LUX_Continua project __________ >>>>>>>Raffaele Carlani
#2:::::::::Riflessi


articolo#2: architettura e civiltà

Quando ho iniziato il cammino universitario nel lontano 1995 la comprensione e la tolleranza del corpo docente al "Nuovo” era praticamente nullo. Per nuovo intendo linguaggi metodi e significati, propri del nuovo fare architettura. Ricordo come il movimento (etichettato) decostruttivismo fosse ignorato, e l’utilizzo dell’informatica vietato.

Nel giro di pochi anni tutto è cambiato (apparentemente). Ora non si vede progetto, che non abbia angoli sghembi, superfici e polisuperfici complesse, pareti inclinate e volumi plastici; chi disegna a matita e pennini viene guardato con sospettato e diffidenza.

Insomma rivoltando e parafrasando una celebre frase sulla politica augustea: si è cambiato tutto per non cambiare niente.

Si lavora sempre per grandi etichette e categorie, si accetta la corrente che va per la maggiore (con una certa inerzia tra l’altro), e la si acquisisce in maniera del tutto acritica. Nelle nostre facoltà insomma si procede per assoluti, le valutazioni di grado bisogna cercarle altrove.

Il percorso di indagine che, quindi, sono stato costretto a fare in completa solitudine, se non in polemica con la nostra non-scuola, è assolutamente personale,

Tutto nasce da una domanda: Quali sono le ragioni che devono guidare il mio operare? Premetto che questa domanda, più che strettamente legata all’ambito progettuale, si muove su un ambito esistenziale.Linteresse iniziale si muoveva su piani paralleli: il ruolo dell’informatizzazione (tra l’altro sono stato sempre appassionato di informatica…), dei mass_media, dell’ intimo senso dello spazio dell’uomo contemporaneo in relazione all’evoluzione e le possibilità del progettare. Questo tipo di indagine tuttavia non mi soddisfaceva. Soprattutto avevo la sensazione di lavorare su un livello troppo alto, cioè di tralasciare aspetti importanti della questione. Ho davouto insomma fare un salto, e scendere al concetto di civiltà.

L’occasione è stata una riflessione con amici circa il Guggenhheim di Bilbao. Questa occasione, mi ha permesso di leggere il monumento sotto aspetti un po materialistici, ma che ho trovato molto efficaci.

Il monumento più importante della nostra generazione da molti è stato interpretato, nella sua logica plastica anti_immediata, come il nuovo senso dell’uomo nella storia di fine secolo. Un Uomo cioè, che libero dalle ideologie non ha più punti di riferimento e ancore sicure.

Proviamo invece a guardarlo sotto un’ ottica che riguarda tutte le categorie caratterizzanti la nostra civiltà.

Le vetrate distribuite su superfici del quarto ordine, l’atrio scultoreo alto 35m, lo studio dei volumi e della statica, i sistemi di calcolo dei pezzi e delle strutture basati su sistemi informatici ad elementi fniti, materiali che derivano dalla più avanzata ricerca aerospaziale, la tecnologia di esecuzione dei lavori, il modo di progettarlo da parte dell’architetto, ecc.. insomma è UN MANIFESTO DELLA POTENZA OCCIDENTALE: Qualcosa che prima non era possibile, ora si.

Questo aspetto tecnologico è foriero di mille conseguenze: la totale mancanza di pareti verticali, sembra annunciare, dopo il predominio dell’uomo sulla natura, il predominio dell’uomo sulla fisica. Grandi strutture che si modellano sulla creatività e il capriccio del creatore-artista.

Sostanzialmente si tratta di un monumento, che celebra la nostra civiltà. Una volta il monumento si misurava per la sua dimensione. Ora il senso estetico è mutato, ma, la vocazione celebrativa del manufatto sembra chiara. Inoltre il tutto si inserisce perfettamente nel quadro storico in cui il monumento ha conosciuto il successo: appena terminata la guerra fredda, durante la così detta epoca d’oro clintoniana, l’occidente si è ritrovato una superpotenza invincibile e incontrastabile, forte dei suoi eserciti ipertecnologici, e arricchita dalla rampante economia delle dot_Com.

Questa analisi tende ad uscire dal ragionamento strettamente architettonico. Ma l'ammirazione del monumento da parte anche dei non adetti ai lavori mi ha spinto a cercare motivazioni meno intellettualistiche, ma (a mio avviso) più efficaci.

Oramai questa è storia vecchia. Nuovi problemi di civiltà si affacciano al prossimo futuro. Le macro_crisi globali, non possono essere più ignorate. L’occidente è diventato meno invincibile, e le dot_Com si sono dimostrate quelle che erano: fumo.

L’interazione tra diverse civiltà è evidente, fermarci a guradre dentro il nostro orto,non solo è eticamente sbagliato, ma forse pericoloso. Le crisi ambientali, e le minacciate crisi energetiche pongono nuovi quesiti di sviuluppo: l’architettura non dovrebbe tenerne conto?

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