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LE INCISIONI DISCOGRAFICHE DI
AGUSTIN BARRIOS
Alcune
considerazioni sullo stile interpretativo di un pioniere del disco(*)
di Mario Serio
Agustín Barrios (1885-1944) è considerato il primo chitarrista ad aver inciso un disco. Le prime registrazioni risalgono al 1913 e vennero effettuate a Montevideo per la casa discografica Atlanta/Artigas. Questo dato quasi da “Guinness” segna un momento importante nella storia della chitarra: la nascita di una nuova dimensione di ascolto. Il lavoro pionieristico svolto da Barrios in questo senso fu di una portata e di una qualità artistica eccezionali. Nello stesso periodo l’industria discografica andava affinando le tecniche di ripresa e di riproduzione del suono giungendo al disco a 78 giri della durata di quattro minuti e inciso con procedimento elettrico. Barrios seppe “cavalcare la tigre” incidendo molte sue composizioni che, a dispetto della mancata fortuna nell’immediato futuro tra i chitarristi-interpreti, riuscirono ad attirare l’interesse dei discografici prima uruguayani e poi argentini. Quella del disco nella carriera di Barrios fu un po’ una costante, se si considera che nel 1944 egli fu contattato dalla RCA Victor degli Stati Uniti per andare a incidere.[1]
Il corpus di queste registrazioni, che possiamo considerare fonti di prima mano, comprende un totale di 31 dischi a 78 giri per complessivi 57 brani. Di tutti questi dischi, tre sono nel formato dodici pollici mentre i rimanenti sono di dieci pollici. Il limite di durata imposto dalle tecniche di registrazione del periodo (quattro minuti) costrinse a spezzare in due parti i brani sensibilmente più lunghi – Jota (5’25”), A mi madre (6’01”), Pepita (5’51”), Aires Andaluces (5’46”), Souvenir d’un reve (6’01”) – e ad incidere su dischi di formato più grande (12”) quei brani di poco eccedenti i quattro minuti – La Catedral ancora senza preludio (4’24”) e Armonias de América (4’01”) – o quelli molto prossimi al limite (lasciando così un margine di sicurezza) – Pericón (3’50”), Contemplación (3’55”), Invocación a mi madre (3’45”).
Le case discografiche furono la Atlanta/Artigas nel primo periodo e poi il colosso argentino Odeon dal 1921 al 1929. Risale infatti al 1921 un contratto che Barrios firmò con la Odeon per incidere almeno cinque dischi all’anno per cinque anni. I titoli della lista incisi per la Odeon furono registrati quasi tutti tra l’aprile 1928 e l’aprile 1929 in sedute intensive. Esistono anche due dischi registrati nel 1943 con un apparecchio domestico, un Crosley Home Recorder di un tale Alfredo Massì, il proprietario di un teatro in San Salvador che scritturò Barrios durante i suoi ultimi anni di vita nella capitale salvadoregna. Occorre dire subito che molto probabilmente Barrios incise altri dischi e che quindi la lista fornita è parziale.[2] Il merito di aver custodito questo materiale spetta al brasiliano Ronoel Simões che conobbe Barrios durante il soggiorno in Brasile del musicista. Grazie a Simões la produzione discografica di Barrios oggi è fruibile su larga scala per mezzo di due riedizioni storiche curate da Richard Stover e da Robert Tucker:
2 LP (EM 8002)
Agustín Barrios Recordings Vol. 3 ( EM 8002,
vol. 3)
EL MAESTRO RECORDS,
A cura di Richard D. Stover.
Set di 3 CD (CHR 002)
CHANTERELLE VERLAG & AUSLIEFERUNG, Postfach
103909, D-69029
A cura di Robert Tucker.
DISCOGRAFIA DI AGUSTIN BARRIOS
TITOLO E AUTORE
CASA DISCOGRAFICA E NUMERO DI SERIE |
1. Ay, Ay, Ay (O. Perez Freire)
Marcha
Paraguaya (C. Dupuy) |
2. Tango n. 2 (A. Barrios) Atlanta 65364 La Paloma (S. de Yradier) Atlanta 65367 |
3. Vidalita con Variaciones (A. Barrios) Atlanta 65365 Don Perez Freire (A. Barrios) Atlanta 65366 |
4. Matilde (C. García Tolsa) Atlanta 65370 Divagación Chopiniana (C. Garcìa Tolsa) Atlanta 65374 |
5. Jota – prima parte (A. Barrios) Atlanta 65371 Jota – seconda parte Atlanta 65372 |
6. Milonga (A. Barrios) Artigas 65373 Madrigal – gavotta (G. Sosa Escalada) Artigas 65375 |
7. Marcha de San Lorenzo (C. A. Silva) Atlanta 65377 Divagación (A. Barrios) Atlanta 65385 |
8. A mi madre –
sonatina (A. Barrios) Atlanta
65379 A mi madre – seconda parte Atlanta 65380 |
9. Pepita, vals (A. Barrios) Pepita, vals – seconda parte Atlanta 65382 |
10. La bananita, tango (A. Barrios) Artigas 65393 Aires criollos (A. Barrios) |
11. Aires
Andaluces (A. Barrios) Aires Andaluces – seconda parte |
12. Oro y
plata, vals (F. Lehar) ? 21076 Divagaciones Criollas (A. Barrios) ? 21077 |
13. Tarantella (L.
Albano da Conceição/ A. Barrios) Odeon 54235 |
14. Aire
de Zamba (A. Barrios) Odeon 951-A Minuet in A (A. Barrios) Odeon 951-B |
15.
Minuet (L. W. Beethoven) Odeon
953-A Cordoba, estilo criollo (A. Barrios) Odeon
953-B |
16. Capricho Arabe
(F. Tarrega) Odeon 954-A Sarita,
mazurca (A. Barrios) Odeon
954-B |
17. Romanza (A.
Barrios) Odeon 200-A Caazapà, aire
popular paraguayo (A. Barrios) Odeon 200-B |
18.
Bourrée (J. S. Bach) Odeon
201-A Luz mala, estilo (A. Barrios) Odeon 201-B |
19.
Capricho Arabe (F. Tarrega) Odeon
202-A Minuet
(L. W. Beethoven) Odeon
202-B |
20. Danza Paraguaya
(A. Barrios) Odeon 203-A Cueca (A. Barrios) Odeon 203-B |
21. Aconquija (A.
Barrios) Odeon 204-A Junto a tu
corazón (A. Barrios) Odeon 204-B |
22.
Oración (A. Barrios) Odeon
205-A Vals op. 8 n. 4 (A. Barrios) Odeon
205-B |
23. Maxixe (A.
Barrios) Odeon 206-A Sarita,
mazurka (A. Barrios) Odeon
206-B |
24. Traumerei (R.
Schumann) Odeon 207-A
Tarantella (L. Albano da
Conceição/ A. Barrios) Odeon 207-B |
25. Souvenir d’un rêve
(A. Barrios) Odeon 208-A Souvenir d’un
rêve – seconda parte Odeon 208-B |
26. Ay,
Ay, Ay (O. Perez Freire) Odeon 209-A Madrigal – gavota (A. Barrios) Odeon
209-B |
27. Vals
op. 8 n. 3 (A. Barrios) Odeon 210-A Minueto op. 11 n. 6 (F. Sor) Odeon
210-B |
28. La Catedral (A.
Barrios) 12” Odeon 210-A Armonias de
America (A. Barrios) Odeon 210-B |
29. Confesión (A.
Barrios) Odeon 211-A Aire de
Zamba (A. Barrios) Odeon 211-B |
30. Pericón (A.
Barrios) 12” Odeon 40070-A
Contemplación (A. Barrios) Odeon 40070-B |
31. Invocación a mi madre
(A. Barrios) 12” Odeon (disco promozionale) |
32. Invocación a la luna
(A. Barrios) Crosley
(r.p.) Diana
Guaraní (A. Barrios) Crosley (r.p.) El sueño de la
Muñequita (A. Barrios) Crosley
(r.p.) |
L’importanza di queste incisioni è molteplice. Dal punto di vista musicologico esse sono state fondamentali per l’acquisizione di opere mancanti di una fonte scritta, consentendo anche di effettuare delle trascrizioni e di ricostruirne il testo. Ma i dischi offrono soprattutto una testimonianza diretta dell’arte interpretativa di Barrios e consentono di confrontare il suo stile esecutivo con quello di altri musicisti che incisero in quel periodo. Robert Philip ha svolto un interessante studio sullo sullo stile interpretativo all’inizio del XX secolo basandosi su incisioni discografiche effettuate dal 1900 al 1950.[3] L’ascolto analitico di molte incisioni di interpreti quali Cortot, Rachmaninov, Elgar, per citarne solo alcuni, ha fatto emergere, tra le altre caratteristiche, una notevole flessibilità nei tempi. La tendenza era quella di sottolineare i contrasti, creando differenze di tensione all’interno dei singoli movimenti di un brano mediante cambiamenti repentini di tempo: i passaggi lirici e riflessivi erano suonati più lentamente mentre i passaggi energici e virtuosistici più velocemente.[4] L’ascolto di questi dischi ci consente anche di gettare luce sullo stile esecutivo del XIX secolo poiché i musicisti che registrarono all’inizio del Novecento, e Barrios non fa eccezione, venivano dalla cultura del secolo precedente e presentavano nel loro stile modalità esecutive di gusto ottocentesco.
Altre caratteristiche generali riscontrate da Philip sono:
- la tendenza, nei ritmi puntati, a prolungare il valore del punto e conseguentemente a sfuggire le rimanenti note della figurazione.
- l’uso estensivo del rubato mediante l’impiego di tre modalità fondamentali:
a) uso dell’accelerando e del ritardando;
b)
uso del tenuto o accento agogico;
c)
indipendenza ritmica della melodia
dall’accompagnamento.
Nella pratica musicale raramente una modalità veniva impiegata senza far ricorso alle altre. Queste tendenze esecutive in uso nel primo Novecento ricevettero notevole attenzione anche in sede trattatistica. Tobias Matthay identificò due particolari forme di rubato: la più comune era quella in cui si enfatizzava una nota o un gruppo di note attribuendo loro un valore maggiore di quello scritto e, di conseguenza, venivano poi accelerate le note rimanenti della frase per tornare al tempo; l’altra era quella di iniziare accelerando fino ad un punto culminante per poi ritardare gradualmente le rimanenti note della frase.[5]
A proposito del tenuto o accento agogico, Hugo Riemann[6] fu il
primo a sviluppare una teoria dell’agogica raccomandando l’uso di piccole
modificazioni di ritmo e tempo per una esecuzione espressiva. Egli usò per
primo il termine accento agogico per descrivere l’allungamento del valore di
una nota al fine di evidenziarla e di creare un piano di rilievo.
Applicando
il rubato a una melodia sorgeva la questione di stabilire se l’accompagnamento
dovesse seguirla o mantenere rigorosamente il tempo, determinando così uno
sfasamento ritmico. La dislocazione ritmica della melodia dall’accompagnamento
è una delle caratteristiche salienti nelle esecuzioni di molti pianisti
dell’inizio del Novecento. Così come la tendenza ad accelerare anche questa
pratica è stata fortemente scoraggiata nella seconda parte del secolo e
l’abitudine di suonare “insieme”, sincronizzando cioè le due mani, è ora
generalmente accettata e osservata. Fino al 1920 però molti pianisti,
particolarmente quelli della vecchia generazione (Paderewski, Pachman,
Rosenthal e altri) suonavano in tale modo. A criticare aspramente e a opporsi
alla generale accettazione delle fluttuazioni di tempo vi furono, tra i più
agguerriti, Weigartner, Toscanini e Stravinskij. Essi possono essere
considerati come pionieri della stretta attinenza al tempo, caratteristica che
influenzò in seguito, in modo determinante, il gusto esecutivo. Ascoltando oggi
le incisioni di Barrios e tralasciando la qualità di ascolto, si può rimanere
delusi o infastiditi: spesso c’è qualche rubato di troppo, qualche fermata
artificiosa, piccole precipitazioni senza motivo o meglio senza un motivo
riscontrabile nel testo. Ricordiamo a questo proposito che Barrios aveva
l’abitudine di comporre sullo strumento e che le frasi musicali portavano già
in sé stesse una certa “pronuncia”, un andamento particolare che poi sulla carta
occorreva far quadrare nelle battute. “Non dobbiamo dimenticare che la
scrittura verbale e la notazione musicale sono comunque sistemi secondari di
formalizzazione correlati a un sistema pri
Esistono altre due figure storiche per la chitarra che incisero dischi nella prima metà del XXsecolo: Miguel Llobet (ca. 1925) e Andrés Segovia che iniziò la sua lunga e gloriosa carriera discografica nel 1927. Diversa ovviamente la dizione dei tre chitarristi: laddove Barrios e Llobet non esitano a lanciarsi in funambolismi, anche a scapito della precisione d’attacco e della pulizia del suono, Segovia sembra prediligere un’oratoria più austera e controllata. Intenso e appassionato il lirismo di Llobet, più mite e malinconico, carico di negligenza tropicale quello di Barrios. Nella diversità dei repertori affrontati (Barrios include per la maggior parte brani di sua composizione), il terreno comune è rappresentato dall’interpretazione di brani di Bach. La lezione di Segovia, a questo proposito, è molto “romantica”, vicina alla cifra stilistica di Pablo Casals per intenderci, mentre l’interpretazione lasciataci da Barrios della Bourrée BWV 1009 è piena di leggerezza e vaporosità che la rendono più vicina ad un gusto moderno per la musica barocca. Nei brani di ispirazione popolare il chitarrista paraguayano sfoggia a volte una ritmica trascinante (pensiamo alla Tarantella di Conceição o ai suoi Maxixe e Danza Paraguaya), altre volte l’incedere ritmico si carica di elementi coreografici (Cueca, Estilo, Pericón), ma sempre comunque i canti e le danze della nativa America sono celebrati in modo schietto. Dobbiamo rilevare come dato culturale dell’artista che la sua formazione musicale si innestò nella viva partecipazione alla vita popolare. Barrios viaggiò ininterrottamente nel corso della sua vita dal nativo Paraguay attraverso tutto il continente sudamericano, accogliendo nelle sue composizioni e nel suo stile interpretativo le suggestioni umane e artistiche di questo itinerario.
L’accostamento alla musica popolare da parte di Barrios rispecchia il particolarissimo spirito con il quale i musicisti “romantici” esplorarono questo aspetto della loro cultura: “non la curiosità divertita ma distaccata di chi osserva un oggetto estraneo, ma la pietas quasi religiosa di chi vuole risalire alle scaturigini d’una primigenia identità di natura e cultura, di chi anela a riscoprire valori incontaminati e assoluti”.[10]
“Romantico”, se pure in una accezione squisitamente americana e cronologicamente sfalsata rispetto alla tradizione, è un termine che ben si presta a riassumere l’atteggiamento interpretativo di Barrios. “Romantico” contrapposto a “Classico” visto come connotazione stilistica, categoria di gusto, prevalenza di particolari atteggiamenti spirituali. Per un interprete “romantico” la pagina di musica si trasforma in una avventura del cuore e della fantasia e non resta pura esperienza stilistica com’è per i “classici”. “Il mondo espressivo potenziale dell’interprete, […] nei romantici, per l’esuberanza ch’è loro propria, diviene esso soggetto di assimilazione, imprimendo così alla musica un più deciso carattere di originalità, di personalità”.[11] Le scelte degli interpreti romantici sono spesso dettate da emozioni subitanee. “E in ciò si spiega […] come gli interpreti romantici siano nel rendimento molto più irregolari da sera a sera, da pezzo a pezzo: l’oratoria vuol sempre un pizzico di emozione improvvisata; e se l’intuizione fu giusta, l’oratoria è buona, se l’intuizione mancò il segno, l’oratoria diviene cattiva retorica, demagogia, equivoca lusinga verso il pubblico”.[12]
Non abbiamo ritenuto opportuno in questa sede procedere ad una descrizione in dettaglio di particolarità esecutive condotta su esempi musicali, consapevoli del limite e della artificiosità di tale approccio descrittivo rispetto alla materia sonora. Momento irrinunciabile per cogliere a fondo la poetica di Barrios rimane l’ascolto delle sue incisioni. Tuttavia nessuna esecuzione, neanche quella del compositore che ha creato una musica, può essere considerata “modello” archetipo di esecuzione e senz’altro non avrebbe senso per un esecutore moderno scimmiottare “quello” stile esecutivo. L’importanza dell’ascolto è allora quella di poter fruire di una testimonianza diretta della personalità artistica di Barrios attraverso cui “leggere” anche i paradigmi culturali del suo tempo e della realtà in cui si trovò a operare. L’ascolto ci potrà, in definitiva, dare un’idea del gusto dell’interprete: “Gusto inteso come il risultato di un ricco patrimonio personale, in parte naturale, in parte acquisito, che comprende in definitiva tutto ciò che di un uomo fa un uomo e di un artista fa quell’artista: temperamento, intelligenza, sentimento, sensibilità, senso critico, esperienza umana e artistica, tradizione, scuola, nazionalità, cultura, e via discorrendo. Se, in pratica, difficilmente sono discriminabili i singoli elementi di questo microcosmo, è indubitabile che questi, tutti, vivono e operano nel processo interpretativo, talvolta interferendo e magari contrastandosi vicendevolmente, talaltra sommandosi, o, nel migliore dei casi componendosi in equilibrio”.[13]
(*) articolo pubblicato sulla rivista Il Fronimo, n. 102, aprile 1998.
[1] Richard Stover, Agustín Barrios Mangoré, un genio della chitarra dimenticato, “il Fronimo”, n. 20, luglio 1977, p. 12.
[2] Le informazioni sui dischi
e la relativa lista sono desunte da Richard Stover, Six Silver Moonbeams. The Life and Times of Agustín
Barrios Mangoré,
[3] Robert Philip, Early recordings and Musical Style. Changing Tastes in Istrumental
Performance 1900-1950,
[4] Robert Philip, op. cit., p. 16.
[5] Tobias Augustus Matthay, Musical Interpretation,
[6] Hugo Riemann, Musikalische
Dynamic und Agogic: Lehrbuch
der musikalischen
[7] Roberto Leydi, L’altra musica: Etnomusicologia. Come abbiamo incontrato e creduto di conoscere le musiche delle tradizioni popolari ed etniche, Firenze, Giunti/Ricordi, 1991, p. 134.
[8] Roberto Leydi, op. cit., p.135
[9] Giorgio Graziosi, L’interpretazione musicale, Torino, Einaudi, 1982, p. 189.
[10] Renato Di Benedetto, L’Ottocento, in Storia della Musica a cura della Società Italiana di Musicologia, vol. 7, Torino, EDT, 1985, p. 24.
[11] Giorgio Graziosi, op. cit., pp. 89-90.
[12] Giorgio Graziosi, op. cit., p. 100.
[13] Giorgio Graziosi, op. cit., p. 69.