Analisi e Critica
ANALISI
A questo punto inseriamo dei lavori d'analisi testuale che non vantano i nomi importanti dei critici famosi ma seppur anonimi sono il frutto della nostra "meditazione" durante i compiti in classe d'Italiano. E chissà che fra di noi non ci sia un filologo in erba! Guido Cavalcanti Componimento
che tratta della particolare angoscia che prende il poeta di fronte
a una donna "gentile". Deh,
spiriti miei, quando mi vedete Deh,
voi vedete che 'l core ha ferite I'
veggo a lüi spirito apparire Deh,
i' vi priego che deggiate dire
1)
Guido Cavalcanti è un poeta fiorentino che compone le sue
poesie intorno alla fine del '200. Cavalcanti prende parte del nuovo
stile poetico che si diffonde a Firenze grazie a poeti come Guinizzelli
e che prende il nome di "dolce stil novo", stile innovativo
che, al contrario dello stile astruso di Guittone D'Arezzo (poeta
di transizione), è uno stile "dolce e leggiadro"
dove i composti complicati e di difficile comprensione vengono abbandonati. Dante
Alighieri
Di donne io vidi una gentile schiera
De gli occhi suoi gittava una lumera,
A chi era degno donava salute
Credo che de lo ciel fosse soprana, 1.
Seguendo il tuo schema d'analisi, analizza il sonetto riportato. 1)
Dante Alighieri, "Di donne io vidi una gentile schiera";
sonetto. 2)
Questo componimento, come considerato già in analisi,
rispecchia il modello caratteristico del "dolce stile".
Il periodare è semplice, non ci sono parole astruse o difficili
artifici retorici: solo semplici paragoni e il lessico semplice
e comune, a differenza un poco dallo stile dell'iniziatore Guido
Guinizzelli, come è facile capire dal componimento "Al
cor gentil rempaira sempre amore", il manifesto di stilnovismo. 1)
Il sonetto riportato e una delle numerose composizioni poetiche
di Dante Alighieri ha composto come esponente dello stilnovismo. |
La
Commedia ebbe immediatamente una straordinaria diffusione, come
comprova il numero altissimo di manoscritti attraverso cui il testo ci
è stato conservato. Oltre che tra i letterati e i dotti, penetrò
anche in ambienti di lettori non specialisti. Questo pubblico poteva essere
composto di nobili colti, ma anche di borghesi (mercanti, artigiani):
ce lo testimoniano le caratteristiche stesse delle copie (materiali, grafia),
ma, indirettamente, anche i moltissimi aneddoti sull'autore che sono stati
tramandati da commentatori, biografi, novellieri. Questa "popolarità"
della Commedia si può spiegare col fatto che il pubblico
borghese e popolare poteva trovare nell'opera la rappresentazione di tutto
ciò che costituiva la base della sua cultura, pene e premi dell'aldilà,
princìpi religiosi e morali, leggende, ma anche no tizie di fatti
e personaggi che avevano occupato la cronaca del recente passato. La Commedia fu assunta come deposito di saggezza, utilizzata come repertorio di massime e citazioni (un uso che si è protratto sino ai nostri giorni). Larghi tratti erano imparati a memoria. Parallelamente alla trasmissione scritta, vi fu dunque una trasmissione orale dell'opera. Libro "popolare", fu però anche ammirato dai dotti. Pur avendo scritto il suo capolavoro in volgare, Dante fu as sunto al livello dei classici, degli auctores per eccellenza, i latini. Già nel corso del Trecento fu fatto oggetto di pubbli che letture (la prima fu affidata a Boccaccio, nell'autunno del 1373); se ne fecero compendi in versi, si moltiplicarono per tutto il secolo i commenti (per noi oggi preziosissimi, perché ci testimoniano come l'opera venisse letta da uomini che partecipavano alla stessa cultura dell'autore); si istituirono addirittura cattedre dantesche nelle università. Tale fortuna non fu però senza contrasti. L'opera dantesca suscitò l'ostilità di avversari politici, andò incontro a divieti e condanne ecclesiastiche (la Monarchia fu bruciata in piazza a Bologna). Suscitò riserve anche presso i dotti: significativamente Petrarca, in una famosa corrispondenza con Boccaccio, limitava la dignità letteraria della Commedia perché era scritta in volgare anziché in latino. Ma il poeta fu difeso appassionatamente da Boccaccio, che ne rivendicava l'altissimo livello culturale, sostenendo che fa ceva risuscitare in volgare la poesia classica. La diffidenza di Petrarca anticipa l'atteggiamento che sarà proprio del successivo classicismo umanisticorina scimentale. Persino gli umanisti fiorentini del Quattrocento, orgogliosi della tradizione culturale della loro città, che ammiravano in Dante la massima gloria di cui essa potesse vantarsi, non potevano esimersi da pregiudizi riguardo la minor dignità del volgare in confronto al latino. Anche quando nel primo Cinquecento vi sarà la piena ripresa della lingua volgare, Dante resterà parzialmente escluso dalla riabilitazione. La sua lingua infatti, in cui si mescolavano e si urtavano i più vari livelli stilistici, ripugnava al gusto classico dominante, ispirato a principi di armonia e di misura, di rigorosa separazione degli stili. Il supremo arbitro del gusto dell'epoca, Pietro Bembo, il codificatore del linguaggio letterario, testimonia un imbarazzato riconoscimento della grandezza di Dante, ma sceglie come modelli della lingua volgare Petrarca e Boccaccio, più "regolari", immuni dalle scandalose mescolanze dantesche di realtà e stili diversi. Un'altra difficoltà per l'apprezzamento di Dante da parte del classicismo rinascimentale fu costituita dall'imporsi della Poetica aristotelica e della rigida regolamentazione dei generi letterari che su di essa si basava. La Commedia era guardata con sospetto perché non poteva rientrare in nessuno dei generi codificati dalla teoria letteraria dominante. Anche il secolo successivo, che pure fu percorso da forti tendenze anticlassicistiche, non riuscì ad apprezzare veramente Dante: proprio per la presenza di impulsi innovatori, che inducevano agli arditi sperimentalismi formali del Barocco, Dante fu visto come esempio di rozzezza arcaica e superata. Il ritorno del classicismo nel Settecento, per contro, non favorì certo l'apprezzamento di Dante. Al classicismo dell'Arcadia si univa poi il razionalismo cartesiano, che imponeva il culto di tutto ciò che era semplice, limpido, geometrico: Dante fu perciò considerato poeta rozzo, stravagante, assurdo, oscuro, "gotico", nell'accezione ne gativa che il termine allora possedeva, poiché si guardava con disprezzo al Medio Evo "barbaro". Il giudizio perdurò anche nella successiva epoca illuministica. Il critico che interpreta più compiutamente l'opinione del tempo è il gesuita Saverio Bettinelli, nelle sue Lettere virgiliane (1757), in cui è contenuta una sistematica stroncatura del poema dantesco, in nome di un gusto classicistico e razionalistico: la Commedia è vista come espressione di un rozzo e barbaro Medio Evo, opera stravagante, priva di forma regolare, scritta in uno stile basso e sconveniente. Però, pur in un clima culturale così estraneo, cominciano ad affiorare i sintomi di una nuova lettura di Dante. Già uno dei massimi teorici dell'Arcadia, Gianvincenzo Gravina, riconosce in Dante una fantasia robusta e sublime, la potenza organizzatrice del genio. Ma è soprattutto Giambattista Vico, filosofo cotrocorrente rispetto al razionalismo del primo Settecento, che dà una nuova impostazione alla lettura di Dante, anticipando le interpretazioni romantiche: per lui Dante è l'Omero del Medio Evo, interprete spontaneo di un' età eroica e primitiva; la sua poesia non consiste nel contenuto di dottrina e teologia, ma nell'intensità dei sentimenti e delle passioni. La svolta del gusto, anticipata da Vico, comincia ad affermarsi a fine Settecento, specie in paesi come Germania e Inghilterra, in cui emergevano con violenza tendenze anticlassicistiche e preromantiche: Dante viene allora apprezzato in nome del gusto del primitivo, del mito del "genio" che crea con assoluta spontaneità al di fuori di ogni regola. Per questo viene privilegiato soprattutto il poeta dell'Inferno, vistò come il cantore di un sublime orrido e terrificante, di un'umanità grottesca e tragica. Si fissa anche un 'immagine mitica della persona dell'autore: il poeta solitario, violentemente passionale, crucciato e sdegnoso, in totale conflitto con i tempi. Con il Romanticismo si ha il rovesciamento radicale del gusto classicistico e la rivalutazione del Medio Evo, il trionfo dell'amore per il primitivo ed il fantastico; ciò comporta inevitabilmente una nuova maniera di intendere Dan te. I romantici tedeschi insistono sulla contrapposizione della civiltà romantica alla civiltà classica, e ritengono che essa abbia il suo fondamento nel mondo cristiano medievale. Di tale mondo la Commedia è vista come l'opera più rappresentativa; per questo dai fratelli Schlegel, i massimi teorici del Romanticismo tedesco, essa viene considerata opera viva, moderna, "romantica". Il più grande filosofo dell'idealismo tedesco, Friedrich Hegel, coglie un aspetto della Commedia che risulterà poi prezioso per la critica successiva: nell' oltretomba dantesco si proietta il mondo terreno; nell'eternità immutabile del giudizio divino il carattere individuale e concreto del mondo umano non è soppresso o indebolito, anzi, viene potenziato all'estremo (lo spunto sarà poi ripreso da Auerbach). In Inghilterra invece viene elaborata la visione di un Dante titanico e eroico, ribelle, eretico, riformatore religioso e profeta. In Italia, durante il Risorgimento, Dante fu oggetto di un vero e proprio culto e fu visto come incarnazione dello spirito e del genio nazionale. Ciò è evidente soprattutto nel giudizio di un protagonista come Mazzini, che lo considera come il santo di una religione laicoumanitaria e patriotticonazionale. L'età successiva all'unità, caratterizzata dal trionfo del positivismo, dal culto della scienza e da tendenze culturali antiromantiche, è soprattutto un periodo di rigorosi studi filologici, intesi a gettar luce, con metodo scientifico e obiettivo, su numerose questioni, dai dati biografici alla tradizione dei testi. Lo studio dell'opera dantesca si frammenta in una miriade di indagini particolari, preziosissime prese in sé, ma che non contribuiscono ad una visione unitaria. Ciò che in parte unifica tutto questo lavoro è uno spirito laico, che, in contrapposizione con l'interpretazione romanti ca, che insisteva sulla fisionomia cristiano-medievale dell'opera dantesca, accentua i caratteri prerinascimentali del poeta, considerandolo come precursore della civiltà moderna. In questa età si colloca però un grande interprete di Dante, Francesco De Sanctis, che, pur essendo sensibile a istanze positivistiche, ha le sue radici culturali ancora nell'età romantica. Il problema centrale di De Sanctis è la pre senza, nella Commedia, di tutto un peso di dottrina teologica, filosofica e allegorica medievale. È questo il "mondo intenzionale" di Dante, la parte artisticamente negativa. Ma Dante, "poeta suo malgrado", cioè malgrado questo peso di dottrina antipoetica, fa egualmente trionfare la forza geniale della sua passionalità e del suo sentimento. L'individuale e il concreto penetrano nel mondo mistico e astratto del Medio Evo, sostanziandolo di sé. La lettura di De Sanctis, come si vede, è essenzialmente realistica e laica, secondo il gusto tipico del tardo Ottocento, ma al tempo stesso insiste romanticamente sulla forza passionale della poesia dantesca, che spezza tutti gli schemi aridi del suo contesto culturale. Per questo, conseguentemente, l'Inferno è privilegiato nel giudizio rispetto alle altre due cantiche. Nel Novecento una svolta determinante fu segnata da Benedetto Croce, che col suo libro La poesia di Dante (1921) condizionò decenni di dibattito critico successivo. In nome della contrapposizione "poesia-non poesia", Croce distingue il "romanzo teologico", cioè il complesso della materia dottrinale, teologica, didascalica, morale, politica, allegorica del poema, dalla vera poesia. I momenti "poetici" sono indipendenti da tutta la struttura dottrinale, non scaturiscono da essa, ma solo da abbandoni puramente lirici alle cose e ai sentimenti. Il "romanzo teologico" è sempli cemente una "struttura" esterna, che regge i momenti veramente poetici, ed ha la funzione "dialettica" di farli brillare per contrasto. La lettura di Croce tende dunque a svalutare come "impoetico" tutto ciò che appartiene alla cultura medievale di Dante e a salvare solo ciò che consuona con la sensibilità moderna del critico. Il risultato è che la potente struttura del poema si riduce ad una serie di frammenti lirici autonomi, isolati fra loro. Questo tipo di lettura, negli anni 1renta, influenzò vari commenti, destinati a larga e duratura fortuna nelle scuole, come quelli di Carlo Grabher e di Attilio Momigliano, caratterizzati da un' estetizzante degustazione del particolare, del tono, della sfumatura, della parola. La critica successiva dovette fare i conti con l'impostazione crociana. Molti critici, di orientamento idealistico, non fecero che riprendere, sviluppare, precisare, correggere marginalmente l'impostazione del caposcuola. Ma tutta una corrente critica, già negli anni Venti-Quaranta, si sforzò di superare quell'impasse, quel vicolo cieco in cui l'interpretazione dantesca era stata posta dall 'impostazione crociana, che comprometteva una comprensione unitaria del poema ed induceva a rigettarne come "non poetica" una gran parte. L'obiettivo che si imponeva quasi di necessità era ricuperare tutto ciò che Croce aveva svalutato, riconoscendo l'intima coesione della poesia dantesca. In questa direzione si mossero già critici crociani, come Luigi Russo (1946-48), che tendeva ad attenuare la rigida contrapposizione di poesia e non poesia sostenendo che la "struttura" si genera dal seno stesso dell' intuizione poetico-fantastica. Altri, come Giovanni Getto (1947), rivendicavano il valore della "poesia dell 'intelligenza", e rivalutavano una cantica colma di dottrina e di teologia come il Paradiso, in quanto pervasa da un "epos della Grazia". Natalino Sapegno (1963) offriva un'interpretazione in cui l'elemento fantastico e quello didattico-morale erano fusi insieme ed inscindibili, e, nel suo fortunatissimo commento (1955), rifiutava ogni lettura frammentaria ed estetizzante, sforzandosi di collegare sempre ogni particolare con tutta la struttura del poema. Altri ancora, di matrice filologica, come Salvatore Battaglia (1967) e Antonino Pagliaro (1967), liberavano l'allegoria e la dottrina dalla condanna crociana, riconoscendo ne l'intima fusione con la visione dantesca. Un contributo essenziale al rinnovamento degli studi danteschi è venuto dalle culture straniere, libere dalla "dit tatura" che Croce aveva esercitato sulla cultura italiana per tanti anni. Erich Auerbach (1929 e 1949) dimostra come le concezioni medievali di Dante non siano affatto estranee alla "poesia", come pretendeva Croce, ma ne siano il presupposto essenziale: proprio la concezione "figurale" (cfr. il profilo di Dante, § 7.5) sostanzia di sé l'intera Commedia, ed è la base del suo realismo rappresentativo: infatti le anime, come si presentano a Dante, sono l' "adempimento" del la "figura" costituita dalla loro esistenza terrena; e l'essere così fissate nell'eternità del giudizio divino non sopprime affatto i loro tratti individuali e concreti, ma li potenzia all'estremo limite, mettendo in luce i loro tratti essenziali. Quella di Auerbach è una lettura che, a differenza di quella crociana, non sovrappone ai testi danteschi metri di lettura modernizzanti, ma, grazie anche a una straordinaria cultura medievalistica, sa calarsi nel mondo di Dante e interpretarlo dall'interno, ricostruendo il senso che la sua opera aveva per gli uomini del suo tempo. Su una linea affine si colloca la lettura di un insigne studioso americano, Charles Singleton (1957 e 1958), che ricostruisce il significato della Vita nuova, dell'allegoria della Commedia e del viaggio a Beatrice con riferimenti puntuali a tutta la cultura teologica medievale, fornendo così chiavi di lettura illuminanti. Su questa strada altri apporti interessanti ha offerto recentemente un allievo di Singleton, John Freccero (1986), che vede al centro della Commedia l'esperienza della "conversione", sulla falsariga delle Confessioni di sant' Agostino. Sempre dalla cultura straniera sono venute preziose in dicazioni per una lettura stilistica della poesia dantesca. A Dante ha dedicato numerosi studi il maestro della critica stilistica, Leo Spitzer, che da minimi particolari dello stile sa risalire alle condizioni di pensiero e sentimento che informano la poesia (1976). Sulla linea dell 'indagine stilistica si muovono gli italiani Mario Fubini, Gianfranco Contini e Emilio Bigi. Alla comprensione del mondo dantesco hanno dato un contributo essenziale gli studi di storia del pensiero filosofico, come quelli di Etienne Gilson e Bruno Nardi (1939 e 1942). Più recentemente Peter Boyde ha studiato la filosofia della natura nell' opera di Dante (1981). Sul pensiero politico hanno dato contributi determinanti Alessandro Passerin d'Entrèves (1955) e Jacques Goudet (1969). In questi ultimi anni, alla poesia dantesca sono stati applicati i metodi più aggiornati della critica. Gli strumenti semiotici hanno dato una prova eccellente, con gli studi di D'Arco Silvio Avalle (1975), che, comparando episodi danteschi come quelli di Francesca ed Ulisse ad altri testi narrativi e poetici del Medio Evo, ha ricostruito il "modello" generale della narrazione, nelle sue interne articolazioni. Esempi di letture della Commedia attente ai rapporti strutturali interni ha offerto Edoardo Sanguineti (1960 e 1961), che per altri versi ha fornito un 'interessante interpretazio ne dell'opera dantesca in chiave sociologica, proponendo, provocatoriamente, di leggere Dante "come se fosse Balzac": anche Dante, come lo scrittore francese, vede il suo tempo col fiero disdegno del reazionario, e proprio questo gli consente di cogliere in profondità e criticamente le grandi trasformazioni dell' epoca, l' emergere della "gente nova" e dei "subiti guadagni". Apporti meno interessanti ha fornito la critica di ispirazione psicanalitica. Si può segnalare l'opera recente di una studiosa francese, Jacqueline Risset (1982), che ha individuato la funzione del sogno nel Purgatorio, utilizzando non solo Freud, ma lo psicanalista francese Jacques Lacan. Tra i contributi più recenti si può segnalare quello di GugIielmo Gorni (1990), che ha indagato la complessa funzione svolta all'interno dell'intera opera dantesca dalle lettere, dai nomi e dai numeri, che nella visione del poeta costituiscono i parametri essenziali dell' ordine delle cose e quindi forniscono le forme primarie del conoscere e del rappresentare (a Gorni si deve anche un'originale lettura del primo canto della Commedia, 1995 e un prezioso commento alla Vita nuova, 1996). Su Dante è tornata (1993) anche l'insigne filologa Maria Corti, che sul poeta aveva già dato fondamentali contributi in passato, e che assume la scrittura dantesca come oggetto di una ricerca che conduce al centro della genesi di ogni opera poetica (da ricordare nel volume soprattutto un'innovatrice lettura dell'episodio di Ulisse, nella cui figura, secondo la studiosa, si proietta al legoricamente quella degli aristotelici radicali del XIII secolo, di cui Dante aveva sentito il fascino ma da cui si era staccato polemicamente). Zygmunt G. BaraIiski (1996) insiste invece sullo sperimentalismo dantesco, che rimescola e ripresenta ciò che già esiste in strutture nuove, che solo sino ad un certo punto ricordano generi già in circolazione. Una viva attenzione a Dante si rileva anche in altre culture, in particolare quella statunitense: ne è prova l'ori ginale studio di William Franke (1996), che legge la Commedia con gli strumenti filosofici della moderna ermeneutica, usando Heidegger e Gadamer per illuminarela poesia dantesca come viaggio interpretativo. |