La creazzione der monno
(
Giuseppe Gioachino Belli)
 

        L'anno che Ggesucristo impastò er monno,
       Chè ppe impastallo ggia cc'era la pasta,
       Verde lo vorze fà, ggrosso e rritonno,
       All'uso d'un cocommero de tasta.

      Fesce un zole, una luna, e un mappamonno,
      Ma de le stelle poi di' una catasta:
      Sù uccelli, bbestie immezzo, e pesci in fonno:
      Piantò le piante e ddoppo disse: «Abbasta».

      Me scordavo de dì cche ccreò ll'omo,
      E ccoll'omo la donna, Adamo e Eva;
      E jje proibbì che non toccajje un pomo.

      Ma appena che a mmaggnà ll'ebbe viduti,
      Strillò per dio con cuanta vosce aveva:
      «Ommini da vienì, ssète futtuti».

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Il sonetto belliano della Creazzione der monno
rivela fin dal titolo la sua fonte: nientemeno
che la Genesi, il primo libro dell’Antico
Testamento. Ma la chiave è parodica e il tono
aspramente satirico, mentre alla sacra
ieraticità del tema si sostituiscono il senso
del comico, l’ironia che nell’elenco delle
creazioni fa sì che quasi ci si dimentichi
dell’uomo (“Me scordavo de dì che ccreò ll’omo”),
o il paradosso che, riduce la proibizione divina
a un semplice “pomo” da non mangiare e la fatale
maledizione a un sarcastico
“Ommini da venì, sséte futtuti”.