Relazione fra Dio e l'Uomo

 

     

1. Predestinazione

Tutti gli uomini sono predestinati per grazia di Dio alla salvezza.

Qualora sia loro volontà accogliere questa grazia al fine di salvarsi (libero arbitrio).

 

Predestinazione alla salvezza non significa che Dio ci manovra come delle marionette e ci salva, comunque, nostro malgrado (andando contro la nostra volontà di non essere salvati).

 

Predestinazione, vuol dire che l’uomo vive la sua esperienza terrena e Dio (come farebbe un padre con il proprio figlio), lo istruisce educandolo alla vita, perché la affronti al meglio, in modo da poterla mettere a frutto secondo la sua forma, al fine, di crescere e diventare da uomo caduto, umano, ossia, un essere a Sua Immagine e Somiglianza.

 

Predestinazione, significa anche che Dio Padre Misericordioso, si rende presente nella storia dei suoi figli (delle sue creature), per aiutarli a crescere, riparando ai loro errori (ossia, scrivendo dritto, sulle righe storte), e in molti casi offrendo loro la possibilità di riparli in prima persona.

 

Predestinazione, vuol dire che Egli, con infinita pazienza, fornisce continuamente a tali figli, occasioni nuove, di crescita e di redenzione (ossia, delle grazie), lasciandoli liberi di accoglierle o meno.

 

 

2. Onniscienza di Dio

Dio è il Padre Creatore. Il Creato è una sua opera d’arte, come pure il tempo che scandisce il variale dello stato delle cose create. Tempo che ha un inizio e una fine.

Ma Dio E’ al di fuori e al di sopra del tempo. Tanto che si trova in una condizione di Eternità, per cui Egli sempre E’.

Ed E’ Onnisciente, quindi, anche in grado di vedere come in un presente progressivo la successione degli eventi che sono soggetti alla temporalità.

Dunque, un evento che per noi creature soggette alla dimensione temporale, si deve ancora compiere, in Egli si è già compiuto (ovvero, Egli dal Suo punto di vista Eterno, avendo una visione completa del tempo, dall’inizio alla fine, lo vede prima che per noi, sia accaduto).

 

 

 

 

3. Prove e Croci

- Dio non mette alla prova i suoi figli, per sincerarsi dell’esito delle prove alle quali li sottopone, infatti, essendo Onnisciente conosce già prima di sottoporli a tali prove il risultato delle stesse.

 

- Le prove come vedremo più avanti, sono delle opportunità offerte da Dio alle sue creature, per un loro maggiore bene, tuttavia, è fuorviante attribuire ad esse, l’accezione di croci. Affermare che Egli infligga all’uomo le croci è un errore. Un errore che a cascata apre ad una serie di altri errori interpretativi, in primis quello, attraverso il quale, si mette in discussione, l’indubbia bontà del Padre Creatore. Infatti, attribuire a Dio la paternità delle proprie tribolazione (considerandole croci inviate da Egli), equivale ad affermare che da Egli possa provenire qualche male e conseguenzialmente a mettere in discussione la Sua assoluta bontà.

Tale errore dipende principalmente da tre cause:

     1. una forma lessicale imprecisa e sviante ma cristallizzata nel tempo (tanto da diventare modo di dire), per mezzo della quale vengono definite impropriamente croci, le prove Divine.

     2. una visione deformata della verità, che ci porta sbagliando, a pensare di dovere addossare a Dio, la paternità di eventi spiacevoli. Eventi che invece come vedremmo più avanti, in un modo o nell’altro, sono correlati alla caduta dell’umanità. O meglio da tale caduta dipendono, scaturiscono.

     3. Una confusa cognizione del senso e del valore dell’unica Croce che salva, ossia, quella di Cristo.

Infatti, Dio non crocifigge nessuno, all’infuori di Sé Stesso (lasciandosi mettere in croce da noi uomini, a motivo dell’infinita misericordia che prova verso il genere umano).

Ossia, permette (attraverso una identica volontà Trinitaria1) che gli uomini lo mettano in croce, nella Sua Seconda Persona dell’Unigenito Figlio Gesù. E questo come conseguenza di un atto di puro (perfetto) amore salvifico, rivolto individualmente ad ogni uomo creato e conseguenzialmente all’umanità intera.

 

- Quelle che comunemente ed erroneamente definiamo croci, quando non si riferiscono con un lessico imperfetto alle prove Divine, sono: (a) sofferenze correlate alla fragilità e labilità della materia, soggetta in un sistema temporale ad una continua trasformazione (ad esempio nel caso del sopraggiungere di certe malattie legate all’invecchiamento). (b) Tribolazioni operate del maligno e degli altri spiriti caduti. Tribolazioni; inflitte agli esseri umani tramite la loro azione diretta, o per mezzo di un’azione indiretta, per interposte creature (cioè inducendo gli uomini all’errore, al peccato, in modo che con i propri sbagli nuocciono, ai loro simili).

Lo ribadisco, Dio non crocifigge nessuno, le tribolazioni, nella prevalenza dei casi, scaturiscono dalle relazioni fra esseri umani (relazioni imperfette a causa delle loro cadute) e quindi non sempre in grado di agire per il meglio2 .Non sempre in grado di esercitare bene (correttamente, nel modo appropriato) la loro facoltà di libero arbitrio.

Ed essendo esseri relazionali, quando cadono nell’errore, facendo delle scelte inappropriate, innescano (nella maggioranza dei casi involontariamente), dei meccanismi attraverso i quali con una elevata probabilità le proprie scelte inappropriate si ripercuoteranno negativamente sul quanti entrano direttamente o indirettamente in relazione con loro.

Ma anche tali sofferenze generate dalle relazioni imperfette fra esseri umani, offerte a Dio possono diventare occasioni di crescita spirituale e conseguenzialmente contribuire alla redenzione dell’uomo (che comunque rimane sempre una grazia di Dio).

 

- L’espressione con la quale si afferma di partecipare con le proprie sofferenze alla croce di Cristo, può avere un senso reale, quando tali sofferenze, cristianamente parlando, vengono accolte, nonostante tutto, mettendosi nell’ottica redentiva, così da essere offerte ad Egli, perché le tramuti in occasione di bene, ovvero, di crescita per chi le patisce e per quanti entrano in relazione con lui, al fine, di diventare motivo di redenzione personale e/o altrui.

Di conseguenza, non possono sostenere di partecipare con le loro sofferenze alla croce di Cristo, coloro che non riescono a rassegnarsi ai loro patimenti e non riescono ad offrirli a Cristo, perché li trasformi in motivo di redenzione.

 

- Le prove, invece, benché non lo comprendiamo a pieno (poiché, quando non ci piacciono le consideriamo erroneamente, dal nostro limitato punto di vista, negativamente) sono delle grazie di Dio, che servono a temprarci, a formarci. E come tali non sono mai negative, non sono mai un male. 3

 

Le prove non giovano a Dio ma agli esseri umani.

Queste sono simili agli esercizi faticosi, ai quali un personal trainer, sottopone lo sportivo di cui si prende cura, affinché questo si perfezioni, nella disciplina che segue.

Dunque, come lo sportivo, temprando il suo fisico, si perfeziona e migliora le sue prestazioni, in una determinata disciplina, l’uomo, attraverso il giusto accoglimento, delle prove che Dio gli propone, tempra la sua anima e conseguenzialmente, avanza spiritualmente (matura, cresce, viene redento e quindi santificato).

 

Le prove che il Padre Celeste ci propone4 di affrontare, nonostante un loro certo livello di difficoltà, hanno sempre un senso positivo ed un valore, in quanto potenzialmente arricchenti. Infatti, quando sono accolte nel giusto modo rappresentano delle grazie vantaggiose, fruttuose.

Gesù stesso disse a Santa Faustina: «Figlia Mia, non fare troppo caso al recipiente della grazia, ma bada maggiormente alla grazia che ti do, poiché il recipiente non sempre ti piace ed allora anche le grazie vengono meno. Voglio preservarti da questo e desidero che non faccia mai caso al recipiente con cui ti mando le Mie grazie. Tutta l'attenzione della tua anima sarà rivolta a corrispondere con la massima fedeltà alla Mia grazia».

 

 

Concludendo

La storia, dell’uomo imperfetto e limitato e, la storia, di Dio perfetto ed Onnipotente, si intrecciano, in una relazione di affetto imperfetto e misericordia perfetta.

Una relazione che assegna a Dio il ruolo di Padre Misericordioso e all’uomo quella di figlio più o meno immaturo e ribelle.

Una relazione in cui il Padre, dona la vita e aiuta a crescere il figlio, rispettandone la forma e i tempi di apprendimento.

Relazione che l’uomo è libero di accogliere acconsentendo di vivere la sua vita in comunione con Dio (includendolo, con fede nella sua storia, rendendolo partecipe della sua quotidianità), oppure, rifiutarsi di accettare. Imitando con uno scatto di ribellione, inopportuna saccenza e superbia, il figlio prodigo che chiese al padre la spettante eredità per abbandonare la casa paterna e vivere a modo suo. Scelta che si rivelò sbagliata, infruttuosa, ma fu rimediata, per il giusto e opportuno, ripensamento del figlio e per l’amore nutrito dal padre verso di lui.

Così da fare confluire due diversi desideri e modi di sentire,5 nella comune volontà di ritrovarsi, nonostante tutto.

 

 

Note:

 

1. Volontà Trinitaria che come espressione di un unanime sentire (della Persona del Padre, della Persona del Figlio, della Persona dello Spirito Santo), rivela non soltanto l’Unicità e la Perfezione della Divinità, ma anche la Perfezione della Misericordia Divina. Misericordia che pur restando imperscrutabile, insondabile in tutta la sua bellezza, in parte ci viene rivelata con il sacrificio della croce. Sacrifico attraverso il quale (con concordanza di modo), il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, intendono offrire all’umanità caduta, l’occasione (la possibilità) di essere riscattata.

 

2. Soprattutto quando si rifiutano di accogliere Dio e le Sue grazie che certamente farebbero la differenza.

 

3. Il male è opposto al bene e di conseguenza, contrario ed estraneo alla natura di Dio, Infinitamente Buona. Quanto è male non gli appartiene (nessun male proviene da Dio).

Pensare il contrario (ipotizzare che qualcosa di brutto provenga da Egli), equivale a negare, a mettere in discussione, la Sua Bontà Assoluta e Perfetta.

 

4. Le prove sono delle proposte da accogliere attraverso l’esercizio del nostro libero arbitrio, non sono mai delle imposizioni. Tuttavia accogliendole ci guadagniamo, rigettandole ci perdiamo.

 

5. Il figlio torna dal padre per opportunismo, per convenienza, poiché si rende conto che fuori dalla casa paterna soffre, in quanto anche soltanto sopravvivere è estremamente difficile e faticoso; il padre accoglie il figlio perché amandolo incondizionatamente, lo perdona, nonostante il suo atto di ribellione.