sera e quello della partenza per la Valle della Stura di Demonte ; la camera nel vecchio albergo è rimessa a nuovo e
pulita, ma afosa, e giù nel cortile buio, alla luce d'un lanternino, il conduttore e lo stalliere ben presto cominciano le loro faccende per disporre il carrozzone, il carico, i cavalli e il sacco della posta. Nulla è mutato, neppure negli ultimi dieci anni; sempre le stesse diligenze, non dirò cattive, ma lente, lente a segno che ci vuole tutta una gran giornata da Cuneo al Colle
dell'Argentera (meno di 70 km.), e al ritorno se ne impiegano due perché si fa tappa a
Vinadio, a meno di staccare una vettura per proprio conto, ed è un conto che costa caro.
Molto aspettano quelle valli disgraziate, non prive di bellezza, anzi in più d'un punto veramente amene; né so se, scossa e attenuata l'apatia paesana, nemica del proprio interesse, circoleranno mai per esse rapidi e comodi mezzi di
trasporto, in coincidenza colla ferrovia e coi
trams.
Allo spuntar del giorno il carrozzone prende l'aìre; seduto accanto al cocchiere, godo dell'aere fresco e terso, delle vie spazzate dal temporale del giorno innanzi, della vista
dell'Argentera e del Matto mezzo avvolti in nebbie cenerognole. All'antico Borgo di San Dalmazzo, dopo una fermata, si svolta a destra e si prende a risalire la valle della Stura, che nel suo primo tratto è amena per colline a campi e praterie.
Sfilano ciclisti militari, soldati, cavalli, vetture piene di giovani ufficiali che fanno per la valle un allegro rumore.
A Mojola la strada rifatta passa ora sotto l'abitato; i fianchi delle montagne si avvicinano, da un lato si fa innanzi la
Moura, dall'altro la piramide proporzionata della Pissousa; poi il bacino s'allarga, sorgono tra i prati le rupi tagliate a bastione dell'antico forte, compare in fondo la costiera frastagliata
dell'Ischiàtor e di Rostagno, e scendo a Demonte, cittadina minuscola e piacente, oggi tutta piena di truppe in escursione pel Nodo del Mulo.
Lunga sosta per salutare le vecchie conoscenze,. per mettere in ordine i sacchi e per prendere ristoro nel palazzo sontuoso dei conti
Borelli, dei quali l'attuale discendente, Guido, socio della Sezione di 'l'orino, mi sarà compagno nella gita.
Alle 14,30 si riprende con una vettura il cammino della valle centrale, che rivedo bella nello sfolgorio d'un bel sole, come più non la ricordavo; bella nei pressi del forte di
Vinadio, alle Pianche, una forra profonda, improntata di maestà alpina per le sue rupi precipitose, alla gorgia successiva del
Besaut, a Sambuco, villaggio sotto il fantastico Monte Bersa,jo, una specie di cattedrale gotica irta di guglie; e bellissima
là dove si scopre la Cordiera del
Nebius, un gran muraglione giallo e dorato, che al tramonto si infoca e diventa di brace.
A Pietraporzio, lo sventurato villaggio che pochi giorni dopo un incendio distruggeva, si apre tra fitte foreste di conifere il vallone del
Piz, la testata del quale s'appoggia alla frontiera, dal Becco Alto dell'Ischiator al Ténibres, la nostra meta, e alla Testa
dell'Ubac.
Da questo punto (sono le 17) iniziamo il viaggio a piedi; ma un caso disgraziato lo tronca ben tosto; lo ricordo perché qualche insegnamento se ne può trarre e l'esperienza non é mai troppa.
Il portatore, che abbiamo da giorni fissato e fatto venire dai Bagni di
Vinadio, dopo appena tre quarti d'ora di salita, prende a lamentarsi di atroci dolori al ventre, si fa smorto, suda freddo e si torce sul suolo come un verme ; thé, caffè, cognac, qualche goccia di laudano, tratti in furia dai sacchi, giovano a poco. Viste le cose a mal partito, mentre io rimango accanto al sofferente preparandogli bevande calde, l'amico
Borelli, cui non resiste l'animo senza tentare ogni soccorso, si precipita al basso e ritorna col parroco, col medico, con un mezzo pelottone di soldati d'artiglieria di montagna e non so quanti curiosi. Il medico, benedicendo la previggenza nostra, trova di che somministrare una dose energica di laudano all'ammalato, che é poi tolto lievemente in braccio da due di quei bravi giovanotti e con cura sollecita portato giù a
Pietraporzio.
Noi, rimasti sulle prime mogi e incerti, finiamo per raccòrre le nostre robe sparpagliate e scendere noi pure. La notte intanto s'avanza e certe nebbie auspici di pioggia si vanno accumulando e abbassando senza remissione; la via che ci aspetta è lunga (perciò volevo, non allenato, dimezzarla con una fermata alle grange superiori) e siamo attesi l'indomani di buon'ora sulla vetta del
Tenibres, noi modesti delegati del C. A.I., dagli amici di Francia; ma un riguardo umano esige che ci occupiamo ancora della
sorte di quel poveretto; tanto peggio per le gambe se dovranno soggiacere a uno sforzo più lungo: un po' di buona voglia e s'arriverà lo stesso.
La scelta d'un uomo forte e robusto e ben disposto, un po' di cena all'albergo, un'altra visita, al portatore che e é fuori di pericolo e, disteso fra candide lenzuola, assapora quel riposo che a noi é vietato, e le 23 sono presto fatte; Guido s'acconcia sul divano della stanza da pranzo, io m'allungo sulla tavola e facciamo le viste di dormire.
15 luglio. -- Un quarto prima del tocco la comitiva si pone in marcia, accresciuta d'un brigadiere e d'un carabiniere e di due guardie di finanza; il tempo si rimette dalla nostra, rasserena e un po' di luna rischiara la via, mulattiera sul principio, poi ridotta ad un sentiero, male accennato tra i sassi; ci é dato di non smarrirlo,
benché, pur essendo in tanti, non manchino quei momenti di esitazione e di stizza che sono ben noti a quelli che percorrono le Alpi Marittime.
Ai Prati del Piano, dove il vallone si biforca, teniamo a destra per una valle lunga e cupa, dove una morena antica costringe il viottolo in giravolte; al sommo la pendenza si modera e s'apre fa conca terminale, e alle 3,15 la comitiva tocca la grangia superiore del Piz (m. 2200 circa), misero ricovero da pastore di capre.
Le tenebre cominciano a diradarsi, verso sud est si schiude la Bassa di Schiantala, che fa capo al Passo di
Rostagno, e a sud-ovest si innalzano vette appuntite; ma per quanto almanacchi sulla carta non mi vien fatto di scorgere alcuna cima culminante nella direzione del Ténibres; converrà proseguire la salita verso di esso.
E
qui tre vie : il portatore consiglia di valicare il Passo di Scolettaz, inciso a poca distanza sulla catena che separa il vallone del Piz dal finitimo di Ponte
Bernardo, poi girare dietro la dirupata muraglia e rientrare nel bacino superiore del Piz passando
a' piedi del Becco Alto omonimo ; a sud invece si elevano ripide rocce montone, chiamate
Mongioie, che promettono di portarci più rapidamente al lago dello stesso nome.
Prendiamo la via di mezzo, verso sud-ovest, su per cumuli antichi di detriti ; tratto tratto v'ha una traccia rada di sentiero e qualche ceppo disseccato di pino, triste avanzo della selva d'un tempo; la salita
è rude e conduce, poggiando lievemente a sinistra, al lago
Mongioie, piccolo specchio agghiacciato ai piedi delle belle guglie della Rocca Rossa ; dopo pochi passi, ecco tutta l'ultima conca occidentale del
vallone del
Piz, una distesa che non finisce di colline moreniche, di brecciai e di nevati; e in giro aspre pareti e ripidi canali.
Qui nuova indecisione; nessuno ancora sa indicare dove sia il Ténibres, e sì che non dovrebbe esser cosa difficile, sapendo che è il più alto monte del vallone;
ma lo spartiacque ha profilo uniforme e il Passo del Vallone, in fondo al bacino, é così poco depresso da non porgere un punto sicuro di partenza all'occhio. Si prosegue fino all'ultimo gran nevato che ricopre il thalweg per intiero; là ci è dato stabilire a un dipresso la posizione strana di questo monte, la cui vetta più alta, occorre subito il dirlo, è tutta in Francia, ed è mascherata, a chi riguardi dal basso, da una lunga cresta che forma il confine.
Carabinieri e doganieri ci lasciano;
questi vanno di servizio, quelli proseguono diretti al Passo del Vallone
per un pendìo nevoso, e di là al Tènibres pel facile versante francese
della sua cresta nord-ovest; noi scegliamo una via più breve, ma meno
comoda.
Tra la Cima della Rocca Rossa e il Tènibres la cresta di confine
forma il Passo di Rabuons (m. 2370 circa) ; dei due canali nevosi che vi
salgono, l'occidentale è il migliore e, tagliando scalini, viene
traversato dalla sponda sinistra alla destra; si prosegue poi pel margine
di questa, parte per rocce rotte, parte per neve; in non molto il valico
è raggiunto.
Dal versante francese scendono in mite pendenza sfasciumi e nevi ;
potremmo continuare per l'agevole cresta di confine sino alla cima più
alta del Tènibres che non si scorge ; credendo invece sia quella
emergente ad ovest sopra un bastione che dalla linea di confine dirama
verso sud, ci portiamo al suo piede tenendoci a sinistra
e con una divertente scalata ne superiamo le rupi rossastre. E' soltanto
quando siamo su di esso finalmente compare ancor più ad ovest la vera
cima del Tènibres. Due figurine umane già spiccano su di essa e movono
verso di noi: in fretta ritorniamo verso nord alla cresta di confine. Al
nodo del nostro bastione con essa incontriamo due ufficiali alpini
francesi, che precedono il grosso delle carovane: pochi passi ancora lungo
lo spartiacque ed eccoci sulla vetta (ore 8), a piedi del grosso segnale
trigonometrico.
Un'occhiata sul versante nord (il solo italiano) della montagna mi
convince della sua accessibilità; é un solo pendìo solcato da canali
nevosi, dei quali quello più ad est è alquanto riparato dalle cadute dei
sassi, non improbabili a giudicare dallo sfasciume accumulato sulle
inclinate cornici superiori.
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Il panorama è limitato da nuvolette folleggianti sulle alture; però si
scorge un po' del Viso, e vicino torreggiano i dilaniati picchi Brossè ;
da una banda e dall'altra la cresta spartiacque ha un'andatura così
tormentata, a sporti e rientranze, che mal si può di primo acchito
seguirla cogli occhi.
Ci raggiungono dopo un po' i nostri
carabinieri, venuti lassù, per ordine superiore certo, ma in quale intento
non so congetturare; perché la riunione non potrebbe essere nè più onesta
nè più pacifica. E dopo un altro bel po' arrivano alla loro volta, su per
le rocce e le nevi del versante occidentale, gli ultimi e cortesi co1leghi
del C. A. Francese, in maggioranza della Sezione di Nizza: tra questi ve
n'ha di vecchi soci della Sezione di Torino del nostro
Club; arrivano a carovane e a frotte, numerosi tanto che la cima ne è
gremita e i primi devono cedere il posto ai sopravvenienti.
Alcuni sono già alla seconda, alla terza visita a questa vetta, che, come
altre della frontiera, é loro famigliare, mentre, mi duole scriverlo, dal
versante italiano quasi non ne è noto neanche il nome.
Borelli ed io, congedato il nostro improvvisato portatore, volgiamo alla
discesa assieme alle prime carovane francesi : per breve tratto rifacciamo
la via percorsa e quindi, lasciando il nostro bastione a sinistra, si
percorre un vasto nevato sino al suo punto più basso, dove termina sopra un
pendio di rocce frantumate; disceso questo, cominciano i brecciai, piuttosto
lunghi; più giù un canale di rottami ci mette bruscamente sulla sponda del
lago di Rabuons , che devesi seguire salendo e scendendo sino al suo
emissario, là dove su di una roccia-montone, popolata di signore, di
alpinisti, di ufficiali, di alpigiani, sorge civettuolo e snello il Rifugio,
opera nuova della Sezione di Nizza del C. A. F.
Il sito é, non saprei dire quanto, veramente pittoresco ; il lago di
Rabùons, il più vasto delle Alpi Marittime (33 ettari di superficie), a m.
2495 sul mare, non giace, come altri maggiori delle Alpi Cozie e Graie, fra
molli declivi erbosi, ma é incassato in una profonda e selvaggia vallea di
monti aguzzi, prerutti, desolati ; é un assieme degno di ammirazione quello
della distesa ampia delle acque cilestrine colla cerchia imponente di
muraglie nerastre che le corre in giro; é un contrasto di linee orizzontali
e quiete e di verticali nude e ruvide; é l'immagine delle due più grandi
forze, resa in proporzioni non meno grandiose. E la miglior lode va a
Vittorio di Cessole, l'ardito e pertinace esploratore delle Marittime
Francesi e Italiane, 1'infaticabile ed operoso Presidente della Sezione di
Nizza, e al pittore C. Lée Brossé, un innamorato della montagna, che sa
ritrarla come pochi eletti lo sanno: essi sono che, coll'aiuto dei loro
compagni di Nizza, hanno tradotto in atto il progetto d'una casa
confortevole di ricovero tutta per gli alpinisti in quel magico luogo; il
che a me pare un dolce sogno diventato cosa reale.
A mezzogiorno cominciò la festa ; il battesimo inaugurale, il banchetto,
il saluto dato al rifugio e agli amici di Francia e d'Italia, il varo d'un
battello Le Chamois (non per nulla la Sezione di Nizza é nata sul mare) si
seguirono giocondi con quel garbo tutto proprio dei nostri vicini. A notte
il lago e le nevi s'accesero qua e là di fuochi rossi; sorta la luna tersa
e fredda, il tétto ospitale per ultimo accolse nelle sue buone cuccette i
felici rimasti; e noi, ospiti ricevuti con ogni più delicata cura, fummo
del bel numero.
16 luglio. - Sveglia alle 5,30; alle 6 la messa, celebrata ad un altarino
adornato di corde e di piccozze e di lanterne excelsior ; la funzione é
solenne nella calma mattutina, inanimata e austera, del lago e del monte.
Poi colazione e in marcia verso le 7, in buona e bella compagnia: Edoardo
Sauvage, vice-presidente del C.A.F., Vittorio di Cessole, l'abate Raynaud,
Alberto Verani e noi; oltre le brave guide Plent e Favre.
Si costeggia il lago per la sponda orientale, ammirandone la vastità, le
curve, i golfi, le baie ghiacciate, le penisole verdeggianti e l'isolotto du fol espoir
solingo in mezzo alle acque glauche, i piccoli icebergs ; a un certo punto, invece di prendere l'imbocco della conca di Cialancia
dal basso, si volge a destra e, vinto un lastrone, si scavalca il
contrafforte nord della vetta 2993, penetrando così di costa nel
valloncello, che é tutto colmo da un nevato grande e consistente a segno da
poter essere considerato come un ghiacciaio. Si passa ai piedi del canale
che porta al Passo dell'Ischiator e di pareti dirupate che un lichene
giallo-verdastro macchia qua e là in modo singolare; la balza a sinistra é
pur essa ripida, in talun sito franata, e messi di ogni dimensione giacciono
sul nevato.
In due ore dal rifugio si giunge alla sommità della conca di Cialancia, fra
le vette m. 3000 e m. 3011, a un colle ben segnato che mette, non già nel
vallone francese di Clapiére, come apparirebbe dalla tavoletta 1 : 50000 Vinadio, ma in quello italiano del Laus Fero; di là in 18 minuti, senza
bisogno della corda, è superata la parte occidentale della Cima di Corborant,
seguendo quella
fascia di rupi meno ripide che va diagonalmente dall'uno all'altro lato;
pochi passi più erti mettono sull'estremità nord della cima.
Ampio il
panorama, che le brume tentano di scemare; d'ogni intorno è un viluppo di
monti, un intreccio di creste che s'annodano e vanno per varia e lontana
direzione; e, siccome nessuna supera la vicina, difficile è rilevare ad
occhio quale sia la principale e quali le secondarie. Quanto campo
inesplorato ! Oh ! percorrerlo tutto e conoscere i meandri di quel
labirinto, e salirne le cime che non si contano l'una appresso all'altra.
A nord il crinale s'abbassa bruscamente al Passo dell'Ischiator, cui tien
dietro il Becco Alto dello stesso nome; a sud avvi il colle cui siamo
pervenuti, o Passo di Corborant ; lo spartiacque quindi forma un nodo dal
quale si stacca una catena secondaria verso ovest; questa a sua volta ha, un
colle, o Passo di Cialancia, e quindi la vetta omonima (m. 3000); lo
spartiacque invece oltre il nodo si abbassa, e, a cominciare dalla vetta m.
2847, va alla Cima di Malaterra con una lunga sequela di spuntoni e di
depressioni.
Alle 9,45 siamo di ritorno al Passo di Corborant; sulle rupi del valico
volte al sole, è diviso per l'ultima volta il pane e il vino cogli amici
carissimi dai quali dobbiamo pure separarci, ed essi si arrampicano su per
la cresta che va alla Cima di Cialancia e poi per placche di roccia che
paiono inaccessibili ; la nebbia a volte li nasconde, a volte li scopre
sempre più lontani e un ultimo addio vola
attraverso lo spazio; noi due col cuore un po' stretto ci mettiamo a nostra
volta in marcia per le rocce e le frane e i nevati del desolato vallone del
Laus Fero, cui domina la balza della Cima di Corborant.
In breve eccoci al vasto spianato superiore; ci serve per la mira il Laus
Fero superiore (m. 2732), che si costeggia da est; si tocca un secondo
laghetto e quindi il terzo (m. 2500) o inferiore, tutti ghiacciati, e siamo
all'orlo dell'altipiano, là dove fortunatamente non finisce su d'un
precipizio. Poi giù per i sassi d'una serie di vallonetti in direzione del
Gias Verde, un meschino abituro a m. 2200 fra le zolle; un pastore
solitario di montoni avvolto nel mantello e accompagnato da cani iracondi ci
addita un sentiero sulla sinistra che scende in un canale e quindi in basso
ritorna a destra a riallacciarsi alla via del Passo di Barbacane. Le nuvole
or si stendono gràvi sulle cime, ma la prospettiva rimane ampia su quelle
valli deserte, che si aprono numerose in giro ed ha sempre il fascino delle
solitudini; al basso s'incontra. lungo il fiume la mulattiera e là si è
sotto la parete ovest della Rocca di San Bernolfo, quasi a picco per
centinaia di metri, sulla quale tuttavia certi rari pini stanno abbarbicati
e come sospesi in aria. Più giù la mulattiera tutta sassosa passa al
villaggio di San Bernolfo ; a gran distanza la Punta di Combalet chiude il
fondo della valle ; sollecitiamo il passo e alle 15 sostiamo ai Bagni di
Vinadio. Poi la strada polverosa sino a Pianche, e di qui una vettura ci
riconduce a Demente in un'ora e mezzo.
Nota sulle vie d'accesso al Rifugio di Rabuons.
11 Rifugio di Rabuons, a ore 3,30 di strada mulattiera da Santo Stefano
della Tinea, è collegato alla Valle della Stura di Demente da parecchie
vie
1) Dai Bagni di Vinadio vi si accede :
a) risalendo il vallone d'Ischiator, pel Passo dell'Ischiator (m. 2360) fra
il Becco Alto dello stesso nome o Grand Cimon de Rabuons e il Corborant:
salita in ore 5; discesa al Rifugio in ore 1 - per una piccola cresta
secondaria e un largo canale pietroso nella tomba della Cialancia verso il
gran lago di Rabuons;
b) pei valloni di San Bernolfo e del Laus Fero, pel Passo di Corborant (m.
2850 ?) ore 6 circa; discesa in ore 1 (é la via da noi tenuta al ritorno) -
per la comba nevosa della Cialancìa e il gran lago di Rabuons.
2) Da Pietraporzio, pel vallone del Piz
a) per la conca di Schiantala e il Passo des Tres Puncias (m. 2821) fra il
Becco Alto dell'Ischiator e la Montagnetta di Rabuons, sopra un piccolo
ghiacciaio : ore 5, alquanto malagevole ; discesa in ore 1,15 al Rifugio per
rocce-montone e nevai ai laghi superiori di Rabuons e al gran lago;
b) per le Mongioie e il Passo della Rocca Rossa, fra la Montagnetta di
Rabuons e la Cima della Rocca Rossa : ore 5,30; discesa in ore 1,30 - ai laghi della Montagnetta, superiori e inferiore di Rabuons, al
Rifugio;
c) per la conca terminale del Piz e il Passo di Rabuons (m. 2840 circa) ore
5,30 circa; discesa in ore 1,30. - E' la via da noi tenuta per salire al Ténibres;
Giovanni Bobba
(Sezione di Torino)
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