Baghdad cadrà. Ma la campagna d'Iraq non è stata un blitz
Troppi errori e troppi orrori.

E al Pentagono già si scambiano accuse feroci


dí Enrico Pedemonte da New York 
(L' Espresso, 10 Aprile 2003)


    Aveva previsto un inferno di pozzi incendiati e l'uso massiccio di armi di distruzione di massa, la resa di intere divisioni rtachene e folle festanti ad accogliere i soldati americani. Ora che le sue previsioni si sono rivelate sbagliate, Donald Rumsfeld, il potente ministro della Difesa, ha davanti a sé un compito difficile: deve ridisegnare la strategia per la conquista di Baghdad, sostenendo che tutto sta andando come previsto. Flessibilità: è la nuova parola d'ordine, per giustificare il cambiamento di rotta e l'arrivo sul campo di altri 120 mila soldati.
    Nonostante le difficoltà incontrate dall'armata Usa, nessuno, a Washington,  mette in dubbio l'mito finale della guerra. Ma molti cominciano a nutrire dubbi sul l'avvertire politico di Rumsfeld, che negli ultimi mesi ha commesso più di un passo falso. Sotto accusa è, soprattutto, la sua nuova dottrina militare. In una lunga inchiesta il settimanale "New Yorker" racconta che Rumsfeld si è scontrato almeno  in sei occasioni con i vertici militari per la sua pretesa di alleggerire il numero di soldati da inviare in Iraq, confidando nella superiorità tecnologica Usa. Rumsfeld nega il contrasto. Ma la sua smentita non viene presa molto sul serio: negli ultimi giorni persino importanti generali come Wensley Clark e Barry McCaffrey hanno lasciato intendere che la strategia imposta dal ministro della Difesa mette a rischio l'impresa americana in Iraq.
    I confronti numerici sono sbalorditivi. Oggi in Iraq, ci sono poco più di 100 mi. la soldati della coalizione, di cui solo 90 mila americani. Nel 1991, quando si trattava di liberare un pezzo di deserto chiamato Kuwait, gli Usa inviarono mezzo milione di uomini. Ma allora vigeva la Dottrina Powell secondo cui gli Stati Uniti, dopo la tragica esperienza vietnamita, non avrebbero mai più partecipato a un'azione militare senza poter contare su una schiacciante superiorità".
    Ora Rumsfeld vuote cancellate la Dottrina Powell e dimostrare che è possibile conquistare l'Iraq con un esercito "leggero". Ma perché ha scelto di giocarsi tutto in una sfida apparentemente tecnica? Ladomanda circola negli ambienti diplomatici di Washington e il quesito non ha solo rilevanza militare, ma anche importanti implicazioni politiche. Rumsfeld ha a sua disposizione l'esercito più potente dei mondo: che cosa lo ha spinto a promuovere una nuova strategia che prevede di risparmiare sul numero di militari da mettere in campo? Questa è la risposta che si raccoglie nelle ambasciate:

« L'invasione dell'Iraq è una prova generale: se si dimostra che occupare uno Stato arabo è possibile con un numero limitato di truppe, pochi soldi e alto sfoggio di tecnologia,
allora sarà possibile applicare la stessa procedura altrove».

       Questo progetto è statoribadito più volte. A febbraio il sottosegretario di Stato john Bolton ha dono a esponenti del governo israeliano che dopo avere sconfitto Bagiudad, gli Stati Uniti avrebbero attaccato Iran, Siria e Corea dei Nord. E Jeffrey Beli, analista del neoconservatore "Weekly Standard" scritto recentemente:

«L'amministrazione Usa ha in mente una guerra su scala mondiale tra gli Usa la politica del fondamertalismo islamico di tale ampiezza che l'invasione dell'Iraq o la cattura dei capi di al Qaeda saranno solo eventi tattici di una sequenza destinata a durare nel tempo».

    Rumsfeid ha confermato questa prospettiva quando, il 28 marzo, ha pubblicamente minacciato Siria e Iran, accusando i due paesi di sostenere il governo di Saddam. La discussione sulla nuova dottrina va avanti da mesi. Il generale americano Paul von Riper racconta che durante l'estate scorsa 13.500 esperti militari furono coinvolti in una serie di war games per mett alla prova la nuova strategia. Il "gioco di guerra" costò 250 milioni di dollari, fu battezzato Persian Gulf e prevedeva l'invasione con un esercito leggero di un non meglio identificato paese arabo. Von Riper era uno dei giocatori, ma siccome era su posizioni molto critiche, cercò di introdurre nel gioco qualche messa per dimostrare che la nuova Dottrina Ramsfeld avrebbe funzionato. Ma tutte le volte che qualcuno faceva una mossa non prevista dagli schemi, questa veniva giudicata inammissibile. Alla fine, per protesta, von Riper abbandonò la simulazione. Oggi il generale Williant Fallace, capo delle Forze armate in Kuwait, dichiara al "New York Times"; «II nemico sta conibattendo in modo diverso da quello che avevamo previsto nei nostri war games. Sapevamo che in Iraq esistevano forze paramilitari, ma non immaginavamo che avrebbero combattuto così».
La sottovalutazione della resistenza íra-chena è alla base di altri errori, anche sul terreno diplomatico. All'ambasciata turca si sottolinea l'irritazíone del governo di Ankara durante la lunga trattativa per consentire alle truppe Usa di entrare in Iraq dal confine settentrionale. In quella fase i diplomatici americani facevano fil-trare sui giornali che per il governo turco era solo una questione di prezzo. Ed erano probabilmente convinti che quello fos-se il grimaldello giusto per vincere Nnat-tesa resistenza incontrata. Si sbagliavano. Il nodo pìù importante da sciogliere era costituito dai curdi.
    La Turchia teme che l'autonomia dei curdi iracheni crei aspettative tra quelli di casa sua. Glì americani, mentre rassicurava-no il governo di Ankara che l'Iraq non sa-rebbe stato smembrato, dall'altra pro-mettevano ai curdi oltreconfine ampi spa-zi di autonomia amminìstrativa dopo la caduta di Saddam. «Giocavano su due tavoli», dicono oggi i diplomatici turchi. ALla fine, quando le trattative sono definiti-vamente naufragate, gli americani hanno continuato a sostenere che d problema era soprattutto economico. Non ne hanno fatto una tragedia: pensavano che anche entrando in Iraq solo da sud, avrebbero sconfitto Saddam in pochi giorni. I piani prevedevano una forza militare di 250 mila uomini, ma quando la possìbilità di aprire il fronte nord è stata abbandonata, la 4' Divvisione, che avrebbe do-vuto schierarsi sul fron-te nord, è stata lasciata a Fort Hood, ìn Texas. E la flotta che trasportava il materiale pesante ha dovuto cominciare il suo lento trasferimento ver-so il Golfo Persico attraverso il canale dì Suez. Rumsfeld era certo che la vittoria sarebbe stata comunque veloce: meno truppe c'erano in campo, meglio era per i progetti futuri. Ora gli uomini di Bush negano di aver detto che la vittoria sarebbe stata rapida. Ma le cronache sono fitte di dichiarazio-ni che dimostrano il contrario. Già il 17 luglio scorso Richard Perle, uno dei neo-conservatori più influenti dell'ammininstrazíone Bush, allora capo del Defence Policy Board , disse che « il sostegno a Saddam sarebbe svanito al primo colpo di pistola». E recentemente ha dichiarato a David Corri, giornalista di "The Natìon", che sarebbero statì sufficienti 40 mila soldati americani, quanti bastavano a proteggere i pozzi di petrolio, a far cadere Saddam. Il 19 marzo, giorno dei primi bombardamenti su Baglidad, il colonnello Gary Crowderm, responsabile strategico dell'Air Combat Command, ha affermato:
« Creeremo untale effetto di superiorità da rendere evidente agli avversari la mancanza di alternativa: arrendersi o morire. Ed è verosimile che gli iracheni sceglieranno di non battersi più per questo regime ». Tre giorni dopo, un altro generale, Stanley McChrystal, ha spiegato: «Faremo collassare il sistema dall'interno». Cosa che non è avvenuta. Le previsioni si sono rivelate quasi tutte errate. Willíam Arkin, noto esperto di politica militare, dice che gli americani sono statì presi di sorpresa Non si aspettavano le bande dì feddayn, non avevano previsto truppe irregolari del partito Baath. La fuga di profughi ver so la Giordania non c'è stata: anzi, dal confine giordano entrano migliaia di ara bi desiderosi di dare man forte a Saddam John Pike, dírettore di GlobalSecurity.cirg dice che l'inattesa tattìca dei terroristi sui cidi e dei finti arresi rende la vita dei sol-dati americani un incubo. Gli ideologi neoconservatori non si aspettavano nul-la dì tutto questo.
l:ìncapacità dì prevedere la reazione ira-chena ha creato problemi imprevisti di ogni tipo: all'inizío della spedizione per una settìmana il cibo per le truppe ha scar-seggiato, la penuría di carburante ha limi-tato gli spostamenti dei battaglioni, la fari-tería aveva poca acqua a disposizione. In questa situazione i giornalisti portati al se-guito delle truppe per assistere a un rapi-do trionfo, sono diventati scomodi testi-moní di una campagna difficile e lunga, dove i combattimenti corpo a corpo nelle períferie delle città si verificano con una frequenza sempre più ravvicinata.
       A questo punto la partita si sposta all'interno della Casa Bianca. Gli osservatori più attenti fanno notare che gli uomini di Bush padre, james Baker e Brent Scow-croft, si stanno rimettendo in moto per far sentire la loro voce moderata. Lo stesso ex presidente è intervenuto affermando che non può tollerare critiche a Colin Powell, l'ala più morbida dell'amministrazione. I più ottimisti sperano che, una volta terminata la guerra, i falchi avranno la vìta più difficile.


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Luke the CHALLENGER