Quid faciat laetas segetes, quo sidere terram |
Che cosa fecondi le messi, sotto quale stella convenga lavorare la terra, o Mecenate, legare gli olmi alle viti, quale cura dei buoi, come si curi l'allevamento delle pecore, quanta esperienza si debba dedicare alle api frugali, di qui inizierò a cantare. Voi, o splendidi astri, che guidate nel cielo il corso dell'anno; Libero e Cerere nutrice, se per vostro dono la terra trasformò la ghianda caonia nella turgida spiga e scoperto il succo dell'uva vi mescolò le acque dell'Acheloo; e voi, dininità protettrici dei contadini, Fauni, venite qui Fauni e fanciulle Driadi: canto i vostri doni; e tu, o Nettuno, a cui la terra colpita dal grande tridente generò il fremente cavallo; e tu abitatore dei boschi, per cui trecento bianchi giovenchi brucano i fiorenti cespugli di Cea; e tu, o Pan, custode delle pecore, lasciando il bosco patrio e le balze del Liceo, se ti sta a cuore il Menalo, assistimi o benigno di Tegea, e tu Minerva inventrice dell'olivo e tu o fanciullo che ci hai mostrato l'uso dell'adunco aratro, e tu Silvano, che porti un giovane cipresso dalla radice; e voi e dee tutte, a cui è cura di proteggere le campagne, tanto quelli che fate crescere senza alcun seme i prodotti inaspettati, quanto quelli che mandate quanto quelli che mandate giù dal cielo ai seminati abbondante pioggia; e principalmente tu, o Cesare, cui è incerto quali cori degli dei siano per possedere tra breve, se cioè vorrai visitare la città e la cura della terra, e il grandissimo orbe, cingendo la tempia col mirto materno, riceverà te protettore delle messi e reggitore delle meteore, oppure sarai dio dell'immenso mare, e i nocchieri onoreranno la tua sola divinità, l'estrema Tule servirà e te, e Tetide compererà per sè con tutte le onde; |
[...] Pater ipse
colendi |
[...] Lo stesso Padre |