LA GEOMETRIA DI GIZA
2002
Il rilievo del sito di Giza
Dopo l'opera del colonnello Howard-Vyse e di Perring nel 1837, è generalmente riconosciuto che il primo serio lavoro archeologico sulle piramidi egiziane fu The Pyramids and Temples of Giza di Sir W.M. Flinders Petrie, pubblicato a Londra, 1883. L'archeologo, dotato di grande determinazione e dell'attrezzatura più avanzata dell'epoca, condusse fra il 1880 e il 1882 il primo dettagliato rilevamento topografico, giungendo a dati sostanzialmente confermati dai rilievi e dagli studi condotti successivamente, e pertanto in larga misura ancora oggi accettati.
Nelle tabelle che seguono sono riportati, desunti dall'opera di Petrie, i dati più rilevanti concernenti il posizionamento e le dimensioni delle piramidi di Giza; le misure sono espresse sia nell'unità adottata originariamente dallo studioso  - pollici inglesi -, sia in metri. Il fatto che i rilievi di Petrie non siano ancora stati sostanzialmente messi in discussione, a più di un secolo dal suo magistrale lavoro, ci consente di affrontare l'analisi della "geometria di Giza" con la ragionevole certezza di poggiare le fondamenta su un terreno sufficientemente solido.
DISTANZE ASSIALI FRA LE PIRAMIDI DI GIZA

da N a S

da E a O

Fra la 1a e la 2a piramide

13.931,6" (353,86 m)

13.165,8" (334,41 m)

Fra la 2a e la 3a piramide

15.170,4" (385,33 m)

9.450,2" (240,03 m)

Fra a 1a e la 3a piramide

29.102,0" (739,19 m)

22.616,0" (574,45 m)

DIMENSIONI DELLE PIRAMIDI DI GIZA

lato di base

1a piramide (Khufu)

9.068,8" (230,35 m)

2a piramide (Khafre)

8.474,9" (215,26 m)

3a piramide (Menkaure)

4.153,6" (105,50 m)

Esiste un progetto di Giza?

Secondo la teoria tradizionale le tre piramidi di Giza furono costruite in successione dai faraoni Khufu, Khafre e Menkaure nell'arco di un secolo circa; è inoltre convinzione comune che Khafre e Menkaure non avessero potuto competere col loro predecessore, nella grandiosità dell'opera, per mancanza di sufficienti risorse: da qui la necessità di accontentarsi di strutture più piccole e semplici e anche meno accurate. Il fatto sembrerebbe particolarmente evidente nella terza piramide.
È chiaro che questa teoria si trova in palese contrasto con l'ipotesi di un progetto generale per Giza: l'idea stessa che ciascun faraone avrebbe aspirato a superare il predecessore, se solo avesse avuto sufficienti risorse a disposizione, sarebbe stata in disaccordo con l'obiettivo di perseguire uno schema generale che, una volta completato, andasse oltre l'individualità dei singoli sovrani; ed è tutto da dimostrare, inoltre, che ai successori di Khufu mancassero sufficienti risorse. Secondo le teorie tradizionali, infatti, Khafre, nel corso del suo regno, avrebbe realizzato non solo una piramide grande quasi quanto quella del suo predecessore, ma anche la Sfinge, come è noto. A conti fatti, Khafre avrebbe benissimo potuto superare Khufu, ma non lo fece: perché? Forse perché doveva rispettare un disegno generale, lo stesso disegno che in seguito anche Menkaure avrebbe rispettato nella costruzione della sua "piccola" piramide.
La possibile esistenza di un piano generale per Giza e di una struttura socio-politica capace di perseguire un obiettivo di questa portata nell'arco di un secolo, portandolo a termine in maniera così spettacolare, è qualcosa che lascia a dir poco increduli e che costituisce di per sé un enigma. Eppure, non appena si cominci ad analizzare più approfonditamente la configurazione del complesso di Giza, l'idea di un progetto generale si fa strada con forza sempre maggiore; ma, ci si chiede, furono davvero i faraoni della IV dinastia a dare forma a quest'incredibile progetto? Bisogna dire che è perlomeno legittimo porsi la domanda, anche se in questa sede, comunque, eviterò accuratamente di rispondervi: il terreno è troppo insidioso e finirei per espormi a facili critiche, con il rischio di compromettere la credibilità della ricerca e dei risultati che intendo presentare. Del resto, avventurarsi ora nel tormentone infinito di "come, quando, da chi" furono costruite le piramidi di Giza, non è di alcuna importanza: come potremo vedere, apparirà chiaro che le piramidi parlano da sole e in un linguaggio talmente preciso - matematico e geometrico - da non poter essere equivocato. Le mie analisi, dunque, lasceranno parlare le piramidi, limitandosi a mettere in evidenza una serie di correlazioni assolutamente oggettive, verificabili da chiunque, ove non è concesso troppo spazio all'interpretazione individuale. Solo alla fine, semmai, ciascuno di noi potrà avventurarsi nelle speculazioni in merito a "come, quando, da chi" fu realizzato questo stupefacente dispositivo architettonico.

L'allineamento diagonale delle tre piramidi

Ad un primo superficiale sguardo le tre piramidi di Giza sembrano disporsi lungo un allineamento diagonale a partire dalla Grande Piramide (fig. 1); il secondo aspetto che appare evidente è il preciso orientamento di tutte e tre le piramidi rispetto ai punti cardinali. Uno schema di questo genere non implica necessariamente l'esistenza di un preciso disegno generale: infatti è sufficiente avanzare la ragionevole ipotesi che ciascuno dei faraoni che succedettero a Khufu avesse considerato la piramide del predecessore e i punti cardinali come riferimenti fondamentali nella costruzione della propria. Non ci sarebbe dunque nulla di sconvolgente per le concezioni dell'egittologia tradizionale.

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Fig. 1 - L'asse diagonale della Grande Piramide

Tuttavia c'è qualcosa che non convince in questa ipotesi. L'allineamento delle tre piramidi rispetto all'asse diagonale è poco preciso, molto meno preciso di quanto ci si potrebbe aspettare anche disponendo solo di rudimentali strumenti di controllo e rilevazione, e neppure la morfologia della piana di Giza può essere chiamata in causa a giustificare tale imprecisione, giacché non si trovano, nella piana, formazioni rocciose o alture che possano aver forzato i costruttori a scostarsi dall'allineamento desiderato.
D'ora in avanti, per comodità, ci riferiremo alle piramidi di Khufu, Khafre e Menkaure definendole rispettivamente "prima", "seconda" e "terza" piramide; useremo, inoltre, le espressioni "P1", "P2" e "P3" per riferirci ai rispettivi centri delle basi delle piramidi.
Rispetto al semplice schema dell'allineamento diagonale la discordanza è abbastanza piccola per quanto riguarda la posizione della piramide di Khafre (il cui centro P2 si trova fuori asse di 13,75 m), ma decisamente più sensibile nel caso della piramide di Menkaure (il cui centro P3 si trova fuori asse di 116,49 m). Se si considera che le distanze P1-P2 e P1-P3 valgono rispettivamente 486,88 m e 936,16 m, ne deriva che per la piramide di Khafre l'errore di allineamento sarebbe pari a 2,8%, mentre per la piramide di Menkaure sarebbe pari a ben 12,5%.
È possibile che si tratti semplicemente di errori dovuti alla mancanza di strumenti topografici sufficientemente precisi? Se si riflette un attimo risulta difficile credere che possa essere questa la ragione: basti considerare la straordinaria accuratezza dimostrata dai costruttori della Grande Piramide, i cui lati di base sono esattamente identici (a meno di un errore inferiore a 0,1%) ed esattamente allineati con i punti cardinali (a meno di un errore inferiore a 3' d'arco). Insomma, la capacità di conseguire standard di precisione tanto elevati nella costruzione della prima piramide rende del tutto inaccettabile l'idea che il posizionamento della seconda e della terza possa essere affetto da errori così grandi, se davvero l'intenzione fosse stata quella di allineare le tre piramidi lungo un asse diagonale.
Sembra inevitabile trarre la conclusione che se le tre piramidi di Giza non sono perfettamente - o quasi - allineate, allora non dovevano esserlo neppure nelle intenzioni degli antichi costruttori i quali, se avessero voluto, sarebbero certamente stati in grado di far meglio.
Esiste, allora, un progetto per Giza? Ancora non lo sappiamo, ma, se esiste, è certamente qualcosa di assai diverso da un semplice schema di allineamento diagonale: ad esempio, il complesso di Giza potrebbe costituire una sorta di mappa atta a rappresentare qualcos'altro, ed è questo appunto il nocciolo della teoria della correlazione stellare (correlazione fra le piramidi di Giza e la Cintura d'Orione), teoria sostenuta da Bauval e Hancock. Si tratta di un'idea affascinante, che io stesso ho sviluppato e approfondito in un'altra sede (vedi l'articolo Il Primo Tempo di Sirio); ma in questa sede intendo pormi un passo indietro e affrontare il sito di Giza "dall'interno", vale a dire nei limiti di un'analisi esclusivamente geometrica. Come vedremo, ciò sarà sufficiente a dimostrare la natura assolutamente intenzionale dello schema planimetrico realizzato a Giza.

Geometria nascosta

Qualsiasi pretesa di considerare la configurazione del sito di Giza come il frutto casuale dei successivi interventi di tre faraoni, senza la guida di un progetto d'insieme generale, viene immediatamente spazzata via da un dato di fatto inconfutabile. In una vista planimetrica zenitale (fig. 2) le tre piramidi possono essere contenute entro un rettangolo che va dall'angolo nord-est della prima piramide (quella di Khufu) all'angolo sud-ovest della terza (quella di Menkaure); sulla base del rilievo di Petrie, le lunghezze dei lati di tale rettangolo sono 742,37 m (est/ovest) e 907,12 m (nord/sud), corrispondenti rispettivamente a 1.416,6 e 1.731,0 cubiti reali egizi (si assume per il cubito reale il valore di 0,524 m stabilito dalle misurazioni effettuate da Petrie nel corso della sua campagna di studi in Egitto).

geometria_giza_fig02.gif (10007 byte)

Fig. 2 - I rettangoli di Giza

Ora, si dà il caso che 1.416,6 cubiti equivalga a radq(2)*1.000 cubiti (l'errore è di +2,4 cubiti pari a circa +0,2%) e 1731,0 cubiti a radq(3)*1.000 cubiti (l'errore è di -1,1 cubiti pari a circa -0,1%): si tratta di scarti così piccoli da escludere la semplice casualità, e possiamo pertanto affermare che, con ogni probabilità, gli antichi costruttori intendessero proprio inscrivere le tre piramidi entro un rettangolo i cui lati misurassero radq(2)*1.000 cubiti e radq(3)*1.000 cubiti; questo significa, inoltre, che la lunghezza della diagonale di tale rettangolo (pari a 1.172,17 m, ossia 2.236,8 cubiti) può essere espressa con buona approssimazione come radq(5)*1.000 cubiti (l'errore è di +0,7 cubiti, assai meno di +0,1%). Questa circostanza, messa in luce da John Legon ormai vent'anni fa, è già di per sé assai significativa, poiché dimostra la conoscenza dei numeri irrazionali da parte dei costruttori, ma non è tutto. In primo luogo il valore radq(5) è strettamente legato ad un altro fondamentale numero della geometria, il numero FI (il numero "aureo"), che vale esattamente (radq(5)+1)/2 ~ 1,618. In secondo luogo (fatto che neanche John Legon sembra aver notato) si dà il caso che la somma dei numeri radq(2) e radq(3) costituisca un'ottima approssimazione di PI (il numero "pi greco"): infatti radq(2)+radq(3) vale 3,146, un valore assai prossimo a 3,142 (il reale valore di PI); da ciò consegue, pertanto, che il perimetro del rettangolo (pari a 6.295,2 cubiti) equivale, con buona approssimazione, alla circonferenza di un cerchio di raggio 1.000 cubiti (l'errore è di +12,0 cubiti pari a circa +0,2%).
In definitiva abbiamo che le tre piramidi di Giza risultano inscritte entro un rettangolo le cui dimensioni rimandano ai numeri irrazionali radq(2), radq(3), radq(5), al numero aureo FI e al numero trascendente PI: un condensato di significati geometrici che sarebbe a dir poco criminale da parte nostra trascurare.
Eppure siamo solo agli inizi: Giza sembra essere davvero una miniera inesauribile di relazioni matematico-geometriche. Prendiamo ora in considerazione il rettangolo individuato da due angoli opposti coincidenti rispettivamente con i centri P1 e P3 delle basi delle piramidi di Khufu e di Menkaure (fig. 2): chiameremo, questo, "rettangolo minore di Giza", per distinguerlo dal "rettangolo maggiore di Giza" già esaminato. I lati del rettangolo minore sono lunghi rispettivamente 574,45 m (est/ovest) e 739,19 m (nord/sud) corrispondenti rispettivamente a 1.096,2 cubiti e 1.410,5 cubiti, mentre la diagonale è lunga 936,16 m corrispondenti a 1.786,4 cubiti. La prima cosa che balza all'occhio è la lunghezza del lato nord/sud, molto vicina alla lunghezza del lato est/ovest del rettangolo maggiore e ancor più al valore radq(2)*1000 cubiti. In pratica, sembra che il numero radq(2)*1.000 sia stato assunto come riferimento sia per la lunghezza del lato est/ovest del rettangolo maggiore che per la lunghezza del lato nord/sud del rettangolo minore e la circostanza risulta del tutto evidente se calcoliamo il valore che rappresenta la media fra le due lunghezze: tale valore è (1.416,6+1.410,5)/2 = 1.413,6 cubiti e differisce di appena 0,6 cubiti da radq(2)*1.000 cubiti (l'errore è molto inferiore a -0,1%). Nella tabella che segue si riportano le dimensioni dei rettangoli di Giza con le corrispondenti misure di riferimento, nonché i relativi errori di approssimazione.

DIMENSIONI DEI RETTANGOLI DI GIZA (in cubiti reali)

reale

riferimento

errore

Diagonale rett. magg.

2.236,8 c

radq(5)*1.000 c

+0,1%

Diagonale rett. min.

1.786,4 c

-

-

Lato N-S rett. magg.

1.731,0 c

radq(3)*1.000 c

-0,1%

Lato E-O rett. magg.

1.416,6 c

radq(2)*1.000 c

+0,2%

Lato N-S rett. min.

1.410,5 c

radq(2)*1.000 c

-0,3%

Lato E-O rett. min.

1.096,2 c

1.100 c

-0,4%

Per molti egittologi tradizionali tutto questo sarebbe frutto del Caso; ma certo il Caso, per codesti signori, deve aver lavorato parecchio a Giza… Facciamo entrare in gioco anche la Sfinge e vediamo cosa succede: ebbene, se puntiamo il compasso al centro della diagonale del rettangolo maggiore e tracciamo un cerchio di raggio pari a metà della diagonale (ovvero tracciamo il cerchio che circoscrive il rettangolo) vediamo che tale cerchio attraversa in pieno la Sfinge (fig. 3). Caso o progetto?

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Fig. 3 - Il cerchio che circoscrive le piramidi di Giza e incrocia la Sfinge

Aritmetica nascosta

Questo quadro dovrebbe essere già a dir poco sorprendente per chi ancora non volesse credere all'esistenza di un progetto generale a Giza, ma ulteriori soprese ci vengono riservate qualora si convertano in palmi egizi (un cubito reale si divide in sette palmi egizi) le stesse misure riportate nel paragrafo precedente, come si può vedere nella seguente tabella.

DIMENSIONI DEI RETTANGOLI DI GIZA (in palmi)

reale

riferimento

errore

Diagonale rett. Magg.

15.658 p

PI*5000 p

-0,3%

Diagonale rett. Min.

12.505 p

PI*4000 p

-0,5%

Lato N-S rett. Magg.

12.117 p

11*1100 p

+0,1%

Lato E-O rett. Magg.

9.916 p

9*1100 p

+0,2%

Lato N-S rett. Min.

9.874 p

9*1100 p

-0,3%

Lato E-O rett. Min.

7.673 p

7*1100 p

-0,4%

Da questa tabella appare manifesto che le due diagonali sono multiple della lunghezza PI*1.000 palmi, mentre i lati sono multipli della lunghezza 1.100 palmi; ma questa lunghezza, riconvertita in cubiti reali, fornisce il valore 157,1 cubiti che ci rimanda ancora una volta a PI attraverso il rapporto numerico 22/7 che ne è un'ottima approssimazione, anzi, la migliore che sia possibile ottenere con operatori a non più di due cifre. Vediamo come: 1100 palmi, riconvertiti i cubiti reali, equivalgono a 1.100/7 = (22/7)*50 ~ 157,1 ~ PI*50 cubiti (l'errore è inferiore a +0,1%). La conoscenza del rapporto 22/7, e dunque del valore pressoché esatto di PI, è tradizionalmente attribuita al matematico e filosofo greco Pitagora (vissuto nel V sec. A.C.), ma evidentemente anche i costruttori del sito di Giza dovevano esserne a conoscenza poiché ne hanno fatto largo uso: la troviamo nel caso appena descritto con l'esistenza di un modulo di 1.100 palmi corrispondenti a PI*50 cubiti; lo troviamo nel fatto che le lunghezze dei lati dei due rettangoli maggiore e minore si possono esprimere come 11M, 9M, 9M e 7M (dove M = 1.100 palmi ~ PI*50 cubiti) e di conseguenza il rapporto fra il più grande e il più piccolo di questi lati equivale approssimativamente a 11/7 ~ PI/2; troviamo ancora la suddetta relazione nelle dimensioni stesse della Grande Piramide, come da tempo è noto, e precisamente nel rapporto fra semiperimetro di base e altezza. A dire il vero è parimenti noto che la Grande Piramide codifica nelle proprie dimensioni anche il numero FI attraverso il rapporto fra l'apotema e metà del lato di base. Caso o intenzione consapevole?

Ancora aritmetica nascosta...

L'analisi del sito di Giza sotto l'aspetto matematico-geometrico rischia di essere un'avventura paragonabile all'esplorazione di un pozzo senza fondo: ad ogni livello di lettura emergono nuove relazioni che in un gioco di rimandi incrociati, come in un labirinto di specchi, creano una stupefacente sinfonia di numeri ove PI e FI costituiscono una sorta di leit-motiv ossessivo, come se fossero segnali posti intenzionalmente per catturare la nostra attenzione...
Dobbiamo ancora soprenderci se, tracciando la diagonale del rettangolo maggiore e proiettando perpendicolarmente su di essa la posizione del centro P2 della seconda piramide (fig. 4), scopriamo che la diagonale stessa risulta divisa in due segmenti della lunghezza di 1.000,8 cubiti e 1.236,0 cubiti? Ora, con approssimazione minima il primo dei due segmenti può essere espresso come 1.000 cubiti, mentre il secondo come 2*618 cubiti; ma 618 cubiti non è altro che la sezione aurea di 1.000 cubiti, ovvero 1.000 cubiti diviso per il numero aureo FI...

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Fig. 4 - La piramide di Khafre in relazione alla diagonale del rettangolo maggiore di Giza

E ancora, dobbiamo sorprenderci (fig. 5) se mezzo lato di base della piramide di Khufu (pari a 115,17 m) è quasi esattamente un quinto del lato est/ovest del rettangolo minore (l'errore è +0,2%), mentre mezzo lato di base della piramide di Menkaure (pari a 52,75 m) è quasi esattamente un quattordicesimo del lato nord/sud dello stesso rettangolo minore (l'errore è -0,1%)?

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Fig. 5 - Le dimensioni della prima e della terza piramide in relazione ai lati del rettangolo minore di Giza

E si potrebbe continuare, ma ormai quel che si voleva dimostrare è ampiamente dimostrato: ovvero che la configurazione del sito di Giza, lungi dall'essere il frutto di successivi interventi slegati fra loro, è generato da un progetto estremamente sofisticato che denota una profonda conoscenza della matematica e della geometria.
Vorrei tuttavia evidenziare un'ulteriore relazione geometrica, che da una parte conferma l'esistenza del modulo M = 1.100 palmi, dall'altra mette in luce la particolare importanza attribuita all'asse diagonale di Giza, anche se non nel senso da alcuni ipotizzato, e cioè che quest'asse potesse rappresentare la direzione di allineamento delle tre piramidi (il che si è dimostrato, come abbiamo visto, semplicistico ed errato).
Si tratta di questo: se tracciamo l'asse inclinato a 45° passante per il centro P1 della Grande Piramide, poi disegnamo il quadrato con un vertice sul centro P3 della terza piramide, vertice opposto sull'asse diagonale medesimo e lati paralleli alle direzioni cardinali, si osserva che la lunghezza del lato di questo quadrato è 82,38 m, equivalenti a 157,2 cubiti ossia 1.100,4 palmi: cioè praticamente identico al modulo M di cui si è parlato nel paragrafo precedente (fig. 6). Questo fatto da una parte è una chiara conferma dell'intenzionalità del modulo M, dall'altra sembra mettere in particolare risalto proprio l'asse diagonale rispetto al quale la terza piramide si distacca in maniera così poco casuale; e in effetti questo asse riveste un ruolo determinante nello schema della correlazione stellare da me sviluppato e approfondito nell'articolo Il Primo Tempo di Sirio.

Geometria_giza_fig06.gif (7157 byte)

Fig. 6 - La posizione della piramide di Menkaure relazionata, tramite il modulo M, all'asse diagonale della Grande Piramide

Il cerchio di Giza

Al lettore attento non dovrebbe essere sfuggito che l'insieme di relazioni geometriche, appena descritte, lascia decisamente in disparte la piramide di Khafre. Ma non è certamente possibile che il progetto di Giza - posto che esista - ignori una piramide che per dimensioni rivaleggia con quella edificata da Khufu e che, inoltre, è collegata, tramite una delle vie cerimoniali rialzate, con il tempio a valle nei pressi della Sfinge, un'altro degli elementi chiave del complesso monumentale di Giza.
Una via per uscire dall'impasse può essere di verificare se sussistano relazioni geometriche di tipo non lineare, a differenza di quelle appena descritte, che sono appunto di tipo lineare. Si può, così, partire dall'osservazione assai naturale che tre punti sul piano, quando non sono perfettamente allineati, determinano univocamente un arco ed il cerchio cui l'arco appartiene.
Dunque, i centri P1, P2 e P3 individuano univocamente un arco ed un cerchio (fig. 7), che d'ora innanzi chiameremo rispettivamente "arco di Giza" e "cerchio di Giza". Il diametro del cerchio è 4.711,43 m, la sua lunghezza è 942,43 m, mentre l'angolo al centro P1-C-P3 (che d'ora innanzi chiameremo "angolo di Giza") è di 22,9218°. Questi valori hanno un significato oppure sono semplicemente casuali?

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Fig. 7 - L'arco di Giza

Sembra sensato, tanto per cominciare, esaminare quanto valga il diametro di Giza qualora venga espresso in unità di misure egizie. Gli egizi disponevano di un sistema di unità di misure piuttosto articolato: solitamente il cubito reale viene identificato come la principale unità all'interno del sistema, e gli studi di Petrie assegnano ad esso, come abbiamo detto, un valore pari a 0,524 m, generalmente accettato. Altre unità di misura scaturiscono da suddivisioni del cubito reale: un cubito contiene sette palmi, mentre ogni palmo contiene quattro dita; ancora, altre unità di misura sono multiple del dito, mentre altre sono multiple del cubito; un'ulteriore unità, infine, è rappresentata dal lato di un quadrato la cui diagonale equivale a un cubito.
Nella prima delle tabelle che seguono troviamo uno schema che riassume il sistema di unità di misura dell'antico Egitto, con le equivalenze rispetto al sistema metrico odierno, mentre nella seconda tabella sono riportati i parametri del cerchio di Giza (lunghezze di diametro, arco e circonferenza) espressi in ciascuna di queste unità, incluse le principali unità di misura moderne, ossia il metro e il pollice anglosassone (che equivale a 0,0254 m).

UNITÀ DI MISURA DELL'ANTICO EGITTO
sistema egiziano

sistema metrico

1 dito (zebo)

0,01872 m

4 dita = 1 palmo (shep)

0,07486 m

5 dita = 1 mano

0,09358 m

12 dita = 1 piccola spanna

0,22459 m

14 dita = 1 grande spanna

0,26203 m

1 remen = 20 dita circa

0,37056 m

24 dita = 1 piccolo cubito

0,44919 m

28 dita = 1 cubito reale (meh)

0,52405 m

100 cubiti reali = 1 khet

52,405 m

120 khet = 1 ater

6.288,6 m

I PARAMETRI DEL CERCHIO DI GIZA ESPRESSI NELLE DIVERSE UNITÀ DI MISURA
unità di misura

diametro

arco

circonferenza

metro

4.711,43

942,43

14.801,41

pollice

185.489,5

37.103,5

582.732,5

dito (zebo)

251.732,0

50.354,1

790.839,4

palmo (shep)

62.933,0

12.588,5

197.709,8

mano

50.346,4

10.070,8

158.167,9

piccola spanna

20.977,67

4.196,17

65.903,28

grande spanna

17.980,86

3.596,72

56.488,53

remen

12.714,39

2.543,26

39.943,42

piccolo cubito

10.488,83

2.098,09

32.951,64

cubito reale (meh)

8.990,43

1.798,36

28.244,26

khet

89,9043

17,9836

282,4426

ater

0,749202

0,149863

2,353689

Un'attenta analisi dei dati riportati nella seconda tabella mostra che, effettivamente, sussistono diverse significative correlazioni: nella tabella che segue, tali correlazioni sono mostrate esplicitamente e con chiarezza.

CORRELAZIONI FRA I PARAMETRI DEL CERCHIO DI GIZA E NUMERI SPECIALI
unità di misura

diametro

arco

circonferenza

palmo (shep)

62.933,0

12.588,5

197.709,8

riferimento

PI*20.000

PI*4.000

-

errore

+0,2%

+0,2%

-

remen

12.714,39

2.543,26

39.943,42

riferimento

radq(FI)*10.000

radq(FI)*2.000

40.000

errore

-0,1%

-0,1%

-0,1%

piccolo cubito

10.488,83

2.098,09

32.951,64

riferimento

FI²*4.000

-

-

errore

+0,2%

-

-

cubito reale (meh)

8.990,43

1.798,36

28.244,26

riferimento

9.000

1.800

-

errore

-0,1%

-0,1%

-

khet

89,9043

17,9836

282,4426

riferimento

90

18

-

errore

-0,1%

-0,1%

-

Ebbene, la strabiliante conclusione è che i parametri del cerchio di Giza mostrano evidenti correlazioni con cifre tonde e con i numeri PI e FI; i ridotti margini di approssimazione (non superiori in valore assoluto a 0,2%) e la rilevanza di tali correlazioni fanno escludere totalmente la pura e semplice casualità, e inducono piuttosto a pensare a una precisa intenzione progettuale. Poiché le diverse unità di misura del sistema egizio sono legate fra loro da rapporti ben precisi, è evidente che gli antichi costruttori poterono fissare una sola delle correlazioni sopra elencate, mentre le altre derivano di necessità. A mio avviso, la scelta degli antichi costruttori fu quella di tracciare il cerchio di Giza con il raggio di lunghezza pari a PI moltiplicato per 10.000, espressa in palmi: questa è senza dubbio la correlazione più semplice, diretta e convincente fra tutte quelle viste.
Bisogna sottolineare che sarebbe del tutto inverosimile attribuire al caso questa correlazione. Su ciò non vi può essere alcun dubbio: basti considerare che la determinazione di un cerchio a partire da tre punti dati a caso sul piano è un processo altamente instabile, nel senso che variazioni anche piccole nella posizione dei punti stessi possono generare grandi variazioni nel risultato finale, soprattutto quando i tre punti sono prossimi all'allineamento (come nel caso specifico). Per chiarire il concetto, supponiamo che le piramidi di Khufu e di Menkaure siano fisse, mentre quella di Khafre possa muoversi liberamente, dando luogo ad infiniti possibili cerchi di Giza. Se la piramide di Khafre si muovesse, dalla posizione in cui essa si trova realmente, di circa 47 metri verso sud-est, finirebbe per trovarsi esattamente sulla congiungente dei centri delle altre due piramidi, e pertanto il cerchio di Giza avrebbe raggio infinito; se invece si muovesse sempre di 47 m, ma nella direzione opposta, il cerchio di Giza avrebbe un raggio di circa 16.215 palmi, cioè poco più della metà di quello reale; ma anche se si spostasse appena di un metro ad est, ciò sarebbe già sufficiente a distruggere il fragile equilibrio su cui si regge la correlazione, poiché il raggio del cerchio di Giza varrebbe circa 30.953 palmi, un valore del tutto anonimo.

L'angolo di Giza

Vi è un dato ulteriore che emerge: l'arco di Giza è approssimativamente un quinto del diametro, con un margine di errore straordinariamente piccolo, inferiore a +0,02%. Quest'ultima osservazione porta a domandarsi se l'angolo di Giza possa anch'esso nascondere una qualche correlazione matematica.
La risposta è affermativa: tale correlazione risiede nel rapporto fra l'intera circonferenza e l'arco di Giza, che naturalmente equivale al rapporto fra l'angolo giro (360°) e l'angolo di Giza (22,9218°). Questo rapporto vale:

360°/22,9218° ~ 15,7056 ~ 5*PI ~ 6*FI² ~ 6*(FI+1)

In altri termini, ciò significa che l'angolo di Giza può essere ricavato dividendo l'angolo giro (360°) in 5*PI parti, oppure in 6*(FI+1) parti: ancora una volta, dunque, i numeri PI e FI che ricompaiono ossessivamente, quasi fossero scolpiti nelle pietre di Giza.
Per la precisione, il valore esatto di 5*PI è 15,7080, da cui seguirebbe un angolo al centro teorico di 360°/15,7080 ~ 22,9183°, mentre il valore esatto di 6*(FI+1) è 15,7082, da cui seguirebbe un angolo al centro teorico di 360°/15,7082 ~ 22,9180°. Riassumendo, per maggiore chiarezza, abbiamo le seguenti relazioni:

(1)     angolo di Giza ~ 22,9218° = gamma

(2)     360°/5*PI ~ 360°/15,7070 = 22,9183° = alfa

(3)     360°/6*(FI+1) = 360°/15,7082 = 22,9180° = beta

Come si vede, risulta che alfa e beta sono identici a meno di una vera inezia (tre decimillesimi di grado). Ciò significa che la relazione

(4)     5*PI ~ 6*(FI+1) ~ 15,7081±0,0001

rappresenta una efficacissima approssimazione di PI in funzione di FI (e naturalmente viceversa), la migliore approssimazione conseguibile con funzioni lineari. L'angolo intermedio fra alfa e beta (chiamiamolo mi ) vale 22,91815°: ebbene, gamma (ossia l'angolo di Giza) differisce da mi per meno di quattro millesimi di grado...
Anche in questa circostanza bisogna sottolineare che sarebbe del tutto inverosimile attribuire la correlazione al caso. Lo si può verificare con l'esempio illustrato poc'anzi: sarebbe sufficiente che la piramide di Khafre fosse stata costruita appena un metro piu ad est (ferme restando le altre due) per far sì che la circonferenza così individuata risultasse di 15.051,11 m, che l'arco risultasse 942,22 m e che il relativo rapporto risultasse 15,974; tale numero diviso per 5 fornisce il valore 3,195, che nessuno si sognerebbe mai di spacciare per un' approssimazione di PI.
Soffermiamoci un attimo a riflettere. L'angolo di Giza, dunque, rimanda simultaneamente a PI e a FI, e in particolare ad una relazione che lega i due numeri l'uno all'altro. Quante probabilità ci sono che una tale circostanza si sia potuta produrre casualmente? Occorre confrontare il campo dei possibili valori dell'angolo di Giza con il margine di errore appena calcolato. Se supponiamo che le tre piramidi siano state posizionate a caso, il campo dei valori possibili dell'angolo di Giza va da pressoché zero (tre piramidi allineate) a 240° (tre piramidi disposte ai vertici di un triangolo equilatero). Di conseguenza, tenuto conto che il margine di errore va raddoppiato in quanto può essere sia positivo che negativo, le probabilità che una simile circostanza si sia potuta verificare per caso sono:

probabilità ~ 2*0,004°/240° ~ 1/30.000

Ciò dimostra in maniera schiacciante che la posizione delle tre piramidi non è casuale, bensì assolutamente intenzionale. Il complesso di Giza vuole comunicare, e a questo scopo gli antichi costruttori marcarono il progetto con rapporti e numeri speciali: numeri come PI, FI, radq(2), radq(3) ecc. non sono altro che segnali. Gli antichi costruttori avevano previsto che la nostra attenzione sarebbe stata catturata da tali segnali, e che da quel preciso momento noi avremmo iniziato a cercare il messaggio scritto nella pietra di Giza: da quel preciso momento si sarebbe instaurato un processo comunicativo vero e proprio fra due civiltà che non si sono mai incontrate. Ma per comunicare cosa?

Conclusioni

L'insieme di correlazioni che abbiamo mostrato, e che costituiscono solo una parte di quanto ho potuto scoprire (il resto sarà mostrato in altra sede), non possono essere attribuite a pure coincidenze. Nessun ricercatore fornito di un minimo di onestà intellettuale potrebbe ritenersi pago di una spiegazione siffatta, che peraltro non spiega un bel nulla: meglio, allora, armarsi del dovuto coraggio e trarre fino in fondo le conseguenze di ciò che si manifesta con evidenza.
Innanzi tutto, chi costruì il complesso di Giza conosceva il valore di PI con una approssimazione perfino migliore di quella fornita dal rapporto di 22/7, tradizionalmente attribuita a Pitagora, come detto; conosceva, inoltre, il significato e il valore del numero aureo FI, e conosceva la migliore espressione lineare di PI in funzione di FI. Tutte queste conoscenze, come abbiamo visto, sono come incise sulla pietra, rappresentate mediante la particolare configurazione delle tre piramidi.
In secondo luogo, chi costruì il complesso di Giza possedeva una padronanza delle techiche costruttive e delle operazioni di topografia, tale da riuscire a dislocare sul terreno oggetti enormi - come non sono stati costruiti fino al nostro secolo - creando con essi configurazioni di scala territoriale, con standard di precisione difficilmente raggiungibili anche con gli strumenti oggi a disposizione.
Vogliamo credere che sia stato il popolo egizio - quello che ci è noto dai documenti storici - a realizzare un dispositivo architettonico di tale perfezione? Chi vuole, può continuare a crederlo. Ma non è questo il punto fondamentale. La questione è: perché i progettisti di Giza - chiunque essi fossero - predisposero una tale ridondanza di segnali matematici e geometrici? Solo per esibirsi in uno strabiliante esercizio virtuosistico, e mostrare così la propria bravura ai posteri? Certamente no. Come abbiamo detto, se hanno fatto tanto per attirare la nostra attenzione, lo scopo era quello di farci capire che valeva la pena di interrogare le pietre di Giza, perché avevano qualcosa di importante da dire. Qualcosa di estremamente importante, a giudicare dallo sforzo che i costruttori dovettero compiere.
In altre parole, tutto quanto abbiamo mostrato sin'ora rientra, né più, né meno, nella prima fase della comunicazione. Potremmo fare l'esempio della ricerca di segnali intelligenti provenienti dal cosmo: in questa fase abbiamo scoperto che dallo spazio è giunto a noi un segnale intelligente; ma non sappiamo ancora quale sia il messaggio veicolato dal segnale. Tutto ciò che sentiamo è un crepitio, certamente artificiale, ma che resterà incomprensibile fino a che non ne sia scoperto il codice.
Per tornare a noi, quel che occorre è il codice di Giza, e per fortuna non bisogna neanche andare molto lontano, poiché è già stato scoperto: si tratta della correlazione fra le tre piramidi e le tre stelle della Cintura d'Orione. La correlazione stellare, scoperta da Robert Bauval e poi sviluppata insieme a Graham Hancock nella teoria del "Primo tempo di Orione", è stata da me riformulata in maniera originale, quindi corretta e approfondita fino alle estreme conseguenze, come ho mostrato nell'articolo Il Primo Tempo di Sirio, a cui rimando.