Livio - Versioni varie

Ab urbe Condita, XVI, 5 - Usi e costumi dei Cartaginesi

Carthaginienses, qui Thyro in Africam migraverant, sacra a patria advecta maxime colebant et pauca alia qua ex Graecis adsumpserant. Iunonis cultus praecipuus et Aesculapii, cui magnificum templum in ipsa arce aedificaverunt. Apollo etiam locuples aedes fuit, laminis aureis tecta, cum praeclaro simulacro, quod, excisa Carthagine, Romani, ex Africa avectum, iuxta Circum Maximum collocaverunt. Ad Herculis fanum, quod Thyri maxima cum veneratione colitur, quotannis magna cura delectam navem cum decimis annuorum proventuum aut partarum bello manubiarum mittevant. A Thyriis, conditoribus suis, alium ritum horrendae religionis hauserant, nam Saturno, quem ipsi Belum vocant, quotannis victimama humanam mactabant: cuius immanitatis reliquiae numquam penitus tolli abolerique potuerunt. Ceteros civitatis mores plerumque commerciorum utilitas moderabatur, quibus illa gens natura et maiorum instituto deditissima erat.

I Cartaginesi, che da Tiro erano migrati in Africa, curavano molto i riti sacri importati dalla patria, e pochi altri che avevano assunto dai Greci. Era importante il culto di Giunone e di Esculapio, a cui avevano edificato un magnifico tempio sulla stessa acropoli. Anche Apollo ebbe un ricco tempio, coperto di lamine d'oro, con una bellissima statua che, alla distruzione di Cartagine, i Romani, portatala via dall'Africa, hanno collocato accanto al Circo Massimo. Presso il tempio di Ercole, che a Tiro è adorato con grandissima venerazione, ogni anno inviavano una nave scelta con grande cura con le decime dei proventi annuali o dei bottini procurati in guerra. Dagli abitanti di Tiro, i loro fondatori, avevano ereditato un altra usanza di un orribile rito; infatti sacrificano ogni anno una vittima umana a Saturno, che essi chiamano Belo: e i residui di questa crudeltà non si poterono mai togliere o abolire del tutto. L'utilità dei commerci, ai quali quel popolo era estremamente dedito per natura e per istituzione degli antenati, moderava per lo più gli altri costumi della città.

Espugnato il campo dei Galli!

Aperte già le porte, prima che i vincitori irrompessero, fu fatta la fuga dei Galli dall'accampamento in ogni parte. Si precipitano cechi per le strade e per luoghi inaccessibili; nessuna roccia scoscesa, nessuna rupe li ostacola: non temono niente tranne il nemico. Dunque i più muoiono caduti a precipizio da grande altezza o indeboliti. Il console, preso l'accampamento, trattiene i soldati dal saccheggio e dalla predazione; ordina di inseguire e di incalzare chiunque e di incutere terrore agli sconfitti. Sopraggiunse anche un altro esercito con Lucio Manlio; ma non permette loro di entrare nell'accampamento. Immediatamente lo manda ad inseguire i nemici; ed egli stesso poco dopo lo segue, dopo aver affidato la costodia dei prigionieri al tribuno dei soldati. Uscito il console, sopraggiunse Caio col terzo esercito, ma non fu capace di trattenere i suoi dal saccheggio degli accampamenti, e fu fatta preda di quelli che non erano stati coinvolti nella battaglia. I cavalieri rimasero lungamente ignari e dalla battaglia e della vittoria; poi anch'essi, in seguiti i Galli sparsi dalla fuuga attorno alle pendici del monte, ne uccisero o ne catturarono moltissimi. Non fu facilmente possibile conoscere il numero degli uccisi, poichè la fuga e la strage fu in una grande estensione tra tutti gli anfratti dei monti e na grande parte di loro cadde da rupi inaccessibili in valli di profonda altezza.