Indice
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*L'attrezzatura per l'apnea
*Problemi dell'immersione in apnea
*Apnea ed handicap
Immersione in apnea
Prima di parlare dell'immersione con autorespiratore, è bene parlare dei fondamenti del nuoto e dell'apnea nonché essere a conoscenza delle argomentazioni della fisiologia respiratoria, questo per comprendere meglio le difficili argomentazioni della subacquea. Ritengo sia utile a livello formativo essere a conoscenza delle argomentazioni sopracitate (un buon subacqueo è necessariamente un buon nuotatore ed un apneista) ma anche per scoprire le differenze che separano il "modo di sentirsi" in acqua di un normodotato rispetto ad un soggetto con handicap.
Il miglior allievo emotivamente stabile in piscina, può accorgersi in acqua libera di essere un emotivo. E' come se l'uomo terrestre abituato in casa tra gli elettrodomestici, si trovasse nella foresta vergine. Il futuro apneista deve conservare il controllo dei ragionamenti poiché in situazioni limite deve essere capace di far fronte al pericolo e prendere delle decisioni in tempi brevissimi inoltre deve avere una buona acquaticità; non sono pochi i sommozzatori eccellenti che mancano di acquaticità o ne hanno poca. Non bisogna aver fretta di imparare o di diventare subito dei campioni, dopo aver assimilato i movimenti giusti e solo dopo aver fatto molta pratica in piscina, si potrà iniziare a fare degli esercizi più complessi. Il subacqueo apneista o sommozzatore a cui manca l'acquaticità è sicuramente una persona non in sintonia con l'ambiente che va ad incontrare.
Gli esercizi sono tutti, ad eccezione dell'apnea a mezz'acqua, di autocontrollo: immersioni di emergenza (recupero di oggetti in tempo obbligato), possibilità di salvare un individuo (sostenimento del peso), infine rianimazione.
Dei quattro stili diversi, ne prenderemo in considerazione soltanto due: lo stile libero e la rana. Il primo servirà per spostarci in superficie, il secondo per il nuoto subacqueo. Il crawl è lo stile del nuoto che consente la maggior velocità e che non presenta fasi di recupero con azione frenante come ad esempio accade per le gambe nel nuoto a rana. Nel crawl potremo paragonare l'apporto delle gambe alla quarta marcia di un automezzo mentre nella rana si sviluppa maggior potenza nella nuotata subacquea.
Il subacqueo
in apnea deve tenere nel giusto calcolo il movimento (sforzo) quanto il rendimento,
deve preoccuparsi perciò di non ripetere il movimento quando l'azione precedente
non ha esaurito totalmente la spinta. Anche in superficie quando si nuota
per apprendere questo stile, il subacqueo che è un parsimonioso dispensatore
delle sue energie, alternerà ad ogni passata una pausa atta a sfruttare in
situazione di riposo la spinta ottenuta. Queste pause non potranno avere
una durata fissa, ma saranno innanzitutto subordinate alla potenza dell'impulso
ricevuto. In discesa, per esempio, la spinta positiva che è notevole nei
primi metri obbligherà a pause brevi mentre in risalita, capovolta la situazione,
consentirà di prolungarle.
Le moderne attrezzature hanno concesso di facilitare l'immersione e di scoprire maggiori attrattive; in assenza di queste molte delle attività subacquee forse non sarebbero sorte e certamente non avrebbero raggiunto l'attuale sviluppo. Le pinne ci consentono di provvedere ad una buona fetta di locomozione (per chi ha la funzionalità di almeno un arto inferiore) proporzionalmente alla muscolatura.
Il trucco per
acquistare delle buone pinne é quello di provarle tenendo presente che i
numeri non corrispondono perfettamente. Se la calzata è troppo stretta, si
avrà alla lunga ad una cattiva circolazione del sangue, maggior sensibilità
al freddo, indolenzimenti. Una calzata troppo larga può far invece sgusciare
la pinna dal piede nel corso di un pinneggiamento, oppure può produrre sfregamenti
che favoriscono la formazione di vesciche o escoriazioni tarde a guarire.
Le pinne a scarpetta sono da preferirsi, a quelle con semplice cinghiolo.
Per quanto riguarda la scelta della maschera, oltre a sceglierla ricercandovi
le caratteristiche positive, occorre provarla. Sarà bene precisare ancora
che le maschere a volume ridotto sono utili per le immersioni profonde in
apnea a scapito però del ridotto campo visivo che, in alcune occasioni può
essere importante. Lo snorkel, più comunemente detto boccaglio deve avere
un calibro interno non inferiore a venti millimetri per assicurare una corretta
ventilazione; il tubo può essere diritto, leggermente curvato sulla testa,
tutto in gomma o rigido (comunque morbido al vertice), inoltre il gomito
di gomma liscia non deve essere troppo lungo per evitare che si metta a vibrare
durante le risalite o le discese. Lo snorkel va fissato alla maschera con
l'apposito cinghiolo o , in mancanza di esso, con una legatura di fortuna,
non deve essere messo all'interno del cinghiolo della maschera a contatto
con l'osso temporale per evitare eventuali problemi di circolazione. Infine
la muta, che ci consentirà di aumentare la permanenza nell'acqua e ci proteggerà
contro sgraffi e abrasioni dovrà essere scelta in base alla temperatura media
dell'acqua in cui ci andiamo ad immergere e a limiti soggettivi.
Problemi dell'immersione in apnea
Le possibilità di trattenere il respiro dipendono non solo da questioni fisiologiche ma anche da un condizionamento psicologico e dall'allenamento, nonché dagli accorgimenti che la tecnica mette a disposizione. Mettersi in grado di poter disporre al massimo livello di questi fattori è evidentemente indispensabile per il subacqueo che si dedica all'immersione nella sua forma più nobile e naturale, sospendendo volontariamente la respirazione e cioè in apnea. Se invece ci si immerge con autorespiratore, l'apnea può apparire non necessaria, ma un'analisi più attenta ci fa capire che è indispensabile anche in questo caso, perché se si dovesse verificare un guasto meccanico permette al sommozzatore, una reazione preparata psicologicamente e fisiologicamente.
Prima di trattare l'immersione in apnea sarà bene avere le idee sufficientemente chiare sui fenomeni che dall'apnea sono provocati e su tutto quanto può interferire il subacqueo che in questa situazione affronterà, o si troverà a dover affrontare, nelle sue immersioni.
L'apparato respiratorio, che ha la funzione di ventilare il miscuglio Ossigeno-Anidride Carbonica, serve dunque a consentire i fenomeni della respirazione interna che è rappresentata dagli scambi a livello cellulare. Le conseguenze dell'interruzione della ventilazione polmonare sono rappresentate da una continua caduta della pressione parziale dell'ossigeno e da una contrapposta elevazione di quella dell'anidride carbonica nel miscuglio alveolare. A questo risponde una situazione analoga nei tessuti, ossia in tutto l'organismo, per cui ad un certo punto viene compromessa pure la respirazione interna e così, per asfissia, la vita delle cellule che è poi quella dell'uomo. In apnea é possibile resistere per un periodo di tempo limitato, trascorso il quale, se la respirazione non riprende, subentra una forma di sincope detta appunto da apnea prolungata.
Fare movimenti inutili o faticosi per risalire può essere in profondità anche fatale; infatti ridurre ulteriormente l'autonomia già compromessa dell'apnea e dal metabolismo, può significare non giungere ad emergere in tempo utile per riprendersi.
Un'anormale richiesta di termoregolazione (acqua fredda), è sfavorevole alla permanenza in acqua perché si bruciano energie per mantenere costante la temperatura corporea. Gli eventuali incidenti o malattie debbono sempre consigliare cautela nell'immersione. Neppure si può dimenticare di sottolineare l'importanza della condizione fisica: il giorno precedente le immersioni è bene non eccedere nei pasti o nei bagordi e concedere all'organismo le dovute ore di riposo.
Per essere sicuro di riemergere senza pericolo è necessario munirsi di galleggiante e bandiera regolamentare. Purtroppo pochissimi ne conoscono il significato e pochissimi la rispettano. Per convenzione internazionale la bandiera significa: " c'è un subacqueo in immersione in questo punto: tenetevi a distanza e rallentate". Teniamo presente che la lunghezza della sagola, non di rado è superiore ai 20 metri, e, se c'è un vento teso, significa che il subacqueo emergerà sopravvento alla boa e lontano da lei; figuriamoci se il conduttore del natante di passaggio calcola questi scherzi del vento. Non è indispensabile un'elica per morire, basta una deriva o una chiglia spinta da vento fresco o da rematori volenterosi o anche solo una carena, se l'apneista risale velocemente. Una zuccata può significare uno svenimento e la conclusione di uno svenimento sott'acqua la conosciamo.
Agli effetti della sicurezza il fattore veramente valido é il collega in acqua sulla bandiera di segnalazione.
L'immersione in apnea è in genere preceduta da iperventilazione ma dipende dal buon senso dell'interessato giudicare quale e quanta debba essere la sua efficacia assoluta. L'iperventilazione si conclude con un'inspirazione che, nella previsione di scendere in profondità può essere massima, dopo di che, l'aeratore diventa un attrezzo non solo inutile ma anche fastidioso perché pende dal cinghiolo della maschera; sta nell'esperienza giudicare se mantenerlo in bocca o no. Alla inspirazione conclusiva segue la capovolta e per lo spostamento subacqueo ci si regola a seconda delle varie disabilità: il paraplegico userà solo gli arti superiori, un tetraplegico, i movimenti residui delle braccia e forse in parte le gambe, un amputato gli arti rimanenti, etc. Nei primi metri di discesa faremo molta fatica a contrastare la spinta idrostatica ma oltre il punto di equilibrio idrostatico saremo favoriti dalla spinta. Usando maschere a naso sagomato, risulta più agevole chiudere il naso per compensare, poiché basta premere con il pollice e con l'indice di una mano il naso.
Vi è pure chi premendo fortemente la maschera sul viso, ottiene la compensazione soffiandovi dentro con forza. Segno che ha raggiunto lo scopo con una manovra detta semi-valsalva. Si compenserà una prima volta in superficie prima di capovolgersi poi ogni due metri, in ogni caso prima di sentire dolore. Imparare ad intervenire prima che si formi la depressione nella maschera è fondamentale per evitare il "colpo di ventosa" e questo deve diventare istintivo in ogni discesa; in questi casi si soffia aria dal naso nella maschera.
Quando in discesa il subacqueo incontra gravi difficoltà di compensazione e forza al massimo la manovra di pressione, sente, ad un certo punto che il sollievo dato dal dolore cessa. Quando tornerà in superficie avrà sicuramente dolore all'orecchio. L'altro incidente che era comunissimo ai tempi in cui la compensazione non era ovunque conosciuta e dove molti raggiungevano il fondo non compensando ma resistendo al dolore, era la lacerazione del timpano.
Siccome sul fondo le operazioni da svolgere saranno molte, è bene sbrigare le faccende della compensazione appena si è giunti. Utile dunque un'ultima controllata che consiste in una manovra di pressione efficace raggiunta la quota prefissa. Se il fondo è liscio, non roccioso, è possibile sostenersi appoggiandosi sulle mani o, come si usa dire, camminando sulle mani. Se invece è roccioso ed offre degli appigli è utile tirarsi avanti a forza di braccia con molta più efficacia e, in proporzione, con minor dispendio di energie. Dove c'è roccia tutto graffia o punge: incrostazioni madreporiche, conchiglie, per non parlare dei ricci non sempre visibili nelle spaccature quindi fate attenzione dove appoggiate le mani. La permanenza sul fondo dovrà essere valutata in funzione della profondità e delle energie spese. L'autodisciplina dovrà imporre al soggetto di interrompere quello che sta facendo per quanto appassionante sia: quando per decisione o per istinto si ritiene giunto il momento di risalire è pericolosissimo obbedire ad un impulso che induce a rimanere sul fondo.
Quando si è in risalita di emergenza, ossia quando vi è il dubbio che la superficie possa essere raggiunta deve scattare il programma di difesa e devono essere messi in atto gli accorgimenti opportuni. Questo è possibile se non si incrina l'autocontrollo, perché solo l'autocontrollo può esserci di aiuto adesso, per tentare di limitare i danni. Innanzi tutto vi è da applicare la teoria del minimo sforzo con il massimo risultato. Sarebbe a dire che quando la sincope è alle porte c'è la necessità di giungere in superficie nel più breve tempo possibile ma nel contempo di limitare al massimo il consumo di energie. La velocità di risalita può essere notevole se per esempio il soggetto veste la tuta di neoprene ed ha sganciato, come deve fare in queste situazioni, la cintura di zavorra. Se si mantiene un leggero stato inspiratorio si può ricuperare attraverso il naso l'aria immessa nella maschera in discesa per compensare: questa proviene dai primi metri di discesa, dunque dalle prime fasi dell'apnea e perciò la si può ritenere ancora composta da percentuali favorevoli di ossigeno.
Quando si sente
un'elica non e facile valutare distanza o direzione quindi è bene risalire
tirandosi lungo la sagola della boa in modo da riemergerle accanto Negli
altri casi, quando c'è visibilità, è sempre consigliabile risalire in avvitamento
per controllare tutta la zona sovrastante. Quando invece le acque sono torbide
è bene elevare un braccio in alto in verticale perché possa incontrare un
eventuale ostacolo sostituendosi alla testa.
La preparazione teorico-pratica per l'approccio all'apnea da parte di un soggetto disabile, corre pari passo alla preparazione convenzionale delle scuole sub per normodotati. Spetterà poi all'istruttore valutare in base al tipo di handicap e quindi gli esiti del trauma, le varie tecniche di discesa prima suggerite, la possibilità della permanenza sul fondo, tempo di permanenza, iperventilazione etc.
Il problema per l'immersione in apnea di disabili è che non esiste una vera e propria regolamentazione scritta con tanto di corso specifico riconosciuto da scuole, enti o gruppi per disabili, quindi la preparazione e gli esercizi da fare in piscina per ora seguono lo standard dei normodotati nell'attesa appunto di una regolamentazione più specifica.
E' chiaro quindi che tutto ciò avviene a nostro rischio e pericolo e sta appunto nella coscienza di ognuno di noi non superare i limiti consigliati dal medico e dal nostro istruttore perché in caso di incidente saremo noi e solo noi i responsabili dell'accaduto.
Fare apnea per un disabile è compatibile direttamente con il fatto di avere funzionanti o in parte gli arti inferiori perché come abbiamo visto sinora, la spinta maggiore nell'acqua viene data proprio dalle gambe. Possiamo dire in generale che anche un amputato, un polio ed anche para-tetraplegici possono fare apnea ma le soddisfazioni che si otterranno saranno direttamente proporzionali alle capacità fisiche residue del singolo portatore di handicap.
Se vogliamo fare un esempio, un paraplegico sarebbe costretto a fare le discese lungo una fune ben ancorata sul fondo utilizzando le mani, oppure farsi trasportare sul fondo da pesi che poi lascerà una volta raggiunta la profondità voluta. Avrebbe notevoli problemi di autonomia perché il procedere con le braccia a rana sott'acqua è molto dispendioso e anche idrodinamicamente molto svantaggioso e sconsigliabile. Per risalire, potrebbe sganciare la cintura dei pesi per raggiungere la superficie più velocemente, cintura che però dovrebbe recuperare per la immersione successiva. Si raccomanda quindi di legare la cintura ad una sagola per un agile recupero, e di avere un compagno in barca che sposta l'ancoraggio e quindi la fune per una nuova zona di osservazione o di pesca. Il fatto di avere almeno un arto inferiore molto potenziato, aumenta la possibilità di fare discese corrette, permanenze più lunghe e risalite senza l'utilizzo delle braccia; con l'ausilio di pinne particolari si riesce anche ad avere una spinta maggiore a parità di sforzo.
La compatibilità dell'immersione in apnea con soggetti psichici è da valutare attentamente caso per caso da un medico specializzato in quanto il fatto di prendere delle decisioni importanti in momenti precisi presuppone integrità del sistema neurologico cerebrale: prendere una decisione solo un secondo più tardi può costare la vita.