LA TRASFIGURAZIONE

 

Luca 9, 28-36

 

 

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Premessa

 

 

Il racconto della trasfigurazione di Gesù in Luca ci viene proposto, da un lato, come risposta a tutta una serie di interrogativi sull'identità di Gesù (Lc 9,7-9 e 9,18-22), che precedono il racconto stesso; dall'altro, come preparazione e introduzione al cammino di Gesù verso Gerusalemme, in cui si compiranno i misteri della nostra salvezza (passione, morte e risurrezione)  e che occuperà ben dieci capitoli del vangelo lucano: da 9,51 a 19,28.

 

Inoltre, in questi discorsi, che precedono la trasfigurazione e ai quali essa si aggancia, Gesù colloca la comprensione della sua identità all'interno di una cornice di sofferenza e di morte, quasi a dire che soltanto entro tale contorno egli può essere compreso correttamente (Lc 9,22). Non solo, ma evidenzia come chi vuole seguirlo deve, anche lui, rinnegare se stesso, prendere e la sua croce (Lc 9,23-27). Vengono, pertanto, dettate qui le regole della sequela e del discepolato.

 

Entro tale cornice va letta la Trasfigurazione.

 

E' questo un racconto singolare, che troviamo anche in Marco e Matteo, benché con differenze gli uni dagli altri, a secondo del taglio teologico che ogni evangelista ha voluto dare al proprio vangelo. Un racconto sulla cui autenticità storica pesano seri dubbi per la presenza dei numerosi richiami teologici e simbolici.

 

 

Il Testo

 

 

[28]Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare.

[29]E, mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante.

[30]Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia,

[31]apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme.

[32]Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.

[33]Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: <<Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia>>. Egli non sapeva quel che diceva.

[34]Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all'entrare in quella nube, ebbero paura.

[35]E dalla nube uscì una voce, che diceva: <<Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo>>.

[36]Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

 

IL Commento

 

 

Circa otto giorni dopo questi discorsi ...  Luca apre il suo racconto agganciandosi ai discorsi immediatamente precedenti, quasi a dire che esso vuol essere la risposta agli interrogativi che Erode, i discepoli e la gente si ponevano su Gesù. Dunque la trasfigurazione ci parla dell'identità di Gesù. E qui Luca comincia subito con una precisazione di tempo: "otto giorni dopo". Che senso ha nel racconto questa precisazione di tempo? Perché proprio otto e non sei, come in Marco o in Matteo? La risposta ci viene da Luca stesso al cap. 24,1 dove ci parla della risurrezione di Gesù: "Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino ..."; essendo il sabato il settimo giorno della settimana ebraica, il giorno dopo, in successione di tempo e di numeri, è l' "ottavo giorno", quasi a dire che la vera identità di Gesù la si può trovare soltanto nell'ottavo giorno, che è quello della risurrezione. Soltanto lì Gesù apparirà e sarà compreso da tutti per quello che lui veramente è: "Figlio di Dio", come verrà anche poi precisato al termine del presente racconto.

 

Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni ...  abbiamo visto sopra come Gesù abbia dettato le regole della sequela del suo discepolato (Lc 9,23-27). Ora, Gesù "prende con sé" questi suoi discepoli, volendo con ciò dire che egli li associa alla sua avventura, poiché soltanto partecipandovi, essi possono qualificarsi come "discepoli". Il discepolo, pertanto, è colui che condivide la sorte del suo maestro.

 

... salì su di un monte a pregare  di quale monte qui si parla? La tradizione ha in qualche modo cercato di individuarlo: chi dice sia il monte Ermon, alto 2800 mt, improbabile per la sua altezza eccessiva, o più semplicemente il Tabor, 590 mt. Tuttavia, nessuno degli evangelisti riporta il nome di tale monte, né fornisce indicazioni per poterlo individuare. In realtà esso è un monte "teologico", che richiama realtà teologiche. Nell'antichità esso era compreso come il luogo dell'abitazione della divinità. Salire sul monte, quindi, dice l'entrare in una dimensione divina. Infatti, Gesù vi sale "per pregare", quasi a dire che la preghiera ti eleva e ti fa entrare in questa dimensione divina.

 

Non va, tuttavia, trascurato un altro aspetto di questo "salire sul monte". Che cosa ci richiama? Se ben si ricorda, l'ultima volta, parlando delle "tentazioni", Luca raccontava che Gesù tornò indietro dal Giordano per entrare nel deserto (Lc 4,1). In quell'occasione si diceva che Gesù, con questo suo gesto, aveva voluto ripercorrere l'avventura di prova nel deserto di Israele, quasi a voler riscrivere la storia di un popolo infedele, che soccombette alla tentazione. Ebbene, questa ritrascrizione della storia di Israele nella vita di Gesù, rivissuta questa volta in fedeltà a Dio, continua. Israele giunge ai piedi del monte Sinai e Mosé, insieme ad Aronne, Nadab e Abiu, figli di Aronne, salgono sul monte presso il Signore e qui Mosé stabilisce l'alleanza con Dio (Es 24,1-3). Come Mosé, salito sul monte con tre persone in rappresentanza del popolo, anche Gesù qui sale il monte di Dio con tre discepoli, rappresentanti della nuova comunità messianica, costituita nella fedeltà a Dio e in conformità alle sue esigenze.

 

E che questo sia il contesto a cui Luca si rifà lo fa pensare anche la presenza di altre parole che lo richiamano: esodo ( tradotto in italiano con dipartita), Mosé, le tre tende, il monte su cui salgono. Luca, quindi, vede in Mosé una prefigurazione di Gesù. Vedremo come questo concetto verrà ripreso più avanti.

 

E mentre pregava il suo volto cambiò d'aspetto ... si noti come Gesù non sale sul monte per trasfigurarsi, ma per pregare ed è proprio durante la preghiera, cioè nel suo intimo rapporto con il Padre, che egli viene investito dallo splendore di Dio al punto tale da venirne assorbito completamente. Lo splendore del volto e delle vesti dicono la sua partecipazione alla vita di Dio, sottolineando, da un lato, la sua natura divina (le vesti dicono la condizione della persona), dall'altro, preannunciando il suo futuro stato di risorto.

 

Ed ecco due uomini parlavano con lui ... il linguaggio di Luca qui si fa apocalittico, cioè rivelativo. Chi è mai, dunque, Gesù? Ecco, allora, Mosé ed Elia, l'uno rappresenta la Legge, l'altro i Profeti. Essi sono rivolti a Gesù e parlano con lui. Il "parlare con" dice comunione e comunicazione; dice che tra l'Antico (Mosé ed Elia) e il Nuovo Testamento (Gesù) non vi è frattura, ma continuità dialogica. In altri termini, la storia della salvezza, qui simbolicamente rappresentata, è un unico atto salvifico di Dio, scandito in due tempi: la Legge e i Profeti che trovano la loro naturale confluenza in Gesù. Gesù ricorderà questo in Matteo 5,17: "Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge e i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento". Gesù, dunque, viene presentato come la chiave di lettura dell'Antico Testamento e il punto di confluenza di tutta la storia della salvezza, che in lui trova il compimento.

 

Parlavano del suo esodo (dipartita) che avrebbe portato ... Vediamo come Luca qui riporta il contenuto del dialogo tra Gesù, Mosé ed Elia. Si parla della dipartita di Gesù (il testo greco parla di esodo di Gesù) che egli avrebbe portato a compimento a Gerusalemme. Con questo breve sommario del dialogo a tre, Luca evidenzia tre cose: a) la presenza dei termini Mosé ed esodo, richiamano l'evento di liberazione di Israele dalla schiavitù d'Egitto e indicano in Gesù colui che sta per compiere in Gerusalemme questo nuovo esodo di liberazione dell'intera umanità, attraverso la sua morte e risurrezione, che qui si attuano. Luca dice: "... portato a compimento in Gerusalemme". Ciò significa che l'esodo di liberazione di Israele condotto da Mosé, prefigurava questo esodo di Gesù e soltanto questo esodo porta a compimento quello. b) A partire dal v. 9,51 e fino al v. 19,28 Luca ci presenta il cammino di Gesù verso Gerusalemme, dove si compirà la liberazione dell'uomo dalla schiavitù del peccato. L'esodo di cui si parla qui ha anche questo significato: preparare questo cammino verso Gerusalemme, che qui in qualche modo viene anticipato e preannunciato e aiuta il lettore a comprenderne il profondo significato teologico. Non si tratta, dunque, di un girovagare privo di senso di un Gesù che dalla Galilea va verso Gerusalemme, ma questo viaggio di Gesù verso Gerusalemme è un ripetere quell'esodo di Israele verso la liberazione e la sua piena affermazione. c) Mosé ed Elia, la Legge e i Profeti, stanno parlando dell'esodo di Gesù che deve compiersi a Gerusalemme. Questo per dire come il destino di Gesù era già scritto e prefigurato nell'Antico Testamento. Già la Legge e i Profeti ne avevano, in qualche modo, parlato. Ce lo ricorderà Luca nel suo racconto dei "discepoli di Emmaus": "E cominciando da Mosé e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui" (Lc 24,27). C'è, dunque, un piano di Dio che a partire fin dall'Antico Testamento si sta lentamente attuando lungo i secoli e trova il suo definitivo compimento in Gesù.

 

Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno ... Luca, qui, ricrea un po' l'ambiente che precede immediatamente la cattura di Gesù nell'orto di Getsemani: "... poi ... andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro:<<Perché dormite? ...>>" (Lc 22,45-46). Anche qui i discepoli sono appesantiti dal sonno.

 

I due sonni, quello del Getsemani e questo, sono piuttosto strani: là i discepoli si sono addormentati per la tristezza (chi mai si addormenta per la tristezza? Anzi è vero il contrario che la tristezza tiene sveglio); qui sono appesantiti dal sonno, ma stanno svegli.

E' chiaro che questi tipi di sonno non sono reali, ma di tipo teologico: essi stanno ad indicare l'inintelligenza di quanto sta loro capitando. Nel Getsemani i discepoli non comprendono il significato profondo quanto sta accadendo, perché la loro mente è offuscata dalla tristezza; qui non comprendono il legame che intercorre tra la gloria del Figlio di Dio (essi, infatti, pur appesantiti dal sonno dell'incomprensione, stanno svegli e vedono la gloria di Gesù) con il fatto che egli deve patire e morire (si sta, infatti, parlando dell'esodo di Gesù che deve compiersi a Gerusalemme).

Questa stessa difficoltà di comprensione torna anche con i due discepoli di Emmaus dove Gesù rimprovera loro: "Stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?" (Lc 24,25).

 

Gli ebrei, infatti, attendevano un messia glorioso, forte e invincibile che avrebbe restituito la piena gloria al regno di Israele e cacciati tutti i suoi nemici. Per questo sono oppressi dal sonno, cioè non riescono a combinare insieme le loro attese con le sofferenze e la morte del loro messia, di cui, in qualche modo, colgono la sua divinità ("tuttavia, restarono svegli e videro la sua gloria").

 

Facciamo tre tende ... non sapeva quello che diceva  con questo suo intervento Pietro vuole rendere stabile, anche a livello storico, quella gloria divina che tutti in Israele attendevano nel messia tanto vagheggiato. Ora, egli è colto nella sua gloria, che Pietro vuole fermare. In altre parole: abbiamo capito bene che tu sei il messia atteso da tutti e di cui Mosé e i Profeti avevano parlato, pertanto, mostrati tale anche agli altri, cioè mostra a tutti la tua gloria. Torna qui l'eco delle tentazioni: la lotta di un Dio che vuole vivere la povertà della condizione umana fino in fondo, rinunciando alla sua gloria (Fil. 2,6-11), poiché soltanto in questo modo, assorbendo in sé interamente la natura umana e vivendola fino in fondo, riuscirà anche riscattarla pienamente nella risurrezione. Per questo Luca commenta che Pietro "non sapeva quello che diceva".

 

Il termine “tenda”, poi, qui richiama la "Tenda dell'Arca dell’Alleanza", che fungeva da tempio durante il cammino di Israele nel deserto e indicava la presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Essa, dunque, esprimeva una sorta di luogo fisico in cui Dio si rendeva presente. E' proprio questo che Pietro chiede a Gesù: di rendere anche fisicamente presente la gloria di Dio, così tutti avrebbero creduto. Si sente qui l'eco della sfida lanciata a Gesù dai crocifissori: "Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto" (Lc 23,35). Il vecchio Israele non comprende, Pietro non sapeva quello che diceva. Si ragiona troppo in termini umani, così che il piano di Dio rimane nascosto e irraggiungibile.

 

Venne una nube e li avvolse ... ebbero paura nel mondo biblico la nube sta ad indicare la presenza di Dio ed esprime una teofania, cioè una manifestazione divina. Questa nube forma da cornice a quanto avverrà subito dopo: ciò che avviene all'interno della nube è una rivelazione che proviene da Dio stesso e non è frutto di ragionamenti umani. Il fatto che i tre discepoli abbiano paura dice la naturale reazione dell'uomo di fronte al manifestarsi del divino.

 

Dalla nube uscì una voce ... la voce che esce dalla nube richiama quell'altra voce che scende dal cielo in occasione del battesimo di Gesù (Lc 3,21-22). Là la voce era rivolta a Gesù, quasi a fargli prendere coscienza della sua esclusiva figliolanza divina; qui, invece, è rivolta ai tre discepoli: "Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo".

 

Questa espressione è il frutto combinato di tre citazioni bibliche: "Annunzierò il decreto del Signore. Egli mi ha detto:<<Ti sei mio figlio, oggi ti ho generato>>" (Sal 2,7). Questo salmo veniva recitato da Israele nel momento dell’intronizzazione del suo re, considerato come figlio di Dio. Gesù, qui, non solo è visto come il vero Figlio di Dio, ma anche come il vero re d'Israele. Risuona, in qualche modo, il dileggio dei soldati ai piedi della croce, ma che per il credente è, invece, una vera e propria inconsapevole professione di fede: "Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso" (Lc 23,37).

 

Con il titolo "l'eletto", poi, Luca si riferisce a Isaia 42,1: "Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio". Questa citazione è stata tratta da uno dei quattro canti del Servo di Jahweh, che Isaia presenta come il Servo sofferente di Dio.

Luca, pertanto, associa qui il titolo di Figlio di Dio a quello della figura del sofferente Servo di Jahweh.

 

La dichiarazione si conclude con l'appello: "ascoltatelo", che richiama Deuteronomio 18,15: "Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a te; a lui darete ascolto". Gesù, dunque, viene assimilato a questo "profeta pari a te", cioè pari a Mosé, in cui Gesù è prefigurato. Egli diventa ad essere, pertanto, il vero "profeta escatologico" in mezzo agli uomini, cioè l'ultimo discorso che Dio fa agli uomini, a cui è associato il giudizio definitivo, che pesa sull'intera umanità: "chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio" (Gv 3,18).

 

Appena la voce cessò, Gesù fu trovato solo ... la voce risuonata dal cielo scompare e con lei la visione celeste. Ciò che rimane è Gesù, il frutto di questa voce. Gesù, qui, è associato alla voce celeste, anzi, è lui la voce del Padre venuta dal cielo; lui il Verbo eterno del Padre in cui questa voce continua a risuonare. Tutto ciò che è rimasto della grandiosa visione è un Gesù sotto spoglie umane in cui, però, continua risuonare questa voce del cielo. Tanto deve bastare ai discepoli e a tutti i credenti.

 

Essi tacquero ... di fronte ad un evento sovrannaturale, alla comprensione di una presenza divina in cui si sta attuando il progetto di Dio, da secoli nascosto agli uomini, ma ora reso presente e rivelato in Gesù, l'uomo non può che tacere. Si sente l'eco qui della reazione delle donne di fronte alla tomba vuota e all'annuncio dell'angelo che il Crocifisso è risorto: "Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura" (Mc 16,8).

 

Di fronte ad un Dio che parla l'uomo non può che tacere. Il silenzio si addice di fronte al mistero che si compie.