Max Gazzè - Ognuno fa quello che gli pare?  (Virgin)

di Giacomo Giulianelli - da "Jam"  novembre 2001
 
Una sfera scura in campo bianco (la copertina) e un titolo programmatico quanto ambiguo, a rappresentare una specie di ritrovata libertà. È il solito Gazzè, non ci sono dubbi, quello serioso e delirante di Quel che fa paura, quello lucido e poetico de L'amore pensato, quello divertente e sghembo de Il timido ubriaco. Eppure questo suo quarto album è diverso: decisamente vario negli arrangiamenti, complice un linguaggio più sperimentale che mai. Una lingua evocativa, dal sapore antico, ma surreale, piena di metafore e frasi spezzate, frutto del solito lavoro di squadra con il fratello Francesco (il suo apporto, stavolta, più consistente di prima).

Circa due anni di lavoro, dove il filo conduttore sembra essere appunto la diversità, il contrasto di suoni e di idee spesso interno a ogni singola canzone: un continuo fluire di suggestioni, paure e tensioni, schizzi d'assurdo e stralci di una quotidianità mai banale; narrazioni insolite e bisticci di parole in forma di pensierini, frasi di denuncia e delirante sarcasmo. Nel complesso un album molto personale, a tratti surreale, musicalmente meno chitarroso, meno rock degli altri tre. Forse più audace, certo meno uniforme e maturo del suo predecessore.

"Ognuno fa quello che gli pare?" è il primo verso della traccia 1, Non era previsto, che è pure il singolo apripista dell'album. Un brano tranquillo, che sembra fungere da spartiacque tra il disco precedente, quello 'del cammello', e le dieci nuove canzoni. Poi Questo forte silenzio, in cui la melodia lascia spazio all'andatura saltellante del ritornello; Il motore degli eventi, in duetto con Carmen Consoli, brano ruvido e insieme melodico, dal sapore grunge; Il debole fra i due, stavolta con Paola Turci, un ballo country con mandolino e fisarmonica, in stile vagamente western. E ancora la malinconica dolcezza di Non è più come prima, il minimalismo di Il dolce della vita (realizzata a Parigi con Stephan Eicher) e l'elettronica jungle di Megabytes (degna erede di Elemosina); in chiusura il suono avvolgente di un piano classico, la splendida In questo anno di non amore.

Voto: 7,5

Perché: ha prodotto un buon disco, coraggioso, di quelli che vengono fuori sulla distanza; eppure ci aspettavamo qualcosa di più da papà Max, bassista creativo e artista tout court.