Cicerone - In Catilinam
Liber II

 

I

Tandem aliquando, Quirites, L. Catilinam furentem audacia, scelus anhelantem, pestem patriae nefarie molientem, vobis atque huic urbi ferro flammaque minitantem ex urbe vel eiecimus vel emisimus vel ipsum egredientem verbis prosecuti sumus. Abiit, excessit, evasit, erupit. Nulla iam pernicies a monstro illo atque prodigio moenibus ipsis intra moenia comparabitur. Atque hunc quidem unum huius belli domestici ducem sine controversia vicimus. Non enim iam inter latera nostra sica illa versabitur, non in campo, non in foro, non in curia, non denique intra domesticos parietes pertimescemus. Loco ille motus est, cum est ex urbe depulsus. Palam iam cum hoste nullo inpediente bellum iustum geremus. Sine dubio perdidimus hominem magnificeque vicimus, cum illum ex occultis insidiis in apertum latrocinium coniecimus.

Finalmente, Quiriti, Lucio Catilina, pazzo nella sua audacia, ansante nel suo crimine, empiamente teso a ordire la rovina della patria, a minacciare col ferro e col fuoco voi e questa città, lo abbiamo cacciato da Roma, o, se volete, lo abbiamo lasciato partire, o, meglio ancora, lo abbiamo accompagnato alla partenza con i nostri saluti. È andato, partito, fuggito, sparito. Quell'essere spaventoso non provocherà più alcuna catastrofe dentro le mura contro le stesse mura! Lui, il solo capo della guerra civile, lo abbiamo vinto: non ci sono dubbi. Il suo pugnale non ci insidierà più al fianco. Nel Campo Marzio, nel Foro, nella Curia, tra le pareti domestiche non saremo più in preda al terrore. Cacciandolo dalla città, gli abbiamo fatto perdere la sua posizione. Apertamente, ormai, combatteremo contro il nemico una guerra regolare: nessuno ce lo impedirà. È indiscutibile che lo abbiamo annientato con una vittoria strepitosa, costringendolo a uscire da trame occulte e a portare allo scoperto la sua azione di bandito.

II

Quod vero non cruentum mucronem, ut voluit, extulit, quod vivis nobis egressus est, quod ei ferrum e manibus extorsimus, quod incolumes cives, quod stantem urbem reliquit, quanto tandem illum maerore esse adflictum et profligatum putatis? Iacet ille nunc prostratus, Quirites, et se perculsum atque abiectum esse sentit et retorquet oculos profecto saepe ad hanc urbem, quam e suis faucibus ereptam esse luget; quae quidem mihi laetari videtur, quod tantam pestem evomuerit forasque proiecerit.

Non ha levato in alto una spada lorda di sangue, come voleva. Se n'è andato e noi siamo vivi. Gli abbiamo strappato il ferro dalle mani. Ha lasciato incolumi i cittadini e in piedi la città. Vi rendete conto di come sia abbattuto, prostrato da questa delusione? Ora è a terra vinto, Quiriti, si sente colpito e annientato e di certo volge spesso gli occhi a questa città che gli è stata strappata dalle fauci e se ne dispera. Ma la città mi sembra lieta di aver vomitato un male così grande, di averlo espulso da sé.

III

Ac si quis est talis, quales esse omnes oportebat, qui in hoc ipso, in quo exultat et triumphat oratio mea, me vehementer accuset, quod tam capitalem hostem non comprehenderim potius quam emiserim, non est ista mea culpa, Quirites, sed temporum. Interfectum esse L. Catilinam et gravissimo supplicio adfectum iam pridem oportebat, idque a me et mos maiorum et huius imperii severitas et res publica postulabat. Sed quam multos fuisse putatis, qui, quae ego deferrem, non crederent, [quam multos, qui propter stultitiam non putarent,] quam multos, qui etiam defenderent [,quam multos, qui propter improbitatem faverent]! Ac, si illo sublato depelli a vobis omne periculum iudicarem, iam pridem ego L. Catilinam non modo invidiae meae, verum etiam vitae periculo sustulissem.

Se, poi, a proposito del motivo per cui le mie parole esultano e trionfano, qualcuno, spinto da sentimenti che dovrebbero essere unanimi, mi accusasse duramente di non aver fatto arrestare un nemico così mortale, ma di averlo lasciato partire, gli risponderei che la responsabilità non è mia, Quiriti, ma delle circostanze. Da tempo si doveva eliminare Lucio Catilina, condannarlo alla pena capitale: me lo chiedevano la tradizione avita, l'autorità dei miei poteri e l'interesse dello Stato. Ma quanti non avrebbero creduto ai fatti che denunciavo? Provate a pensarlo! Quanti li avrebbero persino giustificati? [Quanti li avrebbero sottovalutati per stoltezza?] [Quanti li avrebbero favoriti per disonestà?] Ma se, eliminato lui, mi fossi convinto di stornare da voi ogni pericolo, da tempo avrei ucciso Lucio Catilina non solo a rischio di suscitare la vostra disapprovazione, ma anche a rischio della mia vita.

IV

Sed cum viderem, ne vobis quidem omnibus re etiam tum probata si illum, ut erat meritus, morte multassem, fore ut eius socios invidia oppressus persequi non possem, rem huc deduxi, ut tum palam pugnare possetis, cum hostem aperte videretis. Quem quidem ego hostem, Quirites, quam vehementer foris esse timendum putem, licet hinc intellegatis, quod etiam illud moleste fero, quod ex urbe parum comitatus exierit. Utinam ille omnis secum suas copias eduxisset! Tongilium mihi eduxit, quem amare in praetexta coeperat, Publicium et Minucium, quorum aes alienum contractum in popina nullum rei publicae motum adferre poterat; reliquit quos viros, quanto aere alieno, quam valentis, quam nobilis!

Mi rendevo conto, però, che se lo avessi condannato a morte, come meritava, quando neppure per tutti voi il fatto era provato, non avrei potuto perseguire i suoi complici sotto il peso dell'impopolarità. Allora ho agito in modo che voi poteste combatterlo apertamente, perché vi era chiaro chi fosse il nemico. E quanto io ritenga temibile un nemico che non è più qui, potete capirlo, Quiriti, dal dispiacere che provo nel constatare che è partito dalla città con pochi uomini. Magari avesse portato con sé tutte le forze! Invece mi ha portato via Tongilio, che indossava ancora la pretesta quando si invaghì di lui, Publicio e Minucio, indebitati a tal punto nelle bettole da non poter scatenare nessuna rivoluzione! Che uomini ha lasciato! Con che debiti! Che nomi autorevoli e illustri!

V

Itaque ego illum exercitum prae Gallicanis legionibus et hoc dilectu, quem in agro Piceno et Gallico Q. Metellus habuit, et his copiis, quae a nobis cotidie comparantur, magno opere contemno collectum ex senibus desperatis, ex agresti luxuria, ex rusticis decoctoribus, ex iis, qui vadimonia deserere quam illum exercitum maluerunt; quibus ego non modo si aciem exercitus nostri, verum etiam si edictum praetoris ostendero, concident. Hos, quos video volitare in foro, quos stare ad curiam, quos etiam in senatum venire, qui nitent unguentis, qui fulgent purpura, mallem secum suos milites eduxisset; qui si hic permanent, mementote non tam exercitum illum esse nobis quam hos, qui exercitum deseruerunt, pertimescendos. Atque hoc etiam sunt timendi magis, quod, quid cogitent, me scire sentiunt neque tamen permoventur.

E così, se confronto il suo esercito con le nostre legioni stanziate in Gallia, con gli uomini arruolati da Quinto Metello nel Piceno e in Gallia, con le truppe che addestriamo ogni giorno, non nutro che profondo disprezzo per quell'accozzaglia di vecchi disperati, di spacconi di campagna, di falliti di provincia, di gente che ha preferito disertare il tribunale per debiti piuttosto che un simile esercito. Basterà che li metta di fronte non dico ai nostri soldati, ma all'editto del pretore, e crolleranno tutti. Questi qui, invece, che vedo aggirarsi nel Foro, stare davanti alla Curia o addirittura presentarsi in Senato, che brillano di unguenti e sono smaglianti nella loro porpora, avrei preferito che se li fosse portati dietro come soldati. Se rimangono qui, ricordatevelo, questi che hanno disertato l'esercito saranno ben più temibili dell'esercito stesso di Catilina! E bisogna temerli in misura maggiore perché non ignorano che io sono a conoscenza dei loro complotti, ma restano imperturbabili.

VI

Video, cui sit Apulia adtributa, quis habeat Etruriam, quis agrum Picenum, quis Gallicum, quis sibi has urbanas insidias caedis atque incendiorum depoposcerit. Omnia superioris noctis consilia ad me perlata esse sentiunt; patefeci in senatu hesterno die; Catilina ipse pertimuit, profugit; hi quid expectant? Ne illi vehementer errant, si illam meam pristinam lenitatem perpetuam sperant futuram. Quod expectavi, iam sum adsecutus, ut vos omnes factam esse aperte coniurationem contra rem publicam videretis; nisi vero si quis est, qui Catilinae similis cum Catilina sentire non putet. Non est iam lenitati locus; severitatem res ipsa flagitat. Unum etiam nunc concedam: exeant, proficiscantur, ne patiantur desiderio sui Catilinam miserum tabescere. Demonstrabo iter: Aurelia via profectus est; si accelerare volent, ad vesperam consequentur.

So a chi è stata assegnata la Puglia, chi controlla l'Etruria, chi il Piceno, chi la Gallia, chi ha richiesto per sé l'organizzazione degli attentati in città, cioè stragi e incendi. Sanno che mi sono stati riferiti tutti i loro programmi dell'altra notte: li ho denunciati in Senato, ieri. Persino Catilina è stato preso dal panico, è fuggito. E loro, che cosa aspettano? Sbagliano davvero se si illudono che l'indulgenza che ho mostrato in passato sia eterna! Quel che mi ero proposto, ormai l'ho conseguito: avete perfettamente chiaro che è stata organizzata una congiura contro lo Stato. O qualcuno ritiene che gli amici di Catilina nutrano altri propositi? Ormai non c'è più posto per l'indulgenza! È la situazione a richiedere fermezza. Farò solo una concessione: se ne vadano, partano, non lascino che Catilina si strugga nella loro mancanza! Mostrerò la strada. È partito per la via Aurelia; se si sbrigano, lo raggiungeranno verso sera.

VII

O fortunatam rem publicam, si quidem hanc sentinam urbis eiecerit! Uno mehercule Catilina exhausto levata mihi et recreata res publica videtur. Quid enim mali aut sceleris fingi aut cogitari potest, quod non ille conceperit? quis tota Italia veneficus, quis gladiator, quis latro, quis sicarius, quis parricida, quis testamentorum subiector, quis circumscriptor, quis ganeo, quis nepos, quis adulter, quae mulier infamis, quis corruptor iuventutis, quis corruptus, quis perditus inveniri potest, qui se cum Catilina non familiarissime vixisse fateatur? quae caedes per hosce annos sine illo facta est, quod nefarium stuprum non per illum?

Che fortuna per lo Stato, se si libererà da questa fogna! Gli è bastato ripulirsi solo di Catilina e mi sembra abbia acquistato serenità, fiducia. Quale delitto, quale crimine è possibile pensare, immaginare che Catilina non abbia compiuto? C'è, in tutt'Italia, avvelenatore, assassino, bandito, sicario, omicida, falsificatore di testamenti, truffatore, dissoluto, scialacquatore, adultero, prostituta, corruttore della gioventù, corrotto, vizioso che non ammetta di essere stato intimo amico di Catilina? Quale assassinio, in questi anni, è stato compiuto senza di lui? Quale nefanda violenza se non per mano sua?

VIII

Iam vero quae tanta umquam in ullo homine] iuventutis inlecebra fuit, quanta in illo? qui alios ipse amabat turpissime, aliorum amori flagitiosissime serviebat, aliis fructum lubidinum, aliis mortem parentum non modo inpellendo, verum etiam adiuvando pollicebatur. Nunc vero quam subito non solum ex urbe, verum etiam ex agris ingentem numerum perditorum hominum collegerat! Nemo non modo Romae, sed [ne] ullo in angulo totius Italiae oppressus aere alieno fuit, quem non ad hoc incredibile sceleris foedus asciverit.

Chi mai ha esercitato un simile potere di seduzione sulla gioventù? Amava gli uni nel modo più turpe, serviva gli altri in ignominiosi desideri, prometteva agli uni il frutto delle passioni, agli altri la morte dei genitori: lo faceva non solo con la promessa, ma anche con l'aiuto materiale. E adesso, con che rapidità è riuscito a raccogliere un gran numero di disperati dalla città e addirittura dalla campagna! Chiunque fosse oberato di debiti, a Roma come in ogni angolo d'Italia, lui lo ha fatto entrare in questa inaudita congrega di criminali.

IX

Atque ut eius diversa studia in dissimili ratione perspicere possitis, nemo est in ludo gladiatorio paulo ad facinus audacior, qui se non intimum Catilinae esse fateatur, nemo in scaena levior et nequior; qui se non eiusdem prope sodalem fuisse commemoret. Atque idem tamen stuprorum et scelerum exercitatione adsuefactus frigore et fame et siti et vigiliis perferundis fortis ab istis praedicabatur, cum industriae subsidia atque instrumenta virtutis in lubidine audaciaque consumeret.

E perché possiate farvi un'idea della sua versatilità in campi diversi, nelle palestre non c'è gladiatore un po' più temerario nell'azione che non confessi di essere amico di Catilina; sulla scena, non c'è attore un po' più infido e depravato che non affermi di essere quasi un suo compagno. E lui, abituato dalla pratica di violenze e crimini a sopportare freddo, fame, sete e veglie, si è conquistato la fama di duro proprio tra questi individui, consumando le risorse della sua intraprendenza e le sue forze interiori nel sesso e nel delitto.

X

Hunc vero si secuti erunt sui comites, si ex urbe exierint desperatorum hominum flagitiosi greges, o nos beatos, o rem publicam fortunatam, o praeclaram laudem consulatus mei! Non enim iam sunt mediocres hominum lubidines, non humanae ac tolerandae audaciae; nihil cogitant nisi caedem, nisi incendia, nisi rapinas. Patrimonia sua profuderunt, fortunas suas obligaverunt; res eos iam pridem deseruit, fides nuper deficere coepit; eadem tamen illa, quae erat in abundantia, lubido permanet. Quodsi in vino et alea comissationes solum et scorta quaererent, essent illi quidem desperandi, sed tamen essent ferendi; hoc vero quis ferre possit, inertes homines fortissimis viris insidiari, stultissimos prudentissimis, ebriosos sobriis, dormientis vigilantibus? qui mihi accubantes in conviviis conplexi mulieres inpudicas vino languidi, conferti cibo, sertis redimiti, unguentis obliti, debilitati stupris eructant sermonibus suis caedem bonorum atque urbis incendia.

Se i suoi complici lo avessero seguito, se le infami schiere di questi disperati avessero lasciato Roma, che gioia per noi, che fortuna per lo Stato e che magnifica gloria per il mio consolato! Le loro passioni, infatti, superano ormai la misura. La loro sfrontatezza non è umana, non è sopportabile. Stragi, incendi, rapine sono il loro unico pensiero. Hanno sperperato patrimoni, hanno ipotecato beni; da tempo hanno perso le sostanze, ora iniziano a perdere il credito; ma rimane in loro quella smania di godere che avevano nell'abbondanza. Se nel vino e nel gioco non cercassero che baldorie e prostitute, sarebbero dei casi disperati, eppure sopportabili. Ma chi potrebbe sopportare che degli inetti complottino contro gli uomini più validi, i più stupidi contro i più savi, gli ubriachi contro i sobri, gli storditi contro gli svegli? Individui che bivaccano nei conviti, che stanno allacciati a donne svergognate, che illanguidiscono nel vino, pieni di cibo, incoronati di serti, cosparsi di unguenti, debilitati dalla copula, vomitano a parole che bisogna far strage dei cittadini onesti e incendiare la città.

XI

Quibus ego confido impendere fatum aliquod, et poenam iam diu improbitati, nequitiae, sceleri, libidini debitam aut instare iam plane aut certe adpropinquare. Quos si meus consulatus, quoniam sanare non potest, sustulerit, non breve nescio quod tempus, sed multa saecula propagarit rei publicae. Nulla est enim natio, quam pertimescamus, nullus rex, qui bellum populo Romano facere possit. Omnia sunt externa unius virtute terra marique pacata; domesticum bellum manet, intus insidiae sunt, intus inclusum periculum est, intus est hostis. Cum luxuria nobis, cum amentia, cum scelere certandum est. Huic ego me bello ducem profiteor, Quirites; suscipio inimicitias hominum perditorum; quae sanari poterunt, quacumque ratione sanabo, quae resecanda erunt, non patiar ad perniciem civitatis manere. Proinde aut exeant aut quiescant aut, si et in urbe et in eadem mente permanent, ea, quae merentur, expectent.

Sono sicuro che sul loro capo incombe un funesto destino e che sia imminente o per lo meno si stia avvicinando quel castigo che da tempo hanno meritato per la loro disonestà, dissolutezza, delinquenza e depravazione. Se il mio consolato, dal momento che non può farli ravvedere, li eliminerà, prolungherà la vita dello Stato non di qualche giorno, ma di molti secoli. Non c'è infatti nazione che temiamo, non c'è re che sia in grado di muovere guerra al popolo romano; all'estero tutto è in pace, per terra e per mare, grazie al valore di un solo uomo. Rimane la guerra civile: è all'interno che stanno i complotti, è all'interno, nel profondo, che sta il pericolo; è all'interno che sta il nemico. Bisogna combattere contro il vizio, contro la follia, contro il delitto. È questa guerra, Quiriti, che mi impegno a condurre, esponendomi all'odio di uomini perduti; risanerò in qualunque modo quel che potrà essere risanato; non permetterò che rimanga a danno della comunità quel che va reciso di netto. Perciò, se ne vadano oppure se ne stiano tranquilli, o, se rimangono in città e non mutano proposito, si aspettino quel che si meritano!

XII

At etiam sunt, qui dicant, Quirites, a me eiectum in exilium esse Catilinam. Quod ego si verbo adsequi possem, istos ipsos eicerem, qui haec locuntur. Homo enim videlicet timidus aut etiam permodestus vocem consulis ferre non potuit; simul atque ire in exilium iussus est, paruit, ivit. Hesterno die, Quirites, cum domi meae paene interfectus essem, senatum in aedem Iovis Statoris convocavi, rem omnem ad patres conscriptos detuli. Quo cum Catilina venisset, quis eum senator appellavit, quis salutavit, quis denique ita aspexit ut perditum civem ac non potius ut inportunissimum hostem? Quin etiam principes eius ordinis partem illam subselliorum, ad quam ille accesserat, nudam atque inanem reliquerunt.

Ma c'è anche chi sostiene, Quiriti, che sono stato io a mandare in esilio Catilina. Se potessi ottenere un simile risultato con la parola, manderei in esilio proprio chi avanza simili insinuazioni. Un uomo così timoroso, così pieno di moderazione come Catilina non ha saputo sopportare la voce del console! Non appena gli è stato ordinato di andare in esilio, ha obbedito. Ma ascoltate: ieri, dopo aver rischiato la vita in casa mia, ho convocato il Senato nel tempio di Giove Statore e ho illustrato tutta la situazione ai senatori. Quando Catilina si è presentato, quale senatore gli ha rivolto la parola? Chi lo ha salutato? Chi non lo ha guardato come si guarda un cittadino corrotto, che dico, il peggior nemico? Non solo: i principali esponenti dell'ordine senatorio hanno lasciato completamente sgombro il settore dei seggi a cui lui si era avvicinato.

XIII

Hic ego vehemens ille consul, qui verbo civis in exilium eicio, quaesivi a Catilina, in nocturno conventu apud M. Laecam fuisset necne. Cum ille homo audacissimus conscientia convictus primo reticuisset, patefeci cetera; quid ea nocte egisset, [ubi fuisset,] quid in proximam constituisset, quem ad modum esset ei ratio totius belli descripta, edocui. Cum haesitaret, cum teneretur, quaesivi, quid dubitaret proficisci eo, quo iam pridem pararet, cum arma, cum secures, cum fasces, cum tubas, cum signa militaria, cum aquilam illam argenteam, cui ille etiam sacrarium [scelerum] domi suae fecerat, scirem esse praemissam.

Allora io, il console famoso per la sua veemenza, io che con una parola esilio i cittadini, ho chiesto a Catilina se avesse partecipato alla riunione notturna in casa di Marco Leca o no. Poiché lui, che non ha eguali per sfrontatezza, ma era colpevole di fronte a se stesso, dapprima taceva, ho reso pubblico tutto il resto; ho denunciato che cosa avesse fatto quella notte, cosa avesse stabilito per la notte seguente, come avesse programmato tutta la guerra. Lui esitava, era confuso: allora gli ho chiesto perché non si decideva a raggiungere il luogo dove già da tempo aveva stabilito di recarsi, dove, come sapevo, si era fatto precedere da armi, scuri, fasci consolari, trombe, insegne militari e quell'aquila d'argento cui aveva dedicato un sacello in casa sua.

XIV

In exilium eiciebam, quem iam ingressum esse in bellum videbam? Etenim, credo, Manlius iste centurio, qui in agro Faesulano castra posuit bellum populo Romano suo nomine indixit, et illa castra nunc non Catilinam ducem expectant, et ille eiectus in exilium se Massiliam, ut aiunt, non in haec castra conferet. O condicionem miseram non modo administrandae, verum etiam conservandae rei publicae! Nunc si L. Catilina consiliis, laboribus, periculis meis circumclusus ac debilitatus subito pertimuerit, sententiam mutaverit, deseruerit suos, consilium belli faciendi abiecerit et ex hoc cursu sceleris ac belli iter ad fugam atque in exilium converterit, non ille a me spoliatus armis audaciae, non obstupefactus ac perterritus mea diligentia, non de spe conatuque depulsus sed indemnatus innocens in exilium eiectus a consule vi et minis esse dicetur; et erunt, qui illum, si hoc fecerit, non improbum, sed miserum, me non diligentissimum consulem, sed crudelissimum tyrannum existimari velint!

Ho esiliato chi vedevo già muovere guerra? Ma sì, non ci sono dubbi! Questo centurione, Manlio, che ha accampato l'esercito presso Fiesole, a suo nome ha dichiarato guerra al popolo romano! E questo famoso accampamento non sta aspettando Catilina a comandarlo! E Catilina, condannato all'esilio, si sta dirigendo a Marsiglia, come dicono, e non a Fiesole! Compito ingrato governare lo Stato, ma anche salvarlo! Ora, se Lucio Catilina, sentendosi braccato, ridotto all'impotenza dai miei provvedimenti, dai miei sforzi e dai rischi che corro, avrà di colpo paura, muterà avviso, lascerà i suoi, rinuncerà all'idea di far guerra, abbandonerà la strada del crimine e del conflitto per darsi alla fuga, all'esilio, non si dirà che sono stato io a strappargli le armi di un'impresa folle, che sono stato io, con la mia sorveglianza, ad atterrirlo, a paralizzarlo, che sono stato io a vanificare le sue speranze e i suoi tentativi, ma si dirà che non ha avuto un regolare processo, che è innocente, che il console, con la violenza e le minacce, l'ha mandato in esilio. E se farà così, non mancherà chi lo giudicherà una vittima, non un colpevole, e giudicherà me il più crudele dei tiranni, non il più solerte dei consoli.

XV

Est mihi tanti, Quirites, huius invidiae falsae atque iniquae tempestatem subire, dum modo a vobis huius horribilis belli ac nefarii periculum depellatur. Dicatur sane eiectus esse a me, dum modo eat in exilium. Sed, mihi credite, non est iturus. Numquam ego ab dis inmortalibus optabo, Quirites, invidiae meae levandae causa, ut L. Catilinam ducere exercitum hostium atque in armis volitare audiatis, sed triduo tamen audietis; multoque magis illud timeo, ne mihi sit invidiosum aliquando, quod illum emiserim potius quam quod eiecerim. Sed cum sint homines, qui illum, cum profectus sit, eiectum esse dicant, idem, si interfectus esset, quid dicerent?

Eppure, Quiriti, credo che valga la pena di subire la tempesta di un'impopolarità falsa e ingiusta, purché sia allontanato da voi il pericolo di una guerra orribile e sacrilega. Si dica pure che sono stato io a scacciarlo, purché vada in esilio. Ma, credetemi, non ci andrà. Quiriti, non chiederò mai agli dèi immortali, per liberarmi dall'impopolarità, che voi veniate a sapere che Lucio Catilina è alla testa dell'esercito nemico e si aggira armato. Eppure nell'arco di tre giorni vi giungerà questa notizia. Una cosa, tuttavia, temo molto di più: di incontrare un giorno lo sfavore pubblico perché ho permesso che partisse, non perché l'ho esiliato. Ma se c'è gente capace di dire che io l'ho bandito, mentre è partito liberamente, cosa direbbe se fosse stato ucciso?

XVI

Quamquam isti, qui Catilinam Massiliam ire dictitant, non tam hoc queruntur quam verentur. Nemo est istorum tam misericors, qui illum non ad Manlium quam ad Massilienses ire malit. Ille autem, si mehercule hoc, quod agit, numquam antea cogitasset, tamen latrocinantem se interfici mallet quam exulem vivere. Nunc vero, cum ei nihil adhuc praeter ipsius voluntatem cogitationemque acciderit, nisi quod vivis nobis Roma profectus est, optemus potius, ut eat in exilium, quam queramur.

Del resto, chi sostiene che Catilina è diretto a Marsiglia è più preoccupato che dispiaciuto. Nessuno di loro prova tanta pietà da preferire che vada a Marsiglia piuttosto che da Manlio! Quanto a lui, anche se non avesse mai premeditato quel che sta compiendo, preferirebbe certo morire da bandito che vivere da esiliato. Ma in questo momento, poiché finora non gli è accaduto nulla che fosse in contrasto con le sue intenzioni e i suoi progetti, se non partire da Roma lasciandomi vivo, auguriamoci che vada dritto in esilio e non lamentiamocene!

XVII

Sed cur tam diu de uno hoste loquimur, et de eo hoste, qui iam fatetur se esse hostem, et quem, quia, quod semper volui, murus interest, non timeo; de his, qui dissimulant, qui Romae remanent, qui nobiscum sunt, nihil dicimus? Quos quidem ego, si ullo modo fieri possit, non tam ulcisci studeo quam sanare sibi ipsos, placare rei publicae, neque, id quare fieri non possit, si me audire volent, intellego. Exponam enim vobis, Quirites, ex quibus generibus hominum istae copiae comparentur; deinde singulis medicinam consilii atque orationis meae, si quam potero, adferam.

Ma perché parliamo tanto di un solo nemico, per giunta un nemico che si dichiara ormai tale e che non temo, dal momento che, come ho sempre desiderato, ci tiene separati un muro? E perché, invece, non diciamo nulla di questi altri che dissimulano, che restano a Roma, che stanno in mezzo a noi? Se ci fosse una possibilità, vorrei guarirli, riconciliarli con lo Stato, non punirli. E credo che ce la farei, se solo volessero ascoltarmi. Vi mostrerò allora, Quiriti, da quali categorie di persone si compongono le forze di Catilina; poi, nei limiti del possibile, somministrerò a ciascuna la medicina del mio pensiero e della mia parola.

XVIII

Unum genus est eorum, qui magno in aere alieno maiores etiam possessiones habent, quarum amore adducti dissolvi nullo modo possunt. Horum hominum species est honestissima (sunt enim locupletes), voluntas vero et causa inpudentissima. Tu agris, tu aedificiis, tu argento, tu familia, tu rebus omnibus ornatus et copiosus sis et dubites de possessione detrahere, adquirere ad fidem? Quid enim expectas? bellum? Quid ergo? in vastatione omnium tuas possessiones sacrosanctas futuras putas? An tabulas novas? Errant, qui istas a Catilina expectant; meo beneficio tabulae novae proferentur, verum auctionariae; neque enim isti, qui possessiones habent, alia ratione ulla Salvi esse possunt. Quod si maturius facere voluissent neque, id quod stultissimum est, certare cum usuris fructibus praediorum, et locupletioribus his et melioribus civibus uteremur. Sed hosce homines minime puto pertimescendos, quod aut deduci de sententia possunt aut, si permanebunt, magis mihi videntur vota facturi contra rem publicam quam arma laturi.

La prima categoria è costituita da uomini che, pur gravati da ingenti debiti, dispongono di proprietà ancora più grandi da cui non possono assolutamente separarsi per un attaccamento morboso. Rientrano in questo gruppo gli uomini più rispettabili (si tratta dei possidenti, infatti), ma le loro pretese e la loro causa sono le più abiette. Tu sei ricco, sei pieno di terre, tu di case, tu di argento, tu di schiavi, tu di beni di ogni sorta ed esiti a sottrarre un nonnulla dal tuo patrimonio per guadagnare credibilità? Che cosa aspetti? Una guerra? Che cosa, allora? Pensi che nella devastazione generale i tuoi possedimenti si salveranno? O aspetti una cancellazione dei debiti? È uno sbaglio aspettarla da Catilina; sarà compito mio stabilire nuovi registri, ma con vendite all'asta. È questo, del resto, l'unico modo per salvare i possidenti. Se si fossero decisi a ricorrere a queste misure in tempo, evitando di far fronte agli usurai con il ricavato delle rendite fondiarie - che pazzia! -, avremmo in loro cittadini più ricchi e più onesti. Ma credo che questi uomini rappresentino il pericolo minore, perché è possibile farli ricredere oppure, se persistono, mi sembrano capaci di augurarsi la rovina dello Stato, ma non di prendere le armi.

XIX

Alterum genus est eorum, qui quamquam premuntur aere alieno, dominationem tamen expectant, rerum potiri volunt, honores, quos quieta re publica desperant, perturbata se consequi posse arbitrantur. Quibus hoc praecipiendum videtur, unum Scilicet et idem quod reliquis omnibus, ut desperent se id, quod conantur, consequi posse; primum omnium me ipsum vigilare, adesse, providere rei publicae; deinde magnos animos esse in bonis viris, magnam concordiam [maxumam multitudinem], magnas praeterea militum copias; deos denique inmortalis huic invicto populo, clarissimo imperio, pulcherrimae urbi contra tantam vim sceleris praesentis auxilium esse laturos. Quodsi iam sint id, quod summo furore cupiunt, adepti, num illi in cinere urbis et in sanguine civium, quae mente conscelerata ac nefaria concupiverunt, consules se aut dictatores aut etiam reges sperant futuros? Non vident id se cupere, quod si adepti sint, fugitivo alicui aut gladiatori concedi sit necesse?

La seconda categoria si compone di individui che, per quanto oberati dai debiti, mirano al potere, vogliono arrivare in alto e si illudono di poter conquistare con la rivoluzione quelle cariche cui non aspirerebbero in una situazione di pace interna. È mio dovere dar loro un consiglio, lo stesso che, naturalmente, darei a tutti gli altri: non sperino di poter realizzare la loro impresa. Per prima cosa, ci sono io a vigilare, a intervenire, a provvedere allo Stato. In secondo luogo, nei cittadini onesti è grande il coraggio, grande l'unanimità, grandissimo il loro numero e grandi, inoltre, le milizie. Infine, gli dèi immortali verranno in aiuto di questo popolo invitto, di questo impero glorioso, di questa città straordinaria contro l'immane violenza del male presente. Se poi riuscissero a ottenere quel che desiderano in un'estrema esaltazione, sperano forse di diventar consoli, dittatori o addirittura re sulle ceneri di Roma e sul sangue dei cittadini, come hanno bramato nella loro mente scellerata e perversa? Non si accorgono di aspirare a un potere che, se lo ottenessero, dovrebbero inevitabilmente cedere a un qualsiasi schiavo fuggitivo o a un gladiatore?

XX

Tertium genus est aetate iam adfectum, sed tamen exercitatione robustum; quo ex genere iste est Manlius, cui nunc Catilina succedit. Hi sunt homines ex iis coloniis, quas Sulla constituit; quas ego universas civium esse optimorum et fortissimorum virorum sentio, sed tamen ii sunt coloni, qui se in insperatis ac repentinis pecuniis sumptuosius insolentiusque iactarunt. Hi dum aedificant tamquam beati, dum praediis lectis, familiis magnis, conviviis apparatis delectantur, in tantum aes alienum inciderunt, ut, si salvi esse velint, Sulla sit iis ab inferis excitandus; qui etiam non nullos agrestis homines tenues atque egentes in eandem illam spem rapinarum veterum impulerunt. Quos ego utrosque in eodem genere praedatorum direptorumque pono, sed eos hoc moneo, desinant furere ac proscriptiones et dictaturas cogitare. Tantus enim illorum temporum dolor inustus est civitati, ut iam ista non modo homines, sed ne pecudes quidem mihi passurae esse videantur.

La terza categoria è formata da uomini ormai anziani, ma robusti per la continua attività. Appartiene a questa categoria Manlio, cui ora subentra nel comando Catilina. Sono uomini che provengono dalle colonie fondate da Silla, abitate in prevalenza, come mi risulta, dai cittadini migliori e dagli uomini più validi; ma i coloni di cui parlo, trovandosi in un benessere insperato e improvviso, si sono dati allo sperpero e all'arroganza. Costruiscono come se fossero dei ricconi, si danno alla bella vita in proprietà modello, tra un gran numero di schiavi e in conviti sfarzosi; così, si sono riempiti di debiti al punto che, se volessero risollevarsi, dovrebbe chiamare Silla dall'aldilà! Hanno spinto anche dei contadini, gente semplice e squattrinata, a sperare in rapine come quelle del passato. Entrambi li annovero nella categoria dei ladri e dei rapinatori. Ma li avverto: smettano di delirare e di pensare a proscrizioni e dittature. Il dolore di quei giorni ha inciso così profondamente sulla collettività che non solo gli esseri umani, ma neppure le bestie, credo, ne sopporterebbero il ritorno!

XXI

Quartum genus est sane varium et mixtum et turbulentum; qui iam pridem premuntur, qui numquam emergunt, qui partim inertia, partim male gerendo negotio, partim etiam sumptibus in vetere aere alieno vacillant, qui vadimoniis, iudiciis, proscriptione bonorum defetigati permulti et ex urbe et ex agris se in illa castra conferre dicuntur. Hosce ego non tam milites acris quam infitiatores lentos esse arbitror. Qui homines quam primum, si stare non possunt, corruant sed ita, ut non modo civitas, sed ne vicini quidem proximi sentiant. Nam illud non intellego, quam ob rem, si vivere honeste non possunt, perire turpiter velint, aut cur minore dolore perituros se cum multis quam si soli pereant, arbitrentur.

La quarta categoria è davvero varia, composita e confusa, gente da tempo rovinata che non si risolleva mai, che sotto il peso di antichi debiti vacilla per inettitudine, per incapacità di gestire i propri interessi, anche per spreco. Si dice che, stanchi di citazioni, processi, confische, affluiscano in gran numero nell'accampamento di Catilina dalla città e dalla campagna. Più che soldati coraggiosi, li considero, per i loro debiti, delle nullità. Questi individui, se non sono in grado di reggersi con le proprie forze, cadano a terra quanto prima, ma senza recar il minimo disturbo alla cittadinanza e ai loro più stretti vicini! Non capisco perché, se non sono capaci di vivere con onestà, vogliano morire nella vergogna, né perché considerino meno doloroso morire in tanti piuttosto che da soli.

XXII

Quintum genus est parricidarum, sicariorum, denique omnium facinerosorum. Quos ego a Catilina non revoco; nam neque ab eo divelli possunt et pereant sane in latrocinio quoniam sunt ita multi, ut eos carcer capere non possit. Postremum autem genus est non solum numero verum etiam genere ipso atque vita, quod proprium Catilinae est, de eius dilectu, immo vero de complexu eius ac sinu; quos pexo capillo nitidos aut inberbis aut bene barbatos videtis, manicatis et talaribus tunicis velis amictos, non togis; quorum omnis industria vitae et vigilandi labor in antelucanis cenis expromitur.

La quinta categoria è degli assassini, dei sicari, in una parola di tutti i delinquenti. Non li voglio staccare da Catilina, perché non sanno separarsi da lui. E allora muoiano da banditi! Sono in troppi perché il carcere possa contenerli tutti! L'ultima categoria, poi, non solo nell'ordine, ma anche nello stile di vita, è quella cui appartiene Catilina e comprende uomini scelti da lui, diciamo meglio i suoi fidi. Li avete sotto gli occhi: senza un capello fuori posto, cosparsi di unguenti, imberbi o con la barba ben tagliata, vestiti di tuniche sino alla caviglia e con le maniche lunghe, avvolti da veli e non dalla toga. Tutta la loro energia, tutto lo sforzo di stare svegli li impiegano in bagordi notturni.

XXIII

In his gregibus omnes aleatores, omnes adulteri, omnes inpuri inpudicique versantur. Hi pueri tam lepidi ac delicati non solum amare et amari neque saltare et cantare, sed etiam sicas vibrare et spargere venena didicerunt. Qui nisi exeunt, nisi pereunt, etiamsi Catilina perierit, scitote hoc in re publica seminarium Catilinarum futurum. Verum tamen quid sibi isti miseri volunt? num suas secum mulierculas sunt in castra ducturi? Quem ad modum autem illis carere poterunt, his praesertim iam noctibus? Quo autem pacto illi Appenninum atque illas pruinas ac nives perferent? nisi idcirco se facilius hiemem toleraturos putant, quod nudi in conviviis saltare didicerunt.

In questa masnada annovero tutti i giocatori d'azzardo, tutti i dissoluti e gli svergognati. Questi "fanciulli" così graziosi e delicati hanno imparato non solo ad amare e a essere amati, a danzare e cantare, ma anche a brandire pugnali e somministrare veleni. Se non se ne vanno, se non muoiono, sappiate che, anche nel caso in cui Catilina dovesse morire, rimarranno loro, i Catilina in erba! Ma, in fondo, che cosa vogliono questi pusillanimi? Portarsi dietro nell'accampamento le loro donnine? Come potranno rinunciarvi in notti così lunghe? E come affronteranno l'Appennino, con il suo gelo e la sua neve? A meno che non siano convinti di resistere all'inverno meglio degli altri perché sanno danzare nudi nei festini!

XXIV

O bellum magno opere pertimescendum, cum hanc sit habiturus Catilina scortorum cohortem praetoriam! Instruite nunc, Quirites, contra has tam praeclaras Catilinae copias vestra praesidia vestrosque exercitus. Et primum gladiatori illi confecto et saucio consules imperatoresque vestros opponite; deinde contra illam naufragorum eiectam ac debilitatam manum florem totius Italiae ac robur educite. Iam vero urbes coloniarum ac municipiorum respondebunt Catilinae tumulis silvestribus. Neque ego ceteras copias, ornamenta, praesidia vestra cum illius latronis inopia atque egestate conferre debeo.

Che terrore di questa guerra, se Catilina disporrà di una simile coorte pretoria! Ora, Quiriti, schierate le vostre guarnigioni e i vostri eserciti contro le intrepide milizie di Catilina e, per prima cosa, opponete i vostri consoli e comandanti a quel gladiatore stremato e ferito! Fate scendere in campo il fior fiore, il nerbo dell'Italia intera contro quel pugno di naufraghi esausti, sbattuti dalle onde! Colonie e municipi sapranno senz'altro rispondere alle imboscate di Catilina! Non è il caso, poi, che confronti tutte le forze di cui disponete, i vostri equipaggiamenti e le vostre risorse alla mancanza di mezzi, alla miseria di quel bandito.

XXV

Sed si omissis his rebus, quibus nos suppeditamur, eget ille, senatu, equitibus Romanis, urbe, aerario, vectigalibus, cuncta Italia, provinciis omnibus, exteris nationibus, si his rebus omissis causas ipsas, quae inter se confligunt, contendere velimus, ex eo ipso, quam valde illi iaceant, intellegere possumus. Ex hac enim parte pudor pugnat, illinc petulantia; hinc pudicitia, illinc stuprum; hinc fides, illinc fraudatio; hinc pietas, illinc scelus; hinc constantia, illinc furor; hinc honestas, illinc turpitudo; hinc continentia, illinc lubido; denique aequitas, temperantia, fortitudo, prudentia, virtutes omnes certant cum iniquitate, luxuria, ignavia, temeritate, cum vitiis omnibus; postremo copia cum egestate, bona ratio cum perdita, mens sana cum amentia, bona denique spes cum omnium rerum desperatione confligit. In eius modi certamine ac proelio nonne, si hominum studia deficiant, di ipsi inmortales cogant ab his praeclarissimis virtutibus tot et tanta vitia superari?

Ma se, tralasciando tutto ciò di cui siamo provvisti e di cui lui è privo, intendo dire il Senato, i cavalieri, la città, il tesoro pubblico, le rendite statali, l'Italia intera, tutte le province, gli stati esteri, se, tralasciando tutto ciò, volessimo confrontare semplicemente le due cause avverse, solo questo sarebbe sufficiente a farci capire quanto siano a terra! Dalla nostra parte combatte la moderazione, dalla loro l'insolenza; qui la pudicizia, là la vergogna; qui la lealtà, là l'inganno; qui il timore degli dèi, là l'empietà; qui la coerenza, là la follia; qui l'onore, là l'infamia; qui la moderazione, là la sfrenatezza; infine l'equità, la temperanza, il coraggio, la saggezza, insomma tutte le virtù combattono contro l'ingiustizia, la sfrenatezza, la viltà, la temerarietà, insomma contro tutti i vizi. Infine, la ricchezza si oppone alla povertà, l'ordine alla rivoluzione, la ragione alla pazzia e, per concludere, la speranza a una generale disperazione. In un tale conflitto, in un tale scontro, se gli sforzi umani fossero insufficienti, non interverrebbero forse gli dèi immortali a far trionfare le più nobili virtù su tanti e tali vizi?

XXVI

Quae cum ita sint, Quirites, vos, quem ad modum iam antea dixi, vestra tecta vigiliis custodiisque defendite; mihi, ut urbi sine vestro motu ac sine ullo tumultu satis esset praesidii, consultum atque provisum est. Coloni omnes municipesque vestri certiores a me facti de hac nocturna excursione Catilinae facile urbes suas finesque defendent; gladiatores, quam sibi ille manum certissimam fore putavit, quamquam animo meliore sunt quam pars patriciorum, potestate tamen nostra continebuntur. Q. Metellus, quem ego hoc prospiciens in agrum Gallicum Picenumque praemisi, aut opprimet hominem aut eius omnis motus conatusque prohibebit. Reliquis autem de rebus constituendis maturandis, agendis iam ad senatum referemus, quem vocari videtis.

Questa è la situazione, Quiriti: difendete, come avete fatto finora, le vostre case con turni di guardia. Io ho disposto misure sufficienti a tutelare la sicurezza in città: non avrete nulla da temere; non ci sarà nessun disordine. Tutte le colonie e i municipi sono stati da me informati della partenza notturna di Catilina: difenderanno senza difficoltà le loro città e i loro territori. I gladiatori, una schiera su cui Catilina contava moltissimo, saranno controllati dalle nostre forze, benché siano più coraggiosi di certi patrizi. Quinto Metello, che ho inviato in Gallia e nel Piceno prevedendo questa situazione, schiaccerà Catilina o renderà vano ogni suo movimento e ogni sua azione. Quanto alle altre decisioni da prendere, da preparare, da eseguire ne riferirò al Senato, che, come vedete, ho proceduto a convocare.

XXVII

Nunc illos, qui in urbe remanserunt, atque adeo qui contra urbis salutem omniumque vestrum in urbe a Catilina relicti sunt, quamquam sunt hostes, tamen, quia [nati] sunt cives, monitos etiam atque etiam volo. Mea lenitas adhuc si cui solutior visa est, hoc expectavit, ut id, quod latebat, erumperet. Quod reliquum est, iam non possum oblivisci meam hanc esse patriam, me horum esse consulem, mihi aut cum his vivendum aut pro his esse moriendum. Nullus est portis custos, nullus insidiator viae; si qui exire volunt, conivere possum; qui vero se in urbe commoverit, cuius ego non modo factum, sed inceptum ullum conatumve contra patriam deprehendero, sentiet in hac urbe esse consules vigilantis, esse egregios magistratus, esse fortem senatum, esse arma, esse carcerem, quem vindicem nefariorum ac manifestorum scelerum maiores nostri esse voluerunt.

Ora, a coloro che sono rimasti in città, anzi a coloro che Catilina ha lasciato in città a minacciare la città stessa e la vita di tutti voi, voglio dare ancora una volta un avvertimento; sono nemici, è vero, ma cittadini di nascita. L'indulgenza che ho mostrato finora, se poteva sembrare debolezza, era finalizzata a smascherare quel che stava nascosto. Ma ormai non posso più dimenticare che questa è la mia patria, che io sono il vostro console, che devo vivere con voi o morire per voi. Non ci sono guardie alle porte, non ci sono insidie per strada: se vogliono partire, posso far finta di niente. Ma se qualcuno creerà disordini in città, se lo scoprirò non solo ad attuare, ma solo a tentare un'azione eversiva, imparerà a sue spese che a Roma ci sono consoli attenti, magistrati egregi, un Senato forte, armi, un carcere voluto dai nostri antenati per punire gli empi reati che siano stati colti in flagrante.

XXVIII

Atque haec omnia sic agentur, Quirites, ut maxumae. res minimo motu, pericula summa nullo tumultu, bellum intestinum ac domesticum post hominum memoriam crudelissimum et maximum me uno togato duce et imperatore sedetur. Quod ego sic administrabo, Quirites, ut, si ullo modo fieri poterit, ne inprobus quidem quisquam in hac urbe poenam sui sceleris sufferat. Sed si vis manifestae audaciae, si inpendens patriae periculum me necessario de hac animi lenitate deduxerit, illud profecto perficiam, quod in tanto et tam insidioso bello vix optandum videtur, ut neque bonus quisquam intereat paucorumque poena vos omnes salvi esse possitis.

Tutti questi provvedimenti, Quiriti, saranno presi in modo che la peggiore delle crisi sarà risolta con il minimo intervento, i pericoli più gravi superati senza disordini e la guerra civile più feroce e più vasta a memoria d'uomo sedata da me solo, unico generale in toga. Controllerò la situazione, Quiriti, in modo che, se mi sarà possibile, nessun colpevole sconti qui a Roma la pena del suo reato. Ma se la flagranza di un attentato o l'incombere di un pericolo pubblico mi costringessero ad abbandonare la mia indulgenza, otterrò senza dubbio un risultato difficilmente auspicabile in un conflitto tanto vasto e insidioso: nessun uomo onesto morirà, tutti sarete salvi a prezzo del supplizio di pochi.

XXIX

Quae quidem ego neque mea prudentia neque humanis consiliis fretus polliceor vobis, Quirites, sed multis et non dubiis deorum inmortalium significationibus, quibus ego ducibus in hanc spem sententiamque sum ingressus; qui iam non pro cul, ut quondam Solebant, ab externo hoste atque longinquo, sed hic praesentes suo numine atque auxilio sua templa atque urbis tecta defendunt. Quos vos, Quirites, precari, venerari, implorare debetis, ut, quam urbem pulcherrimam florentissimamque esse voluerunt, hanc omnibus hostium copiis terra marique superatis a perditissimorum civium nefario scelere defendant.

Vi prometto simili risultati non perché io confidi nella mia capacità di previsione o nell'intelligenza umana, Quiriti, ma perché gli dèi immortali con molti e inequivocabili segni mi hanno ispirato questa speranza e questa opinione. Gli dèi, con il loro potere divino, difendono i templi e le case di Roma non da lontano, come solevano fare un tempo contro nemici esterni, ma standoci accanto. Pregateli, Quiriti, adorateli e implorateli perché proteggano dal crimine scellerato dei cittadini più abietti questa città, che hanno voluto la più bella, rigogliosa e potente, oggi che tutti gli eserciti nemici, per terra e per mare, sono stati schiacciati.