LESSION 9

 

BEVANDE TIPICHE REGGIANE

Com'è noto, il territorio reggiano è caratterizzato da un solidissimo retroterra contadino, e gli ambienti contadini rifuggono invariabilmente dall'acqua con un moto di orrore (vedi il famoso detto  "l'acqua fà la rùzna" (WAV), l'acqua fa arrugginire lo stomaco). Al giorno d'oggi l'invidiabile ruolo di Grande Ossidatore è stato arraffato dalla Coca-Cola per mezzo di una capillare campagna pubblicitaria  che ha portato il famoso esperimento del chiodo arrugginito fin nelle aule di Liceo, ma non per questo bisogna dimenticare che all'epoca in cui la moda imponeva di portare il cappello era l'acqua ad essere guardata con notevoli sospetti.
Le madri invitavano infatti i loro bambini, che sudavano come criceti nell'opprimente calura padana, a bere acqua il meno possibile, poiché la ben nota "indigestiòn d'acqua" (oggi scomparsa nella letteratura medica) era sempre in agguato. I bambini, memori dei terribili dolori al ventre che si presentavano nelle rare occasioni in cui potevano divorare cibo a volontà (sagre, furti di pere dai vicini, scorpacciate di "cagnètt"), obbedivano all'imperativo materno e sorseggiavano con parsimonia dal mestolo di legno che si usava per attingere dal secchio l'acqua del pozzo.
Questa condanna dell'acqua, sicuramente causata da cospicue contaminazioni delle falde sotterranee ha portato al fiorire di diverse bevande tipiche:

9.1 ACQUA D'ORSS

Letteralmente: acqua d'orcio. Questa è senza dubbio la più tipica delle bevande di Reggio Emilia, quella che discrimina totalmente il Reggiano DOC da quello d'adozione. L'acqua d'orss non è altro che estratto di liquirizia allungato con acqua. Ai nostri occhi di giovani d'oggi la bevanda ricorda molto l'acqua sporca che esce dai termosifoni (giuro!), ma per il Reggiano autentico è il Non Plus Ultra. L'erogazione di acqua d'orcio era assicurata da un banchetto in piazza a Reggio detentore del monopolio d'acqua d'orss, ora chiuso a causa delle incursioni di drogati che estorcevano al povero ambulante tutti i "millini" faticosamente guadagnati.

9.2 MEZ VEN (WAV)

"Da chì 'ndré" i produttori di vino allungavano il loro prodotto con acqua (sporca, ovviamente, era quella dei fossi lungo i campi) per poi rivenderlo ai distributori locali, che non mancavano certo di attuare le loro speculazioni: e giù acqua. L'oste, com'è risaputo, non poteva  certo  sottrarsi alla moda imperante e non esitava a "sposare" acqua e vino.
Come se non bastasse, l'utente finale, "travett" o "amzèder" che fosse, era solito mescolare in parti uguali acqua e vino, ottenendo così, in virtù di tutte le diluizioni successive a cui era stato sottoposto, una bevanda che oggi sarebbe definita "omeopatica".

9.3 VEN DAL CANTINON (WAV)

Se conoscete qualcuno che si diletta di attività vinicole saprete senz'altro che il vino da lui prodotto è di una qualità particolare in quanto prodotto con procedimenti naturali, senza fertilizzanti (oggi diremmo "biologici"), fermentato, imbottigliato e conservato secondo procedure tramandate di generazione in generazione. Il vino così ottenuto fa impallidire i migliori Barbera, l'Oltrepò Pavese trema alla sola vista delle bottiglie anonime con etichetta adesiva su cui sta scritto, con tratto incerto, "Tokaj 1997".
La realtà è ben diversa: i viticoltori fai-da-te sommergono le viti col verderame, mescolano tra loro le varietà più impensabili di vino, sbadilano zucchero nelle damigiane per "sburlare" un po' la gradazione, unico indice eletto a giudice della qualità del vino.
Se oserete rispondere all'assaggio offertovi dicendo che preferite un sano bicchiere di Bonarda comprato al supermercato vi risponderanno infuriati: "Co't bevv, al vèn dal cantinòn ??!". Il cantinòn in questione è la grande azienda vinicola, pensata come "corporation" colonizzatrice dei palati padani e soprattutto inaffidabile per via del suo misterioso contenuto: "Ssoja me sa'gh mètten ?"