Livio - Ab Urbe Condita
Liber XXII

XLIV - Dannose polemiche fra i consoli

Consules satis exploratis itineribus sequentes Poenum, ut uentum ad Cannas est et in conspectu Poenum habebant, bina castra communiunt, eodem ferme interuallo quo ad Gereonium sicut ante copiis diuisis. Aufidus amnis, utrisque castris adfluens, aditum aquatoribus ex sua cuiusque opportunitate haud sine certamine dabat; ex minoribus tamen castris, quae posita trans Aufidum erant, liberius aquabantur Romani, quia ripa ulterior nullum habebat hostium praesidium. Hannibal spem nanctus locis natis ad equestrem pugnam, qua parte uirium inuictus erat, facturos copiam pugnandi consules, dirigit aciem lacessitque Numidarum procursatione hostes. Inde rursus sollicitari seditione militari ac discordia consulum Romana castra, cum Paulus Sempronique et Flamini temeritatem Varroni Varro speciosum timidis ac segnibus ducibus exemplum Fabium obiceret testareturque deos hominesque hic nullam penes se culpam esse, quod Hannibal iam uel[ut] usu cepisset Italiam; se constrictum a collega teneri; ferrum atque arma iratis et pugnare cupientibus adimi militibus; ille, si quid proiectis ac proditis ad inconsultam atque improuidam pugnam legionibus accideret, se omnis culpae exsortem, omnis euentus participem fore diceret; uideret ut quibus lingua prompta ac temeraria, aeque in pugna uigerent manus.

Esplorate abbastanza le vie, i consoli che inseguivano il Cartaginese, non appena si venne a Canne, e avevano il Cartaginese davanti agli occhi, fortificarono i due accampamenti, all'incirca alla stessa distanza che a Geronio, prima che le schiere si dividessero. Il fiume Aufido che scorreva presso entrambi gli accampamenti dava accesso a coloro che attingevano acqua secondo la necessità di ciascuno, non senza contesa; tuttavia i Romani attingevano acqua più volentieri dall'accampamento minore che era stato posto oltre l'Aufido, poiché la riva opposta non aveva alcun presidio di nemici. Annibale nutrendo la speranza che i consoli gli avrebbero offerto l'opportunità di combattere nei luoghi adatti alla battaglia equestre, contingente nel quale era invincibile, schierò l'esercito e provocò i nemici con un combattimento dei Numidi. Quindi gli accampamenti romani erano in subbuglio per la sedizione militare e la discordia dei consoli, poiché Paolo rimproverava a Varrone la temerarietà di Sempronio e di Flaminio; Varrone obiettava che Fabio era un bell'esempio per i condottieri timorosi e svogliati; (e) questi chiamava a testimonio gli dei e gli uomini, che lui non aveva alcuna colpa del fatto che Annibale si fosse già quasi assicurato il possesso dell'Italia; che era stato costretto dal collega a frenarsi, e a sottrarre ferro e armi ai soldati irati e desiderosi di combattere; quello diceva che, se fosse accaduto qualcosa alle legioni avanzatesi e venute a una battaglia inconsulta e incauta, lui sarebbe stato esente da ogni colpa,ma che sarebbe stato partecipe di ogni evento: provvedesse che avessero ugualmente successo in battaglia le truppe che avevano lingua pronta e temeraria.

XLV - I preparativi per la battaglia

Dum altercationibus magis quam consiliis tempus teritur, Hannibal ex acie, quam ad multum diei tenuerat instructam, cum in castra ceteras reciperet copias, Numidas ad inuadendos ex minoribus castris Romanorum aquatores trans flumen mittit. Quam inconditam turbam cum uixdum in ripam egressi clamore ac tumultu fugassent, in stationem quoque pro uallo locatam atque ipsas prope portas euecti sunt. Id uero indignum uisum ab tumultuario auxilio iam etiam castra Romana terreri, ut ea modo una causa ne extemplo transirent flumen dirigerentque aciem tenuerit Romanos quod summa imperii eo die penes Paulum fuerit. Itaque postero die Varro, cui sors eius diei imperii erat, nihil consulto collega signum proposuit instructasque copias flumen traduxit, sequente Paulo quia magis non probare quam non adiuuare consilium poterat. Transgressi flumen eas quoque quas in castris minoribus habuerant copias suis adiungunt atque ita instructa acie in dextro cornu - id erat flumini propius - Romanos equites locant, deinde pedites: laeuum cornu extremi equites sociorum, intra pedites, ad medium iuncti legionibus Romanis, tenuerunt: iaculatores ex ceteris leuium armorum auxiliis prima acies facta. Consules cornua tenuerunt, Terentius laeuum, Aemilius dextrum: Gemino Seruilio media pugna tuenda data.

Mentre il tempo veniva sprecato più con vivaci discussioni che con piani concreti, Annibale dall'esercito, che per buona parte del giorno aveva tenuto schierato, arruolando altre truppe nell'accampamento, mandò i Numidi a provocare coloro dei Romani che andavano per l'acqua dall'accampamento minore al di là del fiume. E non appena usciti sulla riva con clamore e tumulto, avendo messo in fuga quella folla disordinata, furono trascinati dal loro stesso impeto al posto di guardia collocato davanti alla trincea e vicino alle porte stesse. Questo davvero sembrò indegno, che l'accampamento romano ormai fosse atterrito da truppe ausiliari e improvvisate, così che soltanto questa ragione trattenne i Romani dall'oltrepassare subito il fiume e dallo schierare l'esercito, poiché il comando supremo quel giorno era nelle mani di Paolo. Pertanto il giorno dopo Varrone, cui quel giorno spettava il comando, senza consultare il collega fece dare il segnale di battaglia e fece passare il fiume alle truppe disposte in ordine mentre Paolo lo seguiva, poiché poteva più non approvare che non assecondare la decisione. Passato il fiume, unirono alle loro anche quelle truppe che stavano nell'accampamento minore e così disposto lo schieramento sul fianco destro, che era più vicino al fiume, collocarono i cavalieri romani e poi i fanti; tennero il fianco sinistro i cavalieri alleati della retroguardia, l'interno i fanti, uniti al centro con le legioni romane; la prima schiera era composta dai frombolieri con altri ausiliari armati alla leggera. I consoli comandavano le due ali, Terenzio la sinistra, Emilio la destra; a Gemino Servilio fu data da difendere la parte centrale dello schieramento.

XLVI - Lo schieramento di Annibale

Hannibal luce prima Baliaribus leuique alia armatura praemissa transgressus flumen, ut quosque traduxerat, ita in acie locabat, Gallos Hispanosque equites prope ripam laeuo in cornu aduersus Romanum equitatum; dextrum cornu Numidis equitibus datum media acie peditibus firmata ita ut Afrorum utraque cornua essent, interponerentur his medii Galli atque Hispani. Afros Romanam [magna ex parte] crederes aciem; ita armati erant armis et ad Trebiam ceterum magna ex parte ad Trasumennum captis. Gallis Hispanisque scuta eiusdem formae fere erant, dispares ac dissimiles gladii, Gallis praelongi ac sine mucronibus, Hispano, punctim magis quam caesim adsueto petere hostem, breuitate habiles et cum mucronibus. Ante alios habitus gentium harum cum magnitudine corporum, tum specie terribilis erat: Galli super umbilicum erant nudi: Hispani linteis praetextis purpura tunicis, candore miro fulgentibus, constiterant. Numerus omnium peditum qui tum stetere in acie milium fuit quadraginta, decem equitum. Duces cornibus praeerant sinistro Hasdrubal, dextro Maharbal; mediam aciem Hannibal ipse cum fratre Magone tenuit. Sol seu de industria ita locatis seu quod forte ita stetere peropportune utrique parti obliquus erat Romanis in meridiem, Poenis in septentrionem uersis; uentus - Volturnum regionis incolae uocant - aduersus Romanis coortus multo puluere in ipsa ora uoluendo prospectum ademit.

All'alba Annibale, mandati avanti oltre il fiume gli uomini delle Baleari e gli altri armati alla leggera, man mano che li aveva fatti passare, così li schierava in ordine di battaglia i cavalieri galli e spagnoli vicino alla riva sull'ala sinistra di rimpetto alla cavalleria romana, l'ala destra fu data ai cavalieri numidi, rafforzato il centro dell'esercito con i fanti, così che entrambe le ali fossero degli Africani, fossero interposti a questi del centro i Galli e gli Spagnoli. Da una grande parte avresti potuto credere che gli Africani fossero l'esercito romano: così erano armati con le armi catturate sia presso la Trebbia, ma soprattutto in gran parte presso il Trasimeno. I Galli e gli Spagnoli avevano scudi quasi della stessa forma, spade diverse e di ineguale lunghezza, i Galli (le avevano) lunghissime e senza punta, gli Spagnoli, abituati ad assalire il nemico più di punta che di taglio, (le avevano) maneggevoli per brevità e con punte. Di certo anche il rimanente aspetto di questi popoli tanto per la grandezza del corpo quanto per la sembianza era terribile: i galli sopra l'ombelico erano nudi; gli Spagnoli erano forniti di tuniche preteste di lino di porpora splendenti di un candore meraviglioso. Il numero di tutti i fanti, che allora si trovarono in battaglia fu di quarantamila, dei cavalieri di diecimila. I comandanti erano a capo delle ali; Asdrubale (a capo) di quella sinistra, Maarbale di quella destra; Annibale stesso col fratello Magone tenne il centro dell'esercito. Il sole, sia che si fossero così disposti per calcolo, sia che lo avessero fatto a caso, brillava assai opportunamente sul fianco dell'una e dell'altra parte, i Romani l'avevano a sud, i Cartaginesi a nord; il vento, che gli abitanti della regione chiamano Volturno, levatosi in direzione contraria ai Romani, sollevando un gran polverone proprio contro i loro visi, tolse ad essi la visuale.

XLVII - L'inizio della battaglia

Clamore sublato procursum ab auxiliis et pugna leuibus primum armis commissa; deinde equitum Gallorum Hispanorumque laeuum cornu cum dextro Romano concurrit, minime equestris more pugnae; frontibus enim aduersis concurrendum erat, quia nullo circa ad euagandum relicto spatio hinc amnis, hinc peditum acies claudebant. In derectum utrimque nitentes, stantibus ac confertis postremo turba equis uir uirum amplexus detrahebat equo. Pedestre magna iam ex parte certamen factum erat; acrius tamen quam diutius pugnatum est pulsique Romani equites terga uertunt. Sub equestris finem certaminis coorta est peditum pugna, primo et uiribus et animis par dum constabant ordines Gallis Hispanisque; tandem Romani, diu ac saepe conisi, aequa fronte acieque densa impulere hostium cuneum nimis tenuem eoque parum ualidum, a cetera prominentem acie. Impulsis deinde ac trepide referentibus pedem institere ac tenore uno per praeceps pauore fugientium agmen in mediam primum aciem inlati, postremo nullo resistente ad subsidia Afrorum peruenerunt, qui utrimque reductis alis constiterant media, qua Galli Hispanique steterant, aliquantum prominente acie. Qui cuneus ut pulsus aequauit frontem primum, deinde cedendo etiam sinum in medio dedit, Afri circa iam cornua fecerant inruentibusque incaute in medium Romanis circumdedere alas; mox cornua extendendo clausere et ab tergo hostes. Hinc Romani, defuncti nequiquam [de] proelio uno, omissis Gallis Hispanisque, quorum terga ceciderant, [et] aduersus Afros integram pugnam ineunt, non tantum [in] eo iniquam quod inclusi aduersus circumfusos sed etiam quod fessi cum recentibus ac uegetis pugnabant.

Levatosi un grido, gli ausiliari irruppero e si attaccò battaglia dapprima con gli armati alla leggera; poi l'ala sinistra della cavalleria gallica e spagnola si scontrò con l'ala destra romana, per niente secondo l'uso della battaglia equestre; infatti dovevano scontrarsi di fronte, poiché non essendo rimasto intorno spazio alcuno per le evoluzioni, da un lato il fiume, dall'altro lo schieramento della fanteria li chiudevano. Mentre di fronte da entrambe le parti si sforzavano, alla fine stando fermi e chiusi insieme i cavalli, ogni soldato abbracciando un altro lo tirava giù da cavallo. In gran parte del fronte si combatteva ormai una battaglia a piedi: la lotta fu più accanita che lunga e i cavalieri romani respinti voltarono le spalle. Sul finire della battaglia equestre si accese una battaglia di fanteria, dapprima eguale di forze e di animi, mentre le file erano formate da Galli e da Spagnoli; alla fine i Romani, sforzatisi a lungo ed insistentemente, con un fronte compatto e uno schieramento fitto respinse un cuneo nemico troppo eseguo e perciò poco solido, che sporgeva dal resto dello schieramento. Incalzarono poi i nemici ricacciati e che si ritiravano impauriti, e tutti insieme in mezzo alla schiera di coloro che per paura fuggivano a precipizio, furono trascinati prima la centro dello schieramento, in seguito, poiché nessuno resisteva giunsero alle truppe degli Africani, che si erano fermati essendo rientrate da entrambe le parti le ali, mentre la parte centrale nella quale si erano schierati i Galli e gli Spagnoli si era spostata alquanto in avanti. Quando questo cuneo fu respinto il fronte era dapprima rettilineo, poi ripiegando ancora formò nel mezzo una rientranza, mentre gli Africani intorno avevano già approntato le ali, e lanciandosi i Romani incautamente al centro, circondarono i fianchi; subito, allargando le ali chiusero anche alle spalle i nemici. Allora i Romani, terminato inutilmente il primo combattimento, lasciati da parte Galli e Spagnoli dei quali avevano preso le retroguardie, cominciarono un nuovo combattimento contro gli Africani sfavorevole, non solo perché combattevano imbottigliati contro quelli che li circondavano, ma anche perché lottavano stanchi contro soldati freschi e vigorosi.

XLVIII - Un'astute frode dei Cartaginesi

Iam et sinistro cornu Romanis, ubi sociorum equites aduersus Numidas steterant, consertum proelium erat, segne primo et a Punica coeptum fraude. Quingenti ferme Numidae, praeter solita arma telaque gladios occultos sub loricis habentes, specie transfugarum cum ab suis parmas post terga habentes adequitassent, repente ex equis desiliunt parmisque et iaculis ante pedes hostium proiectis in mediam aciem accepti ductique ad ultimos considere ab tergo iubentur. Ac dum proelium ab omni parte conseritur, quieti manserunt; postquam omnium animos oculosque occupauerat certamen, tum arreptis scutis, quae passim inter aceruos caesorum corporum strata erant, auersam adoriuntur Romanam aciem, tergaque ferientes ac poplites caedentes stragem ingentem ac maiorem aliquanto pauorem ac tumultum fecerunt. Cum alibi terror ac fuga, alibi pertinax in mala iam spe proelium esset, Hasdrubal qui ea parte praeerat, subductos ex media acie Numidas, quia segnis eorum cum aduersis pugna erat, ad persequendos passim fugientes mittit, Hispanos et Gallos pedites Afris prope iam fessis caede magis quam pugna adiungit.

Ormai anche dall'ala sinistra per i Romani, dove i cavalieri degli alleati erano stati schierati contro i Numidi, si era venuti a battaglia, con lentezza dapprima, e cominciata con una frode cartaginese. Quasi cinquecento Numidi, che avevano, oltre alle solite armi e spade, spade nascoste sotto le corazze, con l'aspetto di disertori avendo cavalcato dai loro avendo gli scudi dietro le spalle, repentinamente saltarono giù dai cavalli e, gettati scudi e dardi davanti ai piedi dei nemici, accolti in mezzo all'esercito e condotti tra le ultime file si ordinò loro di appostarsi alle spalle. E mentre si veniva a battaglia da ogni parte, rimasero quieti; dopo che la battaglia aveva occupato gli animi e gli occhi di tutti, allora afferrati gli scudi che erano stati sparsi dappertutto tra i mucchi di corpi uccisi, assalirono la parte posteriore dell'esercito romano, e colpendo alle spalle e tagliando i polpacci, fecero un'ingente strage e uno spavento e un tumulto alquanto maggiore.Poiché da una parte vi erano terrore e fuga, dall'altra era ostinato il combattimento essendo già in condizione critica. Asdrubale che era a capo da quella parte, ritirati i Numidi dal centro dello schieramento poiché il combattimento di quelli con quelli che erano di fronte illanguidiva e (li) mandò ad inseguire qua e là i fuggitivi, aggiunse i fanti spagnoli e galli agli africani, ormai quasi più stanchi per la strage che per la fatica.

XLIX - Disfatta dei cavalieri romani

Parte altera pugnae Paulus, quamquam primo statim proelio funda grauiter ictus fuerat, tamen et occurrit saepe cum confertis Hannibali et aliquot locis proelium restituit, protegentibus eum equitibus Romanis, omissis postremo equis, quia consulem et ad regendum equum uires deficiebant. Tum denuntianti cuidam iussisse consulem ad pedes descendere equites dixisse Hannibalem ferunt: "quam mallem, uinctos mihi traderet". Equitum pedestre proelium, quale iam haud dubia hostium uictoria, fuit, cum uicti mori in uestigio mallent quam fugere, uictores morantibus uictoriam irati trucidarent quos pellere non poterant. Pepulerunt tamen iam paucos superantes et labore ac uolneribus fessos. Inde dissipati omnes sunt, equosque ad fugam qui poterant repetebant. Cn. Lentulus tribunus militum cum praeteruehens equo sedentem in saxo cruore oppletum consulem uidisset, "L. Aemili" inquit, "quem unum insontem culpae cladis hodiernae dei respicere debent, cape hunc equum, dum et tibi uirium aliquid superest [et] comes ego te tollere possum ac protegere. Ne funestam hanc pugnam morte consulis feceris; etiam sine hoc lacrimarum satis luctusque est". Ad ea consul: "tu quidem, Cn. Corneli, macte uirtute esto; sed caue, frustra miserando exiguum tempus e manibus hostium euadendi absumas. Abi, nuntia publice patribus urbem Romanam muniant ac priusquam uictor hostis adueniat praesidiis firment; priuatim Q. Fabio L. Aemilium praeceptorum eius memorem et uixisse [et] adhuc et mori. Me in hac strage militum meorum patere exspirare, ne aut reus iterum e consulatu sim [aut] accusator collegae exsistam ut alieno crimine innocentiam meam protegam." Haec eos agentes prius turba fugientium ciuium, deinde hostes oppressere; consulem ignorantes quis esset obruere telis, Lentulum in tumultu abripuit equus. Tum undique effuse fugiunt. Septem milia hominum in minora castra, decem in maiora, duo ferme in uicum ipsum Cannas perfugerunt, qui extemplo a Carthalone atque equitibus nullo munimento tegente uicum circumuenti sunt. Consul alter, seu forte seu consilio nulli fugientium insertus agmini, cum quinquaginta fere equitibus Venusiam perfugit. Quadraginta quinque milia quingenti pedites, duo milia septingenti equites, et tantadem prope ciuium sociorumque pars, caesi dicuntur; in his ambo consulum quaestores, L. Atilius et L. Furius Bibaculus, et undetriginta tribuni militum, consulares quidam praetoriique et aedilicii - inter eos Cn. Seruilium Geminum et M. Minucium numerant, qui magister equitum priore anno, [consul] aliquot annis ante fuerat - octoginta praeterea aut senatores aut qui eos magistratus gessissent unde in senatum legi deberent cum sua uoluntate milites in legionibus facti essent. Capta eo proelio tria milia peditum et equites mille et quingenti dicuntur.

Dall'altra parte del campo di battaglia Paolo, sebbene subito al primo combattimento fosse stato gravemente ferito da un giavellotto, tuttavia spesso andò incontro ad Annibale con una folta schiera di soldati e salvò le sorti del combattimento in parecchi luoghi, proteggendolo i cavalieri romani, lasciati infine i cavalli, poiché al console mancavano le forze persino per dirigere il cavallo. Allora a un tale che annunciava che il console aveva ordinato ai cavalieri di scendere a piedi, narrano che Annibale abbia detto: "Come avrei preferito, che me li avesse consegnati legati!" Il combattimento a piedi dei cavalieri fu senza dubbio la vittoria dei nemici, preferendo i vinti morire al loro posto piuttosto che fuggire, trucidando i vincitori quelli che non potevano mettere in fuga, irati con chi ritardava la vittoria. Tuttavia misero in fuga i pochi superstiti spossati dalla fatica e dalle ferite. Quindi tutti furono sbaragliati, e quelli che potevano rivolgevano i cavalli alla fuga. Il tribuno dei soldati Gneo Lentulo che passava a cavallo, avendo visto il console pieno di sangue che sedeva su un sasso, disse: "Lucio Emilio, di cui, solo innocente della responsabilità del presente disastro, gli dei devono aver riguardo, prendi questo cavallo, finché ti resta ancora qualche forza, ed io come compagno posso ancora sollevarti e proteggerti. Non rendere funesta questa battaglia con la morte del console: anche senza ciò ci sono abbastanza lacrime e lutto". A queste parole il console: "Senza dubbio, Gneo Cornelio, gloria a te per la tua virtù; ma bada a sprecare poco tempo con l'avere invano compassione per sfuggire alla cattura dei nemici. Va via, ordina pubblicamente ai senatori, che fortifichino la città di Roma e, prima che giunga il nemico vittorioso, rinforzino i presidii, privatamente (dì) a Quinto Fabio che Lucio Emilio, memore dei suoi precetti, è vissuto finora ed è morto. Tollera che in questa strage dei miei soldati proprio io muoia, affinché io non sia né di nuovo colpevole allo scadere del consolato, né io divenga accusatore del (mio) collega, affinché io protegga la mia innocenza da una colpa altrui". Schiacciarono quelli che dicevano queste cose prima una folla di cittadini che fuggivano, poi i nemici: seppellirono con i dardi il console il console, ignorando chi fosse, nel tumulto trascinò via Lentulo. Allora fuggirono disordinatamente da tutte le parti settemila uomini nell'accampamento minore, diecimila in quello maggiore, duemila fuggirono quasi nello stesso luogo di Canne, i quali subito furono circondati da Cartalone e dai cavalieri, non proteggendo il luogo nessuna fortificazione. L'altro console, o per caso o mescolatosi alla turba dei fuggitivi senza alcuna intenzione, con quasi cinquanta cavalieri si rifugiò a Venosa. Quarantacinquemilacinquecento fanti, duemilasettecento cavalieri, e una tanto grande parte all'incirca di cittadini e di alleati, si dice che siano stati uccisi; tra questi entrambi i questori dei consoli, Lucio Attilio e Lucio Furio Bibaculo, e ventinove tribuni dei soldati, certi ex consoli e pretori ed edili - tra questi contano Gneo Servilio Gemino e Marco Minucio, che era stato maestro della cavalleria l'anno prima, console alcuni anni prima - inoltre ottanta o senatori o quelli che avevano esercitato quelle magistrature, per le quali dovevano essere scelti per il senato ed erano divenuti per loro volontà soldati nelle legioni. Si dice che in quella battaglia furono presi prigionieri tremila fanti e millecinquecento cavalieri.