Seneca - Consolatio ad Marciam

XX

O ignaros malorum suorum, quibus non mors ut optimum inuentum naturae laudatur expectaturque, siue felicitatem includit, siue calamitatem repellit, siue satietatem ac lassitudinem senis terminat, siue iuuenile aeuum dum meliora sperantur in flore deducit, siue pueritiam ante duriores gradus reuocat, omnibus finis, multis remedium, quibusdam uotum, de nullis melius merita quam de iis ad quos uenit antequam inuocaretur. Haec seruitutem inuito domino remittit; haec captiuorum catenas leuat; haec e carcere educit quos exire imperium inpotens uetuerat; haec exulibus in patriam semper animum oculosque tendentibus ostendit nihil interesse infra quos quis iaceat; haec, ubi res communes fortuna male diuisit et aequo iure genitos alium alii donauit, exaequat omnia; haec est post quam nihil quisquam alieno fecit arbitrio; haec est in qua nemo humilitatem suam sensit; haec est quae nulli non patuit; haec est, Marcia, quam pater tuus concupit; haec est, inquam, quae efficit ut nasci non sit supplicium, quae efficit ut non concidam aduersus minas casuum, ut seruare animum saluum ac potentem sui possim: habeo quod appellem. Video istic cruces ne unius quidem generis sed aliter ab aliis fabricatas: capite quidam conuersos in terram suspendere, alii per obscena stipitem egerunt, alii brachia patibulo explicuerunt; uideo fidiculas, uideo uerbera, et membris singulis articulis singula docuerunt machinamenta: sed uideo et mortem. Sunt istic hostes cruenti, ciues superbi: sed uideo istic et mortem. Non est molestum seruire ubi, si dominii pertaesum est, licet uno gradu ad libertatem transire. Caram te, uita, beneficio mortis habeo. [...]

O ignari dei propri mali, coloro dai quali la morte non è lodata ed attesa come la più grande invenzione della natura, se racchiude la felicità, se respinge la disgrazia, se pone fine alla noia ed alla stanchezza del vecchio, se conduce l'età giovanile mentre si sperano le cose migliori nel pieno delle forze, se interrompe la fanciullezza prima dei passi più duri, per tutti è la fine, per molti il rimedio, per qualcuno il desiderio, per nessuno è benemerita più che per coloro ai quali viene prima di essere chiamata. Questa annulla la schiavitù anche contro la volontà del padrone; questa scioglie le catene dei prigionieri; questa conduce fuori dalla prigione coloro ai quali il comando prepotente aveva vietato d'uscire; questa mostra agli esuli che tendono sempre gli occhi e l'anima verso la patria che non v'è differenza tra le persone sotto la quale si trovino. Questa quando la sorte ha spartito male le cose comuni e ha consegnato chi ad uno chi ad un altro persone nate con uguali diritti, rende uguale tutti; è questa dopo la quale qualcuno non ha fatto niente per una decisione altrui; è questa, nella quale nessuno percepisce la sua abiezione; è questa che è aperta a tutti; è questa, o Marcia, che tuo padre ha desiderato ardentemente; è questa, affermo, che ha fatto in modo che nascere non sia un supplizio, che ha fatto in modo che io non mi abbattessi contro le minacce del caso, perché io possa conservare l'animo integro e padrone di sé: possiedo ciò che posso chiamare in mio aiuto. Vedo lì vicino delle croci, ma non di un solo tipo, ma costruite da chi in un modo da chi in un altro: alcuni levarono in alto (i condannati) rivolti con la testa verso la terra, altri infilano un palo per il retto, alcuni allungano le braccia sul patibolo; vedo i cavalletti, vedo le percosse e vedo macchine specifiche per ogni membro: ma vedo anche la morte. Vi sono lì vicino nemici sanguinari, cittadini arroganti: ma lì vedo anche la morte. Non è penoso essere schiavi là dove se ti è venuto a noia il padrone, quando ti è lecito con un solo passo, andare verso la condizione libera: o vita ti apprezzo proprio per il beneficio che ci viene dalla morte. [...]

Commento: La consolatio è indirizzata a Marcia, il cui padre Curzio Cordo, fu uno storico delle guerre civili sotto Tiberio, condannato a morte da Seiano. Non è l'unica consolatio che Seneca scrive, ve ne sono altre due, poiché è un genere che rientra nella filosofia morale. Nell'etica stoica bisognava dare dei precetti morali utili per ogni occasione, ecco dunque si è appropriata di questo genere per mandare messaggi filosofici alle persone colpite da sciagure: filosofia alla spicciolata. Questo tipo di insegnamento si rifà al cinismo. Ma non solo, Seneca da un fatto personale, privato e particolare, vuole tratte una regola generale: il dolore va temuto entro certi limiti poiché la vita ed i beni materiali ci sono dati in prestito, e tutto è destinato a passare (transire): viviamo in mezzo alla "rapina rerum omnium". La morte viene così rappresentata come l'elemento più caratteristico della vita umana, quello comune a tutti e che ci eguaglia.