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Arnold e Adamsky, 
i precursori
 
            Ufo, dischi volanti, ET, incontri ravvicinati… Cosa sarebbe la nostra vita senza tutto questo? Senza la segreta speranza di un’amicizia un pò troppo speciale o senza il fascino del mistero e la rabbia per un presunto, illogico insabbiamento governativo?

Beh, sebbene non manchino tracce mitologiche o storiche di avvistamenti che rilette in un secondo momento dagli appassionati potrebbero provare la «continuità delle visite», gli Ufo sono e restanno una caratteristica moderna.
Tutto è cominciato nel 1947, con Kenneth Arnold e le concitate frasi che pronunciò nella radio di bordo del suo aereo. Volando per affari sullo stato di Washington, Arnold s’imbatté in una formazione compatta di nove oggetti di forma discoidale. Stupito provò ad avvicinarsi con l’aereo rendendosi conto, come descrisse immediatamente alla torre di controllo più vicina, che quegli strani velivoli si muovevano a scatti come (e qui scattò il genio) «sottobicchieri che rimbalzano sul pelo dell’acqua». Un pizzico d’inglese e tutto diventa più chiaro; sottobicchieri uguale saucers che sommato a volanti fa flying saucers. E il tutto riportato in italiano diventa dischi volanti. La testimonianza di Arnold, che abbozzò anche un tentativo d’inseguimento per essere seminato dalla brusca irresistibile accelerazione dei nove oggetti, divenne famosissima e per il protagonista si aprì una lunga serie d’interviste, comparsate tv, articoli, saggi, libri, citazioni, etc. Comprensibile che in tutto il pandemonio che ne seguì il ricordo di quel fatidico pomeriggio avesse ora quel dettaglio in più, ora quel particolare un pò diverso.

Ma la storia non si è fermata ad Arnold. Nel solo 1947 si verificarono altri 850 avvistamenti di Ufo, quasi una psicosi. Oltretutto dilagante, con punte da capogiro nel ’57, nel ’65, nel’73 e nel ’74. Tanto che anche altre definizioni sono entrate nel linguaggio comune. Del 1951 è Unidentified Flying Objects, ovvero UFO, cioè oggetti volanti non identificati. Poi a ruota seguirono Sign, Grudge e soprattutto Bluebook, che altro non sono se non i nomi delle tre inchieste avviate dall’aeronautica militare americana per venire a capo dell’enigma.
Un rebus che si complicò nel 1952, quando l’astronomo dilettante George Adamski decise di diventare il primo… autostoppista spaziale. Grosso modo andò così. Il 20 novembre del ’52 Adamski «si sentì l’impulso irrefrenabile» di andare nel deserto californiano, nei pressi di Monte Palomar (sede di uno dei più famosi osservatori astrofisica del mondo). Là, su un’altura, era posato un disco volante e il conducente propose all’astronomo un giretto per il sistema solare. Detto fatto, il buon George si fa scarrozzare fino a Venere e ritorno per poi mettersi a scrivere un resoconto talmente dettagliato da lasciare adito a più d’un dubbio. In due libri, che hanno sbancato i botteghini in mezzo mondo (rispettivamente «A bordo dei dischi volanti» e «I dischi volanti torneranno») l’astronave era descritta con molta accuratezza, mentre l’entità extraterrestre «proveniente da Venere» aveva l’aspetto di «un giovane dai lunghi capelli e dall’aspetto simile ai terrestri».

Ai posteri l’ardua sentenza è stato il commento meno bellicoso, tra sostenitori sfegatati incapaci di rendersi conto delle spaventose incongruenze dei resoconti di Adamski e i detrattori più cinici indisponibili ad ammettere che un così alto numero di avvistamenti e testimonianze sia lo specchio di un fenomeno oggettivo. Gli anni passano, gli incontri si susseguono, tanto nella vita che sul grande schermo, ma anche nel nuovo millennio siamo pronti a romperci il capo su Roswell e dintorni. Evidentemente noi non siamo i posteri giusti…

Odysseo
 

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