Solo Uno
10° parte ~ finale
 
 

Due mesi più tardi, in riva al mare, con il vento d’autunno che increspava le onde, che lambivano loro i piedi, due figure abbracciate guardavano il sole sprofondare nel mare.
- Cosa vuoi fare, Oscar?
- Tornare a Parigi. C’è una rivoluzione che ha bisogno di noi. – lui annuì, era ciò che aveva sperato e insieme temuto di sentire.
- Quando vuoi partire?
- Più in là. Ora no…ora, c’è un’altra cosa da fare qui. – rispose lei, sorridendo, portando una mano ad accarezzarsi il ventre. Lui le baciò la testa, la guardò interrogativo. Lei rovesciò la testa all’indietro, incontrò il suo sguardo e ampliò il sorriso.
- Parigi, di questi tempi, non è un bel posto per far nascere un bambino, non credi?
Osservò il cambiamento nello sguardo di lui, mentre comprendeva ciò che lei gli aveva detto. Osservò la luce accendersi nei suoi occhi, mentre le sue labbra si distendevano nel sorriso e le sue braccia intensificavano la stretta.
- Oscar…tu…tu…
- Io? Io sono incinta, e tu sei un futuro papà. – terminò, dandogli un bacio sulle labbra. Lui non replicò con parole, ma la avvolse con le sue braccia, girandola in modo da guardarla negli occhi, la abbracciò stretta, incapace di parlare, schiacciato dalla felicità, appoggiando la propria guancia contro i capelli di lei.
- È…è meraviglioso, amor mio, è meraviglioso! Un figlio…un figlio…avremo un figlio…un figlio…- furono le parole che riuscì, infine, a pronunciare, ripetendole ossessivo, mentre Oscar rideva, immersa nel suo abbraccio.
- Ehi! Non credevo che ti avrei fatto quest’effetto! In fondo, te lo dovevi aspettare, no? Quasi non mi hai fatto dormire!
- Un bambino…non sai quanto l’abbia desiderato, ma…non osavo sperarci. E anche adesso, mi sembra troppo bello per essere vero. O Dio! Avremo un figlio, un figlio!
La sollevò in aria, guardandola da sotto in su, raggiante. E malizioso. Oscar si preoccupò e si rallegrò al vedere la luce che gli brillava negli occhi, come quando lui la prendeva in giro, da bambini. Amava quella luce, che aveva ripreso a brillare da poco nel suo sguardo. Eppure la temeva, perché non poteva immaginare quale sarebbe stato il suo scherzo, anche se sapeva che non sarebbe mai, mai stato dannoso per lei, in nessun senso. Solo, non le piaceva non riuscire a rispondere a un attacco, a un qualsiasi attacco, anche se una battuta.
E la presa in giro venne.
- Dimmi amore, d’ora in poi, passerai il tempo a cucire vestitini?
- Cucire? Intendi quella cosa che si fa con ago e filo? No Andrè, non credo proprio.
- Come? E chi lo prepara il corredo per il bimbo?
- Si è impegnata Sabina a procurarmelo. Altrimenti, c’è sempre Rosalie, no? – lui sorrise. Se l’era aspettato.
- Tiziana? Non mi stupisce. Ma dubito che anche lei abbia intenzione di passare il tempo cucendo.
- No, non lo credo neanche io. - replicò Oscar, pensierosa. – Non mi sembra il tipo che occupa il suo tempo ricamando.
Il suo viso si astraeva sempre più, come sempre le capitava quando pensava a Sabina. Andrè lo sapeva, e sapeva quanto era inutile cercare di investigare troppo su quella ragazza.
- E dimmi, come ci organizzeremo, una volta a Parigi? – chiese scotendola con le braccia. Oscar aveva il viso appoggiato contro il suo petto, dunque lui non poté vedere i suoi occhi, né il suo sorriso. anche lei sapeva prendere in giro.
- Non so. Pensavo che tu potresti stare in casa a badare al piccolo…
- …e tu fuori a combattere, vero? non pensarci nemmeno, o ti seguo, o ti lego! – rifiutò lui, riportandola a terra. Lei rise, rise e rise, e lo baciò, nuovamente.
- Scherzavo, amore. Non sopporterei di non averti vicino. Non so come ci organizzeremo, ma un modo lo troveremo.
- Potremmo assumere come balie i nostri commilitoni…
- Sai, credo che lo farebbero…
- per te? Sì, lo farebbero, ne sono sicuro. – rispose lui in un sussurro, soffocato dai capelli di lei.
Più lontano, ferma sulla soglia di una porta, una figura in rosso li guardava, sorridendo. Sobbalzò, quando sentì alle sue spalle una voce che la interpellava.
- A che pensi?
- Ehi, ma è modo questo di arrivare alle spalle della gente?
- Se tu sei distratta, non è colpa mia. A che pensavi? – Sabina li indicò con la testa.
- A loro due. Sono così felici, e stanno così bene insieme…
- Uh! Aspetta che passino due o tre notti insonni, o costretti ad alzarsi per calmare il bambino, e vedrai come cambieranno opinione.
- Pessimista! Io credo che si alzeranno più che volentieri.
- Si alzeranno. Si alzerà Andrè, vuoi dire! – Sabina rise. Le dispute non finivano mai, specialmente su quell’argomento. Ma lei non aveva voglia di litigare, al momento.
- Sì, in effetti è probabile che finirà così. Ma forse no. Forse no…- rispose lei, sorridendo.
- Quando vuoi partire?
- Il tempo di organizzare tutto, per noi e per loro, e partiremo. Perché?
Non ci fu risposta. Quando Sabina/Tiziana si volse, non vide nessuno.
- Marty? Marty? Martina! Mah, che tipo! – esclamò, scrollando le spalle.
Oscar e Andrè stavano tornando indietro, stretti l’una all’altro, gli occhi negli occhi, sulle labbra il medesimo sorriso. Parlavano ancora, del loro bambino, di ciò che li aspettava, di ciò che volevano fare. Parlavano dei loro amici, di Alain, che era già tornato a Parigi. Per informare gli altri della bella notizia, aveva dichiarato, per fuggire da loro, in realtà. Aveva bisogno di stare un po’ lontano da loro, per dire addio ai suoi sogni, per accettare la situazione. E per far suo il modo di amare di Andrè. Sarebbe stato un amico, un sostegno, un aiuto sempre e comunque, per entrambi. Perché era meglio così, perché lui aveva sempre saputo che era meglio così. Perché non sarebbe mai stato capace di tradire il suo amico. Perché sapeva di non poter dare ad Oscar quello che lei cercava. Erano troppo simili. E troppo differenti, insieme. E questo lo faceva soffrire, perché significava dire addio a tutti i suoi sogni, ma era anche felice, perché vedeva che lei aveva già ciò di cui aveva bisogno. E anche a questo doveva abituarsi, a soffrire e gioire insieme, sentire la più grande felicità e il dolore più atroce spartirsi il suo cuore.
Di questo, Oscar e Andrè avevano avuto un vago sentore, ma, presi dalla loro felicità, non si curavano di ciò che accadeva intorno a loro. Passavano le loro giornate insieme, come prima, discutendo in silenzio, lasciando che fossero i loro sguardi a parlare, o i loro gesti. Non avevano bisogno di parole per comunicarsi i reciproci sentimenti, le rispettive emozioni. Oscar sentiva, come fosse stata sua, perché era sua, sapeva, per la stretta dolce e delicata del braccio di Andrè attorno alla sua vita, per la luce che illuminava il suo volto…sì, lei conosceva la sua gioia per quel figlio desiderato e insperato. E non aveva bisogno che lui le esternasse i suoi pensieri per sapere quali erano.
Pure, davanti alla porta di quell’edificio che, per allora, era la loro casa, lui si fermò, girandosi verso di lei e prendendola per la vita, sorridendo malizioso.
- Oscar, mi chiedevo se hai intenzione di fermarti al primo…
- Solo uno, amore? Credi davvero che me ne basterebbe solo uno? – rispose lei, abbracciandolo e guardandolo con la stessa malizia. Lui esitò, un momento, e rispose seriamente, con uno sguardo dolce.
- No, uno non è il numero che si adatta a te.
Lei rispose con un bacio sulle labbra, negli occhi la sua stessa espressione. Si guardarono, scoppiarono a ridere, corsero in casa, Oscar davanti e Andrè dietro, a inseguirla, nell’ingresso, su per le scale, lungo il corridoio, fino alla loro camera. Lui vinse la resistenza che Oscar, da dietro la porta, fingeva di opporgli. L’abbracciò, mentre entrambi ansimavano per il riso e per la corsa…baciò quel sorriso…un  bacio, almeno un bacio…prima di scendere a cena…ma perché scendere a cena?…quello era il suo cibo…un bacio…un bacio…

FINE

                                                                                                                                  Illy
 
 

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