Cicerone - De Republica
Liber III

Frammento VI - La morale naturale

Est quidem vera lex recta ratio naturae congruens, diffusa in omnis, constans, sempiterna, quae vocet ad officium iubendo, vetando e fraude deterreat; quae tamen neque probos frustra iubet aut vetat nec improbos iubendo aut vetando movet. Huic legi nec abrogari fas est, neque derogari aliquid ex hac licet neque tota abrogari potest, nec vero aut per senatum aut per populum solvi hac lege possumus, neque est quaerendus explanator aut interpres Sextus Aelius, nec erit alia lex Romae, alia Athenis, alia nunc, alia posthac, sed et omnis gentes et omni tempore una lex et sempiterna et immutabilis continebit, unusque erit communis quasi magister et imperator omnium deus: ille legis huius inventor, disceptator, lator; cui qui non parebit, ipse se fugiet ac naturam hominis aspernatus hoc ipso luet maximas poenas, etiamsi cetera suppllicia, quae putantur, effugerit.

In realtà vera legge è la corretta ragione in accordo con la natura, diffusa in tutti, costante, sempiterna, che eventualmente richiami al dovere ordinando, vietando allontani dal delitto. E tuttavia non ordina o vieta invano agli onesti, e non smuove i disonesti ordinando o vietando. Per questa legge non è lecito essere abrogata, né si può derogare qualcosa da questa, né può essere interamente cassata, nemmeno possiamo essere liberati da questa legge per (decreto del) senato o del popolo, né bisogna cercare un Sesto Elio come commentatore o interprete, né ci sarà una legge a Roma, un'altra ad Atene, una ora, un'altra in futuro, ma una sola legge sempiterna e immutabile terrà a freno tutti i popoli in ogni tempo, e uno solo sarà dio comune, quasi un maestro o un comandante: quello l'inventore di questa legge, colui che l'ha meditata, emanata; e chi non gli obbedirà, si fuggirà da solo e, rinnegata a lui stesso la natura di uomo, espierà pene grandissime, anche se sarà sfuggito agli altri supplizi, che tali sono ritenuti (dagli uomini).