IL SEGRETO DELL'UNITÀ 2002 |
Una correlazione impossibile |
La correlazione impossibile, che sto per esporre, costituisce il punto di
partenza di tutte le mie riflessioni incentrate sull'enigma di Giza. Cominciò come una
semplice osservazione, quasi casuale; ma con il tempo crebbe come un tarlo che, per quanto
tentassi di rimuoverlo - cercando di risolvere razionalmente il problema che rappresentava
- finì piano piano per scavare nella mia mente incredibili gallerie, collegando fatti e
circostanze della storia antica in un modo che prima non avrei neppure avuto il coraggio
di immaginare. PI ~ 1,2*(FI +1) che costituisce la migliore approssimazione di PI
con una funzione lineare di FI. PI*FI/2 ~ 2,5415 ~ 1 pollice Infatti, il pollice anglosassone equivale
a 2,54 cm, valore che differisce di appena 0,0015 cm dal risultato dell'espressione sopra
riportata: ciò significa che l'errore rappresenta, anche in questo caso, meno di 0,1% del
valore corretto. Possibile che si tratti solo di un caso, mi domandai ancora una volta? A
questo punto era ancora più difficile crederlo. E naturalmente valeva lo stesso discorso
fatto in precedenza, cioè che la natura del rapporto - qualunque esso fosse - fra metro e
pollice non poteva essere intenzionale, poiché quando il pollice fu definito il metro
ancora non esisteva, e quando invece il metro fu definito non si tennero in considerazione
le unità di misura già esistenti (fra le quali il pollice anglosassone). |
La Terra |
La cosa migliore da fare è verificare quanto valgano le dimensioni della Terra espresse nelle diverse unità di misura. |
DIMENSIONI DELLA TERRA (espresse nelle diverse unità di misura | |||
metri |
pollici |
cubiti |
|
Raggio medio | 6.367.662 | 250.695.354 | 12.152.027 |
Diametro medio | 12.735.324 | 501.390.709 | 24.304.053 |
Circonferenza polare | 40.009.200 | 1'575'165'354 | 76.353.436 |
Ciò che balza agli occhi, con grande evidenza, è la bella cifra
tonda con la quale può essere espresso, nel sistema anglosassone, il diametro medio della
Terra: mezzo milione di pollici (l'errore è -0,28%); tanto che ci si potrebbe perfino
chiedere quale fosse la necessità di definire una nuova unità di misura - il metro -
quando il pollice anglosassone sembrava già essere così ben collegato alle dimensioni
della Terra (ma si trattava, appunto, del pollice anglosassone, e questo poteva
non star bene allo sciovinismo della commissione che si riunì a Parigi nel clima della
rivoluzione francese...). 56/19 53/18 59/20 62/21 50/17 con un errore - in valore assoluto - che
va da circa 0,01% per la prima a circa 0,20% per l'ultima. 59 pollici ~ 20 palmi ~ 1,4979±0.0007 m 50 pollici ~ 17 palmi ~ 1,2713±0.0013 m Il significato della seconda lunghezza è
evidente, poiché già abbiamo visto la relazione fra il pollice e il diametro medio della
Terra: il valore di 1,2713 m è, appunto, la decimilionesima parte del diametro medio
della Terra, con un errore di -0,17%. Da questa lunghezza derivano da una parte il pollice
(dividendo per 50) e dall'altra il palmo (dividendo per 17). |
La Terra e il Sole |
Poteva
darsi che tanto il cubito reale egizio, quanto il pollice anglosassone, fossero in
relazione con le dimensioni della Terra e dell'orbita terrestre? In altre parole, il
cubito e il pollice furono intenzionalmente definiti come sottomultipli sia del diametro
terrestre che della distanza della Terra dal Sole? Per verificare questa supposizione occorre innazitutto determinare il rapporto fra le due lunghezze di riferimento (la distanza media Terra-Sole e il diametro medio della Terra): questo rapporto vale 1,17467*104, ma per i nostri scopi si può trascurare la differenza di scala - cioè il fattore 104 - e limitarci a considerare il valore 1,17467. Per individuare dei sottomultipli comuni alle due lunghezze di riferimento, tale rapporto dev'essere espresso - con un accettabile margine di approssimazione - in forma frazionaria; ora, le frazioni che approssimano il numero 1,17467 sono, naturalmente, infinite: 7/6, 74/63, 269/229 sono solo alcune di queste. È evidente che la frazione 7/6 ha il pregio della grande semplicità, ma ha anche il difetto della scarsa precisione (l'errore che si commette è circa -0,68%); mentre, al contrario, la frazione 269/229 è sì estremamente precisa (l'errore che si commette è circa 0,0002%), ma è anche molto macchinosa da utilizzare e poco efficace sotto l'aspetto simbolico (l'unità di misura che si ottiene dividendo il diametro terrestre per 269 è assai poco riconoscibile come tale). La via di mezzo è quella che consente di ottenere i migliori risultati: se ci limitiamo alle frazioni con operatori di due cifre possiamo avere una buona precisione senza perdere troppo in semplicità. Anche con questa limitazione, però, le possibili frazioni restano numerose: per arrivare ad una soluzione il criterio da seguire è quello di scorrere l'elenco delle frazioni ordinate a partire dalla più precisa, e prelevare quelle più semplici, vale a dire quelle che hanno uno dei due operatori che sia un multiplo di dieci. In definitiva, le tre migliori frazioni, per gli scopi ci siamo prefissati, sono le seguenti 47/40 20/17 59/50 con un errore - in valore assoluto - che è circa 0,03%
per la prima, 0,15% per la seconda e 0,45% per la terza. Questi tre valori, ribadisco, sono sottomultipli -
sufficientemente esatti - di entrambe le lunghezze di riferimento; ma ovviamente, ai fini
pratici, sono troppo grandi per essere utilizzati dall'uomo come unità di misura.
Tuttavia possiamo facilmente ricondurci alla scala umana dividendo tali valori per un
fattore sufficientemente grande, ad esempio 107. |
Antiche unità di misura |
Nell'antichità
la misura corrispondente al cubito reale egizio era piuttosto diffusa: la ritroviamo, ad
esempio, fra i sumeri, fra i persiani e presso la civiltà della valle dell'Indo; ma in
Mesopotamia, fra gli assiri, è documentata anche l'esistenza di una sorta di cubito
"maggiorato", della lunghezza di circa 64 cm - non è possibile in questo caso
essere più precisi - e di un piede, pari a mezzo cubito, equivalente a circa 32 cm.
Queste unità, alla luce del nostro discorso, presentano un grande interesse. Infatti, il
piede assiro equivale a dieci unità di 3,18339 cm (l'unità che abbiamo derivato
dall'applicazione della frazione 47/40); inoltre, due cubiti assiri, ossia quattro piedi
assiri - che corrispondono a una misura di circa 128 cm -, equivalgono a 17 palmi
egizi, a 50 pollici anglosassoni e a 40 unità di 3,18339 centimetri, ed equivalgono anche
alla decimilionesima parte del diametro terrestre: questa misura, in altri termini, sembra
essere il minimo comune multiplo delle unità citate. Per quanto possa sembrare
incredibile, anche se esprimiamo in piedi assiri il diametro terrestre e la distanza
Terra-Sole otteniamo valori piuttosto semplici, ossia 40 milioni e 470 miliardi
rispettivamente, con un margine di approssimazione sufficientemente piccolo! C'è anche un altro dato che vorrei porre in risalto, e cioè che l'esistenza del cubito assiro di 64 cm sembra dar ragione a tutti quei ricercatori che sostengono l'esistenza di un fantomatico cubito "sacro" egizio - la cui misura corrisponderebbe appunto a poco meno di 64 cm - in base al quale le dimensioni delle piramidi di Giza sarebbero espresse con numeri particolarmente significativi. Non voglio addentrarmi ora in questa diatriba, che tocca questioni dalle implicazioni esoteriche, ma è un dato di fatto che già Newton si era reso conto che esprimendo le dimensioni delle piramidi in pollici anglosassoni si ottenevano numeri interessanti, e per questo ipotizzò l'esistenza di un primitivo pollice egizio equivalente a quello anglosassone; ed è un dato di fatto che, come abbiamo già visto, 25 pollici anglosassoni corrispondono in pratica al cubito assiro e dunque al fantomatico cubito sacro degli egizi; quest'ultimo, a sua volta, si rapporterebbe al cubito reale attraverso la misura del dito: poiché ogni palmo si divide in quattro dita, un cubito reale equivale a 28 dita, mentre un cubito sacro equivarrebbe esattamente a 34 dita. Tutto ciò per far capire che il nocciolo dei problemi trattati in questa sede è già sul tavolo da secoli, ma solo ora probabilmente se ne riesce a comprendere l'effettiva portata, grazie all'impostazione scientifica che ne è stata data. Ricapitoliamo. Dall'analisi del rapporto fra il diametro terrestre e la distanza Terra-Sole abbiamo derivato tre sottomultipli, e si è riscontrato che tutti e tre i valori - sottolineo, tutti e tre - trovano un preciso corrispondente in unità di misura correntemente utilizzate prima dell'età moderna. Che si tratti di un caso, a mio avviso, è fuori discussione. L'umanità di oggi presume che gli antichi non avessero gli strumenti e le conoscenze necessarie per stabilire intenzionalmente le correlazioni che abbiamo scoperto, ma è evidente, mi pare, che qualcosa del nostro passato ci sfugge, qualcosa di molto importante e che probabilmente renderà vana la nostra presunzione... È il caso di riassumere gli elementi finora raccolti: nella tabella che segue sono riportati i valori arrotondati con cui si possono esprimere - nelle diverse unità di misura - il diametro terrestre e la distanza Terra-Sole; a fianco sono riportati i valori percentuali che rappresentano l'errore che si compie assumendo le misure arrotondate anziché quelle esatte. |
DIAMETRO
TERRESTRE E DISTANZA TERRA-SOLE (espressi nelle diverse unità di misura) |
|||||
diametro |
errore |
distanza |
errore | ||
pollici anglosassoni | 50*107 | -0,28% | 59*1011 | +0,17% | |
palmi egizi | 17*107 | -0,08% | 20*1011 | +0,08% | |
piedi assiri | 40*106 | +0,51% | 47*1010 | +0,53% |
La Terra, il Sole, la luce |
Prima
ho affermato che a volte si rende necessario, per giungere alla verità, il coraggio
dell'immaginazione. Per dimostrare che il coraggio non mi manca dirò subito che gli antichi egizi potevano esprimere la velocità della luce in cifra tonda: 4 miliardi di palmi al secondo (l'errore è -0,12%); e per dimostrare che non si tratta solo d'immaginazione porterò un argomento autorevole: le piramidi di Giza. Come abbiamo visto nell'articolo La geometria di Giza, è possibile tracciare un arco passante per la piramide di Khafre e avente per estremi le altre due: la lunghezza di quest'arco è 942,43 m, misura che corrisponde a un miliardesimo della lunghezza dell'orbita terrestre (l'errore è +0,26%), ma anche a un decimillesimo di miliardesimo di anno luce (l'errore è -0,38%). Come se non bastasse, il tempo impiegato dalla luce a percorrere la lunghezza dell'arco di Giza è un milionesimo di secondo moltiplicato PI (l'errore è +0,06%); inoltre, persino le lunghezze di un anno luce e di un parsec potevano essere espresse in cifra tonda per gli antichi egizi: rispettivamente 18 milioni di miliardi di cubiti reali (l'errore è -0,32%) e 59 milioni di miliardi di cubiti reali (l'errore è -0,24%)! Anche in questo caso ci vorrebbe una bella faccia tosta per sostenere che si tratta solo di pure coincidenze: le coincidenze cominciano ad essere davvero troppe... Eppure non è finita. Qualche lettore, forse, avrà già intuito che la possibilità per gli antichi egizi di esprimere la velocità della luce in cifra tonda ha anche un'altra, sconcertante implicazione: poiché la velocità è una grandezza fisica che rappresenta il rapporto fra spazio e tempo, il valore numerico concreto con cui si esprime dipende non solo dall'unità di misura dello spazio, ma anche da quella del tempo. Quattro miliardi di palmi al secondo: i palmi saranno anche egizi, ma il secondo? Bene, anche il secondo affonda le sue radici in un'antichità imprecisata, lontanissima. La suddivisione del giorno in ventiquattro ore e l'ulteriore suddivisione delle ore su base sessagesimale - già documentata fra sumeri ed egizi - si perde nelle notte dei tempi, e nessuno conosce più, oggi, le ragioni che furono all'origine di quelle scelte. Sta il fatto incontestabile che la corrente unità di misura del tempo - ossia il secondo, così come la tradizione ce l'ha trasmesso - è tale che se misuriamo il tempo impiegato dalla luce a percorrere un tratto pari a due volte la distanza Terra-Sole - vale a dire il diametro dell'orbita terrestre - otteniamo il valore approssimativo di 1.000 s. Per l'esattezza sarebbero 998,01 s (con un errore, dunque, di +0,20%), ma la verità è che si tratta del miglior risultato possibile che si riesca a conseguire con un'unità derivata da una suddivisione articolata del giorno solare medio. È necessario illustrare con chiarezza questo concetto. Nella definizione di un'unità di misura intervengono sempre, oltre a considerazioni di ordine tecnico e pratico, anche considerazioni di ordine simbolico. In altri termini, l'uomo ha sempre cercato di collegare le unità di misura che gli servivano a oggetti, elementi o fenomeni che fossero non solo a disposizione di tutti e facilmente controllabili, ma anche simbolicamente significativi: è il caso delle unità di misura legate alle dimensioni del corpo umano (come il dito, il palmo, la mano, la spanna, il piede, l'avambraccio, il passo), ove il corpo umano in qualche modo diventa simbolicamente il centro dell'universo; ma è anche il caso delle unità di misura moderne, come già si è detto a proposito del metro. Sappiamo che il metro è stato definito come quarantamilionesima parte del meridiano terrestre: in questo caso è la Terra a costituire, simbolicamente, il termine di riferimento di ogni fenomeno fisico nell'universo. E per quanto riguarda il tempo? In questo caso il riferimento è al tempo medio impiegato dalla Terra per compiere un'intera rotazione su se stessa in relazione al Sole. Infatti, al secondo si arriva attraverso una suddivisione - articolata su tre livelli - della durata del giorno solare medio, : il primo livello è quello delle "ore" (24 in un giorno); il secondo livello è quello dei "minuti" (60 in un'ora); il terzo livello è quello dei "secondi" (60 in un minuto). Di conseguenza, il "secondo" risulta essere la 86.400esima parte del giorno solare medio. È evidente che non avremmo mai potuto avere un "secondo" che equivalesse alla 86.573esima parte del giorno solare medio - in modo tale da avere esattamente 1.000 s come tempo di attraversamento dell'orbita terrestre da parte delle luce -, per il semplice motivo che non esiste alcuna possibile suddivisione articolata in grado di produrre un simile risultato. Inoltre, non tutte le suddivisioni articolate sono accettabili: ad esempio, una suddivisione del giorno in 17 "ore", delle ore in 43 "minuti" e dei minuti in 29 "secondi", benché teoricamente possibile, è da escludersi a priori in quanto del tutto insensata. È il caso di verificare se vi siano altre - razionali - suddivisioni articolate del giorno che producano un risultato altrettanto brillante sotto l'aspetto simbolico. Potremmo considerare come possibili divisori del giorno i numeri 8, 12, 16, 20, 24, 28, 32, 36, 40, 44, 48 ("ore" contenute in un giorno) perché in tal modo il giorno si può sempre dividere in quattro parti intere (le quattro parti corrisponderebbero idealmente ai periodi che vanno dall'alba a mezzogiorno; da mezzogiorno al tramonto; dal tramonto a metà della notte; da metà della notte all'alba). Per quanto concerne i possibili divisori dell' "ora", possiamo prendere per buoni i numeri 10, 12, 15, 16, 20, 24, 25, 30, 32, 36, 40, 45, 48, 50, 60, 64, 70, 72, 75, 80, 84, 90, 96, 100; mentre per i divisori del "minuto", gli stessi numeri più il numero 1. Imponendo la condizione che in ogni determinata soluzione i divisori di secondo e terzo livello siano identici, come avviene nella realtà (ciò indubbiamente dona eleganza e semplicità al sistema), ne derivano 517 possibili suddivisioni del giorno, che danno luogo a valori del "secondo" variabili fra 0,18 e 1080 s. In tre casi il "secondo" vale 100 s e in un solo caso vale 1 s (è il caso corrispondente alla suddivisione del giorno effettivamente in uso): questi quattro casi sono quelli che meglio soddisfano la condizione di far sì che il tempo impiegato dalla luce a percorrere il diametro dell'orbita terrestre sia con buona approssimazione un multiplo di dieci (10, 100, 1.000 ecc.). Anche questo semplicemente frutto del caso? O non si tratta, piuttosto, della medesima volontà - già vista nel caso delle misure spaziali - di incorporare nell'unità, a livello simbolico, la grandezza fisica di riferimento? Ma perché? - ci si domanda - e per opera di chi? |
Conclusione |
Immaginiamo una civiltà tecnologica
che possieda una conoscenza sufficientemente approfondita dell'universo, diciamo più o
meno pari alla nostra; supponiamo che questa civiltà desideri esprimere simbolicamente
questa sua conoscenza creando un sistema articolato di unità di misura che siano
collegate ai fenomeni fisici più importanti dell'universo che la circonda: con questo
nuovo sistema, le grandezze dei fenomeni presi come termini di riferimento saranno
naturalmente espresse da numeri interi. Quali oggetti e fenomeni fisici? Il pianeta sul
quale vive, innanzitutto: le dimensioni del pianeta e della sua orbita e i suoi tempi di
rotazione e di rivoluzione intorno al proprio sole. Un'altra grandezza fisica
imprescindibile dovrebbe essere la velocità della luce, costante universale. Questi
esempi possono bastare. Sappiamo che le civiltà possono decadere o scomparire e che gran parte delle conoscenze accumulate possono in tali casi venire dimenticate; ma sappiamo anche che vi sono molte altre cose che invece riescono a trasmettersi sfidando l'oblìo che vorrebbe inghiottirle. È il caso della lingua: basti fare l'esempio del latino, sopravvissuto come lingua ufficiale in Europa per più di mille anni dopo la caduta dell'Impero Romano, generando inoltre molte altre lingue oggi vive (le lingue neolatine, appunto) e che in qualche modo sono in grado di testimoniare l'esistenza di quella grande civiltà ormai da secoli decaduta. Ma è anche il caso delle unità di misura di lunghezza, superficie, peso, tempo: si è visto sovente nella storia come civiltà minori abbiano assorbito dalle maggiori i sistemi tecnici che quelle hanno elaborato, riuscendo poi a ritrasmetterle ad altre più giovani civiltà, anche se l'antica civiltà da cui tali sistemi sono originati nel frattempo è decaduta o scomparsa. Ne sono un esempio le unità di misura ereditate e poi ritrasmesse dalla civiltà romana (il piede, l'oncia ecc.), utilizzate per tutto il medioevo e oltre con lievi varianti locali e addirittura all'origine del sistema anglosassone ancor'oggi in uso. È avvenuto, dunque, che l'Europa dell'alto medioevo - pur avendo perduto la tecnologia necessaria per le grandi opere di ingegneria degli antichi Romani - avesse continuato a fare uso delle stesse loro unità di misura. Altri esempi sono la suddivisione del giorno in ventiquattro ore e delle ore su base sessagesimale, e la divisione dell'angolo giro in trecentosessanta gradi e del grado pure su base sessagesimale: in questi ultimi casi - come si è detto - l'uso della base sessagesimale si perde addirittura nella notte dei tempi; evidentemente, in questo tipo di cose l'inerzia è così grande che perfino la nostra civiltà tecnologica - che trova assai più consoni i sistemi decimali o binari - fa enorme fatica a sbarazzarsi di questi antichi relitti. Riprendiamo il filo del discorso. La nostra ipotetica civiltà sa di essere potente, eppure sa che nessuna civiltà per quanto potente può essere eterna: questa civiltà si evolverà, conoscerà un apice, poi un declino - più o meno repentino - ed infine scomparirà, trasmettendo ad altre nascenti civiltà frammenti delle proprie conoscenze, leggi, convenzioni, costumi, toponomastica, qualche parola della propria lingua, l'alfabeto, i sistemi di scrittura e di calcolo numerico e le principali unità di misura di interesse pratico. Ma la nostra ipotetica civiltà sa anche che la ruota, dopo aver pescato il fondo, si risolleverà: prima o poi sorgerà un'altra civiltà capace di raggiungere lo stesso livello di conoscenze, o anche superiore, e questa nuova civiltà sarà in grado di cogliere i deboli segni lasciati dalla precedente, anche se ogni documento scritto è ormai andato perduto. Quali potrebbero essere questi segni? L'abbiamo detto: una parola o un toponimo derivato dall'antica lingua, un alfabeto, un sistema di scrittura, o anche un'unità di misura. Ad esempio, ci si potrebbe rendere conto con stupore che, utilizzando alcune antiche unità di misura di cui non si conoscono le origini, il diametro del pianeta e la distanza dal proprio sole si esprimono in cifre tonde, come pure la velocità della luce e il tempo impiegato dalla luce per attraversare l'orbita del pianeta. Ma non è esattamente quel che succede nel nostro caso? Non abbiamo forse scoperto che alcune antiche unità di misura terrestri - il cubito e il palmo egizio, il cubito e il piede assiro, il pollice anglosassone - sono indiscutibilmente correlate a diverse grandezze fisiche e astronomiche? E cosa può significare questo? La risposta è una sola: la nostra immaginaria civiltà ha abitato il pianeta Terra in un lontano passato, ha raggiunto l'apice della propria potenza, poi è scomparsa quasi senza senza lasciare tracce. Quando nuove civiltà si affacciarono all'alba di quella che noi riconosciamo come Storia, dell'antica civiltà non restava che una debole memoria confusa nel mito, e qualche indizio sparso qua e là, segni dell'antica potenza tecnologica. Questo è ciò che si legge nel segreto dell'unità. |