MERU, NAGA, TULA
E
IL DISEGNO PLANETARIO

Guénon e Il Re del Mondo
Il Re del Mondo è un breve, fulminante libro del filosofo francese René Guénon, un volumetto denso di suggestioni e di intuizioni straordinarie che quando io ebbi la ventura di leggere fu come una rivelazione; ma non pensavo davvero che alcuni passi, nelle ultime pagine del libro, avrebbero spalancato le porte ad altre intuizioni, ad altre conferme che sarebbero giunte a più di dieci anni di distanza.

Il titolo di "Re del Mondo" (…) viene attribuito propriamente a Manu, il Legislatore primordiale e universale il cui nome si ritrova, sotto forme diverse, presso numerosi popoli antichi; ricordiamo soltanto, a questo proposito, il Mina o Menes degli Egizi, il Menw dei Celti e il Minosse dei Greci. Tale nome, del resto, non indica un personaggio storico o più o meno leggendario. Esso designa, in realtà, un principio, l'Intelligenza cosmica che riflette la Luce spirituale pura e formula la Legge (Dharma) propria delle condizioni del nostro mondo o del nostro ciclo di esistenza (…) D'altra parte, l'importante qui è far rilevare che tale principio può essere reso manifesto da un centro spirituale stabilito nel mondo terrestre, da un'organizzazione incaricata di conservare integralmente il deposito della tradizione sacra, di origine "non umana" (apaurusheya), per mezzo della quale la Sapienza primordiale si comunica attraverso le epoche a coloro che sono in grado di riceverla.[1]

La prima cosa che colpisce di queste parole è il riferimento ad una misteriosa organizzazione incaricata di conservare e tramandare, più o meno segretamente, determinate conoscenze della massima importanza: a questo proposito non può sfuggire il nesso con quanto sostenuto, ad esempio, da de Santillana e von Dechend e da Bauval e Hancock, le cui tesi postulano, in entrambi i casi, l'esistenza di un'analoga organizzazione che avrebbe perpetuato un fondamentale nucleo di conoscenze da un remoto passato fino all'alba della storia conosciuta; ma certamente Guénon non pensava a questo genere di cose e per non dare l'impressione di forzare in maniera avventata le parole del filosofo francese è opportuno continuare ad esporne il pensiero.
Il "centro spirituale" cui Guénon si riferisce ha un nome, Paradesha, termine dal quale deriva il nostro "paradiso" e che in sanscrito significa "contrada suprema"; ma, precisa Guénon:

(…) per designarla, vi è un altro nome, probabilmente ancora più antico di Paradesha: è il nome Tula, da cui i greci derivarono Thule (…). Bisogna notare, del resto, che il nome Tula fu dato a regioni molto diverse, poiché ancora oggi lo si ritrova sia in Russia sia in America Centrale; è probabile che ciascuna di queste regioni sia stata, in epoca più o meno lontana, sede di un potere spirituale che era una sorta di emanazione di quello della Tula primordiale. Si sa che la Tula messicana deve la sua origine ai Toltechi; questi, si dice, venivano dall'Aztlan, la "terra in mezzo alle acque", la quale, evidentemente, altro non è che l'Atlantide (…).[2]

A questo punto è lo stesso Guénon ad avventurarsi nei pericolosi territori dei continenti perduti, menzionando esplicitamente Atlantide e in qualche modo autorizzandoci ad accostare il suo pensiero al filone delle recenti teorie relative a presunte civiltà scomparse che avrebbero preceduto e alimentato le maggiori civiltà storiche. Ma Guénon non si ferma qui e prosegue precisando che:

(…) bisogna distinguere la Tula atlantidea dalla Tula iperborea, ed è quest'ultima che, in realtà, rappresenta il centro primo e supremo (…); essa fu l'isola sacra per eccellenza e (…) la sua ubicazione era, in origine, veramente polare (…) La parola Tula, in sanscrito, significa "bilancia" e designa propriamente il segno zodiacale di questo nome: ma, secondo una tradizione cinese, la Bilancia Celeste era in origine l'Orsa Maggiore. Quest'osservazione è della massima importanza perché il simbolismo che si riferisce all'Orsa Maggiore è naturalmente legato nel modo più stretto a quello del Polo (…) Tula è chiamata anche "l'isola bianca" (…) In India, l'"isola bianca" (Shweta-dwipa), che si situa generalmente nelle lontane regioni del Nord, è considerata come il "soggiorno dei Beati" (…) ma al centro di quest'isola s'innalza la "montagna bianca" (…) la cui cima è di colore purpureo. Questa "montagna del Sole", come è anche chiamata, corrisponde al Meru (…) L'idea che evoca la rappresentazione di cui si tratta qui è essenzialmente quella di stabilità (…) caratteristica del Polo: l'isola rimane immobile in mezzo all'agitazione incessante dei flutti.[3]

Secondo la mitologia indù l'universo consiste di sette isole-continenti circondate da sette mari. Jambu-dwipa (il mondo) è la più interne di queste; al centro di questo continente sorge la montagna d'oro Meru, che è circondato da alti quattro monti, meno elevati, di cui uno è Mandera. Nel passo appena citato evidentemente Guénon evoca l'idea del "polo" (sia terrestre sia celeste) come centro immobile di un movimento di rotazione, quello della terra e del cielo intorno all'asse polare, appunto. Ora gli elementi ci sono tutti: con i riferimenti al mondo celeste e alla rotazione della Terra (e di conseguenza dei cieli) intorno all'asse polare abbiamo completato il quadro concettuale entro il quale si muovono le teorie menzionate e altre del filone "archeo-astronomico", che tuttavia si richiamano anche ad un altro specifico fenomeno, la precessione degli equinozi, il cui ruolo sarebbe stato determinante nell'ambito del processo di trasmissione dell'antico sapere.

De Santillana e Il Mulino di Amleto
Il monumentale studio dall'enigmatico titolo Il Mulino di Amleto [4], che Giorgio de Santillana pubblicò nel 1969 in collaborazione con Hertha von Dechend, è uno di quei rari libri capaci di rovesciare la nostra visione della realtà: in particolare l'idea che abbiamo del progresso e del pensiero arcaico, sbrigativamente ritenuto approssimativo, ingenuo, in una parola "primitivo". Saggio sul mito e sulla struttura del tempo, come recita il sottotitolo, questo studio dimostra che anche il mito è, a suo modo, una scienza esatta, ma una scienza che descrive non lo spazio omogeneo e indefinito teorizzato dal pensiero moderno, bensì la struttura del cosmo e del tempo ciclico segnato da scansioni scritte nel cielo. È vano cercare nella storia e nella geografia terrestre i corrispondenti delle figure e degli eventi descritti nei miti - la maggior parte dei miti della terra - poiché è in cielo che hanno luogo gli avvenimenti mitici. Le immagini che animano i miti e che narrano di un catastrofico sconvolgimento, di una tavola che si rovescia, di un albero che viene abbattuto, di un nodo che viene reciso, di un mulino che macina di era in era prima "pace e abbondanza", poi "sale", poi "rocce e sabbia" e infine si scardina uscendo dal proprio asse, tutte queste immagini traggono la propria origine da una precisa idea del cosmo e dei movimenti delle sfere celesti: secondo quest'idea, oltre al movimento diurno e a quello annuale del firmamento intorno alla Terra, ve n'è un altro, quasi impercettibile nella scala umana, ma che nella scala cosmica assume il ruolo di un vero e proprio segnatempo. Si tratta del movimento di precessione degli equinozi, consistente nella lentissima rotazione dell'asse terrestre intorno al polo dell'eclittica, in virtù del quale i punti vernali (che sono le intersezioni dell'eclittica con l'equatore celeste) si muovono in senso retrogrado rispetto allo spostamento annuale del sole sullo sfondo delle stelle fisse. Precisiamo che l'eclittica è l'intersezione della sfera celeste con il piano del moto orbitale della terra; di conseguenza il polo dell'eclittica è l'intersezione della sfera celeste con l'asse perpendicolare al piano dell'eclittica e passante per il centro della Terra. Nel corso di un intero ciclo precessionale, che dura circa 25.800 anni, il punto vernale che segna l'equinozio di primavera sosta di volta in volta (per 2.150 anni circa) in ciascuna delle 12 case dello zodiaco, determinando così una sorta di orologio che consente di scandire il tempo cosmico non come un'indefinita progressione lineare, ma come un avvicendarsi ciclico di ere. I due autori in particolare ritengono che molti degli eventi catastrofici descritti nei miti vogliano evocare l'idea che il passaggio da un'era precessionale all'altra rappresenti un momento critico in cui un mondo viene distrutto affinché uno nuovo possa prenderne il posto. Non possiamo in questa sede minimamente addentrarci nello spessore della ricerca compiuta da de Santillana e von Dechend; basti dire che la chiave di lettura suggerita da loro è straordinariamente fruttuosa e capace di dare un significato assai preciso ad un gran numero di racconti mitici altrimenti incomprensibili, contraddittori, assurdi. L'intuizione iniziale dei due autori è geniale e senza dubbio confortata dalla mole di riscontri documentali; tuttavia non si può nascondere un pizzico di insoddisfazione, come per qualcosa che manchi affinché il quadro sia veramente completo. Si tratta di questo: perché il passaggio da un'era precessionale alla seguente dovrebbe essere visto come un evento traumatico? Perché questo curioso insistere sullo scardinamento dell'asse del mondo (l'asse del "mulino di Amleto"), quando invece il movimento precessionale della Terra non solo è lentissimo, ma, di fatto, anche incapace di produrre un qualsiasi effetto misurabile su scala umana? In fondo, sarebbe come considerare traumatico il passaggio dall'ultimo minuto di un'ora al primo minuto dell'ora successiva; ma il quadrante dell'orologio non è forse una costruzione dell'uomo, esattamente come è una creazione dell'uomo lo zodiaco? Viene da pensare che debba trattarsi di qualcos'altro che non il semplice passaggio da un'era ad un'altra: qualcosa di estremamente concreto se vogliamo spingere alle estreme conseguenze, con coerenza, l'intuizione fondamentale di de Santillana e von Dechend, i quali capirono che dietro il pensiero mitico si celavano concetti scientifici. Se il mito parla di un "albero abbattuto", del "cielo che cade sulla terra", di "scardinamento del mulino dall'asse", allora di questo deve trattarsi, precisamente, alla lettera: scardinamento, abbattimento dell'asse terrestre. Ora ci si deve chiedere: possono eventi del genere essere realmente accaduti?
Simbolismo astronomico

Torniamo a Il Re del Mondo. Dirò subito che anche nei passi sopra citati è possibile, proprio come nei miti presi in esame da de Santillana, leggere simboli di carattere astronomico, benché Guénon intendesse tali concetti in senso prettamente spirituale.
Innanzi tutto l'immagine, legata al termine Tula, dell'"isola bianca" collocata nelle estreme regioni del Nord è un chiaro riferimento alle isole di ghiaccio delle regioni polari terrestri, il cui corrispettivo nel firmamento è costituito ovviamente dalle regioni circostanti i poli celesti. Se rileggiamo i passi sopra citati, vediamo come al centro di quest'isola bianca si erga una montagna, simbolo di stabilità nei confronti dell'incessante agitarsi dei flutti. Il significato è evidente: i poli terrestri, come i poli celesti, sono gli unici punti immobili sulle rispettive sfere. La montagna dunque, come prolungamento della terra verso il cielo, è una chiara rappresentazione dell'asse terrestre-celeste, l'"asse del mondo".
Fin qui tutto semplice, così semplice che non si riesce a capire il motivo di tanto interesse per le regioni polari. Manca qualcosa, e ciò che manca è del tutto evidente dopo aver letto Il Mulino di Amleto: l'abbattimento dell'albero del mondo, lo scardinamento dell'asse del mulino, in altri termini il movimento di precessione degli equinozi. In Il Re del Mondo non troviamo riferimenti espliciti alla precessione, riferimenti che tuttavia abbondano nell'ambito culturale indù: il mito della "frullatura dell'Oceano di Latte", trattato anche da de Santillana, è l'esempio più lampante. La storia si trova nel Mahabharata, nel Ramayana e in molti Purana, e racconta che:

Alla fine di un'epoca del mondo gli dei e i demoni si unirono per frullare l'oceano cosmico in modo da raggiungere la corrente di immortalità nascosta nelle profondità (…) Gli dei trasportarono il monte Mandera nell'oceano e lo deposero sulla schiena di Kurma, il re delle tartarughe. Attorno alla montagna arrotolarono il serpente (…) gli asura reggevano il suo cappuccio e gli dei la coda. Come risultato dell'attrito causato dalla frullatura, dalla bocca del serpente uscirono masse di vapore che divenendo nuvole si caricarono di lampi e riversarono piogge rinfrescanti sui lavoratori stanchi. Il fuoco eruppe e avvolse la montagna (…).[5]

Per inciso, il serpente era il re naga Vasuki (naga in sanscrito significa "cobra"), che per le sofferenze inflittegli rilasciò torrenti di veleno che si riversarono sulla terra, minacciando di distruggere tutto; ma il pericolo fu evitato dall'intervento di Shiva e Vishnù. La "frullatura" quindi poté proseguire, finché dalla massa spumeggiante di quello che viene definito "Oceano di Latte" emersero diversi oggetti cosmici ed esseri divini.
Qual è il senso di questo curioso racconto? Il significato di alcuni elementi apparirà abbastanza chiaro al termine di quest'esposizione; ma per altri elementi del racconto possiamo già ora stabilire delle corrispondenze. Innanzitutto, l'"Oceano di Latte" altro non è che il chiarore delle stelle del firmamento (l'espressione stessa "Via Lattea" sta a confermare quest'interpretazione), mentre il re naga Vasuki altro non è che il serpente celeste, ossia la costellazione del Drago, che con le sue spire avvolge il polo dell'eclittica (che, come si è detto, è il centro di quel circolo immaginario descritto dai poli celesti per effetto del movimento precessionale). È questo il nocciolo della questione: i poli celesti, a differenza di quelli terrestri, non sono vere isole di stabilità perché ruotano anch'esse, benché lentamente per la scala temporale umana. Pertanto le vere isole di stabilità, su scala temporale sovra-umana, sono i poli dell'eclittica: qui si erge il Meru, non a caso anche chiamata la "montagna del Sole" (infatti, l'eclittica rappresenta il cammino del sole sullo sfondo del firmamento, nel corso del suo movimento annuale).
Ora però si pone un duplice problema. Il primo è questo: se l'identificazione dei poli celesti con i corrispettivi terrestri è evidente, perfino banale, niente affatto banale è l'identificazione dei poli dell'eclittica. Dove si devono cercare, questi, sulla terra? Probabilmente nei pressi delle regioni polari, ma dove esattamente non è dato sapere sulla base degli elementi noti. Il secondo problema invece è questo: perché si dovrebbe cercare il corrispettivo terrestre dei poli dell'eclittica? Che cosa ci dovrebbe rivelare questo schema di corrispondenze?

Il Primo Tempo di Sirio

Una possibile risposta a queste domande è stata avanzata nel mio articolo Il disegno planetario. È il caso di riassumerne brevemente gli assunti di base e le tesi conclusive.
Il punto di partenza è la tesi della correlazione fra le piramidi di Giza e le tre stelle della Cintura d'Orione, formulata originariamente da Robert Bauval sulla base dello studio dei condotti d'aerazione della Grande Piramide e poi elaborata insieme a Graham Hancock fino alla formulazione della teoria del "Primo Tempo di Orione". Secondo i due ricercatori il progetto del complesso di Giza si deve ad una sconosciuta civiltà che avrebbe preceduto di molti millenni quella egizia, decadendo forse in seguito ad un cataclisma, ma senza tuttavia sparire del tutto: infatti, parte dell'antica sapienza sarebbe sopravvissuta nei secoli grazie ad una sorta di organizzazione segreta, di tipo esoterico, che poi l'avrebbe trasmessa alla civiltà egizia storicamente nota.
Nel mio studio porto nuovi elementi a conforto della validità della correlazione stellare, pur correggendo sensibilmente la data fondamentale indicata dalla correlazione stessa: a mio avviso, tale data è il 12.000 a.C. circa (corrispondente al "primo tempo" precessionale di Sirio) e non il 10.450 a.C. (corrispondente al "primo tempo" precessionale di Orione). La data da me indicata è probabilmente più vicina ad una età cruciale e densa di eventi drammatici, ossia la fine dell'ultima glaciazione; ma non si tratta tanto di questo. Infatti, la caratteristica fondamentale e innovativa di questa linea di ricerca è di proporre l'unificazione della tesi di Bauval (la correlazione stellare) con la teoria del geologo statunitense Charles Hapgood in merito agli scorrimenti della crosta terrestre. Nel mio studio mostro come tale unificazione si renda possibile sviluppando con coerenza e sino alle estreme conseguenze il principio della corrispondenza terra-cielo: ciò si realizza mediante la sovrapposizione dell'intera sfera celeste sulla sfera terrestre, utilizzando la Cintura d'Orione e le tre piramidi di Giza come riferimenti geometrici per la corretta collimazione delle due sfere.
L'operazione conduce alla seguente scoperta: il cammino del polo celeste (rappresentato da un circolo al centro del quale si colloca il polo dell'eclittica, simboleggiato come si è visto dal Meru) sfiora le posizioni occupate dai poli geografici nel corso degli ultimi centomila anni, in base alle indicazioni fornite dalla teoria di Hapgood (vedi Il disegno planetario, fig. 1); in questo modo, il tracciato celeste diventa una sorta di metafora della storia geologica terrestre. Ciò sembrerebbe confermato anche dal fatto che il cammino di Sirio passa in prossimità di due antiche sedi polari, rappresentando in tal modo la direttrice lungo la quale avvenne uno dei passati scorrimenti della crosta terrestre.
Ma gli elementi significativi non si esauriscono qui. Si configura un disegno di vaste proporzioni e di grande complessità, ciò che io chiamo appunto il "disegno planetario", che fra altre cose assegna posizioni particolari a due precise località sulla Terra: Giza, situata sull'equatore della prima era nonché sulla direttrice del primo salto polare, e il Viale dei Morti a Teotihuacan, allineato con il secondo salto polare (vedi Il disegno planetario, figg. 2 e 3). A ciò si aggiunga il diretto rapporto geodetico fra Giza e Teotihuacan, costituito dal fatto che la distanza fra le due località è pari alla sezione aurea della semi-circonferenza terrestre. Inoltre, nella fascia equatoriale della prima era troviamo anche altre località accomunate, insieme con le precedenti, dai tratti enigmatici che le caratterizzano: Mohenjo Daro, Angkor, l'Isola di Pasqua, Nazca, Machu Picchu, Tiahuanaco (vedi Il disegno planetario, figg. 4 e 5).
Come si vede, il disegno planetario è in grado di suggerire alcune risposte alle domande formulate in conclusione del paragrafo precedente. Una di queste l'abbiamo già data: l'individuazione dei poli dell'eclittica - e conseguentemente del cammino precessionale dei poli celesti - ha portato in evidenza la cinematica degli scorrimenti della crosta terrestre negli ultimi centomila anni. E che altro ci dovrebbe rivelare questo schema di corrispondenze, chiedevamo? Un dato, innanzitutto, che è meno banale di quanto sembri: il fatto che ogni qual volta si riceva un messaggio - al di là dei contenuti del messaggio stesso - si apprende implicitamente che qualcuno ha inteso comunicarci qualcosa, e nel nostro caso è chiaro sin d'ora che chi ha confezionato il messaggio contenuto nel disegno planetario appartiene ad una remota antichità antecedente la storia nota; è chiaro che aveva importanti motivi per farlo; è chiaro infine - e lo sarà sempre più - che possedeva strumenti e conoscenze che non potevano essere inferiori a quelli da noi oggi posseduti.

I toponimi Meru, Naga, Tula
Non so per quale ragione, il passo de Il Re del Mondo in cui lo studioso francese cita esplicitamente due località denominate Tula (situate in America Centrale e in Russia) è rimasto per oltre dieci anni in una piega della mia memoria, come in stato di sospensione, in attesa del momento in cui lo stimolo giusto sapesse risvegliarlo. Questo momento giunse quando mi imbattei nella scoperta del disegno planetario, e allora le parole di Guénon mi tornarono alla mente come una rivelazione. La rapida consultazione di un dizionario geografico mi consentì subito di individuare le posizioni di tali località. Effettivamente Tula è uno dei più importanti siti archeologici dell'America Centrale e, guarda caso, si trova a poche decine di chilometri da Teotihuacan; ma Tula è anche un importante città della Russia, capoluogo dell'omonima oblast, situata a qualche centinaio di chilometri a sud di Mosca. La circostanza più sbalorditiva è che tanto la Tula messicana quanto quella russa siano sfiorate, sul mio globo terrestre-celeste, dal cammino di Sirio; potevo ignorare una coincidenza del genere? Di certo no. Valeva sicuramente la pena di definire con precisione l'effettiva diffusione del toponimo su scala mondiale e di verificare se vi fosse o no qualche rapporto con il quadro emerso in Il Primo Tempo di Sirio; ma devo dire che, sin dall'inizio, non ho nutrito alcun dubbio sul fatto che una correlazione fra le diverse località denominate "Tula" e il disegno planetario dovesse in qualche modo sussistere. Anzi, era probabile che tale correlazione si estendesse sino ad includere anche i toponimi "Meru" e "Naga" giacché, se la mia ipotesi era valida, tali termini dovevano essere strettamente legati al primo. Del resto mi sentivo guidato in tal senso da un'altra formidabile intuizione che Guénon volle insinuare, come per caso, in una breve nota al testo:

È anche curioso notare che, in relazione a (…) l'assimilazione fonetica fra Meru e meros, presso gli antichi egizi l'Orsa Maggiore era detta la "costellazione della Coscia".[6]

Qui Guénon si riferisce al significato della parola greca meros ("coscia", appunto). In un passo precedente aveva osservato come la tradizione greca faccia nascere Dioniso dalla coscia di Zeus; secondo l'autore l'originario termine, Meru, è stato sostituito nel mito greco dalla parola meros, al quale è foneticamente quasi identica.[7] Oltre a questo, aggiungo io, sta che il termine sanscrito meru_ve significa "piramide", mentre in antico egizio per esprimere lo stesso concetto si usava il termine mr che evidentemente è affine non solo al precedente, ma anche a Meru (nell'antico egizio si rappresentavano solo le consonanti, per questo generalmente non conosciamo l'esatta vocalizzazione dei termini). Un legame linguistico, dunque, ci consente di gettare un ponte fra antica India e antico Egitto, fra il Meru e le piramidi: di fatto, potremmo azzardare l'ipotesi che le piramidi di Giza siano montagne artificiali atte a rappresentare la montagna simbolica del Meru.
Sulla scorta di queste considerazioni mi ero convinto che fosse necessario elaborare una griglia di riferimento prima di procedere con la ricerca di carattere geografico: infatti, limitare la ricerca ai soli termini chiave "Meru", "Naga" e "Tula" (così come normalmente sono traslitterati dalla lingua d'origine alle moderne lingue occidentali) non solo avrebbe tagliato fuori tutti quei toponimi che, nel corso dei secoli, si fossero creati al di fuori delle moderne regole di traslitterazione o per corruzione del termine originario, ma avrebbe tagliato fuori anche tutti quei toponimi eventualmente generati da termini affini a quelli chiave. Era dunque necessario espandere ciascuno dei termini chiave in una rosa che includesse anche gli eventuali termini dal significato simile, più tutte le probabili e prevedibili varianti fonetiche e ortografiche.
Prendiamo in esame ciascuno dei termini chiave. Partendo da "Tula", ad esempio, ho potuto appurare, attraverso uno studio comparativo dei lessemi documentati nell'area linguistica indiana nei millenni che precedono l'Era Cristiana, che i termini pertinenti potevano essere numerosi.
[8] Innanzi tutto il termine tol, sta anch'esso ad indicare la costellazione della Bilancia, esattamente come tula; inoltre il valore semantico di entrambi questi vocaboli include anche l'immagine del "peso" per pesare con la bilancia; il solo vocabolo tula sta altresì a significare lo strumento stesso della bilancia. Questa circostanza mi ha indotto a cercare nell'area linguistica indiana tutti i termini legati alle immagini di "peso", "pesare" e "strumenti per pesare", trovandovi i seguenti vocaboli: tola, tole, tul, tulai, tule, tuli, tulo. Particolarmente indicativo è stato il fatto di ritrovarvi anche il termine tule che evidentemente dette origine al greco Thule (la lettera "h" che qui compare si deve interpretare come un effetto della traslitterazione del vocabolo dall'alfabeto d'origine a quello greco: infatti la lettera "t", seguita da vocale, poteva essere pronunciata - e scritta - nelle lingue indiane con un suono duro oppure dolce). A questo punto ho ritenuto di dover concentrare l'attenzione sul gruppo di vocaboli tul-tula-tule e tol-tola-tole, sia per la struttura simmetrica delle due sequenze derivate dalle radici tul e tol, sia perché intorno a tale gruppo si condensano altri interessanti significati, quali "trave" e "strada/villaggio/quartiere". Il significato di "trave" è interessante perché può essere utilizzato come simbolo dell'asse terrestre, mentre i significati di "strada/villaggio/quartiere" mi sembrano particolarmente calzanti con l'idea di ritrovare tali termini come toponimi. Un'altra considerazione poi mi ha indotto ad estendere ulteriormente la rosa. Nell'ambito delle civiltà precolombiane dell'area meso-americana è attestata anche l'esistenza del toponimo "Tollan", che pare quasi essere un anello di congiunzione fra "Aztlan" (da cui Atlantide, come ci ricorda Guénon) e "Tola" (analogo a "Tula", come si è detto). Per questo motivo mi è sembrato ragionevole esaminare, nell'area linguistica indiana, anche le varianti dei precedenti termini che includessero il suono "n" terminale: tulan e tolan, quindi; ed è risultato che anche il valore semantico di tali termini rientrava in quell'insieme di immagini e concetti che già ci erano noti. Ritroviamo, infatti, il vocabolo tulan con i significati di "pesare" e "sollevare", quest'ultimo riferibile anche a tolan. In definitiva, la rosa finale dei termini affini a "Tula" che ritenevo di includere nella griglia era la seguente: tul-tula-tulan-tule-tol-tola-tolan-tole; a questi si dovevano aggiungere le varianti con il suono "th" anziché il "t" duro, più altre varianti con suoni aspirati o lettere mute (ad esempio "Tuleh").
Per quanto concerne "Meru", l'indagine linguistica ha portato alla luce il vocabolo affine mer ("montagna"), oltre ai già citati meru_ve ("piramide") e meros ("coscia", dal greco); in aggiunta, ho ritenuto di includere nella griglia anche i termini foneticamente affini "Mero", "Merou" e "Mere" più alcune varianti con suoni aspirati o lettere mute (come "Mehru" e "Meroh", ad esempio).
Per quanto concerne "Naga", l'indagine linguistica non ha in questo caso portato alla luce altri vocaboli affini; di conseguenza mi sono limitato ad includere nella lista le sole varianti fonetiche date dalla presenza di suoni aspirati o lettere mute (ad esempio "Nagha").
Ritenevo, come principio generale, che la mia griglia di riferimento (che d'ora innanzi chiamerò semplicemente "griglia Meru/Naga/Tula") dovesse tenere in considerazione anche eventuali raddoppi di vocali (ad esempio "Tuula" e "Thool"), e ciò perché la lunghezza delle sillabe pronunciate può facilmente mutare nel corso del processo di diffusione dalla lingua d'origine; infine, doveva tenere in considerazione anche forme composte in cui fosse ben riconoscibile, come elemento distinto, uno dei termini suddetti (ad esempio "Thola Pampa", dove "pampa" è un termine generico).

Distribuzione geografica dei toponimi

Una volta elaborata la griglia di riferimento ho potuto procedere con la ricerca vera e propria dei toponimi, condotta con l'ausilio del Geographic Names Database [9] (o brevemente Geonames). Geonames è uno strumento molto potente che consente di ottenere informazioni su una qualsiasi delle località geografiche registrate nel database, semplicemente digitando come chiave di ricerca il nome stesso della località desiderata; in tal modo Geonames può anche essere utilizzato per verificare l'esistenza o meno di un qualunque toponimo, ed evidentemente era questo che più interessava per i miei scopi.
La procedura che intendevo seguire consisteva nell'interrogare Geonames su ciascuno dei termini inclusi nella griglia Meru/Naga/Tula e quindi registrare gli eventuali riscontri prendendo nota delle principali informazioni fornite dal database: trascrizione completa del toponimo, categoria (città, fiume, monte ecc.), coordinate geografiche, stato politico di appartenenza. Per quanto concerne la forma trascritta dei toponimi (che provengono da numerose differenti lingue ed alfabeti), avrei seguito il principio di registrare le denominazioni traslitterate nell'alfabeto inglese secondo le regole stabilite dal Board of Geographic Names
[10], e di considerare validi sia i nomi nativi che le eventuali varianti non native.
Completata la ricerca, mi sono ritrovato con un numero sorprendentemente alto di riscontri: infatti ammontavano a oltre 1100 i toponimi filtrati dalla griglia Meru/Naga/Tula; il che da una parte costituiva un segnale positivo, ma che dall'altra complicava non poco il problema. Ciò che mi aspettavo di trovare era un qualche tipo di struttura nella distribuzione mondiale dei toponimi, e per struttura intendevo particolari concentrazioni in determinate aree o allineamenti lungo significative direttrici. È evidente che un limitato numero di riscontri avrebbe reso la lettura più agevole e immediata; ma nella realtà delle cose l'interpretazione dei dati appariva, a prima vista, assai incerta e difficoltosa. L'unico elemento che emergeva con chiarezza era la diffusione dei toponimi in tutti i continenti, il che non era un aspetto trascurabile, giacché si poteva anche pensare, in principio, che tali toponimi fossero confinati nelle aree linguistiche indiana e limitrofe; il semplice fatto che così non fosse si trovava in accordo con la mia ipotesi che all'origine di questi toponimi vi fossero anche altre dinamiche, diciamo "sotterranee", oltre a quelle "di superficie" che stanno all'origine degli eventi di ordine storico, sociale e linguistico che conosciamo. Ma non potevo certo ritenermi soddisfatto di quest'unico risultato: ero convinto che dietro vi fosse ben altro, ed evidentemente per scoprirlo dovevo mettere in gioco strumenti di analisi più sofisticati.
Riflettendoci meglio mi convinsi che, in effetti, l'unico approccio corretto al problema fosse quello statistico. Se la mia ipotesi era giusta, la distribuzione dei toponimi Meru/Naga/Tula era stata guidata da una sorta di progetto - i cui tratti erano ancora da definire - nel corso di un periodo molto lungo; ma certamente era ingenuo aspettarsi che tale struttura, e quindi il progetto che la determinò, potesse apparire oggi con la stessa nitidezza cristallina di quando fu formulato. Piuttosto, era del tutto logico pensare che nel corso del tempo avessero agito anche le normali dinamiche storiche, sociali e linguistiche (quelle dinamiche che ho definito "di superficie") con l'effetto di creare a loro volta un gran numero di toponimi affini a quelli originari. È chiaro allora come la struttura primaria finisse in tal modo per essere offuscata e resa quasi irriconoscibile dal proliferare di toponimi spuri. In questa situazione, l'unico modo per districare la matassa era di stabilire se vi fossero - e quali fossero - le concentrazioni e gli allineamenti statisticamente più significativi. La mia convinzione era che la struttura primaria non potesse essere stata del tutto cancellata dalle dinamiche "di superficie", ma che fosse ancora riconoscibile come lo sono le deboli tracce di un fossile in una roccia erosa dal tempo.

L'analisi statistica dei riscontri

Ritenevo particolarmente interessante verificare se i toponimi Meru/Naga/Tula tendessero a disporsi lungo determinati allineamenti, i più significativi dei quali dal mio punto di vista erano ovviamente quelli legati al disegno planetario e vale a dire:

  • gli equatori della prima, seconda, terza e quarta (l'attuale) era;
  • le direttrici delle dislocazioni polari;
  • l'eclittica, il cammino di Sirio e il piano galattico.

La gran mole di dati lasciava prospettare un'analisi non solo assai complessa, ma anche insidiosa, giacché in tali casi è facile cadere nella tentazione di "aggiustare" le cose per far tornare i conti nel senso auspicato. Per non correre il rischio di voler a tutti costi vedere anche quello che non c'era, occorreva una procedura di analisi che fosse il più possibile obiettiva e che, esaminando tutti i possibili allineamenti, fosse in grado di riconoscere quelli più significativi. Poiché i possibili allineamenti sono virtualmente infiniti il problema andava "discretizzato" in modo da limitarne il numero: così, innanzitutto, decisi di prendere in considerazione solo allineamenti che rappresentavano circoli massimi della Terra; ciò stabilito, ogni possibile allineamento poteva essere identificato immaginando che fosse un ipotetico equatore e quindi fissando le coordinate di uno dei relativi poli. In tale modo la variabilità di un circolo massimo sull'intera superficie terrestre si riconduceva alla variabilità di un punto che correva sulla superficie di un solo emisfero. Una simile impostazione rendeva piuttosto agevole discretizzare il problema: bastava infatti imporre che le coordinate di tale punto corrente (il polo del circolo massimo) assumessero soltanto valori interi. Ciò significa che i valori ammissibili per la latitudine erano costituiti dai numeri interi compresi fra 0 e 90 (inclusi), mentre i valori ammissibili per la longitudine erano costituiti dai numeri interi compresi fra -179 e +180 (inclusi): con queste limitazioni l'infinita variabilità del polo corrente si riconduceva a 90x360+180=32.580 differenti posizioni. È ovvio che in tale insieme di posizioni non poteva essere contenuta quella espressa, ad esempio, dalle coordinate lat. 38,7° N long. 22,4° E; ma era del tutto ragionevole pensare che l'allineamento rappresentato da quel polo dovesse avere proprietà molto simili - se non identiche - a quelle degli allineamenti "interi" più vicini. In altri termini, potevamo essere ragionevolmente sicuri che la discretizzazione del problema non ci avrebbe fatto perdere alcun allineamento significativo.
Un altro aspetto che dovevo affrontare era il margine di approssimazione entro il quale considerare "verificato" un dato allineamento. Per cogliere questo concetto bisogna immaginare un allineamento non come una vera e propria linea, bensì come una fascia più o meno larga; la larghezza di tale fascia, che può essere espressa in gradi, rappresenta la tolleranza ammessa: se si aumenta la tolleranza la fascia si allarga e pertanto aumenta il numero di località Meru/Naga/Tula che rientrano in tale fascia. La tolleranza era un valore che andava attentamente calibrato, poiché una bassa tolleranza avrebbe rischiato di non portare ad alcun risultato, mentre una tolleranza troppo alta non sarebbe riuscita ad operare una sufficiente discriminazione fra i diversi risultati. Dopo lunghe riflessioni ho ritenuto di poter fissare il valore della tolleranza a 4°; per fornire un esempio pratico, in virtù di questo margine d'approssimazione tutte le località a latitudine compresa fra 4° N e 4° S sarebbero "allineate" lungo l'attuale equatore.
A questo punto la procedura d'analisi era teoricamente definita; in pratica non restava altro da fare che contare il numero di occorrenze per ciascun allineamento, vale a dire il numero di località Meru/Naga/Tula che ricadevano entro una fascia di ±4° centrata su ciascuno dei 32.580 allineamenti possibili. Per quest'operazione mi sono avvalso di un semplice foglio elettronico che, a conti fatti, mi ha fornito l'elenco dei 32.580 allineamenti ordinati per numero di occorrenze.

Gli allineamenti più rilevanti

Anche una volta ottenuto quest'elenco il lavoro non poteva dirsi concluso. Infatti, mi resi conto che gli allineamenti principali non erano isolati l'uno dall'altro, ma tendevano piuttosto a raccogliersi in fasci che sfumavano l'uno nell'altro. Ciò richiese un'ulteriore opera di affinamento consistente in una serie di "scremature" successive a partire dal primo fascio di allineamenti: questo fascio era rappresentato dall'allineamento che aveva raccolto il maggior numero di occorrenze e comprendeva tutti gli allineamenti che distavano dal principale non oltre un valore che, in linea di principio, era arbitrario e che mi risolsi di fissare in 12°; quindi tutti gli allineamenti del primo fascio venivano eliminati dall'elenco iniziale, dopo di che l'elenco risultante veniva nuovamente ordinato per numero di occorrenze in modo da individuare il secondo allineamento principale ed il relativo fascio; questo poi veniva eliminato nella stessa maniera del primo e così via. In teoria il procedimento poteva essere protratto sino ad esaurimento dell'elenco; in pratica, mi fermai quando il quadro della situazione poteva considerarsi sufficientemente ben delineato. Il numero di allineamenti principali che avevo in tal modo individuato - ventuno - fu poi ulteriormente ridotto scartandone sette che apparivano meno marcati e meno indipendenti dagli altri. In conclusione, ero giunto a selezionare la rosa dei quattordici allineamenti più rilevanti fra tutti i possibili (discretizzati) allineamenti tracciabili sulla superficie terrestre. Tali allineamenti, identificati tramite le coordinate di uno dei poli, sono qui di seguito elencati.

  • Allineamento 1, coord. 38°N 10°E, 397 occorrenze
  • Allineamento 2, coord. 59°N 126°O, 311 occorrenze
  • Allineamento 3, coord. 10°N 147°E, 266 occorrenze
  • Allineamento 4, coord. 22°N 8°O, 244 occorrenze
  • Allineamento 5, coord. 55°N 156°O, 231 occorrenze
  • Allineamento 6, coord. 51°N 85°O, 218 occorrenze
  • Allineamento 7, coord. 35°N 127°E, 194 occorrenze
  • Allineamento 8, coord. 22°N 155°E, 192 occorrenze
  • Allineamento 9, coord. 47°N 175°O, 182 occorrenze
  • Allineamento 10, coord. 48°N 106°E, 179 occorrenze
  • Allineamento 11, coord. 72°N 95°O, 177 occorrenze
  • Allineamento 12, coord. 26°N 8°E, 177 occorrenze
  • Allineamento 13, coord. 39°N 172°E, 173 occorrenze
  • Allineamento 14, coord. 22°N 52°O, 170 occorrenze

Come si vede, la somma delle occorrenze di tutti gli allineamenti darebbe un valore di molto superiore al numero totale dei toponimi rilevati, ma ciò deriva dal fatto che, naturalmente, vi sono numerose località che appartengono a diversi allineamenti.
Ora si doveva intraprendere l'analisi qualitativa dei risultati conseguiti. Questi allineamenti erano puramente casuali oppure avevano un significato, e se avevano un significato vi erano aspetti che fossero attinenti al disegno planetario?
La risposta era affermativa. Attraverso un confronto diretto ho potuto rilevare che ben cinque degli allineamenti Meru/Naga/Tula sono molto vicini ad altrettanti allineamenti del disegno planetario, e precisamente:

  • allineamento 2, distante 5,9° dall'equatore della prima era;
  • allineamento 6, distante 9,1° dall'equatore della terza era;
  • allineamento 8, distante 6,6° dal cammino di Sirio;
  • allineamento 11, distante 7,2° dall'eclittica;
  • allineamento 14, distante 3,0° dal piano galattico.

Dunque vi sono cinque allineamenti Meru/Naga/Tula prossimi a cinque allineamenti del disegno planetario (fig. 1), con un errore medio complessivo di 6,4°: non è il caso in questa sede di addentrarci nel calcolo probabilistico, ma anche così appare chiaro che sarebbe del tutto insostenibile liquidare la faccenda come una serie di pure coincidenze casuali. Tanto più che ulteriori elementi a riprova di una correlazione emergono anche dall'analisi, anziché delle linee, dei nodi nei quali si concentrano i toponimi Meru/Naga/Tula.

tula_fig01.gif (36451 byte)

Fig. 1 - Alcuni dei principali allinementi "Meru/Naga/Tula" a confronto con i corrispondenti allineamenti del disegno planetario

I nodi più rilevanti

In maniera del tutto analoga a quanto effettuato per la ricerca degli allineamenti, ho condotto anche una ricerca delle maggiori concentrazioni "nodali" dei toponimi Meru/Naga/Tula. L'ampiezza del nodo è stata arbitrariamente fissata nelle dimensioni di un circolo di 8,5°. Si trattava di verificare in quali posizioni sulla Terra un circolo di tali dimensioni contenesse il maggior numero di località; quello che segue è appunto l'elenco dei nodi in cui si registrano le maggiori concentrazioni.

  • Nodo 1, coord. 40°N 114°O, 184 occorrenze
  • Nodo 2, coord. 33°N 52°E, 127 occorrenze
  • Nodo 3, coord. 27°N 100°O, 67 occorrenze
  • Nodo 4, coord. 20°S 73°O, 64 occorrenze
  • Nodo 5, coord. 4°N 38°E, 58 occorrenze
  • Nodo 6, coord. 37°N 133°E, 58 occorrenze
  • Nodo 7, coord. 31°N 73°E, 54 occorrenze
  • Nodo 8, coord. 41°N 2°E, 47 occorrenze
  • Nodo 9, coord. 15°N 119°E, 43 occorrenze
  • Nodo 10, coord. 8°N 12°E, 40 occorrenze

Alcuni nodi risultano particolarmente rilevanti, e sono qui di seguito elencati.

  • Nodo 2, che include il triangolo racchiuso fra il cammino di Sirio, il piano galattico e l'equatore della prima era, e include anche la posizione di Sirio nella fase di passaggio fra la prima e la seconda era.
  • Nodo 3, che include Teotihuacan e la Tula messicana citata da Guénon.
  • Nodo 4, che include Tiahuanaco, Machu Picchu, Cuzco, Nazca, Ica.
  • Nodo 5, che include l'intersezione del piano galattico sia con la direttrice del primo scorrimento polare, sia con l'equatore attuale.
  • Nodo 7, che include Mohenjo Daro e Harappa nella valle dell'Indo.

Anche le concentrazioni nodali, dunque, come gli allineamenti, finiscono per mettere a fuoco le medesime aree e i medesimi antichi siti che già il disegno planetario aveva posto in evidenza (figg. 2 e 3), e questo a mio avviso conferma l'ipotesi di una correlazione fra la distribuzione dei toponimi Meru/Naga/Tula e il disegno planetario stesso.

tula_fig02.gif (30393 byte)

Fig. 2 - I nodi principali in cui si concentrano i toponimi "Meru/Naga/Tula" a confronto con alcuni allineamenti del "disegno planetario"

tula_fig03.gif (25864 byte)

Fig. 3 - I nodi principali in cui si concentrano i toponimi "Meru/Naga/Tula" a confronto con alcuni allineamenti del "disegno planetario"

La cintura di fuoco del pacifico

Ma un'altra scoperta forse anche più sorprendente deve ancora essere svelata. Finora nulla si è detto in merito all'allineamento 1, che tuttavia raccoglie la bellezza di 397 località, addirittura oltre un terzo del totale: difficile ignorare un dato di tale rilevanza. All'inizio quest'allineamento è stato causa per me di un certo imbarazzo: non sembrava esservi alcun rapporto evidente con il disegno planetario, pareva quasi un corpo estraneo il cui significato ancora mi sfuggisse; perché un significato certo doveva averlo, non era possibile, per la coerenza stessa delle mie ipotesi, che proprio il più importante degli allineamenti Meru/Naga/Tula fosse privo di senso… Sul mappamondo studiai a lungo, con cura, la posizione di questo allineamento che in pratica raccoglieva tutte le località Meru/Naga/Tula della Terra situate in prossimità delle coste dell'Oceano Pacifico; ma ciò nonostante non riuscivo ancora a scorgere alcun elemento significativo.
Finché non mi tornò alla mente - come un'illuminazione, ancora - una vecchia nozione di geografia appresa per la prima volta, tanti anni fa, su un'enciclopedia per ragazzi: la "cintura di fuoco del Pacifico".
Circa due terzi dei vulcani della terra sono dislocati nelle aree costiere del Pacifico dei continenti asiatico, nordamericano e sudamericano; in queste aree il vulcanismo è così intenso che - è stato affermato - se tutti i vulcani ivi concentrati entrassero in attività simultaneamente, un osservatore dallo spazio potrebbe vedere l'Oceano Pacifico incorniciato da una cintura di bagliori infuocati (figg. 4, 5 e 6).

tula_fig04.gif (51924 byte)

Fig. 4 - La "cintura di fuoco" del Pacifico e la conformazione delle placche della litosfera

tula_fig05.jpg (35253 byte)

Fig. 5 - La distribuzione dei principali vulcani del mondo

tula_fig06.jpg (42082 byte)

Fig. 6 - La distribuzione mondiale del rischio sismico (l'indice è crescente nella scala dal bianco al rosso)

Ebbene, il più importante degli allineamenti Meru/Naga/Tula è un circolo massimo che si avvicina straordinariamente proprio alla cintura di fuoco del Pacifico; e vi è anche un'altra circostanza, che inizialmente non avevo notato, ma che ora comincia ad apparire nella sua importanza: l'allineamento 1 passa quasi esattamente per Teotihuacan e Tiahuanaco, e incrocia l'allineamento 2 (quello che approssima l'equatore della prima era) proprio nell'area peruviana e, agli antipodi, in Indocina nei pressi di Angkor. Ancora una volta erano sempre le solite, enigmatiche località ad essere tirate in ballo (figg. 7 e 8) …

tula_fig07.gif (26270 byte)

Fig. 7 - Gli allineamenti che corrono lungo la cosiddetta "cintura di fuoco" del Pacifico

tula_fig08.gif (31401 byte)

Fig. 8 - Gli allineamenti che corrono lungo la cosiddetta "cintura di fuoco" del Pacifico

L'importanza di questo dato sembrava decisamente confermata dal fatto che altri due allineamenti della rosa selezionata non solo incorniciavano anch'essi l'Oceano Pacifico, ma passavano pure assai vicini al polo nord della prima era. Si trattava di:

  • allineamento 4, distante 4,6° dal polo nord della prima era;
  • allineamento 12, distante 3,7° dal polo nord della prima era.

Questa chiave di lettura, inoltre, mi consentì di identificare il significato di un altro allineamento. Poiché vulcanismo e fenomeni sismici sono strettamente correlati, pensai che forse vi potevano essere, nella rosa selezionata, degli allineamenti coincidenti con qualcun'altra delle principali direttrici lungo le quali si distribuiscono gli eventi sismici. Avevo ragione: l'allineamento 9 attraversa il continente eurasiatico proprio lungo la fascia che, dall'Himalaya ai Pirenei, raccoglie la maggior parte degli eventi sismici del pianeta, a parte quelli riscontrabili nella cintura di fuoco (fig. 9).

tula_fig09.gif (24200 byte)

Fig. 9 - Gli allineamenti che corrono lungo la fascia delle regioni ad alta sismicità, dall'India all'Europa meridionale

Riassumendo, oltre al primo gruppo di cinque allineamenti correlati al disegno planetario, si è scoperto un secondo gruppo di quattro allineamenti correlati al principali fenomeni geofisici del pianeta. Tre di questi allineamenti sono in stretto rapporto con la cintura di fuoco del Pacifico; l'altro invece è in stretto rapporto con le principali aree sismiche del continente eurasiatico. Interessante il dato che l'allineamento 2 costituisca una sorta di trait d'union fra i due gruppi: oltre ad attraversare anch'esso la parte meridionale del continente asiatico, questo allineamento (che come abbiamo detto ricalca da vicino l'equatore della prima era) si spinge fra gli arcipelaghi vulcanici del Pacifico (come le Filippine, le Samoa ecc.).

È senza dubbio impensabile attribuire al caso sia la correlazione del primo gruppo di allineamenti con il disegno planetario, sia quella del secondo gruppo con i più importanti fenomeni geofisici del pianeta; e se non si tratta di un caso, allora il disegno planetario e i suddetti fenomeni geofisici devono essere in rapporto fra loro. Ma in che modo?

L'accensione dei bastoncini da fuoco
Per capire come i due ordini di fenomeni possano essere in rapporto fra loro bisogna tornare a Il Mulino di Amleto e ad un curioso racconto dei Catlo'ltq della British Columbia che gli autori riportano per documentare quel complesso di miti legati alle origini del fuoco (fra cui il mito di Prometeo):

Un uomo aveva una figlia che possedeva un arco e una freccia meravigliosi, con cui poteva abbattere tutto quello che voleva (…) L'ombelico dell'Oceano era un vasto gorgo in cui andavano alla deriva i bastoncini che, sfregati, davano il fuoco. In quei tempi gli uomini non possedevano ancora il fuoco. Allora la fanciulla prese l'arco, colpì l'ombelico dell'Oceano, e gli arnesi per accendere il fuoco balzarono a riva.

Il racconto poi prosegue narrando di come Cervo riuscì a rubare il fuoco all'uomo e alla figlia (i quali avrebbero voluto tenerlo per sé) e quindi a portarlo alla gente.[11]
Per de Santillana e von Dechend gli elementi cosmologici di questo racconto sono evidenti: quella del "gorgo" è chiaramente un'immagine legata alla rotazione della Terra intorno al proprio asse (esattamente come l'immagine del mulino), mentre il gesto di colpire con una freccia l'ombelico dell'Oceano va inteso come il fenomeno perturbativo che induce l'asse terrestre stesso a ruotare dando così origine alla precessione degli equinozi. Ma cosa sarebbero i bastoncini da fuoco? Gli autori chiariscono che per "fuoco" si dovrebbe intendere un cerchio massimo passante per il poli, mentre i bastoncini sarebbero elementi essenziali della struttura dello skambha. Dietro questo termine, derivato dal sanscrito, vi sta il concetto dell'"armatura del mondo", che è qualcosa di più dell'asse terrestre inteso come retta passante per i poli: lo skambha è una vera e propria struttura che include, oltre all'asse, anche l'equatore e i due coluri equinoziale e solstiziale, per cui in definitiva tale "armatura" risulta costituita da un asse e da tre cerchi massimi giacenti su piani perpendicolari fra loro.
[12]
La mia interpretazione differisce leggermente da quella di de Santillana e von Dechend: il gorgo simboleggerebbe non la rotazione della Terra intorno al proprio asse, bensì la rotazione precessionale dell'asse stesso intorno al Meru celeste, come ho già detto; per altro concordo con l'interpretazione dei "bastoncini da fuoco" quali cerchi massimi, con l'unica differenza che a mio avviso occorre spingere tale corrispondenza sino al pieno senso letterale; vale a dire che i "bastoncini da fuoco" sarebbero "cerchi massimi di fuoco" che corrono sulla superficie del pianeta.
[13]
Il lettore ormai avrà capito dove voglio arrivare: l'allineamento 2 e quelli del secondo gruppo sono "bastoncini da fuoco", vale a dire "cerchi massimi di fuoco", proprio come la cintura di fuoco del Pacifico! Oltre tutto gli allineamenti 2 e 12 sono quasi perpendicolari fra loro e quasi perpendicolari pure al cerchio massimo che rappresenta la direttrice del primo scorrimento (che per inciso passa in prossimità di Giza, come sappiamo) e pertanto costituiscono insieme lo skambha della prima era.

Gli effetti geofisici degli scorrimenti della crosta terrestre
Eppure, in fondo, è semplice. Fra le conseguenze derivanti da un ipotetico scorrimento della crosta terrestre si devono annoverare, oltre a profondi mutamenti climatici, anche pesanti alterazioni nell'equilibrio della crosta stessa in galleggiamento sull'oceano di magma sottostante. Infatti bisogna ricordare che, per effetto della forza centrifuga prodotta dalla rotazione intorno all'asse polare, la Terra subisce un rigonfiamento nelle regioni equatoriali al punto che il raggio equatoriale supera quello polare di oltre 20 km: ciò significa che, rispetto ad un'ideale linea media della sfera terrestre, le regioni equatoriali si elevano 10 km al di sopra, mentre quelle polari sprofondano 10 km al di sotto. L'immagine che, forse più di altre, può rendere l'idea, è di una bolla di sapone la cui forma dipende dal mutevole equilibrio delle pressioni interne ed esterne. Cosa succede quando avviene una dislocazione della crosta terrestre? Concentriamo l'attenzione sulle regioni equatoriali che si trovano lungo la direttrice dello scorrimento: tali regioni, a scorrimento concluso, finiscono per trovarsi anche a diverse decine di gradi di distanza dall'equatore e a quelle latitudini non possono mantenere inalterata la distanza dal centro della Terra poiché il rigonfiamento tende ad assestarsi di nuovo intorno all'equatore. Il risultato è che le ex regioni equatoriali devono sprofondare verso il centro della Terra, mentre vi sono altre regioni che, in precedenza lontane dall'equatore, vi si trovano proiettate e quindi vengono a subire una spinta centrifuga verso l'esterno. Insomma, la bolla di sapone si deve riassestare rispetto alla nuova situazione e ciò è causa, come si vede, di grandiosi movimenti radiali della crosta, con le conseguenze che si possono immaginare: attività vulcanica ed eventi sismici concentrati particolarmente lungo le linee di discontinuità della crosta terrestre, ossia le faglie che separano le diverse zolle. Ecco, quindi, i "bastoncini da fuoco" che scaturiscono dall'Oceano colpito, ecco le "cinture di fuoco" evidenziate dagli allineamenti Meru/Naga/Tula!
Conclusioni

La correlazione degli allineamenti Meru/Naga/Tula con il disegno planetario è un risultato conseguito ma anche fortemente cercato, nel senso che è stata una delle ipotesi di partenza da cui ha preso le mosse la ricerca; tuttavia, il fatto stesso che tale risultato sia stato cercato potrebbe far pensare che il sottoscritto abbia voluto in tutti i modi far "tornare i conti". Questo naturalmente non è vero, e sarebbe facile dimostrarlo se lo spazio a disposizione mi consentisse di esporre con la dovuta completezza il metodo seguito nell'analisi dei dati. Diversamente, la correlazione degli allineamenti Meru/Naga/Tula con la fenomenologia sismica e vulcanica del pianeta è una scoperta del tutto inaspettata e pertanto particolarmente significativa, vista la coerenza con cui si inserisce nel quadro già delineato. Prese insieme, tali correlazioni costituiscono un dato difficilmente contestabile e denso di implicazioni sconcertanti. Come è possibile che la fondazione di centinaia di località in tutto il mondo, distanti fra loro nello spazio e nel tempo, mostri di seguire determinati principi comuni? E tali principi discendono dalla natura delle cose oppure da un preciso progetto elaborato da individui, dei quali nulla sappiamo, che furono in grado di attuare il proprio disegno dispiegandolo sopra l'abisso dei secoli?
Sono domande, queste, cui per ora non sappiamo dare risposta.

 
Note al testo

[1] René Guénon, Il Re del Mondo, Adelphi, 3a edizione, Milano, 1982; cap. II, pagg. 17-18.

[2] Il Re del Mondo, op. cit.; cap. X, pag. 95.

[3] Il Re del Mondo, op. cit.; cap. X, pag. 95-99.

[4] Giorgio de Santillana - Hertha von Dechend, Il mulino di Amleto, Adelphi, 4a edizione, Milano.

[5] Il brano citato è tratto dal libro di Graham Hancock Lo specchio del cielo, Corbaccio, Milano, 1998; cap. 8, pag. 143.

[6] Il Re del Mondo, op. cit.; cap. X, pag. 95, nota 5.

[7] Il Re del Mondo, op. cit.; cap. VI, pag. 55, nota 2.

[8] Vedi il progetto di ricerca Indian Lexicon al sito
http://www.hindunet.org/hindu_history/sarasvati/html/indlexmain.htm.

[9] È il dizionario geografico in rete creato dal National Imagery and Mapping Agency (un'agenzia federale degli Stati Uniti d'America) e consultabile al sito http://gnpswww.nima.mil/geonames/GNS/.

[10] Vedi il sito del National Imagery and Mapping Agency, cit.

[11] Il mulino di Amleto, op. cit.; cap. 23, pagg. 376-377.

[12] Il mulino di Amleto, op. cit.; cap. 17, pagg. 280-284.

[13] Il mulino di Amleto, op. cit.; cap. 17, pag. 379.