Seneca - De Clementia

I

Scribere de clementia, Nero Caesar, institui, ut quodam modo speculi vice fungerer et te tibi ostenderem perventurum ad voluptatem maximam omnium. Quamvis enim recte factorum verus fructus sit fecisse nec ullum virtutum pretium dignum illis extra ipsas sit, iuvat inspicere et circumire bonam conscientiam, tum immittere oculos in hanc immensam multitudinem discordem, seditiosam, impotentem, in perniciem alienam suamque pariter exsultaturam, si hoc iugum fregerit, et ita loqui secum: "Egone ex omnibus mortalibus placui electusque sum, qui in terris deorum vice fungerer? Ego vitae necisque gentibus arbiter; qualem quisque sortem statumque habeat, in mea manu positum est; quid cuique mortalium Fortuna datum velit, meo ore pronuntiat; ex nostro responso laetitiae causas populi urbesque concipiunt; nulla pars usquam nisi volente propitioque me floret; haec tot milia gladiorum, quae pax mea comprimit, ad nutum meum stringentur; quas nationes funditus excidi, quas transportari, quibus libertatem dari, quibus eripi, quos reges mancipia fieri quorumque capiti regium circumdari decus oporteat, quae ruant urbes, quae oriantur, mea iuris dictio est. [...]

Nerone, ho deciso di scrivere sulla clemenza, affinché in un certo modo potessi svolgere il compito dello specchio e potessi mostrare te a te stesso destinato a raggiungere il piacere più grande di tutti. Benché infatti il vero frutto delle azioni rette sia l'averle fatte, né benché non ci sia alcun premio delle virtù degno all'infuori di esse stesse, è utile scrutare e percorrere intorno alla propria buona coscienza, allora mettere gli occhi in questa immensa folla discorde, ribelle, impotente, nella propria e altrui rovina ugualmente pronta a balzare, se questo giogo abbia spezzato e giova parlare così: "Io dunque fra tutti i mortali sono stato preferito e scelto per fare in terra la funzione degli dei? Io sono arbitro della vita e della morte per le nazioni; è nelle mie mani quale condizione debba avere ciascuno; quello che la fortuna vuole che sia dato a ciascuno dei mortali, lo afferma attraverso la mia bocca. Da una nostra risposta i popoli e le città traggono motivo di gioia; nessuna parte e da nessuna parte fiorisce se non per mia volontà e concessione.; tutte queste migliaia di spade che la mia pace ora fa restare nel fodero ad un mio cenno saranno impugnate; quali popoli siano da distruggere completamente, quali da trasportare altrove, a quali si debba dare la libertà a quali togliere, quali re debbano diventare schiavi e a quali teste si debba dare l'insegna regale, quali città debbano crollare, quali sorgere, tutto questo dipende da me. [...]