LA CORDA DI GIZA
2002
Punti di fuga a Giza

Nell'articolo La geometria di Giza si è visto quale incredibile struttura di relazioni matematiche si nasconda dietro la disposizione - in apparenza semplice e casuale - delle piramidi di Khufu, Khafre e Menkaure; in questo articolo vedremo quali ulteriori, straordinarie sorprese ci riservi il progetto di Giza.
Il punto di partenza è una una costruzione geometrica derivata dalla planimetria di Giza: per tracciare tale costruzione, la prima operazione da compiere consiste nel disegnare i cerchi circoscritti ai quadrati di base di ciascuna piramide; la seconda operazione consiste nel disegnare tre ulteriori cerchi, il primo passante per i centri delle basi delle piramidi, il secondo tangente internamente ai tre cerchi precedentemente disegnati, e il terzo tangente esternamente (fig. 1); questi ultimi tre cerchi passano per due punti, uno a nord-est e l'altro a sud-ovest delle piramidi.
La questione non riguarda l'esistenza di questi punti di incontro: infatti, sono infinite le possibili configurazioni di tre cerchi - chiamiamoli "minori" - che generano, nel modo che abbiamo descritto, altre tre cerchi -  chiamiamoli "maggiori" - passanti per due punti; in altri termini, non si tratta di una circostanza miracolosa, ma di una proprietà geometrica ben precisa.
La questione non riguarda, inoltre, il merito della scoperta, che va senz'altro attribuita al ricercatore americano John Legon e risale a più di vent'anni fa; fu Legon, fra l'altro, a definire i punti di incontro dei tre cerchi quali "punti di fuga" - in analogia con la nota proprietà delle rappresentazioni prospettiche -, e anch'io manterrò tale definizione.
La questione, infine, non riguarda neppure la precisione con cui questi cerchi si incontrano nei punti di fuga: infatti, nessuna configurazione dei cerchi minori può dar luogo alla convergenza assolutamente esatta dei cerchi maggiori, come si può verificare geometricamente; nella realtà ci si deve accontentare di una convergenza approssimata - che nel nostro caso è dell'ordine di pochi metri -, ma esiste un metodo di analisi matematica che consente di fissare l'esatto punto di incontro come limite di un processo (vedi
appendice 1); nel seguito dell'analisi, per punti di fuga si intenderanno proprio questi punti limite e non quelli reali.
In cosa consiste, dunque, la novità relativa ai punti di fuga?

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Fig. 1 - La convergenza dei cerchi maggiori nei due punti di fuga

La corda di Giza

John Legon non aveva preso in considerazione il segmento che congiunge i due punti di fuga: tale segmento è quel che si definisce, in geometria, una "corda", poiché i suoi estremi appartengono ad un cerchio; anzi, appartengono simultaneamente a tutti e tre i cerchi maggiori, e in particolare questo segmento è una corda del cerchio passante per i centri delle basi delle piramidi (quello che nell'articolo La geometria di Giza ho chiamato "cerchio di Giza").
Forniamo alcuni dati: la corda forma un angolo di 44,951° rispetto all'orientamento nord/sud e misura in lunghezza 2000,64 m; l'arco staccato dalla corda misura in lunghezza 2066,24 m; l'angolo sotteso è di 50,255°; il diametro del cerchio misura in lunghezza 4711,43 m (vedi ancora fig. 1).
La prima cosa che balza all'occhio è l'inclinazione della corda, che differisce di un'inezia dal valore esatto di 45° (l'errore è di circa 3' d'arco). Se si considera che la corda avrebbe
teoricamente potuto formare, rispetto alla direttrice nord/sud, un qualsiasi angolo compreso fra 0° e 45°, questo fatto è a dir poco sorprendente, soprattutto alla luce delle scoperte esposte nell'articolo Il Primo Tempo di Sirio (scoperte che assegnano un ruolo determinante all'asse diagonale passante per la Grande Piramide, e questo asse è parallelo alla corda di Giza).
Ma un'altra sorpresa ci viene riservata dall'esame dell'angolo sotteso. Il rapporto di tale angolo con il suo complementare (che misura 39,745°) equivale a 1,26368: molto vicino alla radice quadrata di FI (
l'errore è -0,66%) - e sappiamo che questo rapporto si trova espresso anche nella Grande Piramide (precisamente nel rapporto fra l'altezza e mezzo lato di base) -; molto vicino, inoltre, al valore dell'espressione 4/PI (l'errore è -0,76%). Dunque, vediamo che la nostra costruzione geometrica rimanda ancora una volta ai numeri "sacri" FI e PI, legati questa volta dalla relazione:

(1)     radq(FI) ~ 4/PI ~ 1,2726±0,0006

come suggerito dal rapporto fra l'angolo sotteso dalla corda ed il suo complementare.
Nell'articolo La geometria di Giza viene mostrata un'altra relazione che lega i due numeri sacri, e precisamente:

(2)     5*PI ~ 6*(FI+1) ~ 15,7081±0,0001

relazione alla quale rimanda la misura di quello che ho definito "angolo di Giza". In qualche modo queste due relazioni - fortemente volute e rappresentate implicitamente nella planimetria di Giza - si completano a vicenda e mostrano ancora una volta quale fosse l'importanza quasi sacrale attribuita a numeri e rapporti peculiari: importanza non solo quali segnali, ma probabilmente anche quali espressioni dei rapporti fra le cose e dunque dell'intima essenza delle cose stesse (concetti che sono alla base della dottrina del filosofo greco Pitagora, il quale probabilmente riprendeva concetti già vecchi di millenni ai suoi tempi).

Conoscenze astronomiche
Se le cose stanno così, vale senz'altro la pena di analizzare attentamente tutti i rapporti che intercorrono fra le diverse grandezze caratteristiche della configurazione geometrica sopra descritta.
Tanto per cominciare, è immediato prendere in esame il rapporto fra il raggio del cerchio e la corda; tale rapporto vale per l'esattezza 1,17748, un numero che a prima vista non sembra dire nulla, senonché...
Nell'articolo Il segreto dell'unità abbiamo visto come molti elementi portino a supporre che il palmo egizio fosse stato opportunamente definito come sottomultiplo di due grandezze astronomiche: la distanza media Terra-Sole e il diametro medio della Terra. Si dà il caso che il rapporto fra tali grandezze valga 1,17467*104, valore che, trascurando il fattore 104, differisce di -0,24% dal rapporto fra raggio e corda di Giza. Un caso? Assai improbabile, visto che non sono semplicemente le proporzioni ad essere rispettate: infatti, la corda di Giza rappresenta 1/20.000esimo della circonferenza polare terrestre (l'errore è incredibilmente piccolo, inferiore a +0,01%!), mentre il raggio del cerchio di Giza rappresenta a sua volta 1/200.000.000esimo della lunghezza dell'orbita terrestre (l'errore è di circa +0,25%).
E che non si tratti di un caso è dimostrato anche dalla circostanza - già messa in luce nell'articolo La geometria di Giza - che il diametro del cerchio di Giza misura 62.933 palmi egizi, valore che differisce di appena +0,2% da PI*20.000 palmi. In altri termini, se questo diretto riferimento al numero PI - nella dimensione del cerchio di Giza - è un chiaro segno che tale dimensione è assolutamente intenzionale, allora è molto probabile che anche i precisi rapporti sopra citati siano intenzionali.

Conclusioni

Con la scoperta di quella che ho chiamato "corda di Giza" si è ottenuta una duplice conferma.
La prima è relativa all'esistenza di un progetto generale a Giza - circostanza per lo più negata dagli egittologi tradizionali -, un progetto altamente elaborato e denso di correlazioni numeriche e geometriche; se ancora v'erano dei dubbi, nonostante quanto rilevato nell'articolo La geometria di Giza, tali dubbi dovrebbero essere ora definitivamente fugati.
La seconda conferma è relativa all'esistenza di profonde conoscenze scientifiche da parte dei costruttori di Giza, e in particolare conoscenze di carattere astronomico: questo dato converge con le conclusioni cui eravamo giunti nell'articolo Il segreto dell'unità, ove si è scoperto che le proprietà del palmo egizio (e di altre unità di misure precedenti l'età moderna) tradiscono quanto meno una precisa conoscenza della Terra, del sistema solare e della velocità della luce; ora si è scoperto che il cerchio e la corda di Giza si pongono, con la stessa logica vista nel caso delle unità di misura, quali esatti sottomultipli delle medesime grandezze astronomiche...
Poteva essere la civiltà egizia, quella storicamente nota, depositaria di tale sapere? Purtroppo non vi è alcun documento in grado di dimostrare direttamente che gli antichi egizi disponessero di tali conoscenze; tutto quello che abbiamo sono indizi, prove indirette che fanno supporre l'esistenza di un grande sapere scientifico sotto la superficie dei più straordinari monumenti lasciatici dalla civiltà egizia.
Chi costruì tali monumenti? Forse proprio gli antichi egizi: non abbiamo prove che dimostrino il contrario, dopo tutto. Ma la domanda vera è questa: chi li progettò? Per quanto ne sappiamo, gli antichi egizi non ne erano in grado.
Questo significa, allora, che dietro quei monumenti si nasconde l'opera di individui dei quali nulla sappiamo? È un'ipotesi sconcertante, che tuttavia trova conferme seguendo anche altre linee di ricerca, come dimostro negli articoli Il Primo Tempo di Sirio, Il disegno planetario e Meru, Naga, Tula e il disegno planetario.