I
L. Domitio Ap. Claudio consulibus, discedens ab hibernis
Caesar in Italiam, ut quotannis facere consuerat, legatis imperat quos
legionibus praefecerat uti quam plurimas possent hieme naves aedificandas
veteresque reficiendas curarent. Earum modum formamque demonstrat. Ad celeritatem onerandi
subductionesque paulo facit humiliores quam quibus in nostro mari uti
consuevimus, atque id eo magis, quod propter crebras commutationes aestuum
minus magnos ibi fluctus fieri cognoverat; ad onera, ad multitudinem
iumentorum transportandam paulo latiores quam quibus in reliquis utimur
maribus. Has omnes actuarias imperat fieri, quam ad rem multum humilitas
adiuvat. Ea quae sunt usui ad armandas naves ex Hispania apportari iubet.
Ipse conventibus Galliae citeribris peractis in Illyricum proficiscitur,
quod a Pirustis finitimam partem provinciae incursionibus vastari audiebat.
Eo cum venisset, civitatibus milites imperat certumque in locum convenire
iubet. Qua re nuntiata Pirustae legatos ad eum mittunt qui doceant nihil
earum rerum publico factum consilio, seseque paratos esse demonstrant
omnibus rationibus de iniuriis satisfacere. Accepta oratione eorum Caesar
obsides imperat eosque ad certam diem adduci iubet; nisi ita fecerint, sese
bello civitatem persecuturum demonstrat. Eis ad diem adductis, ut imperaverat, arbitros
inter civitates dat qui litem aestiment poenamque constituant.
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Sotto il consolato di L. Domizio e Ap. Claudio, Cesare,
al momento di lasciare i quartieri invernali per recarsi in Italia, come di
consueto ogni anno, ordina ai legati preposti alle legioni di costruire,
durante l'inverno, il maggior numero possibile di navi e di riparare le
vecchie. Ne indica la struttura e la forma: per garantire rapide operazioni
di imbarco e per tirarle con facilità in secco, le costruisce lievemente
più basse delle navi di solito impiegate nel nostro mare e, tanto più
perché aveva saputo che qui, per il frequente alternarsi delle maree, le
onde sono meno alte, allo scopo di facilitare il trasporto del carico e dei
giumenti, le rende un po' più larghe delle imbarcazioni che usiamo negli
altri mari. Ordina di costruirle tutte leggere, e a tale scopo
contribuiscono molto i bordi bassi. Comanda di far pervenire dalla Spagna
tutto il necessario per equipaggiarle. Dal canto suo, tenute le sessioni
giudiziarie in Gallia cisalpina, parte per l'Illirico, perché aveva sentito
che i Pirusti, con scorrerie, stavano devastando le regioni di confine
della nostra provincia. Una volta sul posto, chiede alle popolazioni truppe
in rinforzo e ordina di concentrarle in un luogo stabilito. I Pirusti,
appena lo sanno, inviano a Cesare emissari: gli spiegano che tutto era
accaduto senza una deliberazione ufficiale e si dichiarano pronti a
qualsiasi risarcimento dei danni. Dopo averli ascoltati, Cesare esige
ostaggi e fissa il giorno della consegna; in caso contrario, dichiara che
avrebbe mosso guerra. Secondo gli ordini, consegnano gli ostaggi il giorno
stabilito ed egli, per dirimere le controversie tra le città, nomina dei
giudici incaricati di calcolare i danni e di stabilire i risarcimenti.
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II
His confectis rebus conventibusque peractis, in
citeriorem Galliam revertitur atque inde ad exercitum proficiscitur. Eo cum
venisset, circuitis omnibus hibernis, singulari militum studio in summa
omnium rerum inopia circiter sescentas eius generis cuius supra
demonstravimus naves et longas XXVIII invenit instructas neque multum
abesse ab eo quin paucis diebus deduci possint. Collaudatis militibus atque
eis qui negotio praefuerant, quid fieri velit ostendit atque omnes ad
portum Itium convenire iubet, quo ex portu commodissimum in Britanniam
traiectum esse cognoverat, circiter milium passuum XXX transmissum a
continenti: huic rei quod satis esse visum est militum reliquit. Ipse cum
legionibus expeditis IIII et equitibus DCCC in fines Treverorum
proficiscitur, quod hi neque ad concilia veniebant neque imperio parebant
Germanosque Transrhenanos sollicitare dicebantur.
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Dopo tali provvedimenti e tenute le sessioni
giudiziarie, Cesare ritorna nella Gallia cisalpina e, da qui, parte alla
volta dell'esercito. Appena giunto, ispeziona tutti i campi invernali e
trova che, nonostante la carenza estrema di materiale, i soldati, grazie al
loro straordinario impegno, avevano costruito circa seicento imbarcazioni
del tipo già descritto e ventotto navi da guerra, in grado di essere varate
entro pochi giorni. Elogiati i soldati e gli ufficiali preposti ai lavori,
impartisce le istruzioni e ordina a tutti di radunarsi a Porto Izio, da
dove sapeva che il passaggio in Britannia era assai agevole, perché la
distanza dal continente era di circa trenta miglia: lasciò un presidio
giudicato sufficiente per tale operazione. Egli, alla testa di quattro
legioni senza bagagli e di ottocento cavalieri, punta sui territori dei
Treveri, popolo che non si presentava alle assemblee, non ubbidiva agli
ordini e, a quel che si diceva, sollecitava l'intervento dei Germani
d'oltre Reno.
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III
Haec civitas longe plurimum totius Galliae equitatu
valet magnasque habet copias peditum Rhenumque, ut supra demonstravimus,
tangit. In ea civitate duo de principatu inter se contendebant,
Indutiomarus et Cingetorix; e quibus alter, simul atque de Caesaris
legionumque adventu cognitum est, ad eum venit, se suosque omnes in officio
futuros neque ab amicitia populi Romani defecturos confirmavit quaeque in
Treveris gererentur ostendit. At Indutiomarus equitatum peditatumque
cogere, eisque qui per aetatem in armis esse non poterant in silvam
Arduennam abditis, quae ingenti magnitudine per medios fines Treverorum a
flumine Rheno ad initium Remorum pertinet, bellum parare instituit. Sed
posteaquam nonnulli principes ex ea civitate et familiaritate Cingetorigis
adducti et adventu nostri exercitus perterriti ad Caesarem venerunt et de suis
privatim rebus ab eo petere coeperunt, quoniam civitati consulere non
possent, veritus ne ab omnibus desereretur Indutiomarus legatos ad Caesarem
mittit: sese idcirco ab suis discedere atque ad eum venire noluisse, quo
facilius civitatem in officio contineret, ne omnis nobilitatis discessu
plebs propter imprudentiam laberetur: itaque esse civitatem in sua
potestate, seseque, si Caesar permitteret, ad eum in castra venturum, suas
civitatisque fortunas eius fidei permissurum.
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I Treveri possiedono, tra tutti i Galli, la cavalleria
più forte in assoluto e una fanteria numerosa. I loro territori
raggiungono, come si è detto in precedenza, il Reno. Tra i Treveri due
uomini lottavano per il potere: Induziomaro e Cingetorige. Quest'ultimo,
non appena giunge notizia dell'arrivo di Cesare con le legioni, gli si
presenta e, confermandogli che lui e tutti i suoi avrebbero rispettato gli
impegni assunti senza tradire l'amicizia del popolo romano, lo mette al
corrente della situazione. Induziomaro, invece, inizia a raccogliere
cavalieri e fanti e a prepararsi alla guerra; chi, per ragioni d'età, non
poteva combattere, era stato posto al sicuro nella selva delle Ardenne, una
foresta enorme, che dal Reno attraverso la regione dei Treveri si estende
sino al confine dei Remi. Ma quando alcuni principi dei Treveri, spinti dai
loro legami di amicizia con Cingetorige e spaventati dall'arrivo del nostro
esercito, si recarono da Cesare e, non potendo provvedere per la nazione,
cominciarono a presentargli richieste per se stessi, anche Induziomaro, nel
timore di rimaner completamente solo, gli inviò emissari: non aveva voluto
abbandonare i suoi e presentarsi di persona a Cesare soltanto per poter
garantire, con maggior facilità, il rispetto degli impegni assunti; c'era
il rischio che il popolo, una volta lontani tutti i nobili, commettesse
imprudenze; i Treveri, dunque, erano sotto la sua autorità ed egli, se
Cesare lo permetteva, si sarebbe recato nell'accampamento romano per porre
se stesso e la propria gente sotto la sua protezione.
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IV
Caesar, etsi intellegebat qua de causa ea dicerentur
quaeque eum res ab instituto consilio deterreret, tamen, ne aestatem in
Treveris consumere cogeretur omnibus ad Britannicum bellum rebus
comparatis, Indutiomarum ad se cum CC obsidibus venire iussit. His
adductis, in eis filio propinquisque eius omnibus, quos nominatim
evocaverat, consolatus Indutiomarum hortatusque est uti in officio maneret;
nihilo tamen setius principibus Treverorum ad se convocatis hos singillatim
Cingetorigi conciliavit, quod cum merito eius a se fieri intellegebat, tum
magni interesse arbitrabatur eius auctoritatem inter suos quam plurimum
valere, cuius tam egregiam in se voluntatem perspexisset. Id tulit factum
graviter Indutiomarus, suam gratiam inter suos minui, et, qui iam ante
inimico in nos animo fuisset, multo gravius hoc dolore exarsit.
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Cesare, anche se capiva i motivi che avevano spinto
Induziomaro a parlare in tali termini e che cosa lo inducesse a rinunciare
al piano intrapreso, tuttavia, per non trovarsi costretto, con la
spedizione per la Britannia già pronta, a passare l'estate nelle terre dei
Treveri, gli ordinò di presentarsi con duecento ostaggi. Dopo che
Induziomaro ebbe consegnato gli ostaggi, tra cui suo figlio e tutti i suoi
parenti, espressamente richiesti, Cesare lo trattò con benevolenza, lo
invitò a rispettare gli impegni; comunque, convocati i capi dei Treveri, li
riconciliò uno a uno con Cingetorige, non solo in considerazione dei meriti
da lui acquisiti, ma anche perché riteneva molto importante favorire al
massimo l'autorità di Cingetorige tra i Treveri, data la straordinaria
devozione del Gallo nei suoi confronti. Fu un duro colpo per Induziomaro
veder diminuito il suo prestigio tra i Treveri: se già prima il suo animo
ci era ostile, adesso l'ira lo inasprì maggiormente.
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V
His
rebus constitutis Caesar ad portum Itium cum legionibus pervenit. Ibi
cognoscit LX naves, quae in Meldis factae erant, tempestate reiectas cursum
tenere non potuisse atque eodem unde erant profectae revertisse; reliquas
paratas ad navigandum atque omnibus rebus instructas invenit. Eodem
equitatus totius Galliae convenit, numero milium quattuor, principesque ex
omnibus civitatibus; ex quibus perpaucos, quorum in se fidem perspexerat,
relinquere in Gallia, reliquos obsidum loco secum ducere decreverat, quod,
cum ipse abesset, motum Galliae verebatur.
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Sistemata la questione, Cesare con le legioni raggiunse
Porto Izio. Qui apprese che sessanta navi, costruite nelle terre dei Meldi,
erano state respinte da una tempesta e non avevano potuto tenere la rotta,
per cui erano rientrate alla base di partenza; trovò, però, le altre pronte
a salpare ed equipaggiate di tutto punto. Qui lo raggiunsero contingenti di
cavalleria da ogni parte della Gallia, per un complesso di circa
quattromila uomini, insieme ai principi dei vari popoli: ne lasciò in
Gallia ben pochi, quelli di provata lealtà; gli altri aveva deliberato di
portarseli dietro in qualità di ostaggi, perché temeva, in sua assenza, una
sollevazione della Gallia.
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VI
Erat una cum ceteris Dumnorix Aeduus, de quo ante ab
nobis dictum est. Hunc secum habere in primis constituerat, quod eum
cupidum rerum novarum, cupidum imperi, magni animi, magnae inter Gallos
auctoritatis cognoverat. Accedebat huc quod in concilio Aeduorum Dumnorix
dixerat sibi a Caesare regnum civitatis deferri; quod dictum Aedui graviter
ferebant, neque recusandi aut deprecandi causa legatos ad Caesarem mittere
audebant. Id factum ex suis
hospitibus Caesar cognoverat. Ille omnibus primo precibus petere
contendit ut in Gallia relinqueretur, partim quod insuetus navigandi mare
timeret, partim quod religionibus impediri sese diceret. Posteaquam id
obstinate sibi negari vidit, omni spe impetrandi adempta principes Galliae
sollicitare, sevocare singulos hortarique coepit uti in continenti
remanerent: metu territare: non sine causa fieri, ut Gallia omni nobilitate
spoliaretur; id esse consilium Caesaris, ut quos in conspectu Galliae
interficere vereretur, hos omnes in Britanniam traductos necaret; fidem
reliquis interponere, iusiurandum poscere, ut quod esse ex usu Galliae
intellexissent communi consilio administrarent. Haec a compluribus ad
Caesarem deferebantur.
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Tra gli altri c'era l'eduo Dumnorige, di cui abbiamo già
parlato. Fu uno dei primi che Cesare decise di tenere con sé, conoscendone
il desiderio di rivolgimento, l'ambizione di comandare, la forza d'animo e
il grande prestigio tra i Galli. Inoltre, nell'assemblea degli Edui,
Dumnorige aveva detto che Cesare gli aveva offerto il regno: ciò non
piaceva affatto agli Edui, ma non osavano inviare messi a Cesare per
opporsi o per invitarlo a desistere. Della faccenda Cesare era stato
informato dai suoi ospiti. Dumnorige, in un primo tempo, ricorse a ogni
sorta di preghiere per riuscire a restare in Gallia: disse di aver paura del
mare, inesperto com'era di navigazione, addusse come scusa un impedimento
d'ordine religioso. Quando vide le sue richieste tenacemente respinte,
persa ogni speranza di raggiungere il suo scopo, cominciò a sobillare i
principi della Gallia e a terrorizzarli; li prendeva in disparte, li
spingeva a non lasciare il continente: non era un caso se la Gallia veniva
privata di tutti i nobili; si trattava di un piano di Cesare, che, non
avendo il coraggio di eliminarli sotto gli occhi dei Galli, li portava in
Britannia per ucciderli; come garanzia per loro, Dumnorige dava la propria
parola, ma ne esigeva la promessa, con giuramento solenne, di provvedere di
comune accordo a ciò che ritenevano l'interesse della Gallia. Le mosse di
Dumnorige vennero riferite a Cesare da più d'uno.
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VII
Qua re cognita Caesar, quod tantum civitati Aeduae
dignitatis tribuebat, coercendum atque deterrendum quibuscumque rebus
posset Dumnorigem statuebat; quod longius eius amentiam progredi videbat,
prospiciendum, ne quid sibi ac rei publicae nocere posset. Itaque dies
circiter XXV in eo loco commoratus, quod Corus ventus navigationem
impediebat, qui magnam partem omnis temporis in his locis flare consuevit,
dabat operam ut in officio Dumnorigem contineret, nihilo tamen setius omnia
eius consilia cognosceret: tandem idoneam nactus tempestatem milites
equitesque conscendere in naves iubet. At omnium impeditis animis Dumnorix
cum equitibus Aeduorum a castris insciente Caesare domum discedere coepit.
Qua re nuntiata Caesar intermissa profectione atque omnibus rebus
postpositis magnam partem equitatus ad eum insequendum mittit retrahique
imperat; si vim faciat neque pareat, interfici iubet, nihil hunc se absente
pro sano facturum arbitratus, qui praesentis imperium neglexisset. Ille
enim revocatus resistere ac se manu defendere suorumque fidem implorare
coepit, saepe clamitans liberum se liberaeque esse civitatis. Illi, ut erat
imperatum, circumsistunt hominem atque interficiunt: at equites Aedui ad
Caesarem omnes revertuntur.
|
Non appena lo seppe, Cesare, in quanto attribuiva molto
prestigio al popolo eduo, stimava necessario tenere a freno e dissuadere
Dumnorige con qualsiasi mezzo. E vedendo che la follia del Gallo non faceva
che crescere sempre di più, passò alle misure necessarie per evitare danni
a sé e alla repubblica. Così, nel periodo in cui fu costretto a rimanere a
Porto Izio, circa venticinque giorni, perché il vento coro, che in quella
regione soffia pressoché costante in ogni epoca dell'anno, impediva la
navigazione, Cesare si adoperava per tenere al suo posto Dumnorige e per
conoscerne, al tempo stesso, tutti i piani. Alla fine, sfruttando il tempo
propizio alla navigazione, ordina ai soldati e ai cavalieri di imbarcarsi.
Ma mentre tutti erano intenti a tale operazione, Dumnorige, alla testa dei
cavalieri edui, si allontana dal campo e si dirige in patria, all'insaputa
di Cesare. Appena informato, sospesa la partenza e rimandata ogni altra
faccenda, Cesare lancia all'inseguimento di Dumnorige il grosso della
cavalleria e comanda di ricondurlo all'accampamento; se si fosse ribellato
e non avesse eseguito gli ordini, dà disposizione di ucciderlo, non
attendendosi nulla di sensato, in propria assenza, da un uomo che aveva
dissubbidito al suo cospetto. All'intimazione di tornare indietro, Dumnorige
comincia a opporre resistenza, si difende con la forza, scongiura i suoi di
osservare i patti, proclamandosi più volte, a gran voce, uomo libero di un
popolo libero. I Romani, conforme agli ordini, lo circondano e lo uccidono:
tutti i cavalieri edui ritornano da Cesare.
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VIII
His rebus gestis, Labieno in continente cum tribus
legionibus et equitum milibus duobus relicto ut portus tueretur et rem
frumentariam provideret quaeque in Gallia gererentur cognosceret
consiliumque pro tempore et pro re caperet, ipse cum quinque legionibus et
pari numero equitum, quem in continenti reliquerat, ad solis occasum naves
solvit et leni Africo provectus media circiter nocte vento intermisso
cursum non tenuit, et longius delatus aestu orta luce sub sinistra Britanniam
relictam conspexit. Tum rursus aestus commutationem secutus remis contendit
ut eam partem insulae caperet, qua optimum esse egressum superiore aestate
cognoverat. Qua in re admodum fuit militum virtus laudanda, qui vectoriis
gravibusque navigiis non intermisso remigandi labore longarum navium cursum
adaequarunt. Accessum est ad Britanniam omnibus navibus meridiano fere
tempore, neque in eo loco hostis est visus; sed, ut postea Caesar ex
captivis cognovit, cum magnae manus eo convenissent, multitudine navium
perterritae, quae cum annotinis privatisque quas sui quisque commodi
fecerat amplius octingentae uno erant visae tempore, a litore discesserant
ac se in superiora loca abdiderant.
|
Dopo tali avvenimenti, Cesare lasciò Labieno sul
continente con tre legioni e duemila cavalieri, per difendere i porti,
provvedere alle scorte di grano, tenersi al corrente della situazione in
Gallia e prendere decisioni sulla base del momento e delle circostanze. Dal
canto suo, salpò alla testa di cinque legioni e di tanti cavalieri, quanti
ne aveva lasciati in terraferma; fece vela verso il tramonto, al soffio
leggero dell'africo, che però cessò verso mezzanotte, impedendogli di
tenere la rotta: spinto piuttosto lontano dalla marea, all'alba vide che
aveva lasciato la Britannia alla sua sinistra. Allora, sfruttando, adesso,
la marea, che aveva cambiato direzione, a forza di remi cercò di
raggiungere la zona dell'isola che - lo sapeva dall'estate precedente -
consentiva un comodissimo accesso. Nel corso della manovra, veramente lodevole
fu l'impegno dei soldati: pur con navi da trasporto appesantite dai
carichi, senza mai smettere di remare, riuscirono a uguagliare la velocità
delle navi da guerra. Approdò in Britannia con tutte le navi verso
mezzogiorno, senza alcun nemico in vista; come apprese in seguito dai
prigionieri, i Britanni, giunti sul luogo con truppe numerose, erano
rimasti atterriti alla vista della nostra flotta: erano apparse,
contemporaneamente, più di ottocento unità, comprese le navi dell'anno
precedente e le imbarcazioni private che alcuni avevano costruito per
propria comodità. Quindi, i nemici avevano abbandonato il litorale e si
erano rifugiati sulle alture.
|
IX
Caesar eito exercitu et loco castris idoneo capto, ubi
ex captivis cognovit quo in loco hostium copiae consedissent, cohortibus
decem ad mare relictis et equitibus trecentis, qui praesidio navibus
essent, de tertia vigilia ad hostes contendit, eo minus veritus navibus,
quod in litore molli atque aperto deligatas ad ancoram relinquebat, et
praesidio navibus Q. Atrium praefecit. Ipse noctu progressus milia passuum circiter XII hostium copias
conspicatus est. Illi equitatu atque essedis ad flumen progressi ex
loco superiore nostros prohibere et proelium committere coeperuut. Repulsi
ab equitatu se in silvas abdiderunt, locum nacti egregie et natura et opere
munitum, quem domestici belli, ut videbantur, causa iam ante
praeparaverant: nam crebris arboribus succisis omnes introitus erant
praeclusi. Ipsi ex silvis rari propugnabant nostrosque intra munitiones ingredi
prohibebant. At milites legionis
septimae, testudine facta et aggere ad munitiones adiecto, locum ceperunt
eosque ex silvis expulerunt paucis vulneribus acceptis. Sed eos fugientes
longius Caesar prosequi vetuit, et quod loci naturam ignorabat, et quod
magna parte diei consumpta munitioni castrorum tempus relinqui volebat.
|
Cesare provvide allo sbarco dell'esercito e alla scelta
di un luogo adatto per il campo. Non appena dai prigionieri seppe dove si
erano attestate le truppe nemiche, lasciò nella zona costiera dieci coorti
e trecento cavalieri a presidio delle navi e, dopo mezzanotte, mosse contro
i nemici, senza alcun timore per le imbarcazioni, lasciate all'ancora su un
litorale in lieve pendio e senza scogli; lasciò a capo del distaccamento e
delle navi Q. Atrio. Dopo aver percorso, di notte, circa dodici miglia,
Cesare avvistò i nemici, che dalle alture, con la cavalleria e i carri,
avanzarono verso il fiume: qui, stando in posizione più elevata, impedirono
ai nostri di procedere e attaccarono battaglia. Respinti dalla cavalleria,
cercarono rifugio nelle selve, sfruttando una zona egregiamente difesa
dalla conformazione naturale e da fortificazioni allestite già in passato,
probabilmente in occasione di guerre interne: avevano abbattuto molti alberi,
disponendoli in modo da precludere ogni accesso. I Britanni, disseminati
qua e là, combattevano dall'interno delle selve e ostacolavano l'ingresso
dei nostri nella loro roccaforte. Ma i soldati della settima legione, dopo
aver formato la testuggine ed essere riusciti a costruire un terrapieno
fino ai baluardi nemici, presero la postazione dei Britanni e, subendo
poche perdite, li costrinsero a lasciare le selve. Ma Cesare ordinò di non
proseguire l'inseguimento, sia perché non conosceva la zona, sia perché era
già giorno inoltrato e voleva dedicare le ultime ore di luce a rinsaldare
le difese del proprio campo.
|
X
Postridie eius diei mane tripertito milites equitesque
in expeditionem misit, ut eos qui fugerant persequerentur. His aliquantum
itineris progressis, cum iam extremi essent in prospectu, equites a Quinto
Atrio ad Caesarem venerunt, qui nuntiarent superiore nocte maxima coorta
tempestate prope omnes naves adflictas atque in litore eiectas esse, quod
neque ancorae funesque subsisterent, neque nautae gubernatoresque vim
tempestatis pati possent; itaque ex eo concursu navium magnum esse
incommodum acceptum.
|
La mattina successiva, inviò all'inseguimento del nemico
in fuga tre colonne di legionari e cavalieri. I nostri avevano già percorso
un certo tratto ed erano ormai in vista dei primi fuggiaschi, quando alcuni
cavalieri inviati da Q. Atrio raggiunsero Cesare per riferirgli che la
notte precedente era scoppiata una violentissima tempesta: quasi tutte le
navi avevano subito danni ed erano state sbattute sul litorale; non avevano
retto né le ancore, né le gomene; nulla avevano potuto marinai e timonieri
contro la violenza della tempesta: le navi avevano cozzato le une contro le
altre, riportando gravi danni.
|
XI
His rebus cognitis Caesar legiones equitatumque revocari
atque in itinere resistere iubet, ipse ad naves revertitur; eadem fere quae
ex nuntiis litterisque cognoverat coram perspicit, sic ut amissis circiter
XL navibus reliquae tamen refici posse magno negotio viderentur. Itaque ex legionibus fabros deligit et
ex continenti alios arcessi iubet; Labieno scribit, ut quam plurimas posset
eis legionibus, quae sunt apud eum, naves instituat. Ipse, etsi res erat
multae operae ac laboris, tamen commodissimum esse statuit omnes naves
subduci et cum castris una munitione coniungi. In his rebus circiter dies X consumit ne
nocturnis quidem temporibus ad laborem militum intermissis. Subductis
navibus castrisque egregie munitis easdem copias, quas ante, praesidio
navibus reliquit: ipse eodem unde redierat proficiscitur. Eo cum venisset,
maiores iam undique in eum locum copiae Britannorum convenerant summa
imperi bellique administrandi communi consilio permissa Cassivellauno,
cuius fines a maritimis civitatibus fiumen dividit, quod appellatur
Tamesis, a mari circiter milia passuum LXXX. Huic superiore tempore
cum reliquis civitatibus continentia bella intercesserant; sed nostro
adventu permoti Britanni hunc toti bello imperioque praefeceraut.
|
Informato dell'accaduto, Cesare ordina alle legioni e
alla cavalleria di ritornare e di resistere durante il rientro; lui
personalmente raggiunge le navi. Constata, con i suoi occhi, che la
situazione all'incirca corrispondeva alle informazioni ricevute dalla
lettera e dai messi: risultavano perdute circa quaranta navi, ma le altre
sembravano riparabili, sia pur con grandi fatiche. Così, tra i legionari
sceglie dei carpentieri e ne fa arrivare altri dal continente. Scrive a
Labieno di costruire, con le legioni a sua disposizione, quante più navi
possibile. Sebbene l'operazione risultasse molto complicata e faticosa,
decide che la soluzione migliore consisteva nel tirare in secco tutte le
navi e congiungerle all'accampamento con una fortificazione unica. I lavori
richiedono circa dieci giorni, durante i quali i soldati non si concedono
mai una sosta, neppure di notte. Tirate in secco le imbarcazioni e ben
munito il campo, lascia a presidio delle navi le stesse truppe di prima e
ritorna da dove era venuto. Appena giunto, vede che già si erano lì
radunate, ben più numerose di prima, truppe nemiche provenienti da tutte le
regioni: il comando supremo delle operazioni era stato affidato, per
volontà comune, a Cassivellauno, sovrano di una regione separata dai popoli
che abitavano lungo il mare da un fiume chiamato Tamigi e distante dal mare
circa ottanta miglia. In passato, tra Cassivellauno e gli altri popoli
c'era stata continua guerra, ma adesso i Britanni, preoccupati per il
nostro arrivo, gli avevano conferito il comando supremo delle operazioni.
|
XII
Britanniae pars interior ab eis incolitur quos natos in
insula ipsi memoria proditum dicunt, maritima ab eis, qui praedae ac belli
inferendi causa ex Belgio transierunt (qui omnes fere eis nominibus
civitatum appellantur, quibus orti ex civitatibus eo pervenerunt) et bello
illato ibi permanserunt atque agros colere coeperunt. Hominum est infinita
multitudo creberrimaque aedificia fere Gallicis consimilia, pecorum magnus
numerus. Vtuntur aut aere aut
nummo aureo aut taleis ferreis ad certum pondus examinatis pro nummo. Nascitur
ibi plumbum album in mediterraneis regionibus, in maritimis ferrum, sed
eius exigua est copia; aere utuntur importato. Materia cuiusque generis ut
in Gallia est, praeter fagum atque abietem. Leporem et gallinam et anserem
gustare fas non putant; haec tamen alunt animi voluptatisque causa. Loca
sunt temperatiora quam in Gallia, remissioribus frigoribus.
|
Nella parte interna della Britannia gli abitanti,
secondo quanto essi stessi dicono per remota memoria, sono autoctoni,
mentre nelle regioni costiere vivono genti venute dal Belgio a scopo di
bottino e di guerra e che, dopo la guerra, si erano qui insediate dandosi
all'agricoltura: quasi tutte queste genti conservano i nomi dei gruppi di
origine. La popolazione è numerosissima, molto fitte le case, abbastanza
simili alle abitazioni dei Galli, elevato il numero dei capi di bestiame.
Come denaro usano rame o monete d'oro, oppure, in sostituzione, sbarrette
di ferro di un determinato peso. Le regioni dell'interno sono ricche di
stagno, sulla costa si trova ferro, ma in piccola quantità; usano rame
importato. Ci sono alberi d'ogni genere, come in Gallia, tranne faggi e
abeti. La loro religione vieta di mangiare lepri, galline e oche, animali
che essi, comunque, allevano per proprio piacere. Il clima è più temperato
che in Gallia, il freddo meno intenso.
|
XIII
Insula natura
triquetra, cuius unum latus est contra Galliam. Huius lateris alter
angulus, qui est ad Cantium, quo fere omnes ex Gallia naves appelluntur, ad
orientem solem, inferior ad meridiem spectat. Hoc pertinet circiter
mila passuum quingenta. Alterum vergit ad Hispaniam atque occidentem solem;
qua ex parte est Hibernia, dimidio minor, ut aestimatur, quam Britannia,
sed pari spatio transmissus atque ex Gallia est in Britanniam. In hoc medio
cursu est insula, quae appellatur Mona: complures praeterea minores
subiectae insulae existimantur, de quibus insulis nonnulli scripserunt dies
continuos triginta sub bruma esse noctem. Nos nihil de eo percontationibus reperiebamus, nisi certis ex aqua
mensuris breviores esse quam in continenti noctes videbamus. Huius est
longitudo lateris, ut fert illorum opinio, septingentorum milium. Tertium
est contra septentriones; cui parti nulla est obiecta terra, sed eius
angulus lateris maxime ad Germaniam spectat. Hoc milia passuum octingenta
in longitudinem esse existimatur. Ita omnis insula est in circuitu vicies
centum milium passuum.
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L'isola ha forma triangolare, con un lato posto di
fronte alla Gallia: un angolo di questo lato, verso il Canzio, dove
approdano quasi tutte le navi provenienti dalla Gallia, è rivolto a
oriente; l'altro, più basso, guarda a meridione. Questo lato è lungo circa
cinquecento miglia. Un altro lato è volto verso la Spagna e occidente: su
questo versante c'è l'Ibernia, un'isola che si reputa circa la metà della
Britannia e che da essa dista tanto quanto la Britannia stessa dalla
Gallia. A metà strada si trova un'isola chiamata Mona; inoltre, si ritiene
che ci siano molte altre isole minori lungo la costa: alcuni hanno scritto
che in esse, nel periodo del solstizio d'inverno, la notte dura trenta
giorni consecutivi. Noi non siamo riusciti a raccogliere altre notizie in
proposito, malgrado le nostre domande; abbiamo solo constatato che qui le
notti, misurate con precisione mediante clessidre ad acqua, sono più brevi
rispetto al continente. La lunghezza di questo lato, secondo l'opinione
degli autori citati, è di settecento miglia. Il terzo lato è rivolto a
settentrione: nessuna terra gli sta di fronte, ma un suo lembo guarda
essenzialmente verso la Germania. Si ritiene che si estenda per ottocento
miglia. Così, il perimetro totale dell'isola risulta di duemila miglia.
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XIV
Ex his omnibus longe sunt humanissimi qui Cantium
incolunt, quae regio est maritima omnis, neque multum a Gallica differunt
consuetudine. Interiores
plerique frumenta non serunt, sed lacte et carne vivunt pellibusque sunt
vestiti. Omnes vero se Britanni vitro inficiunt, quod caeruleum efficit
colorem, atque hoc horridiores sunt in pugna aspectu; capilloque sunt
promisso atque omni parte corporis rasa praeter caput et labrum superius.
Vxores habent deni duodenique inter se communes et maxime fratres cum
fratribus parentesque cum liberis; sed qui sunt ex his nati, eorum habentur
liberi, quo primum virgo quaeque deducta est.
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Tra tutti i popoli della Britannia, i più civili in
assoluto sono gli abitanti del Canzio, una regione completamente marittima
non molto dissimile per usi e costumi dalla Gallia. Gli abitanti
dell'interno, per la maggior parte, non seminano grano, ma si nutrono di
latte e carne e si vestono di pelli. Tutti i Britanni, poi, si tingono col
guado, che produce un colore turchino, e perciò in battaglia il loro
aspetto è ancor più terrificante; portano i capelli lunghi e si radono in
ogni parte del corpo, a eccezione della testa e del labbro superiore. Hanno
le donne in comune, vivendo in gruppi di dieci o dodici, soprattutto
fratelli con fratelli e genitori con figli; se nascono dei bambini, sono
considerati figli dell'uomo che per primo si è unito alla donna.
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XV
Equites hostium essedariique acriter proelio cum
equitatu nostro in itinere conflixerunt, tamen ut nostri omnibus partibus
superiores fuerint atque eos in silvas collesque compulerint; sed
compluribus interfectis cupidius insecuti nonnullos ex suis amiserunt. At
illi intermisso spatio imprudentibus nostris atque occupatis in munitione
castrorum subito se ex statione pro castris collocati, acriter pugnaverunt,
duabusque missis subsidio cohortibus a Caesare atque eis primis legionum
duarum, cum hae perexiguo intermisso loci spatio inter se constitissent,
novo genere pugnae perterritis nostris per medios audacissime perruperunt
seque inde incolumes receperunt. Eo die Quintus Laberius Durus, tribunus
militum, interficitur. Illi pluribus submissis cohortibus repelluntur.
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I cavalieri e gli essedari nemici si scontrarono
duramente con la nostra cavalleria in marcia, che però ebbe il sopravvento
in ogni settore e li respinse nelle selve e sui colli. I nostri, però, dopo
averne uccisi molti, li inseguirono con eccessiva foga e riportarono alcune
perdite. I Britanni per un po' attesero, poi, all'improvviso, dalle selve
si precipitarono sui nostri, che non se l'aspettavano ed erano intenti ai
lavori di fortificazione: assalite le guardie di fronte all'accampamento,
si batterono accanitamente. Cesare inviò in aiuto due coorti - le prime di
due legioni - che si schierarono a brevissima distanza l'una dall'altra. Ma
mentre i nostri erano atterriti dalla nuova tattica di combattimento degli
avversari, i Britanni, con estrema audacia, sfondarono il fronte tra le due
coorti e, quindi, ripararono in salvo. Quel giorno perde la vita Q. Laberio
Duro, tribuno militare. I nemici vengono respinti grazie all'invio di altre
coorti a rinforzo.
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XVI
Toto hoc in genere pugnae, cum sub oculis omnium ac pro
castris dimicaretur, intellectum est nostros propter gravitatem armorum,
quod neque insequi cedentes possent neque ab signis discedere auderent,
minus aptos esse ad huius generis hostem, equites autem magno cum periculo
proelio dimicare, propterea quod illi etiam consulto plerumque cederent et,
cum paulum ab legionibus nostros removissent, ex essedis desilirent et
pedibus dispari proelio contenderent. Equestris autem proeli ratio et
cedentibus et insequentibus par atque idem periculum inferebat. Accedebat
huc ut numquam conferti sed rari magnisque intervallis proeliarentur
stationesque dispositas haberent, atque alios alii deinceps exciperent,
integrique et recentes defetigatis succederent.
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Nel suo insieme, il tipo di battaglia, svoltasi sotto
gli occhi di tutti, davanti all'accampamento, ci permise di capire che i
nostri non erano preparati ad affrontare un avversario del genere:
appesantiti dall'armamento, i Romani non erano in grado di inseguire i
nemici in fuga, né osavano allontanarsi dalle insegne. I cavalieri, poi,
correvano grossi rischi nella mischia, perché gli avversari per lo più
cedevano, anche di proposito: quando erano riusciti a portare i nostri
cavalieri abbastanza lontano dalle legioni, scendevano dai carri e, a
piedi, combattevano in posizione di vantaggio. Così, la natura degli
scontri di cavalleria era identica per chi inseguiva e per chi si ritirava,
presentando pari pericolo per entrambi. Inoltre, i nemici non lottavano mai
in formazione serrata, ma a piccoli gruppi molto distanziati, disponendo
postazioni di riserva: a turno gli uni subentravano agli altri, soldati
freschi e riposati davano il cambio a chi era stanco.
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XVII
Postero die procul a castris hostes in collibus
constiterunt rarique se ostendere et lenius quam pridie nostros equites proelio
lacessere coeperunt. Sed meridie, cum Caesar pabulandi causa tres legiones
atque omnem equitatum cum Gaio Trebonio legato misisset, repente ex omnibus
partibus ad pabulatores advolaverunt, sic uti ab signis legionibusque non
absisterent. Nostri acriter in eos impetu facto reppulerunt neque finem
sequendi fecerunt, quoad subsidio confisi equites, cum post se legiones
viderent, praecipites hostes egerunt magnoque eorum numero interfecto neque
sui colligendi neque consistendi aut ex essedis desiliendi facultatem
dederunt. Ex hac fuga protinus, quae undique convenerant, auxilia
discesserunt, neque post id tempus umquam summis nobiscum copiis hostes
contenderunt.
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L'indomani i nemici si attestarono sui colli, lontano
dall'accampamento. Cominciarono ad avanzare in ordine sparso e a sfidare la
nostra cavalleria con minor foga del giorno precedente. Ma nel pomeriggio,
dopo che Cesare aveva inviato in cerca di foraggio tre legioni e tutta la
cavalleria agli ordini del legato C. Trebonio, all'improvviso i nemici
piombarono su di essi da ogni direzione, stringendosi attorno alle insegne
e alle legioni. I nostri, con un veemente assalto, li respinsero e li
incalzarono: i cavalieri, contando sull'appoggio delle legioni, che
vedevano alle spalle, costrinsero i nemici a una fuga precipitosa, ne
fecero strage e non diedero loro la possibilità né di raccogliersi, né di
attestarsi o di scendere dai carri. Questa fuga provocò subito la
dispersione delle truppe ausiliarie dei Britanni, che erano giunte da ogni
regione: in seguito, il nemico non ci avrebbe più affrontato con l'esercito
al completo.
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XVIII
Caesar cognito consilio eorum ad flumen Tamesim in fines
Cassivellauni exercitum duxit; quod flumen uno omnino loco pedibus, atque
hoc aegre, transiri potest. Eo cum venisset, animum advertit ad alteram
fluminis ripam magnas esse copias hostium instructas. Ripa autem erat
acutis sudibus praefixis munita, eiusdemque generis sub aqua defixae sudes
flumine tegebantur. His rebus cognitis a captivis perfugisque Caesar
praemisso equitatu confestim legiones subsequi iussit. Sed ea celeritate
atque eo impetu milites ierunt, cum capite solo ex aqua exstarent, ut
hostes impetum legionum atque equitum sustinere non possent ripasque
dimitterent ac se fugae mandarent.
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Cesare, informato delle intenzioni dei Britanni,
condusse l'esercito nelle terre di Cassivellauno, verso il Tamigi, fiume
che può essere guadato a piedi solo in un punto, e a stento. Appena giunto,
si rese conto che sull'altra sponda erano schierate ingenti forze nemiche. La
riva, poi, era difesa da pali aguzzi piantati nel terreno, così come altri
simili, sott'acqua, erano celati dal fiume. Messo al corrente di ciò dai
prigionieri e dai fuggiaschi, Cesare mandò in avanti la cavalleria e ordinò
alle legioni di seguirla senza indugio. I nostri, pur riuscendo a tenere
fuori dall'acqua solo la testa, avanzarono con una rapidità e un impeto
tale, che gli avversari, non essendo in grado di reggere all'assalto delle
legioni e della cavalleria, abbandonarono la riva e fuggirono.
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XIX
Cassivellaunus, ut supra demonstravimus, omni deposita
spe contentionis dimissis amplioribus copiis milibus circiter quattuor
essedariorum relictis itinera nostra servabat paulumque ex via excedebat
locisque impeditis ac silvestribus sese occultabat, atque eis regionibus
quibus nos iter facturos cognoverat pecora atque homines ex agris in silvas
compellebat et, cum equitatus noster liberius praedandi vastandique causa
se in agros eiecerat, omnibus viis semitisque essedarios ex silvis
emittebat et magno cum periculo nostrorum equitum cum eis confligebat atque
hoc metu latius vagari prohibebat. Relinquebatur ut neque longius ab agmine
legionum discedi Caesar pateretur, et tantum in agris vastandis
incendiisque faciendis hostibus noceretur, quantum labore atque itinere
legionarii milites efficere poterant.
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Cassivellauno - lo abbiamo detto in precedenza - persa
ogni speranza di proseguire nello scontro aperto, aveva congedato il grosso
dell'esercito e con solo circa quattromila essedari sorvegliava i nostri
movimenti: si teneva a poca distanza dalle strade, nascosto in luoghi di
difficile accesso e fitti di boschi; nelle zone per cui sapeva che dovevamo
transitare cacciava via bestiame e popolazione dalle campagne nelle
foreste. Quando la nostra cavalleria si spingeva troppo in là nei campi,
per saccheggiare e devastare, lungo tutte le strade e i sentieri, dai
boschi Cassivellauno lanciava all'attacco i carri e combatteva con i nostri
con tale rischio per loro, da costringerli, per il timore di scontri, a non
spingersi troppo distante. A Cesare non restava che impedire alla
cavalleria di allontanarsi troppo dal grosso delle legioni in marcia, e
accontentarsi di danneggiare i nemici devastandone le campagne e appiccando
incendi, per quanto lo potevano i legionari, impegnati in marce faticose.
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XX
Interim Trinobantes, prope firmissima earum regionum
civitas, ex qua Mandubracius adulescens Caesaris fidem secutus ad eum in
continentem Galliam venerat, cuius pater in ea civitate regnum obtinuerat
interfectusque erat a Cassivellauno, ipse fuga mortem vitaverat, legatos ad
Caesarem mittunt pollicenturque sese ei dedituros atque imperata facturos;
petunt, ut Mandubracium ab iniuria Cassivellauni defendat atque in
civitatem mittat, qui praesit imperiumque obtineat. His Caesar imperat
obsides quadraginta frumentumque exercitui Mandubraciumque ad eos mittit.
Illi imperata celeriter fecerunt, obsides ad numerum frumentumque miserunt.
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Nel frattempo giunge a Cesare un'ambasceria da parte dei
Trinovanti, il più potente, o quasi, tra i popoli di quelle regioni. In
passato, uno di essi, il giovane Mandubracio, si era posto sotto la
protezione di Cesare e lo aveva raggiunto sul continente: suo padre era
diventato re ed era stato ucciso da Cassivellauno, mentre lui si era
salvato con la fuga. Gli ambasciatori dei Trinovanti, promettendo resa e
obbedienza, chiedono a Cesare di tutelare Mandubracio dai soprusi di
Cassivellauno e di inviarlo al suo popolo per diventarne il capo e assumere
il potere. Cesare esige da loro quaranta ostaggi e grano per l'esercito e
invia Mandubracio. I Trinovanti eseguirono rapidamente gli ordini e
mandarono gli ostaggi, secondo il numero fissato, e il grano.
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XXI
Trinobantibus defensis adque ab omni militum niuria
prohibitis Cenimagni, Segontiaci, Ancalites, Bibroci, Cassi legationibus
missis sese Caesari dedumt. Ab his cognoscit non longe ex eo loco oppidum
Cassivellauni abesse silvis paludibusque munitum, quo satis magnus hominum
pecorisque numerus onvenerit. Oppidum autem Britanni vocant, cum silvas
impeditas vallo atque fossa munierunt, quo incursionis hostium vitandae
causa convenire consuerunt. Eo proficiscitur cum legionibus: locum reperit
egregie natura atque opere munitum; tamen hunc duabus ex partibus oppugnare
contendit. Hostes paulisper morati militum nostrorum impetum non tulerunt
seseque alia ex parte oppidi eiecerunt. Magnus ibi numerus pecoris
repertus, multique in fuga sunt comprehensi atque interfecti.
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Vedendo i Trinovanti protetti e al sicuro da ogni
attacco militare, i Cenimagni, i Segontiaci, gli Ancaliti, i Bibroci e i
Cassi mandarono a Cesare ambascerie per arrendersi. Da essi seppe che, non
lontano, sorgeva la roccaforte di Cassivellauno difesa da selve e paludi,
dove erano stati concentrati uomini e bestiame in numero ragguardevole. I Britanni,
in effetti, chiamano roccaforte una selva impraticabile munita da vallo e
fossa, dove di solito si raccolgono per sottrarsi alle incursioni dei
nemici. Lì Cesare si diresse con le legioni: si imbatté in un luogo
estremamente ben protetto sia dalla conformazione naturale, sia dall'opera
dell'uomo. Nonostante ciò, intraprese l'assedio su due fronti. I nemici
opposero una breve resistenza, ma non riuscirono a frenare l'assalto dei
nostri e cercarono di mettersi in salvo da un'altra parte della roccaforte.
Qui venne trovato un gran numero di capi di bestiame e molti dei fuggiaschi
furono catturati e uccisi.
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XXII
Dum haec in his locis geruntur, Cassivellaunus ad
Cantium, quod esse ad mare supra demonstravimus, quibus regionibus quattuor
reges praeerant, Cingetorix, Carvilius, Taximagulus, Segovax, nuntios
mittit atque eis imperat uti coactis omnibus copiis castra navalia de
improviso adoriantur atque oppugent. Ei cum ad castra venissent, nostri
eruptione facta multis eorum interfectis, capto etiam nobili duce
Lugotorige suos incolumes reduxerunt. Cassivellaunus hoc proelio nuntiato
tot detrimentis acceptis, vastatis finibus, maxime etiam permotus
defectione civitatum legatos per Atrebatem Commium de deditione ad Caesarem
mittit. Caesar, cum constituisset hiemare in continenti propter repentinos
Galliae motus, neque multum aestatis superesset, atque id facile extrahi
posse intellegeret, obsides imperat et quid in annos singulos vectigalis
populo Romano Britannia penderet constituit; interdicit atque imperat Cassivellauno,
ne Mandubracio neu Trinobantibus noceat.
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Nel corso di tali avvenimenti, Cassivellauno invia dei
messi nel Canzio, regione che si affaccia sul mare - lo si è già ricordato
- e che era governata da quattro re: Cingetorige, Carvilio, Taximagulo e
Segovace. A essi ordina di raccogliere tutte le loro truppe e di sferrare
un improvviso attacco all'accampamento navale romano, ponendolo sotto
assedio. Appena i nemici giunsero al campo, i nostri effettuarono una
sortita e ne fecero strage: catturato anche il loro capo, Lugotorige, di
nobile stirpe, rientrarono sani e salvi. Quando gli fu annunciato l'esito
della battaglia, Cassivellauno, visti i tanti rovesci, i territori
devastati e scosso, soprattutto, dalle defezioni, invia, tramite l'atrebate
Commio, una legazione a Cesare per trattare la resa. Cesare aveva deciso di
svernare sul continente per prevenire repentine sollevazioni in Gallia e si
rendeva conto che, volgendo ormai l'estate al termine, i nemici potevano
con facilità temporeggiare. Perciò, chiede ostaggi e fissa il tributo che
la Britannia avrebbe dovuto pagare annualmente al popolo romano. A
Cassivellauno proibisce formalmente di arrecar danno a Mandubracio o ai
Trinovanti.
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XXIII
Obsidibus acceptis exercitum reducit ad mare, naves
invenit refectas. His deductis, quod et captivorum magnum numerum habebat,
et nonnullae tempestate deperierant naves, duobus commeatibus exercitum
reportare instituit. Ac sic accidit, uti ex tanto navium numero tot
navigationibus neque hoc neque superiore anno ulla omnino navis, quae
milites portaret, desideraretur; at ex eis, quae inanes ex continenti ad
eum remitterentur et prioris commeatus eitis militibus et quas postea
Labienus faciendas curaverat numero LX, perpaucae locum caperent, reliquae
fere omnes reicerentur. Quas cum aliquamdiu Caesar frustra exspectasset, ne
anni tempore a navigatione excluderetur, quod aequinoctium suberat,
necessario angustius milites collocavit ac summa tranquillitate consecuta,
secunda inita cum solvisset vigilia, prima luce terram attigit omnesque
incolumes naves perduxit.
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Consegnati gli ostaggi, riconduce l'esercito sulla
costa, dove trova le navi riparate. Dopo averle calate in acqua, decise di
trasportare l'esercito in due viaggi, poiché aveva molti prigionieri e
alcune navi erano state distrutte dalla tempesta. Ma ecco che cosa capitò:
di tante navi, in tante traversate, non ne era andata perduta neppure una
che trasportasse soldati, né quell'anno, né l'anno precedente; delle
imbarcazioni, invece, che gli venivano rinviate vuote dal continente (che
si trattasse delle navi di ritorno dal primo viaggio dopo aver sbarcato le
truppe, oppure delle sessanta costruite in un secondo tempo da Labieno),
pochissime erano giunte a destinazione, quasi tutte le altre erano state
ributtate sulla costa. Cesare le attese per un po' inutilmente; poi, per
evitare che la stagione - l'equinozio era vicino - impedisse la
navigazione, fu costretto a stipare i soldati un po' più allo stretto del
solito. Levate le ancore subito dopo le nove di sera, trovò il mare molto
calmo e all'alba prese terra: aveva portato in salvo tutte le navi.
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XXIV
Subductis navibus concilioque Gallorum Samarobrivae
peracto, quod eo anno frumentum in Gallia propter siccitates angustius
provenerat, coactus est aliter ac superioribus annis exercitum in hibernis
collocare legionesque in plures civitates distribuere. Ex quibus unam in
Morinos ducendam Gaio Fabio legato dedit, alteram in Nervios Quinto
Ciceroni, tertiam in Esubios Lucio Roscio; quartam in Remis cum Tito
Labieno in confinio Treverorum hiemare iussit. Tres in Belgis collocavit:
eis Marcum Crassum quaestorem et Lucium Munatium Plancum et Gaium Trebonium
legatos praefecit. Vnam legionem, quam proxime trans Padum conscripserat,
et cohortes V in Eburones, quorum pars maxima est inter Mosam ac Rhenum,
qui sub imperio Ambiorigis et Catuvolci erant, misit. Eis militibus Quintum
Titurium Sabinum et Lucium Aurunculeium Cottam legatos praeesse iussit. Ad
hunc modum distributis legionibus facillime inopiae frumentariae sese
mederi posse existimavit. Atque harum tamen omnium legionum hiberna praeter
eam, quam Lucio Roscio im pacatissimam et quietissimam partem ducendam
dederat, milibus passuum centum continebantur. Ipse interea, quoad legiones
collocatas munitaque hiberna cognovisset, in Gallia morari constituit.
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Dopo aver tratto in secca le navi e tenuto l'assemblea
dei Galli a Samarobriva, vista la magra annata per il grano a causa della
siccità, fu costretto a disporre i quartieri d'inverno in modo diverso
rispetto agli anni precedenti e a ripartire le legioni su più territori. Ne
inviò una presso i Morini sotto la guida del legato C. Fabio, un'altra con
Q. Cicerone dai Nervi, una terza con L. Roscio nella regione degli Esuvi;
ordinò che una quarta legione, al comando di T. Labieno, svernasse nei
territori dei Remi, al confine con i Treveri; ne stanziò tre nel paese dei
Belgi, alle dipendenze del questore M. Crasso e dei legati L. Munazio
Planco e C. Trebonio. Una legione, di recente arruolata al di là del Po,
venne mandata, insieme a cinque coorti, fra gli Eburoni, che per la maggior
parte abitano tra la Mosa e il Reno e sui quali regnavano Ambiorige e
Catuvolco. Il comando ne fu affidato ai legati Q. Titurio Sabino e L.
Aurunculeio Cotta. Ripartite così le truppe, stimava di poter ovviare, con
grande facilità, alla penuria di grano. Gli accampamenti invernali di tutte
le legioni non distavano, comunque, più di cento miglia l'uno dall'altro,
eccezion fatta per le milizie di L. Roscio, che però doveva condurle in una
zona del tutto tranquilla e sicura. Dal canto suo, Cesare decise di
fermarsi in Gallia fino a conferma ricevuta che le legioni erano stanziate
nelle rispettive zone e che gli accampamenti erano stati fortificati.
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XXV
Erat in Carnutibus summo loco natus Tasgetius, cuius maiores
in sua civitate regnum obtinuerant. Huic Caesar pro eius virtute atque in
se benevolentia, quod in omnibus bellis singulari eius opera fuerat usus,
maiorum locum restituerat. Tertium iam hunc annum regnantem inimici, multis
palam ex civitate eius auctoribus, eum interfecerunt. Defertur ea res ad
Caesarem. Ille veritus, quod ad plures pertinebat, ne civitas eorum impulsu
deficeret, Lucium Plancum cum legione ex Belgio celeriter in Carnutes
proficisci iubet ibique hiemare quorumque opera cognoverat Tasgetium
interfectum, hos comprehensos ad se mittere. Interim ab omnibus legatis
quaestoreque, quibus legiones tradiderat, certior factus est in hiberna
perventum locumque hibernis esse munitum.
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Tra i Carnuti viveva una persona di nobili natali,
Tasgezio, i cui antenati avevano regnato sul paese: Cesare gli aveva
restituito il rango degli avi, in considerazione del suo valore e della sua
fedeltà, dato che in tutte le guerre Cesare si era avvalso del suo
contributo incomparabile. Tasgezio era già al suo terzo anno di regno,
quando i suoi oppositori lo eliminarono con una congiura, mentre anche
molti cittadini avevano appoggiato apertamente il piano. La cosa viene
riferita a Cesare, che, temendo una defezione dei Carnuti sotto la spinta
degli oppositori - parecchi erano implicati nella vicenda - ordina a L.
Planco di partire al più presto dal Belgio alla testa della sua legione, di
raggiungere il territorio dei Carnuti e di passarvi l'inverno: chiunque gli
risultasse implicato nell'uccisione di Tasgezio, doveva essere arrestato e
inviato a Cesare. Nello stesso tempo, tutti gli ufficiali preposti alle
legioni informano Cesare che erano giunti ai quartieri d'inverno e che le
fortificazioni erano ormai ultimate.
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XXVI
Diebus circiter XV, quibus in hiberna ventum est, initium
repentini tumultus ac defectionis ortum est ab Ambiorige et Catuvolco; qui,
cum ad fines regni sui Sabino Cottaeque praesto fuissent frumentumque in
hiberna comportavissent, Indutiomari Treveri nuntiis impulsi suos
concitaverunt subitoque oppressis lignatoribus magna manu ad castra
oppugnatum venerunt. Cum celeriter nostri arma cepissent vallumque
adscendissent atque una ex parte Hispanis equitibus emissis equestri
proelio superiores fuissent, desperata re hostes suos ab oppugnatione
reduxerunt. Tum suo more conclamaverunt, uti aliqui ex nostris ad
colloquium prodiret: habere sese, quae de re communi dicere vellent, quibus
rebus controversias minui posse sperarent.
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Circa quindici giorni dopo l'arrivo agli accampamenti
invernali, improvvisamente scoppiò un'insurrezione guidata da Ambiorige e
Catuvolco. Costoro si erano presentati al confine dei loro territori, a
disposizione di Sabino e di Cotta e avevano consegnato grano
all'accampamento; in seguito, però, spinti dai messi del trevero
Induziomaro, avevano chiamato i loro a raccolta e, sopraffatti i nostri
legionari in cerca di legna, con ingenti forze avevano stretto d'assedio il
campo. Mentre i nostri impugnavano rapidamente le armi e salivano sul
vallo, i cavalieri spagnoli, usciti da una porta del campo, sferravano un
attacco in cui ebbero la meglio: gli avversari, persa ogni speranza di
vittoria, furono costretti a togliere l'assedio. Poi, a gran voce, come è
loro costume, chiesero che qualcuno dei nostri si facesse avanti per
parlamentare: avevano da riferire informazioni d'interesse comune, grazie
alle quali speravano di poter risolvere i contrasti.
|
XXVII
Mittitur ad eos colloquendi causa Gaius Arpineius, eques
Romanus, familiaris Quinti Tituri, et Quintus Iunius ex Hispania quidam,
qui iam ante missu Caesaris ad Ambiorigem ventitare consuerat; apud quos
Ambiorix ad hunc modum locutus est: Sese pro Caesaris in se beneficiis
plurimum ei confiteri debere, quod eius opera stipendio liberatus esset,
quod Aduatucis, finitimis suis, pendere consuesset, quodque ei et filius et
fratris filius ab Caesare remissi essent, quos Aduatuci obsidum numero
missos apud in servitute et catenis tenuissent; neque id, quod fecerit de
oppugnatione castrorum, aut iudicio aut voluntate sua fecisse, sed coactu
civitatis, suaque esse eiusmodi imperia, ut non minus haberet iuris in se
multitudo quam ipse in multitudinem. Civitati porro hanc fuisse belli
causam, quod repentinae Gallorum coniurationi resistere non potuerit. Id se
facile ex humilitate sua probare posse, quod non adeo sit imperitus rerum
ut suis copiis populum Romanum superari posse confidat. Sed esse Galliae
commune consilium: omnibus hibernis Caesaris oppugnandis hunc esse dictum
diem, ne qua legio alterae legioni subsidio venire posset. Non facile
Gallos Gallis negare potuisse, praesertim cum de recuperanda communi
libertate consilium initum videretur. Quibus quoniam pro pietate
satisfecerit, habere nunc se rationem offici pro beneficiis Caesaris:
monere, orare Titurium pro hospitio, ut suae ac militum saluti consulat.
Magnam manum Germanorum conductam Rhenum transisse; hanc adfore biduo.
Ipsorum esse consilium, velintne priusquam finitimi sentiant eductos ex
hibernis milites aut ad Ciceronem aut ad Labienum deducere, quorum alter
milia passuum circiter quinquaginta, alter paulo amplius ab eis absit.
Illud se polliceri et iureiurando confirmare tutum iter per fines daturum.
Quod cum faciat, et civitati sese consulere, quod hibernis levetur, et
Caesari pro eius meritis gratiam referre. Hac oratione habita discedit Ambiorix.
|
Al colloquio viene inviato C. Arpineio, cavaliere
romano, parente di Q. Titurio, insieme a uno Spagnolo, un certo Q. Giunio,
che in passato, per incarico di Cesare, si era già più volte recato da
Ambiorige. A essi Ambiorige parlò come segue: ammetteva i molti debiti di
riconoscenza nei confronti di Cesare (grazie al suo intervento era stato
sollevato dal tributo che pagava abitualmente agli Atuatuci, popolo
limitrofo; Cesare gli aveva restituito suo figlio e il figlio di suo
fratello, che, inclusi nel novero degli ostaggi, erano tenuti asserviti in
catene dagli Atuatuci); quanto all'assedio al campo romano, aveva agito non
di iniziativa o volontà propria, ma costretto dal popolo, e la sua
sovranità stava in questi termini: la sua gente aveva nei suoi confronti
gli stessi diritti che aveva lui nei confronti della sua gente. Il popolo,
d'altro, canto, era insorto perché non aveva potuto opporsi alla repentina
formazione di una lega dei Galli. E prova evidente di ciò era la sua
debolezza: non era tanto sprovveduto da confidare, con le proprie truppe,
in una vittoria sul popolo romano. Si trattava, piuttosto, di un piano
comune a tutti i Galli: era stato deciso di assediare, in quel giorno,
tutti i campi invernali di Cesare, in modo che nessuna legione fosse in
grado di soccorrerne un'altra. Come potevano dei Galli, con facilità,
opporre un rifiuto alla proposta di altri Galli, soprattutto quando
sembrava mirare alla riconquista della libertà comune? Se, dunque, prima
aveva aderito alla lega dei Galli per amor di patria, adesso teneva conto
del suo dovere per i benefici ricevuti da Cesare: avvertiva, supplicava
Titurio, in nome dei loro vincoli d'ospitalità, di provvedere a porsi in
salvo con i propri soldati. Un forte esercito di mercenari germani aveva attraversato
il Reno: sarebbero giunti nell'arco di due giorni. Spettava ai Romani la
decisione di far uscire dall'accampamento i soldati prima che i Galli
vicini se ne accorgessero, e condurli da Cicerone o da Labieno, distanti
l'uno circa cinquanta miglia, l'altro poco più. Prometteva e giurava dar
via libera sul proprio territorio. Agendo così, avrebbe provveduto al bene
della propria gente, perché veniva liberata dal campo romano, e ricambiato
i servigi di Cesare. Ciò detto, Ambiorige si allontana.
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XXVIII
Arpineius et Iunius, quae audierunt, ad legatoc
deferunt. Illi repentina re perturbati, etsi ab hoste ea dicebantur, tamen
non neglegenda existimabant maximeque hac re permovebantur, quod civitatem
ignobilem atque humilem Eburonum sua sponte populo Romano bellum facere
ausam vix erat credendum. Itaque ad consilium rem deferunt magnaque inter
eos exsistit controversia. Lucius Aurunculeius compluresque tribuni militum
et primorum ordinum centuriones nihil temere agendum neque ex hibernis
iniussu Caesaris discedendum existimabant: quantasvis [magnas] copias etiam
Germanorum sustineri posse munitis hibernis docebant: rem esse testimonio,
quod primum hostium impetum multis ultro vulneribus illatis fortissime
sustinuerint: re frumentaria non premi; interea et ex proximis hibernis et
a Caesare conventura subsidia: postremo quid esse levius aut turpius, quam
auctore hoste de summis rebus capere consilium?
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Arpineio e Giunio riferiscono le parole di Ambiorige ai
legati, che, turbati dagli eventi repentini, stimavano di dover dar peso
alle informazioni, per quanto fornite dal nemico. Li spingeva, soprattutto,
una considerazione: era ben poco credibile che un popolo così oscuro e
debole come gli Eburoni avesse osato, di propria iniziativa, muovere guerra
a Roma. Perciò, rimandano la questione al consiglio di guerra, dove si
verificano forti contrasti. L. Aurunculeio, seguito da molti tribuni
militari e dai centurioni più alti in grado, era dell'avviso di non
prendere iniziative avventate e di non lasciare i quartieri d'inverno senza
ordine di Cesare; spiegavano che, essendo il campo fortificato, era
possibile tener testa alle truppe dei Germani, per quanto numerose; lo
testimoniava il fatto che avevano retto con grandissimo vigore al primo
assalto e avevano inflitto al nemico gravi perdite; la situazione delle
scorte di grano non era preoccupante; nel frattempo, sia dai campi più
vicini, sia da Cesare sarebbero arrivati rinforzi; infine, cosa c'era di
più avventato o vergognoso che deliberare su questioni gravissime, per
suggerimento dei nemici?
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XXIX
Contra ea Titurius sero facturos clamitabat, cum maiores
manus hostium adiunctis Germanis convenissent aut cum aliquid calamitatis
in proximis hibernis esset acceptum. Brevem consulendi esse occasionem.
Caesarem arbitrari profectum in Italiam; neque aliter Calnutcs
interficiendi Tasgeti consilium fuisse capturos, neque Eburones, si ille
adesset, tanta contemptione nostri ad castra venturos esse. Non hostem
auctorem, sed rem spectare: subesse Rhenum; magno esse Germanis dolori
Ariovisti mortem et superiores nostras victorias; ardere Galliam tot
contumeliis acceptis sub populi Romani imperium redactam superiore gloria
rei militaris exstincta. Postremo quis hoc sibi persuaderet, sine certa re
Ambiorigem ad eiusmodi consilium descendisse? Suam sententiam in utramque
partem esse tutam: si nihil esset durius, nullo cum periculo ad proximam
legionem perventuros; si Gallia omnis cum Germanis consentiret, unam esse
in celeritate positam salutem. Cottae quidem atque eorum, qui dissentirent,
consilium quem habere exitum? In quo si non praesens periculum, at certe
longinqua obsidione fames esset timenda.
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A ciò Titurio obiettava, gridando, che si sarebbero
mossi tardi, con le forze avversarie ormai più consistenti per l'arrivo dei
Germani oppure dopo qualche disastro negli accampamenti vicini. Avevano
poco tempo per decidere. Riteneva che Cesare fosse partito per l'Italia,
altrimenti i Carnuti non avrebbero preso la decisione di eliminare
Tasgezio, né gli Eburoni, se lui era presente in Gallia, avrebbero marciato
sul campo con tanto disprezzo per le nostre forze. Le proposte del nemico
non c'entravano, si trattava di valutare la situazione: il Reno era vicino;
la morte di Ariovisto e le nostre precedenti vittorie avevano costituito un
gran dolore per i Germani; la Gallia bruciava per le molte umiliazioni
subite, per dover sottostare al dominio del popolo romano, per l'antica
gloria militare oscurata. Infine, ma chi poteva convincersi che Ambiorige
avesse assunto una decisione del genere senza uno scopo ben preciso? La sua
proposta era sicura in entrambi i casi: se non si verificava nulla di
grave, avrebbero raggiunto la legione più vicina, senza rischi; se, invece,
la Gallia era tutta d'accordo con i Germani, l'unica speranza di salvezza
era riposta nella rapidità. Il parere di Cotta e di chi dissentiva, a cosa
portava? Se per il presente non rappresentava un pericolo, certo avrebbero
dovuto temere la fame, in un lungo assedio.
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XXX
Hac in utramque partem disputatione habita, cum a Cotta
primisque ordinibus acriter resisteretur, "Vincite," inquit,
"si ita vultis," Sabinus, et id clariore voce, ut magna pars
militum exaudiret; "neque is sum," inquit, "qui gravissime
ex vobis mortis periculo terrear: hi sapient; si gravius quid acciderit,
abs te rationem reposcent, qui, si per te liceat, perendino die cum
proximis hibernis coniuncti communem cum reliquis belli casum sustineant,
non reiecti et relegati longe ab ceteris aut ferro aut fame
intereant".
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Mentre così si discuteva, da una parte e dall'altra,
visto che Cotta e i centurioni più alti in grado si opponevano con tenacia,
Sabino disse: "E va bene, se proprio lo volete", e a voce più
alta, per essere sentito da un gran numero di soldati, proseguì: "Non
sarò certo io quello che, in mezzo voi, si lascia spaventare di più dalla
paura della morte; ma saranno loro a giudicare e a chiedere conto a te, se
succede qualcosa di grave, loro, che se tu lo consentissi, potrebbero
raggiungere dopodomani l'accampamento più vicino e affrontare le vicende
della guerra insieme agli altri, invece di crepare per mano nemica o
sfiniti dalla fame, abbandonati e lontani da tutti".
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XXXI
Consurgitur ex consilio; comprehendunt utrumque et
orant, ne sua dissensione et pertinacia rem in summum periculum deducat:
facilem esse rem, seu maneant, seu proficiscantur, si modo unum omnes
sentiant ac probent; contra in dissensione nullam se salutem perspicere.
Res disputatione ad mediam noctem perducitur. Tandem dat Cotta permotus
manus: superat sententia Sabini. Pronuntiatur prima luce ituros. Consumitur
vigiliis reliqua pars noctis, cum sua quisque miles circumspiceret, quid
secum portare posset, quid ex instrumento hibernorum relinquere cogeretur.
Omnia excogitantur, quare nec sine periculo maneatur, et languore militum
et vigiliis periculum augeatur. Prima luce sic ex castris proficiscuntur,
ut quibus esset persuasum non ab hoste, sed ab homine amicissimo Ambiorige
consilium datum, longissimo agmine maximisque impedimentis.
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Si alzano dal consiglio, prendono nel mezzo entrambi i
legati e li pregano di non portare la situazione al massimo rischio con il
loro dissenso ostinato; la faccenda era facile sia rimanendo, sia levando
le tende, purché tutti fossero dello stesso avviso e partito; in caso di
disaccordo, invece, non intravedevano alcuna speranza di salvezza. La
discussione prosegue fino a notte fonda. Alla fine Cotta, turbato, si dà
per vinto: prevale il parere di Sabino. La partenza viene annunciata per
l'alba. Il resto della notte la passano a vegliare, ogni soldato valuta che
cosa possa prendere con sé e quali oggetti dell'accampamento invernale
debba abbandonare per forza. Le pensano tutte pur di non garantire, la
mattina dopo, una partenza priva di rischi, e di aumentare il pericolo con
la stanchezza dei soldati, dovuta alla veglia. All'alba lasciano il campo,
non come se fossero stati persuasi dal nemico, ma quasi che avessero
accolto il suggerimento di un amico di provata lealtà, Ambiorige.
L'esercito in marcia formava una schiera interminabile, con numerosissimi
bagagli.
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XXXII
At hostes, posteaquam ex nocturno fremitu vigiliisque de
profectione eorum senserunt, collocatis insidiis bipertito in silvis
opportuno atque occulto loco a milibus passuum circiter duobus Romanorum
adventum exspectabant, et cum se maior pars agminis in magnam convallem
demisisset, ex utraque parte eius vallis subito se ostenderunt
novissimosque premere et primos prohibere ascensu atque iniquissimo nostris
loco proelium committere coeperunt.
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I nemici, quando dall'agitazione notturna e dalla veglia
prolungata, si resero conto che i nostri preparavano la partenza, tesero
insidie da due lati, nella boscaglia, su un terreno favorevole e coperto, a
circa due miglia dal campo, in attesa dell'arrivo dei Romani. Allorché il
grosso del nostro esercito era ormai entrato in un'ampia valle,
all'improvviso, dai fianchi della medesima sbucarono i nemici e iniziarono
a premere sulla retroguardia, a impedire all'avanguardia di salire,
costringendo i nostri a combattere in condizioni assolutamente sfavorevoli.
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XXXIII
Tum demum Titurius, qui nihil ante providisset,
trepidare et concursare cohortesque disponere, haec tamen ipsa timide atque
ut eum omnia deficere viderentur; quod plerumque eis accidere consuevit,
qui in ipso negotio consilium capere coguntur. At Cotta, qui cogitasset
haec posse in itinere accidere atque ob eam causam profectionis auctor non
fuisset, nulla in re communi saluti deerat et in appellandis cohortandisque
militibus imperatoris et in pugna militis officia praestabat. Cum propter
longitudinem agminis minus facile omnia per se obire et, quid quoque loco
faciendum esset, providere possent, iusserunt pronuntiare, ut impedimenta
relinquerent atque in orbem consisterent. Quod consilium etsi in eiusmodi
casu reprehendendum non est, tamen incommode accidit: nam et nostris
militibus spem minuit et hostes ad pugnam alacriores effecit, quod non sine
summo timore et desperatione id factum videbatur. Praeterea accidit, quod
fieri necesse erat, ut vulgo milites ab signis discederent, quae quisque
eorum carissima haberet, ab impedimentis petere atque arripere properaret,
clamore et fletu omnia complerentur.
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Solo allora Titurio, che nulla aveva previsto, cominciò
ad agitarsi, a correre qua e là, a disporre le coorti, ma sempre impaurito:
sembrava che tutto gli venisse a mancare, come per lo più accade a chi è
costretto a decidere proprio mentre l'azione è in corso. Cotta, invece, che
aveva pensato all'eventualità di un attacco durante la marcia e che,
perciò, non era stato fautore della partenza, non risparmiò nulla per la
salvezza di tutti e, chiamando e incoraggiando i legionari, durante la
battaglia, svolgeva le funzioni di comandante e di soldato. La lunghezza
della colonna rendeva più difficile provvedere a tutto personalmente e
impartire gli ordini necessari in ogni settore della battaglia, perciò i
comandanti diedero disposizione, passando la voce, di abbandonare i bagagli
e di assumere la formazione a cerchio. La manovra, anche se in circostanze
del genere non è riprovevole, si risolse in un danno: diminuì la fiducia
dei nostri soldati e rese più arditi i nemici, perché sembrava che fosse
stata fatta per estremo timore e scoraggiamento. Inoltre, accadde
l'inevitabile: i soldati, ovunque, si allontanavano dalle insegne, ciascuno
correva ai bagagli per cercare e riprendersi le cose più care, tutto
risuonava di grida e pianti.
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XXXIV
At barbaris consilium non defuit. Nam duces eorum tota
acie pronuntiare iusserunt, ne quis ab loco discederet: illorum esse
praedam atque illis reservari quaecumque Romani reliquissent: proinde omnia
in victoria posita existimarent. Erant et virtute et studio pugnandi pares;
nostri, tametsi ab duce et a fortuna deserebantur, tamen omnem spem salutis
in virtute ponebant, et quotiens quaeque cohors procurrerat, ab ea parte
magnus numerus hostium cadebat. Qua re animadversa Ambiorix pronuntiari
iubet, ut procul tela coniciant neu propius accedant et, quam in partem
Romani impetum fecerint, cedant (levitate armorum et cotidiana
exercitatione nihil eis noceri posse), rursus se ad signa recipientes
insequantur.
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I barbari, invece, si dimostrarono avveduti. Infatti, i
loro capi passarono ordine a tutto lo schieramento che nessuno si
allontanasse dal proprio posto: era preda riservata per loro tutto ciò che
i Romani avessero abbandonato, quindi dovevano pensare che tutto dipendeva
dalla vittoria. Il loro coraggio era pari al loro numero. I nostri, benché
abbandonati dal comandandante e dalla Fortuna, tuttavia riponevano ogni
speranza di salvezza nel proprio valore, e ogni volta che una coorte muoveva
all'assalto, in quel settore cadeva un gran numero di nemici. Appena se ne
accorge, Ambiorige passa voce di scagliare dardi da lontano, senza
avvicinarsi, cedendo là dove i Romani avessero sferrato l'attacco: grazie
alle loro armi leggere e all'esercizio quotidiano avrebbero potuto
infliggere ai Romani gravi perdite; quando i nostri si fossero ritirati
verso le insegne, dovevano inseguirli.
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XXXV
Quo praecepto ab eis diligentissime observato, cum
quaepiam cohors ex orbe excesserat atque impetum fecerat, hostes
velocissime refugiebant. Interim eam partem nudari necesse erat et ab
latere aperto tela recipi. Rursus cum in eum locum unde erant egressi
reverti coeperant, et ab eis qui cesserant et ab eis qui proximi steterant
circumveniebantur; sin autem locum tenere vellent, nec virtuti locus
relinquebatur, neque ab tanta multitudine coniecta tela conferti vitare
poterant. Tamen tot incommodis conflictati, multis vulneribus acceptis
resistebant et magna parte diei consumpta, cum a prima luce ad horam
octavam pugnaretur, nihil quod ipsis esset indignum committebant. Tum Tito
Balventio, qui superiore anno primum pilum duxerat, viro forti et magnae
auctoritatis, utrumque femur tragula traicitur; Quintus Lucanius, eiusdem
ordinis, fortissime pugnans, dum circumvento filio subvenit, interficitur;
Lucius Cotta legatus omnes cohortes ordinesque adhortans in adversum os
funda vulneratur.
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L'ordine venne scrupolosamente eseguito dai barbari:
quando una coorte usciva dalla formazione a cerchio e attaccava, i nemici
indietreggiavano in gran fretta. Al tempo stesso era inevitabile che quel
punto rimanesse scoperto e che sul fianco destro piovessero dardi. Poi,
quando i nostri iniziavano il ripiegamento verso il settore di partenza,
venivano circondati sia dai nemici che si erano ritirati, sia dagli altri
che erano rimasti fermi nelle vicinanze. Se, invece, volevano tenere le
posizioni, non avevano modo di esprimere il proprio valore, né di evitare,
così serrati, le frecce scagliate da una tal massa di nemici. Comunque, pur
travagliati da tante difficoltà e nonostante le gravi perdite, resistevano
e, trascorsa già gran parte del giorno - si combatteva dall'alba ed erano
ormai le due di pomeriggio - non si piegavano a nulla che fosse indegno di
loro. A quel punto T. Balvenzio, che l'anno precedente era stato centurione
primipilo, soldato coraggioso e di grande autorità, viene colpito da una
tragula, che gli trapassa tutte e due le cosce; Q. Lucanio, anch'egli
primipilo, mentre combatteva con estremo valore, perde la vita nel tentativo
di recare aiuto al figlio circondato; il legato L. Cotta, mentre stava
incitando tutte le coorti e le centurie, viene colpito da un proiettile di
fionda in pieno volto.
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XXXVI
His rebus permotus Quintus Titurius, cum procul
Ambiorigem suos cohortantem conspexisset, interpretem suum Gnaeum Pompeium
ad eum mittit rogatum ut sibi militibusque parcat. Ille appellatus
respondit: si velit secum colloqui, licere; sperare a multitudine impetrari
posse, quod ad militum salutem pertineat; ipsi vero nihil nocitum iri,
inque eam rem se suam fidem interponere. Ille cum Cotta saucio communicat,
si videatur, pugna ut excedant et cum Ambiorige una colloquantur: sperare
ab eo de sua ac militum salute impetrari posse. Cotta se ad armatum hostem
iturum negat atque in eo perseverat.
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Scosso da tali avvenimenti, Q. Titurio, avendo scorto in
lontananza Ambiorige che spronava i suoi, gli invia il proprio interprete,
Cn. Pompeo, per chiedergli salva la vita per sé e i legionari. Ambiorige
alla richiesta risponde: se Titurio voleva un colloquio, glielo concedeva;
sperava di poter convincere le truppe circa la salvezza dei soldati romani;
Titurio stesso, comunque, non avrebbe corso alcun rischio, se ne rendeva
garante di persona. Titurio si consiglia con Cotta, ferito: gli propone, se
era d'accordo, di allontanarsi dalla battaglia e di recarsi insieme a
parlare con Ambiorige: sperava di riuscire a ottenere salva la vita per
loro e per i soldati. Cotta risponde che non si sarebbe mai recato da un
nemico in armi e non recede dalla sua decisione.
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XXXVII
Sabinus quos in praesentia tribunos militum circum se
habebat et primorum ordinum centuriones se sequi iubet et, cum propius
Ambiorigem accessisset, iussus arma abicere imperatum facit suisque ut idem
faciant imperat. Interim, dum de condicionibus inter se agunt longiorque
consulto ab Ambiorige instituitur sermo, paulatim circumventus
interficitur. Tum vero suo more victoriam conclamant atque ululatum tollunt
impetuque in nostros facto ordines perturbant. Ibi Lucius Cotta pugnans
interficitur cum maxima parte militum. Reliqui se in castra recipiunt unde
erant egressi. Ex quibus Lucius Petrosidius aquilifer, cum magna
multitudine hostium premeretur, aquilam intra vallum proiecit; ipse pro
castris fortissime pugnans occiditur. Illi aegre ad noctem oppugnationem
sustinent; noctu ad unum omnes desperata salute se ipsi interficiunt. Pauci
ex proelio lapsi incertis itineribus per silvas ad Titum Labienum legatum
in hiberna perveniunt atque eum de rebus gestis certiorem faciunt.
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Ai tribuni militari che, al momento, aveva intorno a sé
e ai centurioni più alti in grado, Sabino dà ordine di seguirlo. Essendosi
avvicinato ad Ambiorige, gli viene ingiunto di gettare le armi: esegue
l'ordine e comanda ai suoi di fare altrettanto. E mentre trattavano delle
condizioni di resa e Ambiorige, di proposito, tirava in lungo il suo
discorso, a poco a poco Sabino viene circondato e ucciso. A quel punto,
com'è loro costume, i nemici levano alte grida di vittoria, si lanciano
all'assalto, scompaginano i ranghi dei nostri. L. Cotta cade combattendo
sul posto, come la maggior parte dei nostri. Gli altri si rifugiano
nell'accampamento da cui erano partiti. Tra di essi, L. Petrosidio,
aquilifero, attaccato da molti avversari, gettò l'aquila all'interno del
vallo e cadde battendosi da vero eroe dinanzi all'accampamento. I nostri, a
malapena, riescono a reggere agli attacchi nemici fino al calar delle
tenebre; di notte, senza più speranze di salvezza, si tolgono la vita
tutti, sino all'ultimo. I pochi superstiti raggiungono, per vie malsicure
tra le selve, il campo del legato T. Labieno e lo informano dell'accaduto.
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XXXVIII
Hac victoria sublatus Ambiorix statim cum equitatu in
Aduatucos, qui erant eius regno finitimi, proficiscitur; neque noctem neque
diem intermittit pedita tumque subsequi iubet. Re demonstrata Aduatucisque
concitatis postero die in Nervios pervenit hortaturque, ne sui in perpetuum
liberandi atque ulciscendi Romanos pro eis quas acceperint iniuriis
occasionem dimittant: interfectos esse legatos duos magnamque partem
exercitus interisse demonstrat; nihil esse negoti subito oppressam legionem
quae cum Cicerone hiemet interfici; se ad eam rem profitetur adiutorem.
Facile hac oratione Nerviis persuadet.
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Imbaldanzito dalla vittoria, Ambiorige con la cavalleria
si dirige verso gli Atuatuci, che confinavano col suo regno. Non interrompe
la marcia né di notte, né di giorno e ordina alla fanteria di tenergli
dietro. Illustrato l'accaduto e spinti gli Atuatuci alla ribellione, il
giorno seguente raggiunge i Nervi e li spinge a non perdere l'occasione di
rendersi per sempre liberi e di vendicarsi dei Romani per le offese
ricevute. Racconta che due legati erano stati uccisi e il grosso
dell'esercito eliminato; non era affatto difficile cogliere di sorpresa la
legione che svernava con Cicerone e distruggerla; promette il suo aiuto
nell'impresa. Con tali parole persuade facilmente i Nervi.
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XXXIX
Itaque confestim dimissis nuntiis ad Ceutrones, Grudios,
Levacos, Pleumoxios, Geidumnos, qui omnes sub eorum imperio sunt, quam
maximas manus possunt cogunt et de improviso ad Ciceronis hiberna advolant
nondum ad eum fama de Tituri morte perlata. Huic quoque accidit, quod fuit
necesse, ut nonnulli milites, qui lignationis munitionisque causa in silvas
discessissent, repentino equitum adventu interciperentur. His circumventis
magna manu Eburones, Nervii, Aduatuci atque horum omnium socii et clientes
legionem oppugnare incipiunt. Nostri celeriter ad arma concurrunt, vallum
conscendunt. Aegre is dies sustentatur, quod omnem spem hostes in
celeritate ponebant atque hanc adepti victoriam in perpetuum se fore
victores confidebant.
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Così, inviano subito emissari ai Ceutroni, ai Grudi, ai
Levaci, ai Pleumoxi, ai Geidumni, tutti popoli sottoposti alla loro
autorità, raccolgono quante più truppe possono e piombano all'improvviso
sul campo di Cicerone, che ancora non sapeva della morte di Titurio. Anche
Cicerone si trova di fronte, com'era inevitabile, all'identica situazione:
alcuni legionari, addentratisi nei boschi in cerca di legname per le
fortificazioni, vengono colti alla sprovvista dall'arrivo repentino della
cavalleria nemica. Dopo averli circondati con ingenti forze, gli Eburoni, i
Nervi e gli Atuatuci, con tutti i loro alleati e clienti, stringono
d'assedio la legione. I nostri si precipitano alle armi e salgono sul
vallo. Per quel giorno riescono a resistere, ma a stento, perché i nemici
riponevano ogni speranza nella rapidità dell'attacco ed erano convinti che,
ottenuta quella vittoria, sarebbero sempre usciti vincitori.
|
XL
Mittuntur ad Caesarem confestim ab Cicerone litterae
magnis propositis praemiis, si pertulissent: obsessis omnibus viis missi
intercipiuntur. Noctu ex materia, quam munitionis causa comportaverant,
turres admodum CXX excitantur incredibili celeritate; quae deesse operi
videbantur, perficiuntur. Hostes postero die multo maioribus coactis copiis
castra oppugnant, fossam complent. Eadem ratione, qua pridie, ab nostris
resistitur. Hoc idem reliquis deinceps fit diebus. Nulla pars nocturni
temporis ad laborem intermittitur; non aegris, non vulneratis facultas
quietis datur. Quaecumque ad proximi diei oppugnationem opus sunt noctu
comparantur; multae praeustae sudes, magnus muralium pilorum numerus
instituitur; turres contabulantur, pinnae loricaeque ex cratibus attexuntur.
Ipse Cicero, cum tenuissima valetudine esset, ne nocturnum quidem sibi
tempus ad quietem relinquebat, ut ultro militum concursu ae vocibus sibi
parcere cogeretur.
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Senza indugio Cicerone invia una lettera a Cesare,
promettendo grandi ricompense a chi fosse riuscito a recapitarla. Le vie,
però, erano tutte sorvegliate e i messi vennero intercettati. Di notte, con
il legname procurato per le fortificazioni, i Romani costruiscono, con
incredibile rapidità, almeno centoventi torri e terminano le strutture difensive
non ancora approntate. L'indomani i nemici, raccolte truppe ben più
numerose, riprendono l'assedio e riempiono la fossa. I nostri resistono
nello stesso modo del giorno prima. L'identica situazione si ripete nei
giorni successivi. Di notte i lavori non vengono sospesi, neppure per un
istante; non è concesso riposo né ai malati, né ai feriti. Tutto il
necessario per l'assedio del giorno seguente lo si prepara di notte; sono
approntati molti pali induriti al fuoco e giavellotti pesanti in gran quantità;
le torri vengono munite di tavolati, dotate di merli e parapetti di
graticci. Cicerone stesso, pur essendo di salute molto cagionevole, neanche
di notte si concedeva riposo, tanto che i soldati si accalcarono intorno a
lui e lo costrinsero, a forza di insistere, a prendersi un po' di respiro.
|
XLI
Tunc duces principesque Nerviorum qui aliquem sermonis
aditum causamque amicitiae cum Cicerone habebant colloqui sese velle
dicunt. Facta potestate eadem quae Ambiorix cum Titurio egerat commemorant:
omnem esse in armis Galliam; Germanos Rhenum transisse; Caesaris
reliquorumque hiberna oppugnari. Addunt etiam de Sabini morte: Ambiorigem
ostentant fidei faciendae causa. Errare eos dicunt, si quidquam ab his
praesidi sperent, qui suis rebus diffidant; sese tamen hoc esse in
Ciceronem populumque Romanum animo, ut nihil nisi hiberna recusent atque
hanc inveterascere consuetudinem nolint: licere illis incolumibus per se ex
hibernis discedere et quascumque in partes velint sine metu proficisci.
Cicero ad haec unum modo respondit: non esse consuetudinem populi Romani
accipere ab hoste armato condicionem: si ab armis discedere velint, se
adiutore utantur legatosque ad Caesarem mittant; sperare pro eius iustitia,
quae petierint, impetraturos.
|
Allora i capi e i principi dei Nervi, che avevano
possibilità di contatto con Cicerone per ragioni di amicizia, gli chiedono
un colloquio ed egli lo concede. Descrivono la situazione negli stessi
termini in cui Ambiorige l'aveva presentata a Titurio: tutta la Gallia era
in armi; i Germani avevano attraversato il Reno; il campo di Cesare e tutti
gli altri erano sotto assedio. Riferiscono anche la morte di Sabino: la
presenza di Ambiorige ne costituiva la prova. Sarebbe stato un errore
aspettare rinforzi da chi disperava della propria situazione; tuttavia,
contro Cicerone e il popolo romano non avevano alcun risentimento, solo non
accettavano più quartieri d'inverno nei loro territori e non intendevano
che tale abitudine si radicasse; concedevano ai Romani la possibilità di
lasciare il campo sani e salvi e di recarsi, senza alcun timore, dovunque
volessero. A tali parole Cicerone risponde semplicemente che non era
consuetudine del popolo romano accettare condizioni da un nemico armato; se
avessero acconsentito a deporre le armi, prometteva il suo appoggio per
l'invio di messi a Cesare: sperava, dato il senso di giustizia del
comandante, che avrebbero viste esaudite le loro richieste.
|
XLII
Ab hac spe repulsi Nervii vallo pedum IX et fossa pedum
XV hiberna cingunt. Haec et superiorum annorum consuetudine ab nobis
cognoverant et, quos clam de exercitu habebant captivos, ab eis docebantur;
sed nulla ferramentorum copia quae esset ad hunc usum idonea, gladiis
caespites circumcidere, manibus sagulisque terram exhaurire nitebantur. Qua
quidem ex re hominum multitudo cognosci potuit: nam minus horis tribus
milium pedum XV in circuitu munitionem perfecerunt reliquisque diebus
turres ad altitudinem valli, falces testudinesque, quas idem captivi
docuerant, parare ac facere coeperunt.
|
Svanita tale speranza, i Nervi cingono il campo romano
con un vallo alto dieci piedi e una fossa larga quindici. Negli anni
precedenti, per i frequenti contatti con noi, avevano appreso tale tecnica
e adesso erano istruiti da alcuni prigionieri del nostro esercito; ma, privi
degli attrezzi di ferro adatti, erano costretti a fendere le zolle con le
spade e a trasportare la terra con le mani o i saguli. Ma anche da ciò,
comunque, si poté capire quanto fossero numerosi: in meno di tre ore
ultimarono una linea fortificata per un perimetro di quindici miglia. Nei
giorni successivi, sempre sulla base delle istruzioni dei prigionieri,
cominciarono a preparare e costruire torri alte come il vallo, falci e
testuggini.
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XLIII
Septimo oppugnationis die maximo coorto vento ferventes
fusili ex argilla glandes fundis et fervefacta iacula in casas, quae more
Gallico stramentis erant tectae, iacere coeperunt. Hae celeriter ignem
comprehenderunt et venti magnitudine in omnem locum castrorum distulerunt.
Hostes maximo clamore sicuti parta iam atque explorata victoria turres
testudinesque agere et scalis vallum ascendere coeperunt. At tanta militum
virtus atque ea praesentia animi fuit, ut, cum undique flamma torrerentur
maximaque telorum multitudine premerentur suaque omnia impedimenta atque omnes
fortunas conflagrare intellegerent, non modo demigrandi causa de vallo
decederet nemo, sed paene ne respiceret quidem quisquam, ac tum omnes
acerrime fortissimeque pugnarent. Hic dies nostris longe gravissimus fuit;
sed tamen hunc habuit eventum, ut eo die maximus numerus hostium
vulneraretur atque interficeretur, ut se sub ipso vallo constipaverant
recessumque primis ultimi non dabant. Paulum quidem intermissa flamma et
quodam loco turri adacta et contingente vallum tertiae cohortis centuriones
ex eo, quo stabant, loco recesserunt suosque omnes removerunt, nutu
vocibusque hostes, si introire vellent, vocare coeperunt; quorum progredi
ausus est nemo. Tum ex omni parte lapidibus coniectis deturbati, turrisque
succensa est.
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Il settimo giorno d'assedio si levò un vento fortissimo:
i nemici iniziarono a scagliare proiettili roventi d'argilla incandescente
e frecce infuocate contro le capanne che, secondo l'uso gallico, avevano il
tetto ricoperto di paglia. I tetti presero subito fuoco e, per la violenza
delle raffiche, le fiamme si diffusero in ogni punto del campo. I nemici,
tra alte grida, come se avessero già la vittoria in pugno, cominciarono a
spingere in avanti le torri e le testuggini, a tentar di salire sul nostro
vallo con scale. I nostri, nonostante il calore sprigionato ovunque dalle
fiamme e il nugolo di dardi che pioveva su di loro e sebbene si rendessero
conto che tutti i bagagli e ogni loro bene era perduto, diedero una tal
prova di valore e presenza di spirito, che nessuno si mosse e abbandonò il
vallo in fuga, anzi, non girarono neanche le teste: tutti si batterono con
estrema tenacia e straordinario coraggio. Per i nostri fu il giorno più
duro in assoluto, ma col risultato che, proprio in esso, i nemici subirono
il maggior numero di perdite, tra morti e feriti, perché si erano ammassati
proprio ai piedi del vallo e gli ultimi impedivano ai primi la ritirata. Le
fiamme erano un po' calate e, in una zona, una torre nemica era stata
spinta contro il vallo; i centurioni della terza coorte ripiegarono dal
settore in cui si trovavano e ordinarono a tutti i loro di retrocedere, poi
con cenni e grida cominciarono a chiamare il nemico, sfidandolo a entrare:
nessuno osò farsi avanti. Allora i nostri, da ogni parte, scagliarono
pietre e i Galli vennero dispersi; la torre fu incendiata.
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XLIV
Erant in ea legione fortissimi viri, centuriones, qui
primis ordinibus appropinquarent, Titus Pullo et Lucius Vorenus. Hi
perpetuas inter se controversias habebant, quinam anteferretur, omnibusque
annis de locis summis simultatibus contendebant. Ex his Pullo, cum acerrime
ad munitiones pugnaretur, "Quid dubitas," inquit, " Vorene?
aut quem locum tuae probandae virtutis exspectas ? hic dies de nostris
controversiis iudicabit." Haec cum dixisset, procedit extra munitiones
quaque pars hostium confertissma est visa irrumpit. Ne Vorenus quidem tum
sese vallo continet, sed omnium veritus existi mationem subsequitur.
Mediocri spatio relicto Pullo pilum in hostes immittit atque unum ex
multitudine procurrentem traicit; quo percusso et exanimato hunc scutis
protegunt, in hostem tela universi coniciunt neque dant regrediendi
facultatem. Transfigitur scutum Pulloni et verutum in balteo defigitur.
Avertit hic casus vaginam et gladium educere conanti dextram moratur manum,
impeditumque hostes circumsistunt. Succurrit inimicus illi Vorenus et
laboranti subvenit. Ad hunc se confestim a Pullone omnis multitudo
convertit: illum veruto arbitrantur occisum. Gladio comminus rem gerit
Vorenus atque uno interfecto reliquos paulum propellit; dum cupidius
instat, in locum deiectus inferiorem concidit. Huic rursus circumvento fert
subsidium Pullo, atque ambo incolumes compluribus interfectis summa cum
laude sese intra munitiones recipiunt. Sic fortuna in contentione et
certamine utrumque versavit, ut alter alteri inimicus auxilio salutique
esset, neque diiudicari posset, uter utri virtute anteferendus videretur.
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In quella legione militavano due centurioni di grande
valore, T. Pullone e L. Voreno, che stavano raggiungendo i gradi più alti.
I due erano in costante antagonismo su chi doveva esser anteposto all'altro
e ogni anno gareggiavano per la promozione, con rivalità accanita. Mentre
si combatteva aspramente nei pressi delle nostre difese, Pullone disse:
"Esiti, Voreno? Che grado ti aspetti a ricompensa del tuo valore? Ecco
il giorno che deciderà le nostre controversie!" Ciò detto, scavalca le
difese e si getta contro lo schieramento nemico dove sembrava più fitto.
Neppure Voreno, allora, resta entro il vallo, ma, temendo il giudizio di
tutti, segue Pullone. A poca distanza dai nemici, questi scaglia il
giavellotto contro di loro e ne colpisce uno, che correva in testa a tutti;
i compagni lo soccorrono, caduto e morente, proteggendolo con gli scudi,
mentre tutti insieme lanciano dardi contro Pullone, impedendogli di
avanzare. Anzi, il suo scudo viene passato da parte a parte e un veruto gli
si pianta nel balteo, spostandogli il fodero della spada: così, mentre
cerca di sguainarla con la destra, perde tempo e, nell'intralcio in cui si
trova, viene circondato. Subito il suo rivale Voreno si precipita e lo
soccorre in quel difficile frangente. Su di lui convergono subito tutti i
nemici, trascurando Pullone: lo credono trafitto dal veruto. Voreno
combatte con la spada, corpo a corpo, uccide un avversario e costringe gli
altri a retrocedere leggermente, ma, trasportato dalla foga, cade a
capofitto in un fosso. Viene circondato a sua volta e trova sostegno in
Pullone: tutti e due, incolumi, si riparano entro le nostre difese, dopo
aver ucciso molti nemici ed essersi procurati grande onore. Così la
Fortuna, in questa loro sfida e contesa, dispose di essi in modo che ognuno
recasse all'antagonista aiuto e salvezza e che non fosse possibile
giudicare a quale dei due, per valore, toccasse il premio per il valore.
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XLV
Quanto erat in dies gravior atque asperior oppugnatio,
et maxime quod magna parte militum confecta vulneribus res ad paucitatem
defensorum pervenerat, tanto crebriores litterae nuntiique ad Caesarem
mittebantur; quorum pars deprehensa in conspectu nostrorum militum cum
cruciatu necabatur. Erat unus intus Nervius nomine Vertico, loco natus
honesto, qui a prima obsidione ad Ciceronem perfugerat suamque ei fidem
praestiterat. Hic servo spe libertatis magnisque persuadet praemiis, ut
litteras ad Caesarem deferat. Has ille in iaculo illigatas effert et Gallus
inter Gallos sine ulla suspicione versatus ad Caesarem pervenit. Ab eo de
periculis Ciceronis legionisque cognoscitur.
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Quanto più l'assedio diventava, di giorno in giorno,
duro e insostenibile (soprattutto perché la maggior parte dei soldati era
ferita e il numero dei difensori si era ridotto a ben poca cosa), tanto più
di frequente venivano inviate lettere e messi a Cesare: alcuni di loro,
catturati, vennero uccisi tra i supplizi al cospetto dei nostri soldati.
Nell'accampamento c'era un Nervio, di nome Verticone, persona di nobili
natali: fin dall'inizio dell'assedio era passato dalla parte di Cicerone e
gli aveva giurato fedeltà assoluta. Verticone persuade un suo servo a
portare una lettera a Cesare e gli promette la libertà e grosse ricompense.
Costui porta fuori dal campo la lettera legata al suo giavellotto: Gallo,
tra Galli, si muove senza destare alcun sospetto e raggiunge Cesare,
informandolo dei pericoli che incombono su Cicerone e la sua legione.
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XLVI
Caesar acceptis litteris hora circiter XI diei statim
nuntium in Bellovacos ad M. Crassum quaestorem mittit, cuius hiberna
aberant ab eo milia passuum XXV; iubet media nocte legionem proficisci
celeriterque ad se venire. Exit cum nuntio Crassus. Alterum ad Gaium Fabium
legatum mittit, ut in Atrebatium fines legionem adducat, qua sibi iter
faciendum sciebat. Scribit Labieno, si rei publicae commodo facere posset,
cum legione ad fines Nerviorum veniat. Reliquam partem exercitus, quod
paulo aberat longius, non putat exspectandam; equites circiter
quadringentos ex proximis hibernis colligit.
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Cesare, ricevuta la lettera verso le cinque di
pomeriggio, invia immediatamente nelle terre dei Bellovaci un messaggero al
questore M. Crasso, il cui campo invernale distava circa venticinque
miglia; gli ordina di mettersi in marcia con la legione a mezzanotte e di
raggiungerlo in fretta. Crasso lascia il campo con l'emissario. Cesare ne
invia un altro al legato C. Fabio e gli comunica di guidare la legione nei
territori degli Atrebati, da dove sapeva di dover transitare. Scrive a
Labieno di venire con la legione nelle terre dei Nervi, se la sua partenza
non era di danno per gli interessi di Roma. Ritiene di non dover aspettare
il resto dell'esercito, stanziato un po' troppo lontano; dai campi
invernali più vicini raccoglie circa quattrocento cavalieri.
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XLVII
Hora circiter tertia ab antecursoribus de Crassi adventu
certior factus eo die milia passuum XX pro cedit. Crassum Samarobrivae
praeficit legionemque attribuit, quod ibi impedimenta exercitus, obsides
civitatum, litteras publicas frumentumque omne quod eo tolerandae hiemis
causa devexerat relinquebat. Fabius, ut imperatum erat, non ita multum
moratus in itinere cum legione occurrit. Labienus interitu Sabini et caede
cohortium cognita, cum omnes ad eum Treverorum copiae venissent, veritus,
si ex hibernis fugae similem profectionem fecisset, ut hostium impetum
sustinere posset, praesertim quos recenti victoria efferri sciret, litteras
Caesari remittit, quanto cum periculo legionem ex hibernis educturus esset;
rem gestam in Eburonibus perscribit; docet omnes equitatus peditatusque
copias Treverorum tria milia passuum longe ab suis castris consedisse.
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Le staffette, verso le nove di mattina, lo informano
dell'arrivo di Crasso ed egli, per quel giorno, avanza di circa venti
miglia. Destina Crasso a Samarobriva e gli attribuisce il comando della
legione perché lasciava lì le salmerie dell'esercito, gli ostaggi delle
varie popolazioni, i documenti ufficiali e tutto il grano trasportato per
affrontare l'inverno. Fabio con la sua legione, secondo gli ordini, senza
perdere troppo tempo, si ricongiunge con lui mentre era in marcia. Quando
Labieno era ormai al corrente della morte di Sabino e della strage delle
coorti, i Treveri giungono con tutto l'esercito: egli ebbe paura, se
lasciava il campo con una partenza simile a una fuga, di non riuscire a
tener testa all'assalto dei nemici, tanto più che li sapeva imbaldanziti
per la recente vittoria. Perciò, scrive a Cesare il pericolo a cui si
troverebbe esposta la legione guidata fuori dall'accampamento, gli illustra
le vicende accadute tra gli Eburoni e lo informa che la fanteria e la
cavalleria dei Treveri, al gran completo, si erano insediate a tre miglia
di distanza dal suo campo.
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XLVIII
Caesar consilio eius probato, etsi opinione trium
legionum deiectus ad duas redierat, tamen unum communis salutis auxilium in
celeritate ponebat. Venit magnis itineribus in Nerviorum fines. Ibi ex
captivis cognoscit, quae apud Ciceronem gerantur, quantoque in periculo res
sit. Tum cuidam ex equitibus Gallis magnis praemiis persuadet uti ad
Ciceronem epistolam deferat. Hanc Graecis conscriptam litteris mittit, ne
intercepta epistola nostra ab hostibus consilia cognoscantur. Si adire non
possit, monet ut tragulam cum epistola ad amentum deligata intra munitionem
castrorum abiciat. In litteris scribit se cum legionibus profectum
celeriter adfore; hortatur ut pristinam virtutem retineat. Gallus periculum
veritus, ut erat praeceptum, tragulam mittit. Haec casu ad turrim adhaesit
neque ab nostris biduo animadversa tertio die a quodam milite conspicitur,
dempta ad Ciceronem defertur. Ille perlectam in conventu militum recitat
maximaque omnes laetitia adficit. Tum fumi incendiorum procul videbantur;
quae res omnem dubitationem adventus legionum expulit.
|
Cesare approvò la decisione di Labieno e, benché, così,
caduta la speranza di contare su tre legioni, dovesse accontentarsi di due,
continuava a pensare che l'unica via di salvezza comune consistesse nella rapidità
di azione. A marce forzate raggiunge la regione dei Nervi. Qui, dai
prigionieri apprende che cosa succede nel campo di Cicerone e come la
situazione sia critica. Allora, offrendogli un forte compenso, persuade uno
dei cavalieri galli a portare a Cicerone una lettera. La scrive in greco,
per evitare che i nemici, in caso di intercettazione, scoprissero i nostri
piani. Dà ordine al Gallo, se non fosse riuscito a penetrare nel campo
romano, di scagliare all'interno delle fortificazioni una tragula, con la
lettera legata alla correggia. Nella missiva scrive che era già in marcia
con le legioni e che presto sarebbe giunto; esorta Cicerone a mostrarsi
all'altezza dell'antico valore. Il Gallo, temendo il pericolo, scaglia la
tragula secondo gli ordini ricevuti. Il caso volle che si conficcasse in
una torre e che per due giorni i nostri non se ne accorgessero. Il terzo
giorno viene notata da un soldato, divelta e consegnata a Cicerone. Egli
legge attentamente la missiva e poi ne comunica il contenuto pubblicamente,
con grande gioia di tutti. Al tempo stesso si scorgevano, in lontananza,
fumi di fuochi: ogni dubbio sull'arrivo delle legioni venne fugato.
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XLIX
Galli re cognita per exploratores obsidionem relinquunt,
ad Caesarem omnibus copiis contendunt. Hae erant armata circiter milia LX.
Cicero data facultate Gallum ab eodem Verticone, quem supra demonstravimus,
repetit, qui litteras ad Caesarem deferat; hunc admonet, iter caute
diligenterque faciat: perscribit in litteris hostes ab se discessisse
omnemque ad eum multitudinem convertisse. Quibus litteris circiter media
nocte Caesar adlatis suos facit certiores eosque ad dimicandum animo
confirmat. Postero die luce prima movet castra et circiter milia passuum
quattuor progressus trans vallem et rivum multitudinem hostium conspicatur.
Erat magni periculi res tantulis copiis iniquo loco dimicare; tum, quoniam
obsidione liberatum Ciceronem sciebat, aequo animo remittendum de
celeritate existimabat: consedit et quam aequissimo loco potest castra
communit atque haec, etsi erant exigua per se vix hominum milium septem
praesertim nullis cum impedimentis, tamen angustiis viarum quam maxime
potest contrahit, eo consilio, ut in summam contemptionem hostibus veniat.
Interim speculatoribus in omnes partes dimissis explorat quo commodissime
itinere vallem transire possit.
|
I Galli, informati del fatto dagli esploratori, tolgono
l'assedio e con tutte le truppe, circa sessantamila armati, si dirigono
contro Cesare. Cicerone, grazie all'intervento del solito Verticone - se
n'è già parlato - trova un Gallo che recapiti una lettera a Cesare, visto
che era possibile, e lo avverte di muoversi con cautela e attenzione; nella
missiva spiega a Cesare che il nemico si era allontanato e che, in forze,
stava dirigendosi contro di lui. La lettera, verso mezzanotte, perviene a
Cesare, che informa i suoi e li incoraggia in vista della battaglia.
L'indomani, all'alba, sposta l'accampamento e, percorse circa quattro
miglia, avvista la massa dei nemici tra una valle e un corso d'acqua. Era
molto rischioso combattere su un terreno sfavorevole e avendo truppe così
esigue; allora, sapendo che Cicerone era stato liberato dall'assedio, in
tutta serenità non riteneva necessario stringere i tempi. Si ferma dunque e
fortifica il campo nel posto che offriva più vantaggi; sebbene
l'accampamento fosse già, per sé, di modeste proporzioni (era per appena
settemila uomini e, per di più, privi di bagagli), lo rende ancor più
piccolo stringendo al massimo i passaggi, per indurre il nemico al più
profondo disprezzo. Nel frattempo, mediante esploratori inviati in tutte le
direzioni, esamina quale sia il percorso più agevole per attraversare la
valle.
|
L
Eo die parvulis equestribus proeliis ad aquam factis
utrique sese suo loco continent: Galli, quod ampliores copias, quae nondum
convenerant, exspectabant; Caesar, si forte timoris simulatione hostes in
suum locum elicere posset, ut citra vallem pro castris proelio contenderet,
si id efficere non posset, ut exploratis itineribus minore cum periculo
vallem rivumque transiret. Prima luce hostium equitatus ad castra accedit
proeliumque cum nostris equitibus committit. Caesar consulto equites cedere
seque in castra recipere iubet, simul ex omnibus partibus castra altiore
vallo muniri portasque obstrui atque in his administrandis rebus quam
maxime concursari et cum simulatione agi timoris iubet.
|
Quel giorno si verificarono solo scaramucce di
cavalleria nei pressi del corso d'acqua, mentre entrambi gli eserciti
tenevano le proprie posizioni: i Galli in quanto aspettavano l'arrivo di
truppe ancor più numerose, non ancora giunte; Cesare nella speranza di
riuscire, simulando timore, ad attirare sul suo terreno i nemici per
combattere al di qua della valle, dinnanzi al campo, o, in caso contrario,
per riuscire, una volta esplorate le strade, ad attraversare la valle e il
corso d'acqua con minore pericolo. All'alba la cavalleria avversaria si
avvicina al campo e attacca battaglia con i nostri cavalieri. Cesare, di
proposito, ordina ai suoi di ritirarsi e di rientrare all'accampamento. Al
tempo stesso, comanda di rinforzare con un vallo più alto tutti i lati del
campo e di ostruire le porte; dà ordine ai soldati di eseguire le
operazioni con estrema precipitazione e di simulare paura.
|
LI
Quibus omnibus rebus hostes invitati copias traducunt
aciemque iniquo loco constituunt, nostris vero etiam de vallo deductis
propius accedunt et tela intra munitionem ex omnibus partibus coniciunt
praeconibusque circummissis pronuntiari iubent, seu quis Gallus seu Romanus
velit ante horam tertiam ad se transire, sine periculo licere; post id
tempus non fore potestatem: ac sic nostros contempserunt, ut obstructis in
speciem portis singulis ordinibus caespitum, quod ea non posse introrumpere
videbantur, alii vallum manu scindere, alii fossas complere inciperent. Tum
Caesar omnibus portis eruptione facta equitatuque emisso celeriter hostes
in fugam dat, sic uti omnino pugnandi causa resisteret nemo, magnumque ex
eis numerum occidit atque omnes armis exuit.
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I nemici, attirati da tutto ciò, varcano il fiume con le
loro truppe e le schierano in un luogo sfavorevole. Mentre i nostri
abbandonano il vallo, gli avversari si avvicinano ancor più e da tutti i
lati scagliano dardi all'interno delle fortificazioni. Poi, mandano araldi
tutt'intorno al campo e annunziano quanto segue: era consentito a chiunque
lo volesse, Gallo o Romano, di passare dalla loro parte, senza alcun
pericolo, entro le nove di mattina; scaduto il termine, nessuno ne avrebbe
più avuto la facoltà. Disprezzarono i nostri a tal punto, che alcuni dei
loro cominciarono a smantellare il vallo con le mani, altri a riempire i
fossati, perché non ritenevano possibile un'irruzione dalle porte, ostruite
per finta da una sola fila di zolle. Allora Cesare, con una sortita da
tutte le porte, lancia la cavalleria alla carica e mette in fuga gli
avversari, senza che neppure uno riuscisse a combattere e resistere: ne
uccide molti, li costringe tutti a gettare le armi.
|
LII
Longius prosequi veritus, quod silvae paludesque
intercedebant neque etiam parvulo detrimento illorum locum relinqui
videbat, omnibus suis incolumibus copiis eodem die ad Ciceronem pervenit.
Institutas turres, testudines munitionesque hostium admiratur; legione
producta cognoscit non decimum quemque esse reliquum militem sine vulnere:
ex his omnibus iudicat rebus, quanto cum periculo et quanta cum virtute res
sint administratae. Ciceronem pro eius merito legionemque collaudat;
centuriones singillatim tribunosquc militum appellat, quorum egregiam
fuisse virtutem testimonio Ciceronis cognoverat. De casu Sabini et Cottae
certius ex captivis cognoscit. Postero die contione habita rem gestam
proponit, milites consolatur et confirmat: quod detrimentum culpa et
temeritate legati sit acceptum, hoc aequiore animo ferendum docet, quod
beneficio deorum immortalium et virtute eorum expiato incommodo neque
hostibus diutina laetatio neque ipsis longior dolor relinquatur.
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Cesare ritenne rischioso spingersi troppo in là, perché
si frapponevano selve e paludi, e si rendeva conto che non c'era modo di
infliggere agli avversari il benché minimo danno. Così, quel giorno stesso,
senza nessuna perdita, raggiunge Cicerone. Qui, con stupore, vede le torri
costruite, le testuggini e le fortificazioni dei nemici; quando la legione
viene schierata, si rende conto che neanche un soldato su dieci è illeso;
da tutti questi elementi giudica con quanto pericolo e con quale valore sia
stata affrontata la situazione: loda pubblicamente per i suoi meriti
Cicerone e i soldati, chiama individualmente i centurioni e i tribuni
militari che - lo sapeva per testimonianza di Cicerone - si erano distinti
per singolare valore. Dai prigionieri apprende altri particolari sulla fine
di Sabino e Cotta. Il giorno seguente riunisce le truppe, descrive
l'accaduto, ma rincuora e rassicura i soldati; spiega che il rovescio,
subito per colpa e imprudenza di un legato, doveva essere sopportato con
animo tanto più sereno, in quanto, per beneficio degli dèi immortali e per
il loro valore, il disastro era stato vendicato; la gioia dei nemici era
stata breve, quindi il loro dolore non doveva durare troppo a lungo.
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LIII
Interim ad Labienum per Remos incredibili celeritate de
victoria Caesaris fama perfertur, ut, cum ab hibernis Ciceronis milia
passuum abesset circiter LX, eoque post horam nonam diei Caesar pervenisset,
ante mediam noctem ad portas castrorum clamor oreretur, quo clamore
significatio victoriae gratulatioque ab Remis Labieno fieret. Hac fama ad
Treveros perlata Indutiomarus, qui postero die castra Labieni oppugnare
decreverat, noctu profugit copiasque omnes in Treveros reducit. Caesar
Fabium cum sua legione remittit in hiberna, ipse cum tribus legionibus
circum Samarobrivam trinis hibernis hiemare constituit et, quod tanti motus
Galliae exstiterant, totam hiemem ipse ad exercitum manere decrevit. Nam
illo incommodo de Sabini morte perlato omnes fere Galliae civitates de
bello consultabant, nuntios legationesque in omnes partes dimittebant et
quid reliqui consili caperent atque unde initium belli fieret explorabant
nocturnaque in locis desertis concilia habebant. Neque ullum fere totius
hiemis tempus sine sollicitudine Caesaris intercessit, quin aliquem de
consiliis ac motu Gallorum nuntium acciperet. In his ab Lucio Roscio, quem
legioni tertiae decimae praefecerat, certior factus est magnas Gallorum copias
earum civitatum, quae Armoricae appellantur, oppugnandi sui causa
convenisse neque longius milia passuum octo ab hibernis suis afuisse, sed
nuntio allato de victoria Caesaris discessisse, adeo ut fugae similis
discessus videretur.
|
Nello stesso tempo, i Remi recano a Labieno la notizia
della vittoria di Cesare, con incredibile rapidità. Infatti, sebbene il
campo di Cicerone, dove Cesare era giunto dopo le tre di pomeriggio,
distasse circa sessanta miglia dall'accampamento di Labieno, qui, prima di
mezzanotte, si levò clamore alle porte: erano le grida dei Remi in segno di
vittoria e di congratulazione. Il fatto viene riferito anche ai Treveri;
Induziomaro, che aveva già fissato per l'indomani l'assedio al campo di
Labieno, di notte fugge e riconduce tutte le sue truppe nella regione dei
Treveri. Cesare ordina a Fabio di rientrare con la sua legione
all'accampamento invernale; dal canto suo, fissa tre quartieri d'inverno,
separati, tutt'intorno a Samarobriva e decide, date le numerose
sollevazioni verificatesi in Gallia, di rimanere personalmente con
l'esercito per tutto l'inverno. Infatti, una volta diffusasi la notizia
della sconfitta e della morte di Sabino, quasi tutti i popoli della Gallia
si consultavano sulla guerra, inviavano messi in tutte le direzioni,
s'informavano sulle decisioni degli altri e da dove sarebbe partita
l'insurrezione, tenevano concili notturni in zone deserte. Per tutto
l'inverno, non ci fu per Cesare un momento tranquillo: riceveva di continuo
notizie sui progetti e la ribellione dei Galli. Tra l'altro, L. Roscio,
preposto alla tredicesima legione, lo informò che ingenti truppe galliche
delle popolazioni chiamate aremoriche, si erano radunate con l'intenzione
di assediarlo ed erano a non più di otto miglia dal suo campo, ma, alla
notizia della vittoria di Cesare, si erano allontanate con una rapidità
tale, che la loro partenza era sembrata piuttosto una fuga.
|
LIV
At Caesar principibus cuiusque civitatis ad se evocatis
alias territando, cum se scire quae fierent denuntiaret, alias cohortando
magnam partem Galliae in officio tenuit. Tamen Senones, quae est civitas in
primis firma et magnae inter Gallos auctoritatis, Cavarinum, quem Caesar
apud eos regem constituerat, cuius frater Moritasgus adventu in Galliam
Caesaris cuiusque maiores regnum obtinuerant, interficere publico consilio
conati, cum ille praesensisset ac profugisset, usque ad fines insecuti
regno domoque expulerunt et, missis ad Caesarem satisfaciendi causa
legatis, cum is omnem ad se senatum venire iussisset, dicto audientes non
fuerunt. Tantum apud homines barbaros valuit esse aliquos repertos
principes inferendi belli tantamque omnibus voluntatum commutationem
attulit, ut praeter Aeduos et Remos, quos praecipuo semper honore Caesar
habuit, alteros pro vetere ac perpetua erga populum Romanum fide, alteros
pro recentibus Gallici belli officiis, nulla fere civitas fuerit non
suspecta nobis. Idque adeo haud scio mirandumne sit, cum compluribus aliis
de causis, tum maxime quod ei, qui virtute belli omnibus gentibus praeferebantur,
tantum se eius opinionis deperdidisse ut a populo Romano imperia perferrent
gravissime dolebant.
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Cesare, allora, convocò i principi di ciascun popolo, e
ora col timore precisando di essere al corrente di quanto accadeva, ora con
la persuasione, indusse la maggior parte delle genti galliche al rispetto
degli impegni assunti. Tuttavia i Senoni, tra i più forti e autorevoli in
Gallia, a seguito di decisione pubblica, tentarono di eliminare Cavarino,
che Cesare aveva designato loro sovrano (e già erano stati re suo fratello
Moritasgo, all'epoca dell'arrivo di Cesare in Gallia, e i suoi avi).
Cavarino ne presagì le intenzioni e fuggì; i suoi avversari gli diedero la
caccia sino al confine e lo bandirono dal trono e dal paese. In seguito,
inviarono a Cesare un'ambasceria per discolparsi: egli comandò che tutti i
senatori si presentassero da lui, ma il suo ordine venne disatteso. A
quegli uomini barbari bastò che ci fossero dei fautori della guerra: in
tutti si verificò un tale mutamento di propositi, che quasi nessun popolo
rimase al di sopra dei nostri sospetti, se si eccettuano gli Edui e i Remi,
che Cesare tenne sempre in particolare onore - i primi per l'antica e
costante lealtà nei confronti del popolo romano, i secondi per i recenti
servizi durante la guerra in Gallia. Ma non so se la cosa sia poi tanto
strana, tenendo soprattutto presente che, tra le molte altre cause, popoli
considerati superiori a tutti, per valore militare, adesso erano
profondamente afflitti per aver perso prestigio al punto da dover
sottostare al dominio di Roma.
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LV
Treveri vero atque Indutiomarus totius hiemis nullum
tempus intermiserunt, quin trans Rhenum legatos mitterent, civitates
sollicitarent, pecunias pollicerentur, magna parte exercitus nostri
interfecta multo minorem superesse dicerent partem. Neque tamen ulli
civitati Germanorum persuaderi potuit, ut Rhenum transiret, cum se bis
expertos dicerent, Ariovisti bello et Tencterorum transitu: non esse
amplius fortunam temptaturos. Hac spe lapsus Indutiomarus nihilo minus copias
cogere, exercere, a finitimis equos parare, exules damnatosque tota Gallia
magnis praemiis ad se allicere coepit. Ac tantam sibi iam his rebus in
Gallia auctoritatem comparaverat ut undique ad eum legationes concurrerent,
gratiam atque amicitiam publice privatimque peterent.
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I Treveri e Induziomaro, però, per tutto l'inverno non
smisero un attimo di inviare ambascerie oltre il Reno e di sobillare le
altre genti, di promettere denaro e di sostenere che, distrutto ormai il
grosso del nostro esercito, ne restava solo una minima parte. Ma non gli
riuscì di persuadere nessun popolo dei Germani a varcare il Reno;
affermavano di averne fatta già due volte esperienza, con la guerra di
Ariovisto e il passaggio dei Tenteri: non avrebbero tentato ulteriormente
la sorte. Caduta tale speranza, Induziomaro cominciò lo stesso a radunare
truppe e a esercitarle, a fornirsi di cavalli dalle genti vicine e ad
attirare a sé, con grandi remunerazioni, gli esuli e le persone condannate
di tutta la Gallia. In tal modo si era già procurato in Gallia tanta
autorità, che da ogni regione accorrevano ambascerie e gli chiedevano i
suoi favori e la sua amicizia, per l'interesse pubblico e privato.
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LVI
Vbi intellexit ultro ad se veniri, altera ex parte
Senones Carnutesque conscientia facinoris instigari, altera Nervios
Aduatucosque bellum Romanis parare, neque sibi voluntariorum copias defore,
si ex finibus suis progredi coepisset, armatum concilium indicit. Hoc more
Gallorum est initium belli, quo lege communi omnes puberes armati convenire
consuerunt; qui ex eis novissimus convenit, in conspectu multitudinis
omnibus cruciatibus affectus necatur. In eo concilio Cingetorigem, alterius
principem factionis, generum suum, quem supra demonstravimus Caesaris
secutum fidem ab eo non discessisse, hostem iudicat bonaque eius publicat.
His rebus confectis, in concilio pronuntiat arcessitum se a Senonibus et
Carnutibus aliisque compluribus Galliae civitatibus; huc iturum per fines
Remorum eorumque agros popula turum ac, priusquam id faciat, castra Labieni
oppugnaturum. Quae fieri velit praecipit.
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Induziomaro, quando si rese conto della spontaneità di
tali ambascerie e che, da un lato, i Senoni e i Carnuti erano spinti dalla
consapevolezza della propria colpa, dall'altro i Nervi e gli Atuatuci
preparavano guerra ai Romani, e, inoltre, che non gli sarebbero mancate
bande di volontari, se si fosse mosso dai suoi territori, convoca
un'assemblea armata. È il modo con cui di solito i Galli iniziano una
guerra: per una legge comune, tutti i giovani sono costretti a venirvi in
armi; chi giunge ultimo, al cospetto di tutti viene sottoposto a torture
d'ogni sorta e ucciso. In tale assemblea Induziomaro dichiara Cingetorige,
capo della fazione avversa e suo genero - abbiamo già ricordato che si era
messo sotto la protezione di Cesare e gli era rimasto fedele - nemico
pubblico e ne confisca le sostanze. Dopo tali risoluzioni, nel concilio
Induziomaro annuncia solennemente di aver accolto le sollecitazioni dei
Senoni, dei Carnuti e di molte altre genti della Gallia; intende
attraversare i territori dei Remi e devastarne i campi, ma, prima, vuole
porre l'assedio al campo di Labieno. Impartisce gli ordini da eseguire.
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LVII
Labienus, cum et loci natura et manu munitissumis
castris sese teneret, de suo ac legionis periculo nihil timebat; ne quam
occasionem rei bene gerendae dimitteret, cogitabat. Itaque a Cingetorige
atque eius propinquis oratione Indutiomari cognita, quam in concilio
habuerat, nuntios mittit ad finitimas civitates equitesque undique evocat:
his certum diem conveniendi dicit. Interim prope cotidie cum omni equitatu
Indutiomarus sub castris eius vagabatur, alias ut situm castrorum
cognosceret, alias colloquendi aut territandi causa: equites plerumque
omnes tela intra vallum coniciebant. Labienus suos intra munitionem
continebat timorisque opinionem, quibuscumque poterat rebus, augebat.
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Labieno, al riparo in un accampamento ben munito per
conformazione naturale e numero di soldati, non nutriva timori per sé o per
la legione. Tuttavia, meditava di non lasciarsi sfuggire nessuna occasione
per una bella impresa. Così, non appena informato da Cingetorige e dai suoi
parenti del discorso di Induziomaro al concilio, Labieno invia messi alle
genti limitrofe e fa venire a sé da ogni parte cavalieri: fissa la data in
cui avrebbero dovuto presentarsi. Frattanto, quasi ogni giorno Induziomaro,
con la cavalleria al completo, incrociava nei pressi dell'accampamento,
vuoi per prender visione di com'era disposto il campo, vuoi per intavolare
discorsi o suscitar timori; i suoi cavalieri, generalmente, scagliavano
frecce all'interno del vallo. Labieno teneva i suoi entro le fortificazioni
e cercava, con ogni mezzo, di dar l'impressione di aver paura.
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LVIII
Cum maiore in dies contemptione Indutiomarus ad castra
accederet, nocte una intromissis equitibus omnium finitimarum civitatum
quos arcessendos curaverat, tanta diligentia omnes suos custodiis intra
castra continuit, ut nulla ratione ea res enuntiari aut ad Treveros
perferri posset. Interim ex consuetudine cotidiana Indutiomarus ad castra
accedit atque ibi magnam partem diei consumit; equites tela coniciunt et
magna cum contumelia verborum nostros ad pugnam evocant. Nullo ab nostris
dato responso, ubi visum est, sub vesperum dispersi ac dissipati discedunt.
Subito Labienus duabus portis omnem equitatum emittit; praecipit atque
interdicit, proterritis hostibus atque in fugam coniectis (quod fore, sicut
accidit, videbat) unum omnes peterent Indutiomarum, neu quis quem prius
vulneret, quam illum interfectum viderit, quod mora reliquorum spatium
nactum illum effugere nolebat; magna proponit eis qui occiderint praemia;
summittit cohortes equitibus subsidio. Comprobat hominis consilium fortuna,
et cum unum omnes peterent, in ipso fluminis vado deprehensus Indutiomarus
interficitur, caputque eius refertur in castra: redeuntes equites quos
possunt consectantur atque occidunt. Hac re cognita omnes Eburonum et
Nerviorum quae convenerant copiae discedunt, pauloque habuit post id factum
Caesar quietiorem Galliam.
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Mentre Induziomaro, di giorno in giorno, si avvicinava
al campo con maggior sicurezza, Labieno una notte fece entrare i cavalieri
richiesti a tutte le genti limitrofe; grazie alle sentinelle, riuscì a
trattenere tutti i suoi all'interno del campo così bene, che in nessun modo
la notizia poté trapelare o giungere ai Treveri. Nel frattempo Induziomaro,
come ogni giorno, si avvicina all'accampamento e qui trascorre la maggior
parte del giorno: i suoi cavalieri scagliano frecce e provocano i nostri a
battaglia con ingiurie d'ogni sorta. I nostri non rispondono e gli
avversari, quando lo ritengono opportuno, al calar della sera, si
allontanano a piccoli gruppi, disunendosi. All'improvviso Labieno, da due
porte, lancia alla carica tutta la cavalleria: dà ordine e disposizione
che, dopo aver spaventato e messo in fuga i nemici (prevedeva che sarebbe
successo, come in effetti capitò), tutti puntino solo su Induziomaro e non
colpiscano nessun altro prima di averlo visto morto: non voleva che, mentre
si attardavano a inseguire gli altri, il Gallo trovasse una via di scampo.
Promette grandi ricompense a chi l'avesse ucciso; invia le coorti in
appoggio ai cavalieri. La Fortuna asseconda il piano dell'uomo: tutti si
lanciano su Induziomaro, lo catturano proprio sul guado del fiume e lo
uccidono; la sua testa viene portata all'accampamento; i cavalieri, nel
rientrare, inseguono e massacrano quanti più nemici possono. Avute queste
notizie, tutte le truppe degli Eburoni e dei Nervi, che si erano lì
concentrate, si disperdono: dopo questa battaglia Cesare riuscì a tenere un
po' più tranquilla la Gallia.
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