Rivelazione mesmerica
(1844)

       Quali che possano essere i dubbi che si nutrono sulla base razionale del mesmerismo, i suoi fatti sorprendenti sono ora quasi universalmente ammessi. D’altra parte quelli che dubitano di questi ultimi sono dubitatori di professione, una congrega di inutili e screditati individui. Non c’è maggiore perdita di tempo del voler dimostrare oggi, che un uomo per semplice esercizio della volontà, possa influenzare un suo simile al punto di ridurlo in uno stato anormale, nel quale si manifestano fenomeni molto vicini alla morte, molto più vicini di quelli di qualsiasi altra condizione normale a nostra conoscenza; che in queste condizioni, colui che è stato influenzato, utilizza con sforzo e quindi con deboli risultati, gli organi di senso esterni, mentre avverte, con raffinata ed acuta percezione e attraverso canali che si suppongono sconosciuti, cose che stanno fuori della portata degli organi fisici; che, le sue facoltà intellettive, inoltre, sono meravigliosamente accresciute; che la sua simpatia per la persona che ha esercitato su di lui la sua influenza è profonda; e, infine, la sua suscettibilità a tale influenza cresce in ragione diretta della frequenza con cui essa viene esercitata, mentre, nella stessa proporzione, i fenomeni particolari che ne derivano divengono più estesi e più intensi.
       Affermo che sarebbe superfluo voler dimostrare queste che sono le leggi del mesmerismo in senso generale, ne infliggerò ai miei lettori una dimostrazione oggi inutile. Il mio scopo è ora ben differente. Mi sento costretto, anche a dispetto dei pregiudizi del mondo, a dettagliare, senza commento, la sostanza rilevante di un colloquio avvenuto tra un ipnotizzato e me stesso.
       Da lunga data avevo l’abitudine di mesmerizzare la persona in questione (il signor Vankirk) e l’usuale acuta sensibilità ed esaltazione della percezione mesmerica si era già manifestata. Da molti mesi egli era ammalato di una tisi in stadio avanzato, e gli effetti più devastanti della malattia erano stati attenuati dalle mie manipolazioni. Nella notte di mercoledì quindici corrente, fui chiamato al suo capezzale.
       L’ammalato soffriva di un dolore acuto nella regione del cuore e respirava a fatica, presentando tutti i caratteristici sintomi dell’asma. Negli spasmi di questo tipo aveva di solito trovato qualche sollievo nelle applicazioni di senapismi ai centri nervosi, ma quella notte tali interventi erano risultati vani. Appena entrato nella sua stanza, mi accolse con un vivace sorriso e, sebbene sofferente di acuti dolori fisici, sembrava m buone condizioni mentali.
       «Ho chiesto di lei stanotte», disse, «non tanto perché porti sollievo al mio corpo, quanto per rassicurarmi in merito a taluni turbamenti psichici che, recentemente, mi hanno causato grande ansietà mista a sorpresa. Non c’è bisogno che le dica quanto sia stato finora scettico in merito alla questione dell’immortalità dell’anima. Non posso tuttavia negare che proprio in fondo a quell’anima, che negavo di avere, c’era una confusa mezza idea della sua esistenza. In realtà questa mezza idea non è mai giunta a convinzione, con essa la mia ragione non aveva niente a che fare. Tutti i tentativi di indagine su basi logiche hanno invece avuto come risultato di lasciarmi più scettico di prima. Sono stato consigliato di studiare Cousin, e ho studiato sia i suoi lavori originali che quelli dei suoi seguaci europei e americani. Mi hanno messo, per esempio, tra le mani il Charles Elwood del signor Brownson e l’ho letto con grande attenzione. Nel suo complesso l’ho trovato logico, ma le parti non puramente logiche, erano malauguratamente le argomentazioni iniziali del miscredente protagonista del libro. Tirando le somme, mi è sembrato evidente che il pensatore non fosse riuscito nemmeno a convincere se stesso. La conclusione aveva semplicemente dimenticato l’inizio del libro, come avviene al governo di Trinculo. In breve, non mi ci volle molto a comprendere che se l’uomo deve essere convinto intellettualmente della propria immortalità, non lo sarà mai per le mere astrazioni che per tanto tempo sono state in voga tra i moralisti di Inghilterra, Francia, Germania. Le astrazioni possono divertire o istruire ma non hanno presa sulla mente. Qui sulla terra, la filosofia, ne sono persuaso, ci inviterà sempre invano a considerare le qualità come cose concrete. La volontà potrà forse dichiararsi d’accordo – l’anima – l’intelletto mai.
       Ripeto quindi che sono arrivato a sentire soltanto a metà, mai al convincimento intellettuale. Ultimamente c’è stato tuttavia un approfondimento di questa sensazione, al punto che mi è sembrato arrivasse quasi all’acquiescenza della ragione e non vedevo più tanta differenza tra le due. Sento di poter attribuire anche questo all’effetto dell’influenza mesmerica. Non posso spiegarmelo, se non con l’ipotesi che l’esaltazione mesmerica mi mette in condizione di percepire una sequenza logica che, nel mio stato anormale, risulta convincente ma, come tutti i fenomeni mesmerici, non dura nella condizione normale, se non per i suoi effetti. Nel sonno me-smerico i ragionamenti e le conclusioni – cioè la causa ed il suo effetto – sono presenti insieme, nella mia condizione naturale, la causa svanisce e rimane soltanto l’effetto e forse solo parzialmente.
       Queste considerazioni mi hanno indotto a pensare che si possano ottenere buoni risultati da una serie di domande ben mirate da rivolgermi durante il sonno mesmerico. Lei ha spesso osservato la profonda conoscenza di sé che si riscontra nell’ipnotizzato... la vasta conoscenza che egli dimostra su tutti i punti relativi allo stato mesmerico stesso; da tale conoscenza di sé si possono dedurre gli spunti per una adeguata forma di interrogatorio.»
       Consentii senz’altro ad effettuare l’esperimento e con poche manipolazioni il signor Vankirk cadde nel sonno mesmerico. Il suo respiro divenne immediatamente più tranquillo e sembrò non soffrire più disagi fisici.
       Cominciò cosi la seguente conversazione. V. nel dialogo rappresenta il paziente, P. me stesso.
       P. «E addormentato?»
      V. «Sì... no, veramente vorrei dormire più profondamente.»
      P. (Dopo nuove manipolazioni.) «Dorme ora?»
      V. «Sì.»
      P. «Come crede si risolverà la sua attuale malattia?»
       V. (Dopo lunga esitazione e parlando con un certo sforzo). «Debbo morire.»
       P. «L’idea della morte la affligge?»
      V. (Prontamente). «No... no!»
       P. «Le piace?»
       V. «Se fossi sveglio preferirei morire, ma ora non importa. Lo stato di mesmerico è così vicino alla morte da bastarmi.»
       P. «Desidero che si spieghi, signor Vankirk.»
       V. «Vorrei farlo, ma questo richiede uno sforzo superiore alle mie forze. Lei non mi fa le domande giuste.»
       P. «Cosa le debbo chiedere?»
       V. «Deve cominciare dal principio.»
       P. «Il principio! Ma dov’è il principio?»
      V. «Sa che il principio è dio.» (Questo fu detto con un tono basso, esitante, mostrando chiari segni di una profonda venerazione).
       P. «Che cos’è dunque Dio?»
       V. (Esitando per molti minuti). «Non sono in grado di dirlo.»
       P. «Dio non è puro spirito?»
      V. «Quando ero sveglio sapevo cosa intende per "spirito", ma ora mi sembra soltanto una parola... come, ad esempio, la bellezza, la verità... in sostanza una qualità.»
       P. «Dio non è immateriale?»
       V. «Non esiste l’immaterialità; è soltanto una parola. Quello che non è materia, non esiste e basta... a meno che le qualità siano cose.»
       P. «Allora Dio è materiale?»
       V. «No.» (Questa risposta mi stupì non poco).
       P. «Allora cos’è?»
       V. (Dopo una lunga pausa, mormorando). «Vedo, ma è difficile a dirsi (un’altra lunga pausa). Non è spirito, perché esiste. Non è materia, nel senso che intende lei. Ma ci sono stadi della materia dei quali l’uomo non sa niente; il più denso spinge il più sottile, e quest’ultimo permea il più denso. L’atmosfera, ad esempio, dà impulso all’elettricità e questa si diffonde nell’atmosfera. Questi stadi della materia sono via via più rarefatti e assottigliati finché arriviamo a una materia non articolata – indivisibile – una. In tale stadio la legge dell’impulso e della permeazione si modifica. La materia finale, non particolata, non solo permea di sé tutte le cose, ma dà impulso a tutte le cose e quindi è tutte le cose di sé. Questa materia è Dio. Quello che gli uomini tentano di incorporare nella parola "pensiero" è questa materia in movimento.»
       P. «I metafisici sostengono che tutte le azioni sono riducibili al moto ed al pensare e che il secondo è l’origine del primo.»
      V. «Sì e ora vedo la confusione delle idee. Il moto è l’azione della mente, non del pensare. La materia non particolata, o Dio, in stato di quiete è (almeno per quanto possiamo capirne) quello che gli uomini chiamano mente. Il potere di auto-movimento (equivalente in effetto alla umana volizione) è, nella materia imparticolata, il risultato della sua unità e onniprevalenza; in qual modo, non lo so e ora vedo chiaramente che non lo saprò mai. Tuttavia la materia imparticolata, messa in moto da un principio o da una qualità che esiste in lei stessa, è il pensare.»
       P. «Non può darmi un’idea più precisa di quello che intende per materia imparticolata?»
       V. «Le materie di cui l’uomo ha conoscenza sfuggono alla sua percezione sensoria per gradi. Abbiamo, ad esempio, un metallo, un pezzo di legno, una goccia d’acqua, l’atmosfera, un gas, il calore, l’elettricità, l’etere luminoso. Chiamiamo tutte queste cose materia e comprendiamo tutti i materiali in questa unica definizione, eppure non esistono due concetti più nettamente distinti di quello di metallo e di etere luminoso. Quando arriviamo a quest’ultimo, abbiamo quasi la tentazione irresistibile di classificarlo come spirito, o come nulla. L’unica considerazione che ci limita è la nostra concezione della sua struttura atomica, e anche qui dobbiamo ricorrere all’ausilio della nostra nozione di atomo come di qualcosa di dimensioni infinitesime dotato tuttavia di solidità e tangibilità e peso. Se si scarta l’idea della costituzione atomica, non siamo in grado di definire l’etere come una entità o, almeno, come materia; il modo migliore per definirlo è chiamarlo Spirito. Facciamo ora un passo al di là dell’etere, cerchiamo di concepire una materia più rarefatta dell’etere di quanto questa lo è del metallo e arriveremo finalmente (a dispetto di tutti i dogmi scolastici) alla massa continua... alla materia indivisibile. Poiché nonostante si possa ammettere l’infinita piccolezza degli atomi, è assurdo che gli spazi tra loro siano infinitamente piccoli. Ci sarà un punto... un livello di rarefazione nel quale il numero degli atomi sarà sufficientemente alto da eliminare gli interspazi e la massa sarà assolutamente coalescente. Se si prescinde dalla considerazione della costituzione atomica, la natura della massa inevitabilmente scivola in quello che chiamiamo spirito. E chiaro, per contro, che essa resta pienamente materia. La verità è che è impossibile concepire lo spirito in quanto è impossibile immaginare ciò che non è. Quando ci lusinghiamo di aver formulato la sua concezione, abbiamo semplicemente ingannato la nostra intelligenza con la considerazione della materia infinitamente rarefatta.»
       P. «Mi sembra ci sia una obiezione insormontabile all’idea di assoluta coalescenza; ed è la leggerissima resistenza incontrata dai corpi celesti nelle loro rivoluzioni nello spazio – una resistenza ora accertata, che esiste in qualche misura, anche se è cosi leggera da essere sfuggita del tutto perfino alla sapienza di Newton. Sappiamo che la resistenza dei corpi è sostanzialmente proporzionale alla loro densità. Coalescenza assoluta vuol dire densità massima, dove non ci sono interspazi non ci può essere permeabilità. Un etere assolutamente denso costituirebbe un ostacolo infinitamente più efficace al moto delle stelle che non un etere di diamante o di ferro.»
       V. «Alla sua obiezione si può rispondere con una facilità pari alla sua apparente inconfutabilità. Per quanto riguarda il moto delle stelle, non c’è nessuna differenza se è la stella a passare attraverso l’etere o l’etere attraverso la stella. Non c’è errore astronomico più inspiegabile di quello che ricollega il noto ritardo delle comete all’idea di un loro passaggio attraverso un etere; perché, per rarefatto che possa essere tale etere, causerebbe comunque l’arresto di ogni rivoluzione delle stelle in un periodo di tempo assai più breve di quello che è stato ammesso dagli astronomi che si sono sforzati di sorvolare su un punto che non riuscivano a comprendere. Il ritardo effettivamente sperimentato è quello che ci si può aspettare per effetto dell’attrito dell’etere nel suo passaggio attraverso l’astro. In un caso la forza ritardante è momentanea e completa in sé, nell’altro è accumulativa all’infinito.»
       P. «Ma in tutto ciò, nella identificazione di pura materia con Dio, non c’è un che di irriverente?» (Fui costretto a ripetere questa domanda prima che il paziente mesmerizzato ne comprendesse pienamente il significato).
       V. «Può dirmi perché la materia dovrebbe essere meno rispettata della mente? Lei dimentica che la materia di cui parlo è proprio "la mente" o "lo spirito" delle scuole, per quanto attiene le sue capacità superiori e contemporaneamente è la "materia" di queste stesse scuole. Dio, con tutti i poteri attribuiti allo spirito è in sostanza la sublimazione della materia.»
       P. «Lei asserisce, dunque, che la materia imparticolata, in moto, è il pensiero?»
       V. «In generale, questo moto è il pensiero universale della mente universale. Questo pensiero crea. Tutte le cose create sono quindi pensieri di Dio.»
       P. «Lei dice "in generale".»
       V. «Sì. La mente universale è Dio. Per nuove individualità è necessaria la materia.»
       P. «Ma ora lei parla di "mente" e di "materia" come fanno i metafisici.»
       V. «Sì... per evitare confusione. Quando dico "mente" intendo materia imparticolata, materia ultima; per "materia" intendo tutte le altre forme.»
       P. «Stava dicendo "per nuove individualità è necessaria la materia".»
       V. «Sì, perché la mente incorporea è semplicemente Dio. Per creare individualità, esseri pensanti, è stato necessario incarnare parti della mente divina. Così l’uomo è individualizzato. Spogliato della veste corporea, era Dio. Ora il moto particolare delle particelle incarnate della materia imparticolata è il pensiero dell’uomo; così come il moto del tutto è quello di Dio.»
       P. «Dice che, spogliato del corpo, l’uomo sarà Dio?»
       V. (Dopo molta esitazione). «Non posso aver detto questo; è un’assurdità.»
       P. (Leggendo il contenuto dei miei appunti). «Lei ha detto che "spogliato della sua veste corporea l’uomo era Dio".»
       V. «E questo è vero. L’uomo così spogliato sarebbe Dio... Sarebbe non individualizzato. Ma non può mai essere così spogliato... per lo meno non lo sarà mai... altrimenti dobbiamo immaginare un’azione di Dio che ritorna su se stessa... Un’azione senza scopo, futile. L’uomo è una creatura. Le creature sono pensieri di Dio. E la natura del pensiero che è irrevocabile.»
       P. «Non capisco. Dice che l’uomo non sarà mai posto fuori dal suo corpo?»
       V. «Dico che non sarà mai senza corpo.»
       P. «Mi spieghi.»
       V. «Vi sono due corpi... il rudimentale ed il completo, che corrispondono alle due condizioni del bruco e dalla farfalla. Quella che noi chiamiamo "morte" è soltanto la dolorosa metamorfosi. La nostra presente incarnazione è progressiva, preparatoria, temporanea. Quella futura è perfetta, definitiva, immortale. La vita ultima è il fine supremo.»
       P. «Ma della metamorfosi del bruco abbiamo una conoscenza tangibile.»
       V. «Noi certamente, ma non il bruco. La materia di cui è composto il nostro corpo rudimentale è alla portata degli organi del corpo; o, più precisamente, i nostri rudimentali organi sono adeguati alla materia di cui è formato il corpo rudimentale, ma non a quello di cui è composto il corpo finale. Il corpo definitivo quindi sfugge ai nostri sensi rudimentali e noi percepiamo solo il guscio che cade, decomponendosi, dalla sua forma interna; non la stessa forma interna; per contro questa forma interna, così come il guscio, è percepibile da coloro che hanno già raggiunto la vita finale.»
       P. «Ha spesso detto che lo stato mesmerico somiglia molto alla morte. Come?»
       V. «Quando dico che somiglia alla morte, intendo che assomiglia alla vita finale; perché quando sono in trance i sensi della mia vita rudimentale sono assenti e percepisco le cose esteme, direttamente, senza organi, attraverso un mezzo che utilizzerò nella vita finale, priva di organi.»
       P. «Priva di organi?»
       V. «Sì, gli organi sono strumenti per mezzo dei quali l’uomo può avere relazioni sensoriali con particolari classi e forme della materia, con l’esclusione di altre classi e forme. Gli organi dell’uomo sono adeguati alla sua condizione rudimentale e a quella soltanto. Nella sua condizione finale, essendo egli privo di organi, ha la capacità di comprendere tutto tranne la natura della volontà di Dio... cioè il moto della materia imparticolata. Avrà un’idea chiara del corpo definitivo pensandolo come fosse interamente cervello. Non è così; ma un concetto simile lo porterà assai vicino a comprendere che cosa esso sia. Un corpo luminoso trasmette vibrazioni all’etere. Tali vibrazioni ne generano altre simili entro la retina, questa comunica vibrazioni simili al nervo ottico. Il nervo ottico convoglia nel cervello simili vibrazioni e il cervello stesso le ritrasmette alla materia imparticolata di cui è permeato. Il moto di quest’ultima è il pensiero la cui prima percezione è la prima vibrazione. Questa è la modalità secondo cui la mente della vita rudimentale comunica con il mondo estemo, e questo mondo estemo è, per la vita rudimentale, limitato per la idiosincrasia dei suoi organi. Al contrario nella vita definitiva, quella organica, il mondo esterno giunge all’intero corpo (che è di una sostanza affine a quella del cervello, come ho detto) senza alcun altro intervento oltre a quello dell’etere infinitamente più rarefatto perfino dell’etere luminoso. Con questo etere... all’unisono con esso... tutto il corpo vibra, mettendo in moto la materia imparticolata che lo permea. Ed è proprio all’assenza di organi idiosincratici che dobbiamo attribuire la pressoché illimitata percezione della vita definitiva. Per gli essere rudimentali gli organi sono le gabbie necessario per imprigionarli, finché non avranno messo le ali.»
       P. «Lei parla di "esseri" rudimentali. Esistono forse altri esseri rudimentali pensanti oltre l’uomo?»
       V. «Gli innumerevoli ammassi di materia rarefatta delle nebulose, dei pianeti, dei soli e di altri diversi còrpi celesti, che non sono né nebulose, né soli, ne pianeti, hanno l’unico scopo di fornire pabulum all’idiosincrasia degli organi incompleti di una infinità di esseri rudimentali. Se non fosse per le esigenze di esseri rudimentali, prima della vita finale, tali corpi non avrebbero giustificazione. In ognuno di essi, dimoravano forme diverse di creature organiche rudimentali, pensanti. Alla loro morte o metamorfosi questi esseri godono della vita definitiva – l’immortalità – arrivando alla conoscenza di tutti i segreti, ad eccezione dell’unico e agiscono e vanno ovunque solo per atti della volontà. E popolano non le stelle – che a noi sembrano essere le uniche presenze complete dello spazio, che anzi ci sembra creato solo per contenere le stelle – popolano lo spazio stesso... questa infinità di reale sostanza che inghiotte le ombre stellari – e le cancella, come non entità, dalla percezione degli angeli.»
       P. «Lei dice che "se non vi fosse questa esigenza della vita rudimentale" non vi sarebbero stelle. Ma perché questa esigenza?»
       V. «Nella vita inorganica così come nella materia inorganica in generale, non c’è alcun ostacolo all’azione di una semplice unica legge – la volizione divina. La vita e le materie organiche (complesse, sostanziali, gravate di leggi) sono state create proprio per costituire questo ostacolo.»
       P. «Ma perché mai si è reso necessario creare questo ostacolo?»
       V. «Il risultato di una legge inviolata è la perfezione, il diritto, la felicità negativa. Se una legge viene violata sì genera l’imperfezione, il torto, il dolore positivo. L’ostacolo dovuto al numero, alla complessità e alla sostanzialità delle leggi che regolano la vita degli esseri organici, rende, fino a un certo punto, praticabile la violazione della legge. Quindi il dolore, impossibile nella vita inorganica, esiste in quella organica.»
       P. «Ma perché rendere possibile il dolore?»
       V. «Tutte le cose sono buone o cattive solo in base ad un confronto. Un’analisi basterà a mostrare che il piacere, in ogni caso, è il contrario della pena. Il piacere positivo è un’astrazione, per essere felici in qualche misura bisogna aver sofferto prima in pari misura. Non soffrire significherebbe non essere stato mai felice. Poiché nella vita inorganica non è possibile il dolore, si è reso necessario creare la vita organica. Il dolore della vita primitiva sulla Terra è l’unica base per arrivare alla felicità della vita finale del Cielo.»
       P. «C’è ancora una espressione che non comprendo... la vera sostanziale vastità dell’infinito.»
       V. «Forse lei non ha un concetto abbastanza generale della parola "sostanza". Non dobbiamo considerarla una qualità ma un sentimento: è la percezione da parte degli esseri pensanti dell’adattarsi della materia alla propria organicità. Ci sono molte cose della terra che sarebbero inesistenti per gli abitanti di Venere e, viceversa, cose visibili e tangibili su Venere non verrebbero considerate esistenti da noi. Per gli esseri inorganici – per gli angeli – tutta la materia imparticolata è sostanza, cioè tutto quello che noi chiamiamo "spazio" ha per loro il massimo della sostanzialità; le stelle, invece, attraverso ciò che noi consideriamo la loro materialità, sfuggono alla sensibilità angelica, proprio come la materia indivisa, attraverso quella che è da noi considerata la sua immaterialità, sfugge a quella organica.»
       Mentre il mio paziente pronunciava queste ultime parole con voce flebile, osservai che il suo volto aveva una particolare espressione che mi allarmò, e mi indusse a destarlo subito. Appena lo ebbi fatto, con un sorriso smagliante che gli illuminava tutto il volto, ricadde sul guanciale e spirò. Mi accorsi che meno di un minuto dopo il suo cadavere aveva la rigidità della pietra e la sua fronte era di ghiaccio. Questo di solito avviene soltanto dopo una prolungata pressione della mano di Asraele. Il malato mi aveva forse indirizzato l’ultima parte del suo discorso dal regno delle ombre?