Solo Uno
3° parte
 
 
Alain sedeva con uno stecchino in bocca. Era tranquillo, ora. Aveva obbedito agli ordini del suo comandante, aveva guidato i suoi compagni all’assalto. La Bastiglia era caduta poche ore dopo. I difensori erano rimasti impauriti da loro. Un manipolo di soldati, stanchi, sporchi, feriti, ma che sembravano altrettanti demoni. Urlavano come ossessi, tempestando la fortezza con una pioggia di proiettili. Tutti loro, dal primo all’ultimo, sfogavano la loro rabbia. Tutti, nessuno escluso, volevano vendetta. Vendetta per il loro comandante. Il comandante che tutti credevano stesse morendo. Morendo…morendo perché quei vigliacchi, quei servitori del potere, le avevano sparato contro, tutti insieme. Il loro comandante stava morendo, ma i suoi assassini l’avrebbero pagata cara. Volevano distruggerli, perché avevano ucciso la donna più speciale del mondo. Forte, decisa, coraggiosa, limpida come un cristallo. A chi non la conosceva sembrava di ghiaccio, ma era il comandante più umano che avessero mai avuto, anche se era di famiglia nobile. Persone del genere erano più uniche che rare. E loro… loro… loro le avevano sparato, l’avevano colpita, tutti, tutti… forse in quel momento era agonizzante, forse era morta… Quel pensiero aveva acceso in loro la rabbia, il desiderio di vendetta che li aveva spronati a combattere, a combattere come tanti diavoli. E invece…
Alain buttò lo stecchino per terra. Aspettava il dottore. Era seduto davanti alla porta della casa di Rosalie e Bernard. Il suo comandante era lì, costretta a letto, coperta di bende, ma viva. Nessuna delle sue ferite era stata mortale. Era stato proprio il suo grido a salvarla. Si era girata proprio nel momento giusto, mentre i fucilieri premevano il grilletto. Il bersaglio si era spostato dalla traiettoria quando ormai non potevano più cambiare la mira. Non tanto da non venire colpita affatto, ma abbastanza perché potesse sopravvivere. Tutto ciò aveva del miracoloso. Le sue ferite erano dolorose, l’avrebbero costretta a rimanere a letto a lungo, ma non l’avrebbero uccisa. Finalmente Alain poteva respirare liberamente. Non l’avrebbe persa. Avrebbe ancora potuto ancora vederla, sentirla, sognarla…
La porta si aprì all’improvviso. Alain si alzò di scatto, spostandosi di lato. Sulla soglia erano Bernard e il dottore. Stavano parlando, Alain poté sentire la fine della loro conversazione.
- … non vorrei preoccuparvi troppo, ma temo ci sia qualcosa di più delle ferite. In ogni caso, tornerò domani per un’altra visita. Ora lasciatela riposare, per il momento non ha bisogno d’altro.
- Bene dottore, la ringrazio molto.
Il dottore si allontanò scotendo la testa. Gli erano state raccontate molte cose su quella donna, altre le aveva sentite in giro. Era molto conosciuta a Parigi, la voce che una donna comandasse i soldati della guardia si era sparsa in fretta. Povera donna, non doveva aver avuto una vita facile, pensava. Sottomessa al volere del padre per tutta la vita, appena trovava la forza per ribellarsi perdeva tutto. Ricordava perfettamente la sua reazione, pochi giorni prima, alla morte di quel soldato, Andrè. Era evidente che teneva molto a lui. Dopo quel dolore, doveva sopportare ancora quello che le stava capitando. Non aveva detto tutto agli Chatelet, non aveva rivelato loro il suo sospetto, perché ancora non aveva la certezza. Aveva pochi indizi per affermarlo, ma era quasi sicuro che fosse malata di tisi. Per averne la certezza avrebbe dovuta sottoporla ad una visita approfondita, e nelle condizioni in cui si trovava Oscar, ciò non era possibile. Aveva, però, un altro modo di scoprirlo. Era certo che il medico della famiglia Jarjayes fosse a conoscenza delle condizioni di Oscar. La Corporazione dei Dottori aveva legami molto stretti… molto probabilmente sarebbe riuscito a contattarlo, in qualche modo.

Intanto, Alain chiedeva informazioni a Bernard. Qualunque fossero state le intenzioni del dottore, lui si era preoccupato.
- Allora Bernard, come sta il comandante?
- Bene, bene, Alain. Per una persona che si è trovata sotto il tiro dei fucilieri della Bastiglia, bene direi.
- Cosa stava dicendo il dottore?
- C’è qualcosa che non lo convince, ma dice che non è nulla di cui preoccuparsi. Insomma, con la vita che ha fatto, è normale che Oscar non sia in perfetta forma. Lo sai meglio di me, la vita militare non è la più adatta per rimanere sani. Ma è di costituzione robusta, quindi il dottore crede che si riprenderà presto.
- Mm, sì capisco. Quindi non è nulla di grave.
- No Alain, nulla di grave. Ha solo bisogno di riposo.
- Dimmi, posso entrare a vederla? Sai, devo portare notizie ai miei compagni…
- Ma sì, Alain, certamente. Vieni, ti faccio strada.
Lo condusse all’interno della casa. Questa non era molto grande, ammobiliata modestamente, ma tenuta in ordine perfetto dalla diligente cura di Rosalie: non un granello di polvere sul tavolo, non una carta fuori posto. Sarebbe sembrato che lo scompiglio della rivoluzione si fosse fermato davanti all’ingresso di quella casa, se non fosse stato per Rosalie stessa, sconvolta, che piangeva sulla sedia.
Alain e Bernard preferirono non disturbarla e passarono oltre, salendo le scale che portavano al piano di sopra, dove si trovavano le camere da letto. Oscar occupava la camera per gli ospiti, l’unica stanza che i due coniugi non utilizzavano.
Bernard si fermò fuori dalla porta.
- Alain, senti, se non ti spiace… io torno di sotto, da Rosalie.
Alain si limitò ad annuire, senza dire niente. Bernard si voltò, scendendo nuovamente le scale. Alain rimase un attimo a guardarlo, riflettendo su quella coppia che conosceva da così poco tempo. Si chiedeva come avevano potuto instaurare con Oscar e Andrè quel rapporto tanto stretto. Alain non sapeva nulla del passato di Rosalie, Bernard lo conosceva perché talvolta lo aveva sentito parlare agli incroci delle strade, dove talvolta si tenevano comizi. Non riusciva dunque a immaginare come il suo comandante potesse averli conosciuti. Ancora perplesso, aprì delicatamente la porta, per non svegliarla nel caso stesse dormendo.
Oscar era appoggiata al cuscino, lievemente rialzata dal letto, debole, spossata, ma sveglia. Sentendo la porta aprirsi, si era voltata a guardare chi entrava. Alain ebbe un tuffo al cuore, scorgendo per un attimo sul suo volto un’espressione delusa, che Oscar si era affrettata a cancellare dal suo viso, quel viso così bello e così triste, come se volesse nascondere quella speranza inespressa, ricompose i lineamenti, come se quell’espressione, poco più di una smorfia, non fosse mai esistita. Ma c’era stata, come se sesse aspettando qualcun altro, come se avesse creduto che fosse… ma no, si disse, no, non era possibile, non poteva averlo pensato.
Si avvicinò al letto, in silenzio, temendo quasi di parlare. Oscar si sforzava di sorridere, ma quel sorriso faceva ancora più male ad Alain, perché era un sorriso senza allegria, un sorriso che nascondeva a malapena la sofferenza che provava, che non riusciva a cancellare. Aveva gli occhi arrossati dalle lacrime che ancora le rigavano le guance. Probabilmente lesse il suo sgomento e la sua pietà nei suoi occhi, perché contrasse le labbra in una smorfia di orgoglio ferito- non voleva pietà, non l’aveva mai voluta- e girò il volto dall’altro lato, mentre le lacrime, non più trattenute, riprendevano a sgorgare. Passarono alcuni minuti così, col silenzio rotto solo dal respiro di Oscar. Alain, impacciato, si era voltato, non sapendo se restare o uscire e lasciarla piangere, mentre Oscar lottava per calmare i singhiozzi e rallentare il respiro. Riuscita alfine nell’intento, si volse verso di lui, sforzandosi ancora una volta di sorridere.
- Buongiorno Alain. –disse, la voce ferma, ma triste, indescrivibilmente triste.
- Buongiorno comandate. – rispose lui, con un sorriso forzato almeno quanto quello di lei, nella voce l’eco alla tristezza di lei.
- Sapete che ci avete fatto prendere un bello spavento? Temevamo aveste cambiato idea e deciso di non comandarci più.
Negli occhi di Oscar passò come un lampo, un desiderio nascosto, che solo Andrè, forse, avrebbe potuto indovinare. Una speranza delusa, un’aspettativa disillusa.
Alain non lo notò, per sua fortuna. Era già abbastanza scosso così. Dov’era finita, si chiedeva, la donna che li aveva guidati all’assalto della Bastiglia? Dov’era il suo comandante, intrepido e battagliero? Dov’era? Dov’era la fermezza che tanto l’aveva affascinato? Stentava a riconoscere la donna calma -ma ardente come una fiamma- e decisa di cui si era innamorato. Ora vedeva solo una donna in lacrime, la cui tristezza era ancora più evidente di quando, il giorno prima, l’aveva stretta tra le braccia, mentre lei piangeva sulla sua spalla. Eppure, ci voleva non poco coraggio per rispondere alla sua battuta, per non far trapelare dalle sue parole quella speranza.
- Ma no, Alain! Come potrei lasciarvi così, senza nemmeno un saluto? L’avete creduto veramente? Ma insomma, che fiducia avete nel vostro comandante?
- Già, è vero, non siete il tipo che farebbe una cosa simile. Avremmo dovuto pensarci, ma, vedete comandante, in quel momento non eravamo veramente in grado di ragionare.
Oscar aggrottò la fronte in un’espressione irata.
- Soldato, stai dicendo che durante il vostro servizio vi siete lasciati trascinare dai vostri sentimenti? Rispondi, soldato!
Era troppo debole per urlare, ma la sua voce aveva ritrovato parte della sua antica autorevolezza. E Alain sorrise, dentro di sé, perché aveva intravisto ciò che Oscar era stata e che, in fondo, era ancora. Era scattato sull’attenti appena lei aveva iniziato la frase, per un riflesso condizionato.
- Affermativo, signore. La preoccupazione per la vostra via è stata, in quel momento, superiore al nostro senso del dovere.
La fronte di Oscar si spianò, la sua espressione si raddolcì.
- Grazie- disse, guardandolo negli occhi per un attimo, e distogliendo lo sguardo subito dopo.
- Grazie a voi, comandante – scappò detto ad Alain.
- Perché mai Alain? Perché mi son fatta colpire? In questo modo, non dovete seguire il vostro pazzo comandante. Sì, effettivamente, forse ci avete guadagnato. – ribatté Oscar ridendo, per la prima volta da quella sera in cui aveva perso Andrè.
- No comandante. Grazie per aver deciso di non lasciare il vostro posto. Noi vi seguiremo, lo sapete, qualsiasi pazzia decidiate. - rispose lui, nuovamente serio.
Oscar si alzò a mezzo, appoggiandosi sui gomiti, e lo fissò stupita.
Poi si riadagiò sul cuscino, negli occhi di nuovo quel desiderio, quel rimpianto, troppo oscuro per poterlo immaginare, troppo nascosto per poterlo capire.
Il silenzio calò tra loro, silenzio grave, pesante, difficile da sopportare, difficile da spezzare.
Fu Oscar, all’improvviso, che si decise a parlare.
- Ebbene, Alain, che succede là fuori? Raccontami qualcosa. Come sta la Francia?
- Là fuori, comandante? Beh, là fuori i lavori dell’Assemblea nazionale continuano, il re ha fatto ritirare le truppe da Parigi, la folla grida “ Viva il re”. Dopo che la Bastiglia è caduta, su Parigi è scesa una sorta di calma.
- Calma, Alain? Parigi è calma? Tu mi prendi in giro!
- Invece è esatto comandante. Dopo che le truppe sono state ritirate da Parigi, non ci sono stati più scontri.
- Certo Alain, questo mi sembra ovvio. Con chi scontrarsi, se non c’è più nessuno a Parigi?- rispose Oscar, un lampo ironico negli occhi. – Quindi, tu dici che su Parigi è scesa la calma.
- Sì comandante. La calma dopo la tempesta.
Tacquero entrambi per qualche istante, poi Oscar riprese a parlare.
- No Alain. Io direi piuttosto che siamo nell’occhio del ciclone. Ora tutto è relativamente calmo, ma è una calma solo apparente. Tra poco succederà qualcos’altro che farà scatenare nuovamente la rabbia del popolo. Non può essere altrimenti. Quello che è stato iniziato deve essere finito. Non si può tornare indietro. Nessuno di noi, ormai, può farlo.
Alain la osservò, interdetto, per alcuni istanti, poi le rispose:
- No, comandante, avete ragione, ormai non possiamo più tornare indietro la Bastiglia è là ad impedircelo. Ma voi, comandante, lo fareste? Se poteste, rinneghereste tutto ciò che avete fatto?
Oscar non rispose, guardando dall’altra parte, fuori dalla finestra, il paesaggio illuminato dai raggi del sole al tramonto. Rimase in silenzio tanto a lungo che Alai, credendo che si fosse ormai dimenticata della sua domanda, stava per salutarla e andarsene, quando lei parlò improvvisamente.
- No, - disse- no Alain, non lo farei.
Poi tacque nuovamente per alcuni lunghissimi istanti.
- Ti dirò di più – riprese, - se mi fosse concesso tornare indietro, cambiare alcune scelte che ho fatto nella vita…io, Alain…credo che non lo farei. C’è una sola cosa che vorrei cambiare nella mia vita, e se Andrè fosse ancora qui…beh, forse non cambierei neanche quella.
Di nuovo, il silenzio. Poi…
- Ma ormai è troppo tardi. – terminò, lo sconforto nella voce. Non aveva mai distolto lo sguardo dal paesaggio fuori dalla finestra, non aveva mai voltato il capo: Alain non poteva vedere i suoi occhi riempirsi di lacrime.
Non rispose, perché non c’era nessuna risposta a quelle parole. Ma coprì la mano di lei con la propria, e rispose al dolore che traspariva dalla sua voce.
- Comandante! – la chiamò, mentre le lacrime cominciavano a rigarle il volto.
- Comandante, so che soffrite immensamente, ma dovete farvi forza. Non potete, non dovete abbandonarvi così al vostro dolore, vi fate solo del male. Dovete reagire, perché noi abbiamo bisogno di voi.
Sperava… qualcosa, neanche lui sapeva bene cosa. Sapeva solo che doveva tentare qualcosa, qualsiasi cosa, pur di riscuoterla da quello stato. Ma le lacrime continuavano a scendere dai suoi occhi, ancora più copiose, senza che lei riuscisse a trattenerle.
- No –rispose – no Alain, non posso. Non posso andare avanti, non posso sconfiggere questo dolore. Non…non ne ho la forza. Capisci? Non posso reagire, non c’è niente per cui farlo.
- Comandante… - cominciò a dire Alain, ma lei l’interruppe.
- No, Alain, non parlare. Non dire niente.
Si prese la testa fra le mani e, per la prima volta, si girò e lo guardò negli occhi.
- Ascoltami Alain. Per tutta la vita, da quando sono nata, son dovuta essere forte, coraggiosa, determinata. Sempre, in ogni occasione, anche la più dolorosa, mi son dovuta far forza e reagire, comportarmi da uomo, perché in caso contrario avrei deluso qualcuno. Per tutta la mia vita le mie azioni sono state dettate dalle esigenze degli altri. Ma ora… ora basta! Quando ho detto addio al mio titolo, ho detto addio anche a questo, alle costrizioni di una vita intera. Ora Alain, io non posso, non posso più… Mi spiace, ma non ci riesco. Dovrete cercarvi… un altro comandante – terminò, la voce rotta dal pianto.
- Ma noi vogliamo essere comandati da voi! – esclamò lui. Lei lo guardò, ma non rispose. Passarono alcuni minuti prima che lei parlasse. E quando lo fece, lo lasciò esterrefatto, perché Alain non riusciva a capire quale fosse il collegamento con il discorso.
- L’altra notte, Alain, Andrè mi ha chiesto una promessa. Una sola. Né di sposarlo, né che non l’avrei mai lasciato. Sai cosa ha voluto che gli promettessi? Sai cosa gli ho giurato? – chiese, mentre un sorriso sfiorava le sue labbra.
- No…non saprei.
- Gli ho promesso, Alain, che d’ora in poi avrei fatto solo ciò che avrei voluto io, senza che fosse la volontà di altri a guidarmi. Mi ha chiesto di pensare solo a me stessa, di non sacrificarmi per gli altri.
Alain non rispose subito, perché era rimasto senza parole, mentre cominciava a capire.
- Quindi…voi…voi non volete essere ancora il nostro comandante.
- Non voglio perché non posso, Alain. Tutto ciò che potevo dare l’ho dato. Ora…voglio solo stare sola… sola con il mio dolore.
Alain chinò il capo.
- Posso chiedervi di ripensarci?- chiese con voce mesta.
- Sì Alain, ma dubito che servirà a molto.
- Bene. Allora, arrivederci, comandante Oscar.
- Arrivederci Alain. E scusami, scusatemi tutti, ma è un’impresa troppo grande per me.
Alain se ne andò, lasciandola sola, come lei aveva chiesto. Chiuse la porta dietro di sé, e ci si appoggiò, perché con quelle parole Oscar aveva distrutto le sue speranze.
Dall’altra parte della porta, Oscar si era nuovamente stesa. Quella conversazione aveva esaurito le sue energie. Malata e ferita, ciò che doveva fare era solamente riposare.
Appoggiata al cuscino, non poteva fare a meno di pensare a lui, Andrè, a quando le aveva chiesto quella promessa. Chiudendo gli occhi, poteva rivivere la scena.
Era stato poco prima che s’addormentasse. Giaceva supina sull’erba, gli occhi che già cominciavano a chiuderlese. Accanto a lei Andrè, sdraiato su un fianco, si sosteneva la testa con una mano, e con l’altra l’accarezzava leggermente. Sorrideva. La guardava e sorrideva, felice. Anche lei sorrideva, guardandolo tra le ciglia. Aveva sonno, e voleva dormire tra le sue braccia. Ridendo, si era voltata, appoggiandosi al suo petto. Andrè l’aveva abbracciata e, la guancia sulla sua guancia, aveva cominciato a parlarle. Parole dolci, parole sussurrate, parole sognate e trattenute per anni e che finalmente venivano pronunciate. Lei sorrideva, ascoltandolo, e si appoggiava a lui, cercando il sonno contro il suo petto. Poi lui aveva taciuto, continuando solo ad accarezzarle i capelli, e lei già scivolava nel sonno, cullata dal movimento ritmico della mano del suo uomo. Ma poi lui si era fermato e lei, disturbata da quell’interruzione, era tornata alla realtà, riemergendo dall’abisso del sonno in cui stava sprofondando. L’aveva guardato, un po’ interrogativa, un po’ imbronciata. Lui l’aveva afferrata per il mento e le aveva dato un piccolo bacio sulle labbra, leggero come il volo di una farfalla. E le aveva detto:
- Amore, promettimi una cosa.
Lei aveva sorriso, rispondendogli:
- Tutto quello che vuoi.
- Promettimi, mio tesoro, che d’ora in poi farai solo quello che vuoi tu. Promettimi che penserai solo a te stessa, che non rinuncerai ai tuoi desideri per volontà di altri.
Lei, sempre sorridendo, gli s’era stretta contro. Come aveva fatto a non accorgersi molto tempo prima di che uomo straordinario aveva accanto? Anche in quel momento, quando aveva la possibilità di chiedere qualcosa per se stesso, pensava solo a lei. Ma lui aveva già avuto tutto ciò che desiderava!
- Sì, Andrè, sì. Seguirò solo la mia volontà, te lo giuro.
Lui le aveva accarezzato la guancia con due dita, guardandola con uno sguardo che era, insieme, innamorato, serio, felice.
Poi lei aveva alzato la testa, guardandolo a sua volta, un grande sorriso sulle labbra. L’aveva baciato sulle labbra, prima di continuare.
- E ciò che voglia, Andrè, è seguirti, dovunque e qualunque cosa tu faccia. Voglio stare sempre con te, non lasciarti mai, darti tutto l’amore che non ti ho dato in tutti questi anni.
Gli luccicavano gli occhi, lo ricordava bene. Non aveva risposto, ma l’aveva stretta a sé, immergendo il viso nella massa dorata dei suoi capelli. Erano rimasti a lungo così, e lei si era addormentata mentre ancora la stringeva. Aveva un ricordo confuso di dolci baci e carezza leggere, percepite attraverso la nebbia del sonno ma ricordava perfettamente la sensazione delle braccia di Andrè attorno al suo corpo, il profumo della sua pelle, il calore del suo respiro tra i capelli. Riusciva a percepirli anche adesso. Così, avvolta strettamente nel lenzuolo, come lo era state nelle razzia di Andrè, il viso sprofondato nel cuscino, sognando che lui fosse lì, accanto a lei, Oscar si addormentò profondamente.
 

 Fine 3° parte

                                                                                                                                Illy
 
 

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