Sannazzaro - Versioni varie

Alla fonte di Margellina

Est mihi rivo vitreus perenni
fons, arenosum prope litus; unde
saepe discenens sibi nauta rores
haurit amicos.
Unicus nostris scatet ille ripis,
montis immenso sitiente tractu,
vitifer qua Pausilypus vadosum ex-
currit in aequor.
Hunc ego vitta redimitus alba,
flore et aestivis veneror coronis;
quum timent amnes et hiulca saevum
arva leonem.
Antequam festae redeant Calendae
fortis Augusti superantque Patri
quattuor luces; mihi tempus omni
Dulcius aevo.
Bis mihi sanctum, mihi bis vocandum,
bis celebrandum potiore cultu,
duplici voto, geminaque semper
turis acerra.
namque ab extremo properans Eoo,
hac die primum mihi vagienti
Phoebus illuxit, pariterque dias
hausimus auras.
Hac ad insigni peragenda ritu
sacra solemnes veniunt ad aras
Nazari; unde omnes tituli, meaeque
nomina gentis;
Nazari vastas cohibentis undas
Aequoris, saevosque domantis aestus,
quicquid et vani truculenta iussit
ira Neronis.
O decus caeli, simul et tuorum,
rite quem parva veneramur aede;
cui frequentandas populis futuris
ponimus aras:
si mihi primos generis parentes,
si mihi lucem pariter dedisti,
nunc age; et fontem tibi dedicatum
saepe revise.

Io ho una fonte lucente, che scorre di acqua perenne vicino alla spiaggia sabbiosa, da cui spesso il marinaio, sul punto di allontanarsi, attinge l'acqua preziosa. Quella è l'unica fonte che sgorga dalle nostre rive, in un gran tratto di monte arido, da quella parte, dove Posillipo, ricco di vigneti, sfocia nel mare poco profondo. Io rendo onore a questa fonte, con fiori e corone estive; quando i fiumi e i campi assetati temono il crudele solleone. Quando, prima che si compiano le festive calende del forte agosto, restano solo quattro giorni a suo Padre; quel giorno che è per me più dolce di qualunque altro che. È per me doppiamente santo, doppiamente deve essere onorato e celebrato, con un rito speciale, con doppie preghiere e con un duplice incensiere. E infatti in questo giorno Febo, venendo dall'estremo Oriente, per la prima volta fece vedere la luce a me che vagivo e io per la prima volta respirai l'aria del cielo. In questo giorno cade anche la solennità di San Nazario che dev'essere onorevolmente festeggiato sugli altari; e da lui venne ogni titolo di gloria e il nome della mia famiglia; Nazario, capace di trattenere le vaste onde del mare e le sue violente tempeste, e di resistere a tutto quello che comandava l'ira del truculento Nerone. O gloria del cielo e dei tuoi fedeli, che io venero come si addice in un piccolo tempio; affinché accorrano in massa ad esso le genti future in onore di Nerone: se hai generato i miei antenati, se ugualmente mi hai dato alla luce, vieni, torna a visitare spesso la fonte che ti è consacrata.

Davanti alle rovine di Cuma

Hic, ubi Cumeae surgebant inclyta famae
moenia, Tyrrheni gloria prima maris;
longinquis quo saepe hospes properabat ab oris,
visurus tripodas, Delie magne, tuos;
et vagus antiquos intrabat navita portus
quaerens Daedaliae conscia signa fugae;
(credere quis quondam potuit, dum fata manebant)?
nunc silva agrestes occulit alta feras.
Aque ubi fatidicae latuere arcana Sibyllae,
nunc claudit saturas vespere pastor oves.
Quaeque prius sanctos cogebat curia patres,
serpentum facta est, alituumque domus.
Plenaque tot passim generosis atria ceris,
ipsa sua tandem subruta mole iacent.
Calcanturque olim sacris onerata trophaeis
limina: distractos et tegit herba Deos.
Tot decora, artificumque manus, tot nota sepulchra,
totque pios cineres una ruina premit.
Et iam intra solasque domos, disiectaque passim
culmina setigeros advena figit apros.
Nec tamen hoc Graiis cecinit Deus ipse carinis,
praevia nec lato missa columba mari.
Et querimur, cito si nostrae data tempora vitae
diffugiunt? urbes mors violenta rapit.
Atque utinam mea me fallant oracula vatem,
vanus et a longa posteritate ferar.
Vec tu semper eris, quae septem amplecteris arces,
nec tu, quae mediis aemula surgis aquis.
Et te (quis putet hoc?) altrix mea, durus arator
vertet; et: "Urbs, dicet, haec quoque clara fuit".
Fata trahunt homines; fatis urgentibus, urbes,
et quodcumque vides, auferet ipsa dies.

Qui, dove sorgevano le inclite mura della famosa Cuma, prima gloria del mar Tirreno; dove spesso lo straniero accorreva da spiagge lontane per visitare, o grande Delio, i tuoi tripodi; e l'errabondo navigante entrava negli antichi porti cercando le tracce della fuga di Dedalo (chi poté credere allora, quanto durava la sua fortuna?); ora una fitta foresta nasconde belve selvagge. E dove erano nascosti i segreti della profetica Sibilla, ora il pastore chiude le pecore sazie al tramonto. E quella curia che prima riuniva i venerando senatori, è divenuta dimora di serpenti e di uccelli. E gli atri pieni di tante illustri statue di cera, ora giacciono abbattute dal loro stesso peso. Vengono calpestate soglie un tempo adorne di sacri monumenti e l'erba ricopre le statue divelte degli dei. Tante bellezze, tante opere di artisti, tanti celebri sepolcri, tante venerabili spoglie sono ridotte ad una sola rovina. Ed ormai, tra le case abbandonate e i tetti crollati, un estraneo va a caccia di cinghiali selvatici. E tuttavia il dio non ha predetto questo alle navi greche, né la colomba inviata (che precede nel mare aperto) innanzi nel vasto mare. E ci lamentiamo, se presto fugge il tempo della vita che ci è concesso? Una morte violenta distrugge la città. E volesse il cielo che le mie profezie mi ingannino e che io sia ritenuto un falso veggente dalla generazione futura. Neppure tu che abbracci i sette colli vivrai sempre, né tu, rivale che sorgi in mezzo alle acque. E te (chi potrebbe crederlo?) mia nutrice; ara un rozzo contadino; e dice: "Anche questa città è stata famosa". Il destino trascina gli uomini; sotto l'incalzare del fato, lo scorrere stesso del tempo porterà via le città e tutto quello che vedi.