Visita alla città

Accompagnatore virtuale in questa visita alla città di Manerbio sarà Mons. Paolo Guerrini (1880 - 1960) che, con la sua opera "Manerbio, la Pieve e il Comune" scritta in gran parte durante la sua permanenza a Manerbio dal 1905 al 1907 e data alle stampe nel 1936 ha gettato le basi per una approfondita conoscenza della nostra città attraverso i luoghi, la storia ed i personaggi più di rilievo. Durante la sua permanenza in città, Mons. Guerrini salvò anche alcuni fra i documenti che l'amministrazione di allora aveva fatto trasportare nei sotterranei delle scuole comunali per essere usati ad accendere le caldaie. Fra questi documenti vi sono degli "Annali del Comune" che incominciano con un atto del 24 ottobre 1396. Le opere su Manerbio scritte successivamente da altri autori citano frequentemente Mons. Guerrini anche per la completa documentazione che egli produsse a prova e giustificazione dei suoi scritti. L'intenzione della nostra nostra visita è anche ripercorrere, con l'aiuto di Mons. Guerini, le fasi della storia di Manerbio attraverso i luoghi dove gli avvenimenti storici si sono compiuti, con l'obiettivo di ridurre quella sensazione di astrazione che la storia ripercorsa in modo meramente cronologico suscita nel lettore.


La nostra visita inizia da sud, percorrendo Via Cremona. La prima località di rilievo che incontriamo è il "Purtù", l'ingresso alla città da Cremona.

Il "Purtù"

Nel 1782 il conte Galeazzo Luzzago aveva ottenuto dal Comune lo spostamento in altra zona della città di un presidio militare che sorgeva nelle vicinanze dell'attuale Palazzo Luzzago. In cambio fece erigere una grande porta all'ingresso sud della città, anche in segno di riappacificazione dopo vecchi contrasti con la comunità manerbiese. Si trattava di un arco in cotto sormontato da frontone triangolare, con due passaggi minori ai lati e, sul passaggio a destra di chi usciva dalla città verso Cremona, nella facciata interna era murata una lapide che riportava in latino la seguente iscrizione: "Galeazzo Luzzago, conte di Cesana, d'accordo col comune di Manerbio, qui trasportò le opere militari, che erano di impedimento alla facciata della sua casa, e pose questo arco in memoria nell'anno di nostra salute 1782". Questa porta, chiamata già a quel tempo "'l Purtù" viene ricordata nella storia di Manerbio anche perchè nel 1848 i manerbiesi la barricarono per impedire l'ingresso alle truppe austriache provenienti da Cremona, con grave rischio per le sorti della città. La denominazione di "Purtù" per i manerbiesi permane tuttora che la costruzione non esiste più, essendo stata atterrata nel 1913 in occasione di una delle prime gare automobilistiche.

Passiamo il "Purtù" e, continuando per la statale 45 bis percorriamo via Mazzini.

Via Mazzini

Le vie della città, regolare nello sviluppo quasi concentrico delle sue strade, hanno un cardine nella strada provinciale Brescia-Cremona (Via Mazzini - Via Dante), l'antica strada romana detta "Praetoria", ridotta al tracciato attuale da Napoleone ed allora denominata "Contrada Belvedere", come si può riscontrare dalla tavola del catasto napoleonico di inizio '800.. Anticamente la strada svoltava al Castelletto nel vicolo del No e risaliva verso la cascina della prebenda; un'altra strada romana, forse più antica di questa, discendeva da questo ponte verso al piazzolo di Insciàno, e per la via del Vescovato andava al Portone e alla strada di Bassano. Fiancheggiata da tipici fabbricati, fra i quali alcuni architettonicamente interessanti, la via percorre il tratto di statale dal "Purtù" fino alla Parrocchiale. Una traversa è via Solferino, la vecchia "Contrada dei siòri", dove aveva sede la scuola "Avviamento al lavoro".

All'imbocco di Piazza Italia, alla nostra sinistra, troviamo Palazzo Ghirardi.

Palazzo Ghirardi

L'attuale Palazzo Ghirardi è stata la prima casa dei nobili Luzzaghi, risalente al sec. XVI. E' la bella corte o masseria, fino a pochi anni fa dei Ghirardi, allora circondata da orti. Il bosco, ora parco Ghirardi e parco municipale, arrivava fino alla palazzina lunga dei Luzzaghi ora Municipio. La costruzione attuale è un rimaneggiamento dell'800 realizzato in gusto eclettico dall'architetto milanese Angelo Colla. Il Colla trasformò l'esistente palazzetto in una sorta di fiabesco castelletto mediante elementi romanico-arabi nella facciata interna che dà sul parco,

ed aspetti neo-gotici nella torretta verso via A.Diaz.

L'ala principale ha un portico settecentesco ad archi su colonne;

le stanze al piano terra rivelano l'origine antica. Lo scalone a due rampe termina con una loggia interna;

il soffitto è decorato con stucchi del Colla.

Nel parco un laghetto.

Di fronte a Palazzo Ghirardi si apre Piazza Italia, la piazza centrale della città.

Piazza Italia

Piazza Italia coincide con la zona sud-orientale dell'antico castello (completamente assorbito nel corso del '700 e '800 dagli edifici costruiti tra le attuali vie XX Settembre e San Martino), dove il fossato si allargava ad occupare quello che oggi è lo spazio di quasi tutta la piazza. Il nome della piazza è cambiato nel corso dei secoli; durante il periodo napoleonico (1797-1815) si chiamava Piazza Repubblica; agli inizi del '900 la piazza era dedicata al re Vittorio Emanuele III. Durante il periodo fascista Piazza Italia fu rimaneggiata secondo il gusto dell'epoca, anche con l'aggiunta dell'arengario. Nel 1996 l'amministrazione comunale ha deciso una nuova ristrutturazione della piazza.

Via Mazzini termina all'incrocio davanti alla Parrocchiale: a sinistra si sale verso via XX Settembre, a destra si percorre via Roma e continuando verso Brescia si percorre via Dante. Prima di continuare la strada per Brescia preferiamo imboccare via Roma, la vecchia "Breda" per visitare alla nostra sinistra la Chiesa della Disciplina.

Chiesa della Disciplina

La Disciplina mariana di Manerbio era una pia associazione di uomini e di donne che si riunivano insieme sotto una regola di penitenza per santificare se stessi nell'esercizio delle opere di pietà verso Dio e di carita' verso il prossimo. Si chiamava Disciplina perche' gli ascritti, chiamati Disciplini, si flagellavano una volta la settimana, onde furono chiamati anche Flagellanti. Nel centro abitato di Manerbio, nella contrada anticamente denominata Breda (attuale via Roma) ancora oggi sorge la chiesa dell'Annunciata, chiamata dal popolo "Disciplina", tempio sacro nel quale i confratelli convenivano ogni festa a cantar l'ufficio della Madonna, ad ascoltar la Messa e a discutere delle cose riguardanti la vita e l'attivita' della associazione, la quale doveva sovvenire i poveri, aiutare i bisognosi, visitare gli infermi, accompagnare e suffragare i morti e attendere a tutte le altre opere di misericordia spirituale e corporale. gIl Fappani rileva che la piu' antica Disciplina Bresciana sembra sia quella di S.Maria de Dom, che viene anche identificata nella disciplina vetus verberatorum di cui nell'istrumentario dell'Ospedale dei disciplinati di S.Cristoforo sono trascritti cinque documenti dal 1274 al 1340. Essa aveva sede nella Cattedrale di S.Maria Maggiore di Brescia ed era detta alba (cioe' bianca) perchè i confratelli e consorelle avevano l'abito bianco. Un rilancio di questa ed altre analoghe pie associazioni laicali nel bresciano si ebbe con i movimenti e le sette dei flagellanti e dei battuti che comparvero non solo nel 1259 ma anche nel 1334 e piu' ancora nel 1399 in concomitanza con fatti straordinari di cui le apparizioni di Rezzato, in cui il contadino appare vestito del saio bianco, sono un fatto di molto rilievo. Non e' improbabile - come sostiene il Guerrini - che una Disciplina doveva esistere anche a Manerbio, come esisteva in molte altre parrocchie fra le piu' importanti, fino dal secolo XIII; proprio in questo secolo e anche nel successivo a lato e sull'imitazione della potente organizzazione dei comuni, si erano venute formando le Confraternite laicali dette anche discipline, congregazioni o consorzi, aventi statuti e leggi particolari, chiese e oratori, abiti e costumanze speciali, pratiche di pieta' e di penitenza e il dovere della carita' cristiana. Era una rifioritura della pietà e della fede, eccitata dal rapido incremento delle fraterne medioevali, dalle crociate e dai pellegrinaggi in Terrasanta. Queste discipline ebbero vari nomi e sono note per la loro degenerazione nell'eresia, quella dei flagellanti e dei battuti; presso di noi rimasero piu' a lungo quelle intitolate a S.Rocco e a S.Pietro Martire e piu' ancora quelle del SS.Sacramento, fondata sulla fine del sec. XV.

Quasi alla fine di via Roma, sulla sinistra, si apre via S.Faustino che merita di essere visitata sia per i tipici vicoli trasversali che per la Chiesa posta alla fine della via stessa.

Chiesa di San Faustino

S.Faustino, che comprende la parte orientale della città chiamata "la Breda di S.Faustino", richiama proprietà fondiarie del monastero di S.Faustino Maggiore di Brescia, eretto sul principio del secolo IX con le reliquie dotali di antichissimi ospedali ed ospizi rurali.

Mons. Guerrini nel 1905 descrive la chiesa di S.Faustino come "...squallida e abbandonata: si apre soltanto nella festa del 15 febbraio. Ha due altari, il maggiore e una cappella laterale dedicata a S.Carlo, e alcune tele secentesche molto deteriorate. Conserva ancora la adiacente casetta rustica e un pò d'ortaglia per l'eremita che non la custodisce." Dobbiamo ora notare che per l'interessamento del sagrista Giulio Sbaraini venne quasi completamente restaurata nel 1943 a spese della contessa Maria Cantoni Marca. La decorazione fu eseguita dal pittore Pescatori. Restaurati pure i due quadri: uno, la pala dell'altare, raffigura i due santi martiri Faustino e Giovita, l'altro, più piccolo, rappresenta S.Carlo in preghiera e venne sistemato sulla porta a mezzogiorno, perchè l'unico altare laterale venne dedicato alla Santa Maria Crocifissa Di Rosa, parente dei conti Cantoni Marca.

In fondo a via S.Faustino troviamo anche un ingresso laterale di Villa Di Rosa, il cui ingresso principale è il bel viale alberato che troviamo sulla sinistra proseguendo via Roma

Villa Di Rosa Cantoni

Questa villa venne costruita, probabilmente dai Luzzago, in posizione eccentrica rispetto al centro urbano di Manerbio. Nella maggiore e più antica delle due ville Luzzago esistono ancora delle relazioni significative con il resto della struttura architettonica della città (la piazza e gli edifici che la definiscono), mentre nella villa Di Rosa l'intorno predominante è la natura, che la circonda su tre lati, mentre a breve distanza sorgono al di là del cancello laterale soltanto dei bassi cascinali. In questo ambiente naturale, solamente il viale alberato di ippocastani è elaborato: elemento divenuto ormai canonico nel codice formale del tipo architettonico della villa, pur con molte variazioni dei suoi particolari. La struttura del complesso è molto semplice: un unico corpo di fabbrica lineare aperto nella parte centrale e nelle sue ali, determinate dal prevalere della parte centrale stessa e dalla differenziazione del pianterreno e dell'altezza della costruzione. Lo stabilirsi di questa gerarchia formale interna è coerente con l'accentuazione, ricorrente nel Sei- Settecento, dell'asse visivo prospettico, definito da due filari di alberi. Significativa è infine la cancellata verso il viale, simile a quella del Turbini nella villa San Filippo di Brescia; questa analogia delle caratteristiche stilistiche, pur nella netta differenziazione dello schema iconografico, potrebbe essere estesa alla villa nel suo insieme.

Nei pressi di Villa Di Rosa si può accedere al fiume Mella dove, all'inizio del secolo, è stato costruito un ponte-canale chiamato dai manerbiesi "Canalòt".

Il "Canalòt"

La trasformazione agraria del territorio è avvenuta lentamente, specialmente nei secoli XIV e XV, per opera di ricchi signori che, abbandonando i facili guadagni della vita militare, preferirorno dedicarsi al progresso agricolo delle nostre terre, in gran parte incolte ed abbandonate, perchè abitate da scarsa popolazione che era stata decimata dalle guerre e dalle pestilenze. Le nuove colture richiedevano abbondanza d'acqua per irrigazione; le rogge primitive, ricavate dal Mella o dal Molone, servivano quasi esclusivamente ad animare i molini e gli altri edifici industriali (torchio, maglio, segheria, ecc.) che servivano al comune. Nei due secoli XIV e XV le acque dei due fiumi, Mella e Molone, furono sfruttate più largamente a scopo irriguo e agrario, il Mella per il territorio inferiore, il Molone e le rogge di Bagnolo, come la Botta, per il territorio superiore. Dal Mella furono prese allora le rogge Calcagna, Bassana, Luzzaga, Manerbia o Pola, mentre preesisteva già la Rosa o Ruzza, la roggia per antonomasia, detta anche Roggia di S.Martino o Roggia del comune perchè andava ad alimentare i molini comunali. Nella parte superiore la Gazadega, la Zumella, la Campostrina provenienti dal Molone, ricordano opere irrigatorie del secolo XV, come il "canalotto" sul Mella che trasporta al territorio inferiore le acque superiori della Botta; già in documenti del '400 si accenna alla contrada di Gazadega "sive dela canale", dove la tenace opera dei piccoli contadini di Manerbio andava compiendo con sacrificio la riduzione dell'antico bosco comunale a più proficua coltura agraria. Ognuna di queste rogge irrigatorie meriterebbe almeno un capitolo di storia; sarebbe la storia del pane quotidiano conteso con ogni sforzo alla natura da una popolazione che cresceva ogni anno.

Anche la località presso il "canalotto", dato il facile accesso al fiume e la spiaggia naturale creatasi, era meta di balneazione per i manerbiesi fino agli anni '60. I giovani più arditi riuscivano ad attraversare il fiume sostenendosi con la forza delle braccia alla struttura del "Canalòt": il rischio, comunque, era minimo in quanto l'eventuale caduta si sarebbe trasformata in un piacevole tuffo nelle acque allora limpide del Mella.

Il ritorno da via Roma verso la statale ci permette di ammirare la torre campanaria e la facciata della Parrocchiale con la prospettiva migliore: questo ci suggerisce, una volta raggiunta via Dante, di visitare la Parrocchiale dedicata a San Lorenzo Martire.

Parrocchiale

L'anno 1715 si atterrava la vecchia e cadente chiesa medioevale della pieve

per incominciare sullo stesso posto l'attuale chiesa parrocchiale. Fra le rovine di quel piccolo ma venerando edificio che conteneva forse preziose tracce di affreschi, di decorazioni o di architettura romanica, furono scoperte due grandi fosse sovrapposte, riempite di materiale archeologico di epoca romana, il quale servì per fare la calce e per dare solido materiale costruttivo alle fondamenta della nuova chiesa. La penna, povera e incolta, di un testimonio contemporaneo, il sacerdote manerbiese don Giacinto Tenchini, ebbe il compito di descrivere quella immane rovina da cui si salvarono solo tre lapidi, che non si potrà mai abbastanza deplorare.

La rovina fu irreparabile: le tre lapidi salvate non sono certamente le più importanti. Raccolte nel giardino del palazzo dei conti Luzzago (ora palazzo Comunale) furono più tardi donate al Museo Civico di Brescia,

e con altre sette iscrizioni raccolte precedentemente dagli archeologi del cinquecento, costituiscono tutto il piccolo tesoro delle memorie romane di Manerbio.

La Parrocchiale è intitolata San Lorenzo Martire, costruita nel 1715-42 su progetto dell'architetto Antonio Turbini (Lugano 1670 - ????). Di Carlo Corbellini la facciata,

sulla quale è la statua di San Paolo opera di Santo Callegari e del fratello Luca (1791), figli di Antonio.

L'interno è a croce latina,

con quattro altari per parte oltre all'altar maggiore. Fu affrescato nel 1868 da Angelo Cominelli.

Vi sono custodite importanti tele: la pala del Moretto - Madonna col Bambino e san Giovannino, i santi Pietro, Paolo, Lorenzo, Caterina, Alessandro e il donatore, realizzata in collaborazione con Giovan Battista Moroni e commissionata dal nobile don Silvio Luzzago, che ne fece dono alla chiesa.

Altri dipinti: Deposizione di Giovan Battista Pittoni,

Pietà di Francesco Prata da Caravaggio,

Madonna col Bambino e i santi Vincenzo e Caterina di Camillo Rama, il Perdon d'Assisi del Malosso,

ed opere del Brentana e di Gaudenzio Botti (Marta e Maria, Sacra Famiglia dai dodici quadretti ornamentali delle cantorie ora purtroppo trafugati).

All'altare del Rosario due statue di Antonio Callegari: San Domenico e Santa Rosa da Lima.

Inoltre un venerato affresco del '400, Madonna col Bambino.

Notevoli l'altare marmoreo del rezzatese Baroncini (1846-47)

e il fonte battesimale (1510),

oltre ai dipinti in sacrestia e in canonica, insieme a preziosissimi libri stampati a Venezia dai Giunta

e a pregevoli arredi. Sotto l'affresco Papa Sisto II accompagnato al martirio dal diacono Lorenzo, di Carlo Carloni,

sono state rinvenute opere del '500 e del '700, e una Circoncisione di Cristo del Marone.

La Torre Campanaria

Dove sorgeva l'antica torre di difesa della porta orientale del castello medioevale nel 1603 fu iniziata la costruzione della attuale torre campanaria (1603-06). Probabilmente l'antica torre era come un secondo campanile della vicina chiesa della pieve, portando la campana o le campane, che squillavano i pacifici vespri liturgici e che al momento opportuno diventavano anche il richiamo lanciato con concitati rintocchi a martello per mettere in guardia contro pericoli di incursioni militari. La torre campanaria fu restaurata nel 1843 dall'architetto bresciano Rodolfo Vantini (1792-1856), che ne modificò la cima.

Visitata la Parrocchiale settecentesca e la Torre riprendiamo la via per Brescia che, nel tratto di strada dal semaforo al ponte del fiume Mella assume la denominazione di via Dante.

Via Dante

Via Dante è la vecchia "Contrada Belvedere" del catasto napoleonico e la più recente via Umberto I° dei primi anni del '900. Al viaggiatore proveniente da Cremona ed in cerca del passaggio sul fiume, nel Medio Evo, nel luogo dove ora è Piazza Italia, si presentava uno slargo del fossato del grande castello che occupava con il suo lato est gran parte dell'attuale via Dante, comprendendo la zona che oggi va dalla Parrocchiale, dov'era situata la porta principale con ponte levatoio sul fossato, fino a via San Martino. Parleremo più avanti del castello medievale, di cui ora non esiste più alcuna traccia, quando visiteremo via XX Settembre che occupava il lato sud del maniero. Proseguiamo ora per via Dante dove, sul lato sinistro e subito dopo la Parrocchiale, troviamo

Piazza Bianchi

e l'edificio delle vecchie scuole comunali d'apprima elementari e poi, negli anni '50 medie statali, care ai manerbiesi di un tempo; qualche anno fa l'edificio è stato ceduto dall'amministrazione comunale ad una banca che ne ha fatto la sua sede.

L'edificio delle scuole comunali fa angolo con l'imbocco di via San Martino.

Via San Martino

Il solo nome romano, prettamente romano, che resta ancora nella toponomastica manerbiese è quello di Sciàno o Insciàno, che è stato eliminato dalla nomenclatura ufficiale delle vie della città, ma rimane nell'uso popolare, tenacemente conservato e tramandato come una inderogabile tradizione locale per indicare, con le due formule di Scià bass e Scià olt (Sciàno basso e Sciàno alto), un'unica primitiva località romana, delimitata a mattina dalla strada cremonese e a sera dalla piazzetta chiamata il piazzòlo, e che venne divisa dalle fosse e dalle mura del castello medioevale, nucleo centrale della città attuale. Le denomiazioni delle varie altre contrade (Bellapiana, Breda, Portone, S.Rocco, ecc.) sono nomi tardivi; Sciàno è invece il filone, l'unico filone che ci permette di risalire ben oltre l'alto Medioevo, al "fundus Attianus" che è sinonimo di Azzano, e che forse costituiva col paese bresciano di questo nome il latifondo di un'unica famiglia romana del nostro patriziato, quella degli Azzi. A Sciàno erano rimasti difatti i segni e i ricordi più numerosi e importanti dell'antica grandezza romana, segnalati dal benemerito prete Tenchini, che se fosse stato adulto nel 1715 avrebbe saputo contenderli anche alla fornace e conservarli; Sciàno era il naturale epicentro dell'organizzazione religiosa ed amministrativa del pago romano e pre-romano di Manerbio, col mercato, col "Concilium" o "Conventus ante ecclesiam", col collegio dei sacerdoti e degli ufficiali pagensi che, nell'alto medioevo si trasformò nell'organizzazione cristiana della pieve ed in quella amministrativa e geografica del Comune. Quivi era il "vicus" vetus", cioè il nucleo più antico delle abitazioni, il luogo più lontano dalle insidie delle acque torrentizie del Mella, quindi il luogo più sicuro e più sano. Il nome di S.Martino indica molto chiaramente che la proprietà di questi fondi apparteneva ad un monastero, molto prima che si fondasse il monastero femminile di S.Maria della Colomba ai confini di Porzano, ricordato da quella cascina che ancora si chiama il "Monastero". S.Martino, che comprendeva tutta la regione ora occupata dall'Oratorio maschile, dallo stabilimento Marzotto, dal campo sportivo ed i fondi che si trovano sui due fianchi della linea ferroviaria dal ponte del Mella alla stazione ferroviaria, era probabilmente un latifondo del monastero di S.Giulia e una delle cinquanta possessioni di quel celebre e ricchissimo monastero imperiale poste sotto il titolo e la protezione del vescovo di Tours.

Oratorio maschile

Fu iniziato attorno al 1880 dal sacerdote don Giovanni Ravera, sviluppato e diretto con spirito d'iniziativa dal curato don Eugenio Cassagli, il quale vi aggiunse la banda, la scuola di canto, la compagnia filodrammatica, il circolo di cultura e lettura. Nel 1900 don Cassagli diventa arciprete di Travagliato e l'oratorio rimane senza sede: ne fu data una in centro alla città che nel 1925 diventa di proprietà dell'istituto Artigianelli di Brescia il quale lo governò per mezzo di un piccolo distaccamento dei suoi padri dal 1926 al 1938 e dal 1947 al 1956. Nel 1959 la proprietà dell'oratorio passa alla parrocchia per opera dell'arciprete don Virgilio Casnici.

Al ritorno da via San Martino riprendiamo via Dante che all'altezza di Palazzo Bersani, oggi oratorio maschile, ci offre una bellissima prospettiva dei tipici edifici ora rimodernati ma strutturalmente identici a quelli che potevano apparire fin dal ''700. La via Marconi sulla nostra destra ci conduce all'Ospedale Civile che, per la sua importanza sociale per il territorio, merita la nostra visita.

Ospedale

Già dai secoli remoti la "pieve" di Manerbio ha avuto una vita feconda di bene per il prossimo. Difatti la pieve era ospizio gratuito per i poveri viandanti, era ilo nosocomio per gli infermi, la scuola per i poveri, e la larga dotazione di fondi che ad essa venne assegnata o aumentata dal demanio regio, o dal vescovo, o dalle libere elargizioni del popolo, doveva servire non solo per l'alimento del clero ma anche alle opere di carità che fiorivano intorno alla Pieve. Sebbene non si abbiano documenti di un ospedale a Manerbio nel medioevo, Mons. Guerini non dubita che vi sia stato, perchè ogni pieve era dotata anche di un piccolo ospizio od ospedale. L'ospedale doveva esistere presso la chiesa e la canonica primitiva, sulla strada cremonese, se forse non è da ritenersi che da esso si sia sviluppata più tardi la Disciplina, che ne continuò le tradizioni benefiche. Mons. Guerrini ritiene che un ospizio esistesse anche al di là del Mella, presso l'antico ponte di legno, o guado o porto, sul quale si sorpassava il fiume. E' noto difatti che la parte principale della dotazione fondiaria del beneficio parrocchiale di Manerbio è costituita dalla cascina e dai circostanti fondi che si chiamano "Fienile dell'arciprete", presso il quale passava l'antica strada che univa Brescia e Cremona. Il passaggio dei fiumi e dei torrenti, nell'antichità, era sempre pericoloso e difficile, soprattutto per gli straripamenti delle acque torrentizie delle piogge e del disgelo. Si stabilivano quindi sulle due sponde delle piccole stazioni di rifugio e di aiuto per i viandanti che discendevano o ascendevano, onde evitare loro delle disgrazie. Fra le funzioni sociali della pieve c'era anche questa dell'assistenza ai viandanti e ai pellegrini; è probabile perciò che in quella località, sul pendio insidioso della strada che discendeva al transito del fiume vi fosse un antico ospizio plebanale al quale faceva riscontro sull'altra sponda meridionale la casa monastica di S.Martino, ora del tutto scomparsa ma non dimenticata, poichè esiste ancora col nome di S.Martino la strada che vi conduceva e che univa Sciàno con l'antico passaggio del Mella.

Il primo ospedale, come casa di cura degli ammalati sorse sul principio del secolo scorso, per iniziativa di alcuni benefattori locali ed occupava l'edificio che fino a pochi anni fa era adibito a casa di riposo. Già dai primi decenni del '900 questo edificio era diventato troppo angusto per i bisogni della popolazione sempre in aumento e si ventilò il progetto della costruzione del nuovo ospedale, che potesse servire non solo a Manerbio ma anche agli altri comuni della Bassa bresciana. Ma il progetto rimase per tanti anni puro desiderio, finchè non si trovarono due animatori, Emilio Antonioli e il dott. Mario Tranchina, giunto a Manerbio nel 1936 quale medico condotto. Il progetto venne affidato all'Ing. Gerardo Malagutti e il 1° gennaio 1940 il nuovo ospedale civile apriva i battenti. Venne a costare 2 milioni e mezzo circa. Nel 1944 in seguito ai continui bombardamenti l'ospedale di Brescia dovette sfollare i suoi degenti e l'ospedale di Manerbio accettò un reparto chirurgico. In quei mesi alloggiò fino a 400 letti. Finita la guerra, l'ospedale fu sempre più completato sotto ogni aspetto. Furono rinnovate la sala operatoria e la sala raggi, furono creati il laboratorio di analisi cliniche e quello di terapia fisica. Furono acquistati diversi apparecchi moderni, fra i quali quello di anestesia, ed un banco di sangue per le trasfusioni. La cappella venne aggiunta nel 1954. Dal 1955 l'ospedale diventò un'opera in continua evoluzione. Vennero allungate le braccia del fabbricato e così sorsero diverse stanzette per dozzinanti; venne creato il reparto di pediatria, oculistica e otorinolaringoiatria. Nel 1975 fu costruito, un nuovo e grande fabbricato di ben 6 piani collegato al vecchio edificio. Al piano terra il laboratorio di analisi, il servizio di trasfusione del sangue, il pronto soccorso e le cure fisiche. Al primo piano la divisione di ortopedia e traumatologia, la biblioteca e l'aula magna. Al secondo piano la divisione di chirurgia generale, il gruppo operatorio e il reparto di rianimazione. Il terzo piano venne occupato dalla divisione di ostetricia e ginecologia, le due sale parto e le stanze di travaglio e il nido. Il quarto piano venne riservato per stanzette a pagamento ed il quinto piano alla divisione di otorinolaringoiatria. Il complesso può ospitare più di 400 letti.

Riprendiamo via Dante per imboccare sulla nostra destra il vicino vicolo Castelletto dove possiamo ammirare il cinquecentesco palazzo chiamato "il Castelletto".

Il Castelletto

La Manerbio medioevale non poteva estraniarsi dai piccoli o grandi avvenimenti politico-militari della storia bresciana e della stessa storia generale dell'alta Italia. Ebbe quindi due castelli di difesa; uno piccolo sulla sponda meridionale del Mella, chiamato ancora il "Castelletto", che era probabilmente come un corpo di guardia del ponte e della strada che vi metteva; uno grande di cui ci occuperemo in seguito. L'originario "Castelletto" venne distrutto sulla fine del secolo XV, passò in proprietà alla nob. famiglia Cocciano Di-Rosa, imparentata coi Luzzago, la quale nel sec. XVI vi eresse il palazzotto che ancora si vede e che si chiama popolarmente il "Castelletto" o anche "Peschiera" per una vicina antica peschiera.

Il lato sulla nostra sinistra di via Dante, dal Castelletto in poi è occupato quasi interamente dalla "Marzotto", l'azienda tessile storica di Manerbio e di cui parleremo più avanti durante la visita al villaggio che prende il nome di questa azienda che grande importanza ha avuto per Manerbio e per i manerbiesi. La località situata poco prima di raggiungere il ponte del Mella è denominata "Bellapiana" e figurava già nella tavola del catasto napoleonico di inizio '800. Raggiungiamo quindi il ponte del Mella e con questo la fine di via Dante e della strada che fin dalle origini della città è sempre stata la più importante di Manerbio.

Il Ponte del Mella

E' nota la venerazione religiosa dei Romani per i ponti, presso i quali essi stabilivano santuari devoti quasi ad invocare una protezione divina sui viandanti e sui veicoli, onde ebbero nomi di "pontefici" gli stessi sacerdoti. Presso i ponti sul Mella e sull'Oglio, che tagliavano la strada da Brescia a Cremona, dovevano quindi essere state edificate da molto tempo due sacre edicole, intorno alle quali si costituì poi e si sviluppò gradatamente il "vicus" o paese, piccolo raggruppamento di abitazioni e centro di una circoscrizione territoriale che si chiamava "pagus", sul Mella il "vicus Minervae".

Provenendo da Brescia sulla statale 45 bis, subito dopo il ponte del Mella imbocchiamo, sulla destra via Verdi, il cui lato sinistro, è occupato interamente dall'azienda tessile "Marzotto". A metà via, sul lato destro, un viale alberato ci porta all'ingresso dello "Stadio Marzotto", fatto costruire negli anni '40 dal conte Gaetano Marzotto a completamento del Villaggio e delle strutture sportive e ricreative che hanno fatto di Manerbio un raro esempio di interrelazione tra ambiente di lavoro e bisogni dei lavoratori stessi. Nei dintorni dello stadio la ferrovia oltrepassa il fiume Mella sul ponte detto "I Tre Ponti" che per i manerbiesi era una località balneare a tutti gli effetti fino agli anni '60. Da allora l'inquinamento del fiume e di conseguenza l'inquinamento delle sue rive hanno trasformato queste località in un pericolo per la salute e pertanto tutti gli accessi al fiume che un tempo d'estate si riempivano di giovani e di famiglie, forse allora più gratificati degli attuali frequentatori di isole tropicali, ora sono luoghi sporchi e desolati. Torniamo in via Verdi che lasciamo subito dopo imboccando, sulla sinistra, piazza Moro; ci fermiamo per visitare il villaggio e le strutture Marzotto.

Villaggio Marzotto

Il villaggio Marzotto, inaugurato nel 1938, ha offerto ai lavoratori dell'azienda ed alle loro famiglie casa e servizi (asilo nido, scuola materna, convitto) oltre ad attrezzature sportive ed a strutture per il tempo libero, realizzando tutto ciò che le strutture pubbliche non avevano mai saputo realizzare per soddisfare i veri bisogni della popolazione. Quale altro paese della nostra pianura negli anni '40 poteva vantare campi da tennis e da bocce, palestra, cinema, dancing e bar (il famoso "Dopolavoro") per il tempo libero ed una una piscina come quella del centro Marzotto?

Da piazza Moro raggiungiamo il "Piazzuolo" e, prendendo a destra, percorriamo via San Rocco che si presenta con una bella prospettiva con lo sfondo della chiesa dedicata al santo.

Chiesa di San Rocco

San Rocco nacque a Montpellier, in Francia, nel 1295. Venduti tutti i suoi beni per aiutare i poveri venne in pellegrinaggio a Roma. Proprio in quel periodo la peste desolava l'Italia e il santo si offrì per curare gli ammalati. A Piacenza fu colpito anche lui dal contagio, con piaga e dolore alla coscia sinistra: si ritirò in un bosco presso una capanna dove ogni giorno un cane fedelmente gli portava un pane. Guarito dalla malattia fece ritorno in Francia. Morì, acclamato santo, nel 1327 La devozione per questo santo si propagò ovunque: a Manerbio si sviluppò sul principio del 1500, dopo un periodo di guerre e pestilenze, determinato dall'invasione francese di Carlo VIII e di Luigi XII. Nel 1513 per voto del Comune gli venne edificata una chiesa, come ricorda un antico mattone ivi rinvenuto nel 1904 e sul quale era incisa la data "1513, die 6 martii", probabile data di posa della prima pietra. La chiesa votiva, a spese del Comune e della popolazione, venne eretta in capite Manerbii, al co de tera, sulla strada per Offlaga e Cignano, perchè in quella località probabilmente vi era il Lazzaretto e poco distante il cimitero degli appestati. La chiesa antica era vasta. Se ne possono vedere ancora le proporzioni guardando il campanile. Quando la visitò S.Carlo nel 1580 era grande e bella e vi si diceva la Messa festiva a spese del Comune e, non avendo dotazione, viveva di elemosine. Venne distrutta da un violento incendio, che risparmiò solo il campanile. L'attuale chiesa, molto ridotta nelle dimensioni, venne fabbricata nel 1825 per interessamento del Comune. Ha un solo altare con una pala del Cossali in una bella cornice barocca del primo seicento.

Il 16 agosto vi si celebra ancora la festa e la contrada, detta appunto di S.Rocco, si illumina di palloncini, echeggia di musica e si riempie di devoti che visitano la piccola chiesa votiva.

La chiesa di San Rocco, posta alla fine della via, divide in due vie la strada: a sinistra diventa via Stazione e percorrendola possiamo raggiungere la stazione ferroviaria, a destra diventa via Martiri della Libertà e percorrendola possiamo raggiungere il Cimitero.

La Stazione Ferroviaria

La costruzione della ferrovia Brescia - Cremona - Pavia venne concessa il 2 agosto 1862 alla Bastogi che si impegnò a realizzarla nell'agosto 1863, ma che dilazionata per il ritiro della Bastogi, venne iniziata invece nel 1864, con ponti sul Mella a Manerbio e sull'Oglio a Pontevico, e con stazioni di S.Zeno-Folzano, Bagnolo, Manerbio, Verolanuova, Robecco-Pontevico, Olmeneta. La ferrovia fu inaugurata il 15 dicembre 1866 e per Manerbio la presenza di una via di trasporto così importante, col trascorrere degli anni fu senz’altro uno dei motivi del suo sviluppo. Il 15 dicembre 1966 iniziarono le celebrazioni del primo centenario della ferrovia Brescia Cremona con una conferenza tenuta dal direttore didattico presso il salone delle ACLI. Questi si fece carico, insieme ad un gruppo promotore, di attuare l’idea del Dott. Giampaolo Antonioli, presidente dell’Associazione Combattenti e Reduci e indimenticato direttore del Lanificio di Manerbio prima della venuta di Marzotto, di festeggiare tale avvenimento e proprio nel nostro centro, con manifestazioni degne dell’importanza che la strada ferrata rappresentò per la città e per commemorare i caduti che sulla ferrovia vi furono nei vari anni di guerra. Fu istituito un comitato d’onore presieduto dall’allora ministro dei trasporti poi divenuto Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro al quale aderirono anche i Prefetti e i Sindaci delle due città capolinea. La manifestazione vera e propria ebbe luogo il 29 gennaio 1967. Nell’atrio della stazione vi è una lapide che ricorda l’avvenimento e il Geometra Mario Tambalotti diede il suo contributo artistico disegnando una cartolina celebrativa.

Il Cimitero

Nei primi secoli dopo Cristo la massima parte dei cimiteri cristiani erano nei sotterranei: ad Catacumbas. Ed anche quando i cristiani poterono mettere le loro tombe all'aperto, preferirono i sotterranei dei monasteri, delle chiese, delle cattedrali. Questo durò per molti secoli, fino a che una legge civile di Napoleone Bonaparte emanata prima in Francia (1804) e poi in Italia (1806) impose che la sepoltura avvenisse in luoghi appositi fuori dai paesi. Nacquero così in ogni città e paese i camposanti. A Manerbio i morti fino al 1817 venivano sepolti nel vecchio cimitero che era situato sul fianco settentrionale della chiesa, fra la casa della curazia di S.Vincenzo e la strada provinciale. Per fare questo cimitero era stata comperata dell'area da privati ed occupata anche una parte dell'area comunale del terraglio del castello che era stato distrutto. Dal registro dei morti risulta che il primo sepolto di questo sagrato è stato il bambino Angelo Locatelli. In esso si seppellivano i poveri e i bambini poichè molte famiglie benestanti avevano le loro tombe familiari nelle varie chiese e nei rispettivi sagrati. Nel 1817 anche Manerbio dovette obbedire alla legge di Napoleone e costruì il suo nuovo camposanto nel fondo delle Saide, nel beneficio curaziale di S.Caterina. La prima salma posta fu quella di una certa Giulia Facchinetti di anni 45, traslata il 21 aprile 1817. Il cimitero costruito dapprima con la massima semplicità, con l'andar del tempo venne man mano ingrandito ed abbellito.

Ritorniamo sul "Piazzuolo" e ci dirigiamo verso via XX Settembre. All'imbocco della via ci fermiamo per ammirare la bella prospettiva che ci offre la via fiancheggiata dai tipici edifici e con lo sfondo della Parrocchiale.

Circa a metà via, sulla nostra destra, imbocchiamo via IV Novembre che ci porta nella grande piazza Cesare Battisti dove sorge palazzo Luzzago, ora palazzo municipale, che è l'edificio architettonicamente più rilevante di Manerbio.

Palazzo Luzzago

Palazzo Luzzago, poi dei marchesi Di-Bagno di Mantova ed infine acquistato dal Comune e adibito a Municipio. E' questo un complesso che potrebbe essere senz'altro paragonato agli esempi maggiori di ville nella provincia di Brescia, specialmente per la sua completezza. I Luzzago all'inizio del XVI° secolo riedificarono o costruirono ex novo una casa, certamente finita nell'anno 1518 da quanto risulta dalle note della famiglia, probabilmente situata nella stessa area del palazzo attuale che si presente ora come costruito tra la fine del Cinquecento e i primi decenni del Seicento, ad eccezione dell'ala dei rustici, che hanno una fronte tardo settecentesca. Esso mostra tuttavia di non essere stato costruito in un solo tempo: infatti presenta la singolare particolarità di avere tre ingressi distinti, corrispondenti a tre corpi di fabbrica, che si rivelano estranei l'uno all'altro solo verso l'interno e nella distribuzione spaziale dei singoli ambienti, mentre nella facciata verso il piazzale non si avvertono assolutamente cesure per la continuità del cornicione a mensole e della serie delle aperture dei piani superiori a quello d'ingresso. La parte più interessante della villa è quella costituita dal corpo di fabbrica principale e dall'ala di rustici che qui, a differenza della maggior parte degli esempi minori, sono architettonicamente definiti, con una certa analogia con le barchesse venete. La parte prospicente la piazza - che costituiva un intorno più appropriato della vitta prima di essere asfaltata - prima dei rustici, si apre verso il giardino in un porticato continuo a cornici arcuati con pilastri di notevoli dimensioni. Tale portico si conclude nello scalone, diaframmato da una specie di serliana. Le pareti e la volta della scala (probabilmente rinnovata nell'Ottocento) sono completamente affrescate forse dallo Scalvini. La galleria, i saloni e tutte le altre sale, escluse due semplicemente arricchite da mensoloni in legni simili a quelli del sottogronda esterno, sono affrescati o in modo analogo alla volta della scala, con quadrature e soggetti vari, o con semplici riquadri di paesaggi immaginari: cosa che accade del resto in molte ville, anche del territorio bergamasco, che testimoniano l'affermarsi di un gusto contemplativo della natura, affrancato da ogni preoccupazione realistica.

Piazza Cesare Battisti merita la nostra visita per poterla apprezzare in tutte le prospettive; ora questa piazza è ridotta a parcheggio d'auto ma a ben altra dovrebbe essere la sua destinazione essendo l'unica grande piazza della città chiusa sui quatto lati e pertanto la più indicata per diventare vero centro culturale e relazionale della città. Ritorniamo in via XX Settembre e ci addentriamo nei caratteristici vicoli sulla sinistra della via che ci portano ad una chiesetta ora sconsacrata detta "del Gesù". La chiesa dedicata al nome di Gesù doveva già esistere quando il grande castello di Manerbio innalzava al cielo le sue torri.

Il Castello

Il grande castello di difesa sorto a Manerbio nel medioevo comprendeva la pieve, la canonica, il cimitero e poche case di signori, ed è l'attuale centro della città. Questo castello aveva mura, terragli e fosse, ancora in parte visibili nelle depressioni di terreno, due porte con ponti levatoi e torri di vedetta e di difesa, oltre le torri delle case private signorili, che costituivano di questo castello la forza e la bellezza. La porta orientale si apriva di fronte alla strada della Breda, presso l'attuale campanile e l'antica torre che la difendeva sorgesse dove poi fu eretto nel 1603 l'attuale campanile. La porta occidentale si apriva invece a metà via XX settembre, presso il palazzo Volpi, dove sono ancora visibili gli avanzi dell'antica fossa. Il castello era circondato da una strada esterna di circonvallazione, che ancora resta, ed aveva anche una strada di circonvallazione interna, che in parte resta ed in parte è scomparsa. La vicinanza della sede comunale alla chiesa della pieve, generale a tutte le città e a tutte le borgate sede di comune, ricorda le antichissime relazione, i rapporti di unità direttiva fra la religione e la vita sociale, fra le autorità religiose e politiche del pago e della pieve; il settimanale "conventus ante ecclesiam" durato dai remotissimi tempi pre-romani fino al secolo XVI, poichè molte volte, ancora nel cinquecento, le assemblee della Vicinia comunale si tenevano pubblicamente sul sagrato della parrocchia, prima o dopo le funzioni religiose, e quando il tempo minacciava o era cattivo per neve, pioggia, bufere di vento o di tempesta, l'assemblea si teneva nella stessa chiesa, ed era sempre presieduta o almeno presenziata dall'arciprete e dal clero. Quando sia stato eretto e fortificato il castello di Manerbio è impossibile saperlo; dobbiamo certamente rimontare al secolo X, almeno, quando sotto l'incubo della invasione degli Ungheresi furono riattati e fortificati nuovamente antichi castelli, che erano stati in parte abbandonati. Il culto di S.Giorgio nella pieve di Manerbio e quello di S.Martino, ambedue protettori militari, è un indice sicuro dell'antichità anche del castello, poichè questo richiedeva un presidio di soldati a piedi e a cavallo, scelti ordinariamente nella popolazione locale con volontaria dedizione al servizio militare. Non è improbabile che anche ai tempi romani qui sorgesse una specie di castello murato e fortificato a difesa della strada e del vicino transito del fiume; ma non possiamo averne sicura certezza. Non sappiamo nemmeno quali famiglie principali vi dominassero, perchè leggende torbide di compiacente facilità cortigiana hanno intralciato di sterpi e di zizzania il campo delle severe e oggettive indagini storiche su quel periodo di storia manerbiese. Anche se non ci è possibile stabilire con certezza le vicende storiche che videro protagonista il castello di Manerbio possiamo senz'altro ritenere che avrà subito le alterne vicende di guerra e di pace, di ansie e di tranquillità come tutti i castelli e le rocche di qualche importanza strategica. Guerre, devastazioni, saccheggi, incendi e distruzioni ce ne furono sempre, anche nei secoli XI, XII e XIII, ma Mons. Guerrini non se la sente di credere ciecamente alle narrazioni di storici pur di rilievo che si appoggiano a cronache scritte secoli dopo ed inquinate dalle adulazioni dei potenti del momento; riportiamo comunque alcune note la cui veridicità non è completamente appurata. Lo storico Biemmi fa risalire l'anno di costruzione del castello al 1091 e, nello stesso anno sarebbe avvenuto il primo e storico assedio dato dall'esercito di Enrico IV, che lo avrebbe smantellato e quasi distrutto. Nel 1268 il monaco guerriero Taione Boccaccio, che preferì la corazza e la lancia al saio benedettino e al breviario, è una figura quasi leggendaria legata al castello di Manerbio. Il Boccaccio, richiuso nel castello con un gruppo di fuoriusciti ghibellini, venne assediato dall'esercito guelfo della città di Brescia e, dopo una forte resistenza, scese a patti e concluse la pace, ritornando al suo chiostro di Leno per meditare sulla vanità delle fortune umane. Pochi anni dopo, nel 1271, i ghibellini fuggiaschi ma non domi si asseragliavano nel castello, dove si raccoglievano forse i dispersi dei paesi vicini a tentare inutilmente una disperata difesa; il castello fu assediato 40 giorni, ma l'eroismo dei difensori non valse a salvarlo dall'estrema rovina, poichè il legato di re Carlo d'Angiò, capo e condottiero del partito guelfo in Italia, mandati al confino i catturati diede ordine di spianarlo. Venne più tardi ricostruito e nuovamente fortificato, perchè le lotte dei Guelfi e Ghibellini continuavano, anzi si ampliavano nei conflitti delle Signorie. I Visconti di Milano e gli Scaligeri di Verona si contesero il territorio bresciano, dove le divisioni di parte continuarono e dilagarono in frequenti combattimenti aspri e sanguinosi. In questa nostra semplice visita non possiamo approfondire e ricostruire tutte queste vicende, che hanno devastato anche il territorio manerbiese, depauperandolo, che hanno seminato miseria e morte in mezzo alla popolazione decimata, e hanno fermato con un colpo mortale il promettente sviluppo agricolo che, in quei secoli, avrebbe dato pane meno scarso e meno duro alla laboriosa gente.