Seneca Lucilio suo salutem.
Facis rem optimam et tibi salutarem si, ut scribis, perseveras ire ad bonam
mentem, quam stultum est optare cum possis a te impetrare. Non sunt ad caelum elevandae manus nec exorandus
aedituus ut nos ad aurem simulacri, quasi magis exaudiri possimus, admittat:
prope est a te deus, tecum est, intus est. Ita dico, Lucili: sacer intra nos
spiritus sedet, malorum bonorumque nostrorum observator et custos; hic prout
a nobis tractatus est, ita nos ipse tractat. Bonus vero vir sine deo nemo
est: an potest aliquis supra fortunam nisi ab illo adiutus exsurgere? Ille
dat consilia magnifica et erecta. In unoquoque virorum bonorum [quis deus
incertum est] habitat deus. Si tibi occurrerit vetustis arboribus et solitam
altitudinem egressis frequens lucus et conspectum caeli ramorum aliorum alios
protegentium summovens, illa proceritas silvae et secretum loci et admiratio
umbrae in aperto tam densae atque continuae fidem tibi numinis faciet. Si
quis specus saxis penitus exesis montem suspenderit, non manu factus, sed
naturalibus causis in tantam laxitatem excavatus, animum tuum quadam
religionis suspicione percutiet. Magnorum fluminum capita veneramur;
subita ex abdito vasti amnis eruptio aras habet; [...] Quis est ergo hic
animus? qui nullo bono nisi suo nitet. Quid enim est stultius quam in homine
aliena laudare? quid eo dementius qui ea miratur quae ad alium transferri
protinus possunt? Non faciunt meliorem equum aurei freni. Aliter leo aurata
iuba mittitur, dum contractatur et ad patientiam recipiendi ornamenti cogitur
fatigatus, aliter incultus, integri spiritus: hic scilicet impetu acer,
qualem illum natura esse voluit, speciosus ex horrido, cuius hic decor est,
non sine timore aspici, praefertur illi languido et bratteato. Nemo gloriari
nisi suo debet. Vitem laudamus si fructu palmites onerat, si ipsa pondere [ad
terram] eorum quae tulit adminicula deducit: num quis huic illam praeferret
vitem cui aureae uvae, aurea folia dependent? Propria virtus est in vite fertilitas; in homine quoque id laudandum est
quod ipsius est. Familiam formonsam habet et domum pulchram, multum serit,
multum fenerat: nihil horum in ipso est sed circa ipsum. Lauda in illo
quod nec eripi potest nec dari, quod proprium hominis est. Quaeris quid sit?
animus et ratio in animo perfecta. Rationale enim animal est homo;
consummatur itaque bonum eius, si id implevit cui nascitur. Quid est autem
quod ab illo ratio haec exigat? rem facillimam, secundum naturam suam vivere.
Sed hanc difficilem facit communis insania: in vitia alter alterum trudimus.
Quomodo autem revocari ad salutem possunt quos nemo retinet, populus
impellit? Vale.
|
Seneca saluta il suo Lucilio.
Tu fai una cosa assai saggia e per te salutare se, come mi scrivi, persisti
nell'indirizzarti verso la saggezza ed è cosa sciocca implorare la saggezza
dal momento che potresti ottenerla da te stesso. Non si devono levare le mani
al cielo né invocare i custodi dei templi per poterci meglio accostare alle
orecchie delle statue, quasi potessimo essere ascoltati meglio: dio è preso
di te, è con te, è dentro di te. È così come ti dico, Lucilio in noi c'è uno
spirito divino che osserva e controlla il male ed il bene delle nostre
azioni; egli ci tratta così come è stato trattato da noi. In verità un uomo
buono non è nessuno senza dio: forse che alcuno potrebbe assurgere al di
sopra della sorte se non fosse aiutato da lui? Quello ci da consigli
splendidi ed eroici. In ciascuno degli uomini buoni abita un dio: chi sia questo
dio è incerto ma c'è. Se si presenterà al tuo sguardo un bosco fitto di
alberi che oltrepassano al solita altezza e che impedisce la vista del cielo,
per l'intrecciarsi dei rami aliorum alios protegentium, l'altezza di
quel bosco, il mistero del luogo, lo stupore per l'ombra così fitta e
continua, pur in un luogo aperto ti daranno la fiducia dell'esistenza di un
nume. Se una grotta, creata non dalla mano dell'uomo, ma scavata in tanta
ampiezza da fenomeni naturali, sostiene su rocce profondamente corrose un
monte, essa colpirà il tuo animo con un sentimento di religioso timore.
Veneriamo le sorgenti dei grandi fiumi; l'improvviso scaturire dal sottosuolo
di un vasto fiume ha propri altari; [...] Chi è dunque quest'anima? È l'anima
che splende di una sola luce, quella del suo bene. Che cosa è infatti più
stolto che lodare in un uomo quello che non gli appartiene? Cosa c'è di più
stolto di colui che ammira cose che possono trasferirsi immediatamente ad
un'altra persona? Morsi d'oro non rendono migliore un cavallo. È diverso il
modo in cui viene spinto nell'arena un leone dalla criniera dorata, mentre
viene ammansito e costretto con la spossatezza a sopportare le bardature,
diverso il modo in cui si slancia in leone selvaggio e di intatto vigore;
questo, violento nella sua furia, come la natura lo ha voluto, bello per la
terribilità del suo aspetto, la cui bellezza è quella di essere guardato non
senza timore, viene preferito a quell'altro imbolsito e ingioiellato. Nessuno
deve gloriarsi se non di ciò che gli appartiene. Noi lodiamo la vite se
appesantisce i tralci con germogli d'uva, se essa a causa del peso dei
grappoli che ha prodotto piega a terra i tralci: forse che qualcuno
preferirebbe a questa vite quella da cui pendono grappoli e fogli d'oro? La
virtù propria della vite è dunque la fertilità; e anche nell'uomo bisogna
lodare ciò che è proprio dell'uomo stesso. Io ti presento l'esempio di un
tale che ha una numerosa famiglia, che abitava in una bella casa, semina
molto, mette a frutto grandi capitali; nessuno di questi beni è in lui, ma
tutto è attorno a lui. Loda in quello ciò che non gli può essere tolto e
dato, ciò che appartiene veramente all persona. Tu mi domando cosa sia? È
l'anima, è la ragione perfetta nell'anima. L'uomo è infatti un animale razionale;
pertanto si realizza il suo bene se ha assolto completamente il compito per
cui è nato. Che cos'è che la ragione esige da lui? Una cosa molto facile,
vivere secondo natura. Eppure la comune folla rende ciò molto difficile: ci
spingiamo l'un l'altro le colpe. Come è possibile riportare alla salvezza
coloro che nessuno trattiene e che la folla spinge? Stammi bene.
|
Commento: Problema stoico sulla presenza degli dei
nel mondo e sul loro intervento. Seneca non parte dal cosmo, parte dall'uomo,
dalla sua interiorità (concetto che sarà ripreso da Sant'Agostino nelle
confessioni: "Noli fores ire, in te ipsum vedi, in interiore homine
habitat veritas"). Seneca non da una risposta precisa su chi è dio,
non lo concepisce, però, come persona, lui non sa quale dio abita in noi, sa
che ne abita uno, e pensa da una divinità che si differenzia dal lògos degli
stoici. Quella di Seneca è una ricerca senza fine.
|