CAPITOLO 1
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Non
era quello che si aspettava di trovare. In realtà non ricordava
quale sarebbe stato il paesaggio giusto da vedere, eppure, dentro di
sé, una voce continuava a dirgli che c'era qualcosa di
sbagliato; che se fosse tornato indietro nel tempo, sarebbe stato
circondato da una città fiorente, ricca e maestosa.
Quei tempi,
evidentemente, erano passati da un pezzo. I segni di una guerra erano
scolpiti in ogni crepa e in ogni feritoia dei palazzi che lo
circondavano. Fontane da cui un tempo l'acqua zampillava allegra e
limpida erano ridotte a poco più di trincee; dalle vetrate dei
negozi, un tempo colorate e luminose, stalattiti di vetro erano denti
pronti ad inghiottire i malcapitati che fossero passati lì
vicino; i veicoli erano lapidi che portavano dentro di loro i corpi che
li guidavano. Lungo le strade, cadaveri deformi delimitavano, come
pietre miliari, le carreggiate, e un puzzo di morte e malattia
permeava l'aria. Percorse alcuni metri verso la casa che sembrava,
almeno all'apparenza, più stabile tra tutte quelle che poteva
vedere. Si volse a guardare l'ospedale in cui si era risvegliato e si
rese conto che in realtà era una costruzione molto più
piccola di quanto avesse pensato: probabilmente, il suo uso originale
era residenziale e solo dopo si era reso necessario convertirlo a
pronto soccorso da prima linea. La guerra era passata di lì ed
era già lontana. Quale poteva essere il suo futuro, ora? Senza
un'identità, senza conoscere nessuno, in una città
fantasma, anche solo procurarsi del cibo sembrava essere una
difficoltà insormontabile. E poi si sentiva stanco, come se
fosse di ritorno da una marcia durata ore...Qualsiasi cosa avessero
fatto alla sua mente aveva avuto ripercussioni anche sul corpo.
Entrò nell'edificio passando sotto un architrave che sembrava
potesse resistere ancora per poco al peso che la sovrastava. Si
ritrovò in un atrio di una casa che un tempo si sarebbe potuta
dire elegante. I resti della mobilia erano memorie interrotte del buon
gusto del padrone di casa (o della padrona, più probabilmente).
Sulla parete di fronte all'entrata era poggiata una libreria i cui
pochi libri resistiti al turbine della battaglia erano ora a terra.
Sulla destra, un ampia arcata portava in un salottino intimo, con un
camino pieno di cenere, un divanetto di stoffa verde e, sopra ad un
tappeto con fantasie marroni e turchesi, un tavolinetto a vetrina, il
cui vetro era rimasto incredibilmente intatto. Di fronte al salotto, a
sinistra rispetto all'entrata, si accedeva ad uno studio. Di fianco
alla porta, una scalinata portava, probabilmente, alla zona notte.
Pensò che la cucina potesse trovarsi oltre il salottino;
mangiare e riposarsi erano ora le sue priorità. Ma quando si
mosse, un boato esplose dietro di lui. Pensando ad una bomba si
gettò subito a terra, ma quando si volse restò del tutto
stupefatto. A mezz'aria era comparso un ovale nero, come uno specchio
oscuro, i cui bordi rilucevano di una luce dorata. Dentro di esso, il
nero era assoluto, ma a poco a poco cominciò a punteggiarsi di
macchioline uniformi, bianche, splendenti. Guardare al suo interno era
ipnotico. Una voce risuonò dalle profondità del varco;
era un suono che non poteva essere percepito dalle orecchie, ma
penetrava direttamente all'interno della mente. Poi, come era apparso,
il varco svanì. Tentò di rialzarsi, ma le gambe gli
cedettero e dovette accasciarsi di nuovo. Si sedette con la schiena
poggiata alla libreria, un po' di polvere gli cadde sul volto. Era
ancora savio o stava del tutto impazzendo? Cosa significava tutto
questo? Dove si trovava? L'angoscia lo invase. Perchè la voce
nella sua mente, la voce senza suono, gli aveva detto:
«Sei l'ago della bilancia di questa guerra. La nostra
sopravvivenza dipende da te. Completa la tua missione e l'universo
sarà nostro!»
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