Volontà di ritornare ad essere creature di Dio

 

      Il peccato che abbruttisce, deforma e fa soffrire, si vince con l’impegno di volere vivere secondo la forma ricevuta in dono dal Padre Creatore.

Ma tale impegno a voler vincere il peccato da solo non basta. Infatti, per riuscire ad annientarlo, l’impegno dell’uomo, deve essere corroborato, dalla grazia effusa in lui, da Dio1.

Per cui ogni qualvolta l’uomo decide di abbandonare il peccato, per opera dell’infinita misericordia Divina, si ritrova in quello stato di grazia che oltre a consentirgli di superarlo, lo predispone, a trovarsi in quella condizione ottimale per potere avanzare (crescere) nella vita spirituale con il fine di esserne santificato.

Lo ribadisco, per avanzare nella vita spirituale al fine di raggiungere uno stile di vita stabilmente virtuoso2, la propria volontà deve sposarsi con la grazia salvifica di Dio.  

Guardando alla vita di coloro che sono stati proclamati santi, ci accorgiamo che in un modo o nell’altro questi esseri umani, hanno esercitato con fermezza e costanza la loro volontà, perseverando nella scelta di volere seguire Cristo anche a costo di grandi sofferenze e sacrifici (fino ad arrivare all’estremo atto del martirio).

Ciò non significa:

  • che la santità debba essere prerogativa di pochi eletti ma al contrario, il raggiungimento di un certo grado di santità, è richiesto a tutti i figli di Dio.
  • Che per diventare santi si debbano fare gesta eroiche ed arrivare all’estremo sacrificio di sé. Generalmente la maggioranza degli essere umani, non si troverà mai a dover compiere grandi sacrifici o nella condizione di dovere testimoniare con il martirio il proprio credo.

Tuttavia grazie al suddetto discorso è importante capire l’assoluta importanza della volontà, per portare avanti e concretizzare un progetto di qualsivoglia natura. La volontà ci permette di porre in essere tutti quei meccanismi indispensabili per focalizzare al meglio un obiettivo da raggiungere e ci dona pure la perseveranza per arrivare a conseguirlo. E il discorso non fa eccezioni per quanto riguarda l’avanzamento nel cammino spirituale. Ossia, per intraprendere concretamente, un serio cammino spirituale, si deve essere dotati di ferma volontà.

La temperanza, l’autocontrollo, l’equilibrio e la misura, sono tutte condizioni necessarie per esercitare la propria volontà (volontà che comunque va costantemente temprata).

 

Un modo per temprare (allenare) la propria volontà è il digiuno.

Per questo nella vita religiosa si parla spesso di digiuno (purificante, santificante), in quanto il digiuno non è altro che la privazione momentanea, di un bisogno (in questo caso una necessità corporea primaria), attraverso l’esercizio della propria volontà.

Lo stesso discorso vale per il controllo della gola.

Chi con costanza, oppure di tanto in tanto, di proposito, riesce a controllare gli eccessi della propria gola, moderando il superfluo senza privarsi del necessario, ossia, negandosi piccoli piaceri, esercita in varia misura la propria volontà.

Questo tipo di privazioni, tuttavia, devono essere considerate nella giusta ottica, non debbono essere viste come immolazioni, punizioni (o peggio atti di autolesionismo), 3 oppure quali offerte inutili (senza significato). Considerare queste rinunce nella giusta ottica equivale a palesarne l’utilità, così da stimarli, come degli esercizi efficaci, per allenare e consolidare la propria volontà con il fine di arrivare ad un certo dominio di sé. 

 

 

Note:

1. Concretamente per mezzo del Sacramento della Riconciliazione.

 

2. Quando parlo di uno stile di vita stabilmente virtuoso, non intendo affermare che verrà raggiunto uno stato tale da debellare per sempre il peccato dalla propria esistenza, poiché ogni essere umano è continuamente soggetto a peccare. Voglio dire che grazie al raggiungimento di uno stile di vita virtuoso, ci si esporrà meno al peccato, perché lo si riconoscerà con più facilità. Inoltre, rendendosi conto della sua dannosità ci si pentirà più spesso e con una consapevolezza maggiore che porterà ad un dolore più completo (ad una più perfetta contrizione).

 

3.  Interpretare il digiuno religioso, o la privazione di un piacere della gola, come sacrificio fine a sé stesso, o peggio come punizione, o atto di autolesionismo, è sbagliato, perché rivela che non si è capito il senso di un certo tipo di digiuno.

Qualora sia questa l’idea che ci si è fatti, del digiuno religioso, è meglio cambiarla, in caso contrario ci si astenga dal praticarlo, perché considerato nei termini sbagliati, a poco giova. Ovviamente, quando si parla di digiuno religioso ci si riferisce a quella forma di astensione (totale o parziale) dall’assunzione di cibo, non correlata in alcun modo, con le altre forme di digiuno portate avanti per motivazioni differenti che non stiamo ad esaminare.