ARTE E NUOVE TECNOLOGIE
CONSIDERAZIONI SULL’APPORTO DELLE TECNOLOGIE TELEMATICHE NELLO SVILUPPO DELLE APPLICAZIONI ESTETICHE
di FRANCESCO MICHI
Nelle attività artistiche sono portato a considerare il problema dei mezzi, e dunque della tecnologia, qualora lo scopo sia espressivo, soltanto formalmente collegato alla realizzazione del risultato: sulla base della decriptazione della esigenza espressiva e degli strumenti e forme usate per la sua veicolazione, si riesce a percepire, a “sentire”, la riuscita e la congruenza di un lavoro artistico. Dovremmo peraltro essere ormai abituati, da tutto un secolo di sperimentazione, a fare i conti con tecniche e prassi espressive, che spazino dall'utilizzo di tecnologie più o meno elaborate e mirabolanti fino alla ostinata rinuncia ad ogni utilizzo di queste (che poi però rientrano in ballo quando si devono produrre materiali di documentazione..., ma questo è un altro problema). L'uomo, e così dunque l'artista, adopera, se vuole, le tecnologie che il mondo gli mette a disposizione, e le usa al meglio, nell'intento di trovare una forma, un segno, che realizzi la sua urgenza espressiva. Quanto detto può risultare un po’ semplicista, ma, comunque, è solo il preambolo.
 
Vorrei invece proporre come oggetto di riflessione la situazione nella quale non ci sia, alla base del rapporto artista-uomo/tecnologia - e cioè, in questo caso, nella progettazione di un'opera legata all’utilizzo di particolari tecnologie -, l'urgenza espressiva.
Come può accadere? ad esempio, se l'artista, piuttosto che cercare il mezzo adeguato per esprimere il suo mondo, cercasse di capire e di esprimere il mezzo stesso, le sue potenzialità poetiche. Capire ed esprimere il mezzo stesso significa principalmente “non usarlo”, ma essere in un certo senso, da lui usati: non voglio veicolare, attraverso e grazie allo strumento tecnologico, miei mondi ma voglio creare un processo che operi con finalità estetiche e che nel contempo realizzi le peculiarità che il mezzo permette: ora noi tutti sentiamo che le nuove tecnologie (digitali, informatiche e soprattutto telematiche) hanno cambiato il nostro modo di percepire il mondo. Attraverso di esse siamo immersi costantemente in un flusso comunicazionale ed informativo quasi ininterrotto, nel quale i tempi e gli spazi hanno assunto modi di essere per ognuno diversi, nel quale noi tutti siamo quelli che trattengono, rielaborano, collegano in modo indipendente e diffondono con facilità le informazioni ottenute in forma sempre meno lineare, quasi pseudocasuale, e comunque continua.
Comunicare è diventato un modo di diffondere informazione e dialogare sganciato dalle rituallità sociali che lo hanno fino a poco tempo fa caratterizzato: la peculiarità delle nuove tecnologie è quella di “soggettivizzare” i tempi e gli spazi della comunicazione. Tutto questo creerà ritualità diverse proprie di una società che ha la possibilità di essere sempre più virtuale.
 
Dunque tornando all’ipotesi espressa poco fa, il mondo che il mezzo tecnologico veicola sarà... o potrebbe essere -, nel caso in esame... proprio quello del fruitore, di quello che siamo portati a considerare l’anello ultimo della catena.
 
Il fruitore di un'opera è – rispetto all’autore - più nudo e solo nel suo rapporto con la tecnologia che veicola l'opera stessa: come fruitori-spettatori non siamo stati abituati ad assumerci responsabilità sulla nostra percezione quanto piuttosto a non tradire le richieste dell'autore. In un certo senso il fruitore subisce le forme della tecnologia usata ed è finora sempre stato poco incline a forzarle a suo uso, ad appropriarsi dei parametri della sua "modalità di fruizione".
L'utilizzo delle tecnologie digitali, e soprattutto la rete, e quindi la webart, ha dato e sta dando la possibilità di sperimentare radicali cambiamenti nel pensare i modi di percepire l'arte: la rivoluzione più grande, a mio parere, sta nel ruolo che il fruitore si trova a poter occupare all’interno dell'opera stessa. Il fruitore (di arte e di teatro) ha la possibilità di gestire indifferentemente a lungo nel tempo la sua fruizione: e non solo questa può avvenire in tutti i momenti, ma anche in tutti i luoghi. E' possibile una assoluta libertà di fruizione. I riti della fruizione diventano individuali e si conformano ai ritmi della vita e del gusto estetico temporale del fruitore. Costruire un lavoro interattivo nel quale si costringe il fruitore a muoversi cliccando col mouse sullo schermo all'interno di un labirinto, per quanto complicato, pur sempre chiuso (con possibilità limitate e comunque predeterminate dall'autore), non realizza certo il senso legittimo di questa nuova multimedialità possibile. Così come avere la opportunità di far contrarre (ad esempio) il corpo di Stelarc o Antunez Roca sempre attraverso il tocco della nostra "mano calda" su di un mouse è ben al di sotto di quanto le nostre tecnologie hanno la possibilità di esprimere.
Il fruitore (che sia "spettatore" o "attivo") non è più da considerarsi solo come l'utente terminale dell'opera, egli può "rimettere in circolo informazione" e dunque creare "nuova informazione", e può far questo nella misura in cui egli manipola il materiale che ha a disposizione (attenzione: sto usando il termine manipolare, a dispetto della sua etimologia, significando un processo di elaborazione anche mentale), lo miscela con altri, ne dispiega la fruizione nel tempo e nello spazio, fino a creare un “nuovo senso”.
 
La macchina della produzione artistica/estetica acquista un elemento in più inerente al suo funzionamento: lo spettatore esistenzialmente slanciato in una nuova condizione nella quale può gestire i tempi, i riti, gli spazi ed anche i contenuti - e dunque la complessità e profondità del suo intervento che è un intervento per se stesso, per la sua vita, nel quale entrano in gioco anche i contenuti che lui stesso apporta. Abbiamo uno spettatore esistenzialmente nuovo, che è responsabile, allo stesso modo dell'autore, dell'"utilizzo estetico" dei materiali diffusi.
 
Esprimere la rete e svilupparne le potenzialità poetiche significa, secondo me, concepire una macchina di produzione di senso, che produca una sorta di “senso virtuale”, il cui attivatore, peraltro parziale, sarà il fruitore: egli stesso avendo la possibilità di gestire l'opera ed i suoi materiali ha anche quella di attribuire senso e significato all'opera stessa inserendola nei contesti della sua vita, dei suoi ritmi e della sua personale ricerca, rielaborandone, ed allo stesso tempo rimettendo in sharing, i contenuti.
 
Mi viene però da chiedermi: ma non è sempre stato così? Quello che abbiamo chiamato fruitore e che prima era spettatore non ha sempre rielaborato nel suo cuore e nella sua mente il lavoro dell’artista? Questo è precisamente vero, ma le “nuove tecnologie” ribaltano i ruoli: l’autore consapevole che l’attribuzione di senso può essergli estranea, il fruitore libero e conscio della propria attiva responsabilità estetica.

FRANCESCO MICHI
ecologia acustica