Max Gazzè: magicamente...
pop
Però in ambito pop sembri trovarti perfettamente a tuo agio, con questi tuoi brani così aggraziati e surreali... Una cosa non esclude automaticamente l'altra, e credo che i miei pezzi riflettano la mia inclinazione alla ricerca. In questo momento, per mia scelta e non perché costretto da qualcuno o qualcosa, mi interessa suonare musica articolata ma di impatto relativamente immediato. L'approccio è lo stesso anche nel campo delle liriche? I testi li scrivo assieme a mio fratello Francesco, che ha già pubblicato cinque libri di poesie ed è sicuramente più esperto e dotato di me nell'uso della lingua italiana: sono testi stesi di getto e poi elaborati legando assieme concetti e frasi nati anche in tempi diversi. Parecchie armonie sono bizzarre perché sono state adattate alle parole e non viceversa: amo le melodie che non si appoggiano Sull'accordo, le note sospese che non si concludono. Nella costruzione delle trame musicali c'é la stessa spontaneità? Diciamo che l'esperienza ha reso il processo abbastanza istintivo, ma non bisogna dimenticare che alla base ci sono le conoscenze teoriche e tecniche accumulate in anni di pratica e di studio. E' vero che per il grande pubblico sono una voce nuova, ma la mia carriera di musicista é iniziata diciotto anni fa e quella di autore da almeno una dozzina. Adesso ti senti arrivato? Credo di essere a metà del percorso e penso anche di meritarmi quanto di buono mi sta accadendo in questo periodo, specie considerando le tante situazioni davvero difficili che ho dovuto affrontare in tutti questi anni. Un proverbio giapponese recita " più buia è la notte, più l'alba è vicina" ed io posso dire che sto iniziando a vedere la luce del giorno. E se, invece, dovesse ritornare l'oscurità? Sono preparato anche a questa evenienza. Non mi cullo su nessun tipo di alloro, e pur dovendo ammettere di sentirmi a volte un po' euforico so benissimo che il momento magico potrebbe essere transitorio. Vento d'estate é stata scritta sei anni fa, non é stata pensata per divenire un successo, e questo pur essendo per molti versi incoraggiante non può non far riflettere sulla casualità e sulla provvisorietà di certi eventi. A causa dell'inatteso boom sei stato "costretto" a promuovere la canzone anche in modi non molto congeniali alla tua mentalità: ad esempio, partecipando a tante assurde trasmissioni tv. La televisione é spesso raccapricciante, ma trovandomi dall'altra parte dello schermo cerco di vedere il lato divertente delle situazioni, ammesso che esista. Sono sempre stato una persona pronta alla battuta e allo scherzo, e non posso fare a meno di cogliere l'aspetto ironico della mia presenza in certi contesti. Alla luce della tua forte personalità e dei tuoi singolari metodi di lavoro, sono curioso di sapere qualcosa sul rapporto con i musicisti che hanno collaborato con te a La favola di Adamo ed Eva. I brani erano già definiti nel dettaglio, ma al momento di entrare in studio ho preferito azzerarli in termini di arrangiamento e magari anche di strutture. Le musiche, insomma, sono state riadattate, proprio per stimolare una collaborazione attiva con i ragazzi con cui suono dal vivo già da anni: ci tenevo a renderli veramente partecipi, ed essendoci riuscito ho voluto anche accreditarli come co-autori delle composizioni. Mi andava di creare uno spirito di gruppo anche al prezzo della rinuncia a qualche fetta di gloria, e per quanto mi riguarda sono soddisfattissimo dei risultati. Dal punto di vista strumentale l'album é molto ricco senza mai sconfinare nel ridondante. Mi capita di assecondare l'istinto che mi spinge a sovraffollare le piste di incisione, ben sapendo che in seguito sarà effettuata una selezione. Però mi piacciono i contrasti contrappuntistici, gli incastri di melodie... E poi i pezzi, pur essendo molto complessi, riescono a dare l'impressione della semplicitá e dell'immediatezza. Cara Valentina è probabilmente l'esempio più evidente: non ci sono accordi uguali e sequenze che si ripetono, non c'è ritornello... di recente sono stato ospite della Bandabardò per alcuni concerti, e impararne a memoria le parti ha messo a dura prova la loro pazienza. Al di là dell'aura di misticismo che li avvolge, i tuoi brani affrontano spesso argomenti molto concreti: la title-track, ad esempio, è decisamente polemica nei confronti di alcuni aspetti della società moderna. Una delle sue ispirazioni, almeno concettualmente, è L'avvelenata di Guccini, un mio vecchio idolo: è la mia reazione naturale al traffico, alla massificazione del doversi divertire a tutti i costi, ai week-end dai quali si ritorna più stanchi e stressati di quando si è partiti. Alla versione da inserire nell'album ho voluto apportare alcune "censure": l'originale era più cattivo, c'erano frasi del tipo "comprare cravatte per sembrare più stronzi o telefonini da infilarsi nel culo e sembrare felici". Dovendo semplificare il concetto in tre strofe ad emergere sono solo alcuni risvolti della questione, che comunque rimangono sintomatici di un malessere globale. Tra i tuoi amori giovanili c'era anche Battiato? La sua influenza, almeno a mio parere, si avverte in più di una occasione. Ho cominciato ad approfondire la mia conoscenza di Battiato solo nel
1996, subito dopo l'uscita del mio primo album Contro un onda del mare,
fino ad allora il mio quadro era molto superficiale, ma ascoltando casualmente
Atlantide
(da Caffè de la Paix del 1993, N.d.I.) sono rimasto
letteralmente stupefatto da come fossi in sintonia con lui, sia nell'attitudine
melodica che del linguaggio dei testi. Mi rendo conto che qualcuno potrebbe
considerarmi una specie di suo clone, ma naturalmente io non cerco l'imitazione
del suo pur straordinario modello.
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