Il razzismo 

 

Benché i pregiudizi e le idee razziali siano stati una costante della storia umana fin dalle origini (già i primitivi invasori dell'India, ad esempio, designarono se stessi Arya["Signori"], uomini superiori per eccellenza, in contrapposizione ai popoli loro sottomessi, giustificando così con una pretesa superiorità etnica il loro predominio politico-militare), il razzismo come teoria organica e come movimento organizzato è un fenomeno recente e affonda le sue radici nel nascente nazionalismo europeo della seconda metà del xix sec. Precursore del moderno razzismo fu il francese J. A. Gobineau (Saggio sull'ineguaglianza delle razze umane, 1853-1855), cui si dovettero la prima interpretazione razziale della storia e la tesi della necessaria supremazia della razza bianca pura, o razza ariana, identificata con i "Germani" in senso stretto (biondi dolicocefali del Nord della Francia, del Belgio e delle Isole Britanniche). Tale teoria a sfondo aristocratico piuttosto che nazionalistico (il Gobineau intendeva in effetti affermare la superiorità della nobiltà, ariana, contro la borghesia e il popolo, prodotti da commistioni di ariani con razze inferiori), rimasta senza seguito in Francia, dove anzi fu subito sottoposta a una severa critica da parte del Tocqueville, incontrò invece largo favore in Germania (H. S. Chamberlain) in quanto il mito dell'arianesimo venne identificato con la supposta superiorità della razza germanica in senso lato (Tedeschi e più in generale popoli dell'Europa del Nord) e adattato alle ambizioni pangermanistiche allora correnti. Pur affiancandosi a movimenti diversi tra loro (celtismo, panslavismo, ecc.), la letteratura razzista, suffragata da teorie pseudoscientifiche (F. Galton, K. Pearson), ebbe generalmente carattere antiliberale, imperialistico e antisemita. Fu soprattutto con questi contenuti che l'idea razziale entrò a far parte integrante dell'ideologia del nazionalsocialismo e quindi nella politica razziale del governo hitleriano. I princìpi fondamentali della dottrina nazionalsocialista della razza, già enunciati nel Mein Kampf di Hitler, vennero elaborati in teoria sistematica da A. Rosenberg nel Mito del XX secolo (1930), dove, sulla base di un'interpretazione eminentemente razziale della storia, intesa come lotta tra la razza ariana, creatrice di cultura, e le razze inferiori dell'umanità e in particolare quella ebraica, distruttrici di cultura, venivano propugnati il primato esclusivo della razza ariana sulle altre e la preservazione della sua purezza.

Tali princìpi, assai fragili dal punto di vista teorico, ebbero gravi effetti pratici nella severa legislazione eugenetica e antisemita adottata dal governo tedesco tra il 1933 e il 1938 in difesa del "tipo biologico ideale di razza ariana"; tale legislazione negli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale e soprattutto durante il conflitto portò con i campi di concentramento, le deportazioni in massa e i massacri al quasi totale genocidio degli Ebrei dell'Europa centrorientale e a massacri di zingari. (Nella foto a fianco un campo di concentramento tedesco durante la seconda guerra mondiale).

In Italia una politica della razza (preminentemente antiebraica) si tradusse in vere e proprie disposizioni legislative soltanto nell'ultimo periodo del regime fascista allorché questo allineò le proprie concezioni sulla razza alle dottrine della Germania nazista. (In precedenza lo  stesso Mussolini si era mostrato contrario alla tesi di una razza "biologicamente pura".) Dopo la pubblicazione del Manifesto della razza (14 luglio 1938), redatto, in seguito agli accordi di Berlino, da un gruppo di studiosi fascisti sotto l'egida del ministero della cultura popolare, nel settembre 1938 vennero emanati contro gli Ebrei due provvedimenti legislativi che li escludevano dall'insegnamento e dalla frequenza in scuole italiane e ponevano loro gravi limitazioni in materia di cittadinanza. Seguì il 6 ottobre 1938 una "dichiarazione del Gran consiglio" contenente precise direttive sull'applicazione di numerosi divieti (in tema di matrimoni fra Italiani e appartenenti a razze non ariane; in tema di diritti civili e politici degli Ebrei, ecc.), successivamente tradotte in vari provvedimenti legislativi. Queste leggi tuttavia non ebbero in pratica completa e capillare applicazione, anche perché contrarie ai sentimenti della maggioranza dell'opinione pubblica.

Altre forme di razzismo, fondate non su motivi di sciovinismo nazionalistico come per il nazismo e il fascismo, bensì su motivi di ordine politico-sociale e sulla base di residui del colonialismo, sono la discriminazione razziale nei confronti della minoranza nera negli Stati Uniti, superata sul piano legislativo soprattutto negli anni Sessanta, ma ancora presente nella sua forma ideologica specie negli strati sociali inferiori della popolazione bianca, e l'istituto dell'apartheid, rimasto a fondamento dello Stato in Rhodesia fino al 1979 e più a lungo nella Repubblica Sudafricana. Nei paesi europei, nei quali si è registrato, specialmente negli ultimi anni, un notevole afflusso di immigrati provenienti dal Terzo Mondo, l'etnocentrismo tende spesso a degenerare nel razzismo. L'inconsistenza del razzismo è stata formalmente denunciata dall'Unesco nella Dichiarazione sulla razza e le differenze razziali (1950), con la quale si afferma priva d'ogni fondamento scientifico qualunque dottrina che pretenda di far risalire alle differenze di razza differenze attitudinali d'ordine intellettuale e psichico e attribuisca a incroci tra razze diverse effetti in qualche modo negativi dal punto di vista biologico.

Nel 1965 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite votò una Convenzione internazionale che definì discriminazione razziale "ogni differenza, esclusione e restrizione basata sulla razza, il colore della pelle, la discendenza e le origini nazionali o etniche, che abbia lo scopo o l'effetto di annullare o rendere impari il riconoscimento, il godimento o l'esercizio su uno stesso piano dei diritti umani e delle libertà fondamentali nella sfera politica, economica, sociale, culturale o in ogni altra sfera della vita pubblica".

Negli anni Sessanta negli Stati Uniti si sviluppò un ampio movimento contrario alla discriminazione della popolazione nera, alla quale, dopo un secolo dall'abolizione della schiavitù, non veniva ancora riconosciuta un'effettiva parità con i bianchi. Il dibattito sul razzismo sorto in quegli anni permise inoltre di svelare e denunciare le ingiustizie che i neri americani avevano a lungo sofferto a causa dei bianchi.

Nonostante sia ormai chiaro quali possano essere le conseguenze della diffusione del pregiudizio razzista, questo continua a esistere e a riesplodere ogni qualvolta ci sia una "responsabilità" da attribuire a qualcuno. Nel mondo contemporaneo, travagliato da conflitti e problemi, purtroppo queste occasioni non mancano e infatti stiamo assistendo, accanto al riemergere di un nazionalismo aggressivo, alla ricomparsa del fenomeno del razzismo, sempre alla ricerca dei "capri espiatori" ai quali attribuire responsabilità: ieri della degenerazione della razza, oggi della disoccupazione, della violenza e degli altri innumerevoli problemi che affliggono le società contemporanee.

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